Archivio mensile:Maggio 2013

Sul reato di omesso versamento di imposta

1. Sull’autore del reato di omesso versamento di imposta

2. sulla confiscabilità ( e sequestrabilità) dei beni dell’amministratore o del liquidatore di società di capitali,  per inadempimento di questa;

3. sulla legittimità del sequestro preventivo in materia, e sulla rimessione della individuazione dell’oggetto della confisca (o del sequestro previo ) all’organo esecutivo (PM);

4. su una possibile retroattività della applicazione  della legge 144/07

Sull’autore del reato di omesso versamento di imposta

1. nel  reato di omissione propria (quello ex art 10 ter D.Lvo 74/2000) , se l’adempimento dell’obbligo (di agire) potrebbe  avvenire (efficacemente)  in ogni momento,  di una parte di tempo  (fino ad un termine  previsto dalla  norma obbligante), allora in ogni momento, di quella parte di tempo,  si compie omissione (benchè,  questa, generalmente, rilevi,  giuridicamente,  all’avverarsi del termine dell’adempimento);

1.1 tanto che (è ritenuto comunemente)  (quel)la omissione  potrebbe assumere forma di “atti” di  delitto tentato , ex  art 56 cp : quando, l’obbligato ad agire, li abbia preordinati ad essa, essi siano “atti idonei….” etc. ( art 56.1 cit);

1.1.1 ed essi  potrebbero essere perseguiti,  al titolo del reato  or detto;

1.2 o quando, l’obbligato ad agire,   si sia  posto nella condizione di non potere adempiere all’avverarsi del termine;  allora  ( è ritenuto comunemente) l’ omissione  sarebbe  eseguita,  prima del   termine (forse, anche quando,  altri,  adempia in tempo);

1.2.1  dunque, omittente, nel reato de quo,  è l’obbligato ad  adempiere nella parte di tempo sub 1 (e, come detto,  potrebbe, egli,   divenire giuridicamente tale,  perfino prima dell’avverarsi del termine);

1.3 ora, se  costui esistesse, quale inadempiente all’obbligo di versamento  di imposta nella parte di tempo prevista (ma vd infra sub 1.3.1 ),  e non corrispondesse a chi fosse investito dell’obbligo ( se ne fosse investibile: vd sub 1.2 ) in prossimità  della scadenza del termine del versamento dell’imposta ;

1.3.1 e che ne fosse investito nel momento in cui la omissione era eseguita da altri:

come, ovviamente,   non potrebbe  commetterla prima, della investitura,  così non potrebbe commetterla dopo,  perchè non (ri)commettibile,  la omissione commessa, per quanto  sub 1.2 (ed alla condizione sub 1.3.2), o   perchè:

1.3.2 investito,   dell’obbligo di adempiere,  nel momento in cui sia   divenuto impossibile l’adempimento ( perché, questo,   avrebbe richiesto, in concreto, adeguata preparazione monetaria, se non   opportuni  tempestivi accantonamenti… inattuati dal precedente obbligato, inattuabili dal successivo);

1.4  questa impossibilità, se non escludesse la sussistenza del fatto (di omissione di adempimento di un obbligo),  come all’opposto  reputa la migliore teoria del “fatto”,  includerebbe  “forza maggiore” nella commissione di esso (che, ex art 45 cp, non permette di ravvisare responsabilità per reato);

1.4.1  quanto sopra,  d’altronde, pare stimolare la illazione teorica, per cui, nella successione di obbligati all’adempimento,  è autore dell’omissione  chi lo fosse stato  per il tempo della possibilità di esso;

sulla confiscabilità ( e sequestrabilità) dei beni dell’amministratore o del liquidatore di società di capitali,  per inadempimento di questa;

ove

2.  il debito di imposta  gravi la società;

2.1  dal suo inadempimento tragga  profitto la società;

2.2  la confisca “per equivalente” reprima punitivamente  (è ritenuta comunemente  “sanzione penale”) quel profitto ,  essa non potrebbe cadere che sui beni della società (aumentati  da esso) ;

2.3 se, essa,  cadesse sui beni  degli organi suddetti, cadrebbe su un estraneo al profitto  (e dunque ad un elemento del reato), su un reo formale (in effetti organo della società,  agente penalmente in vece della società,  che  penalmente “non   delinque”), (reo) di reità sostanziale (davanti il diritto tributario, fiscale…) attinente soltanto la società;

2.4 e se fosse vero che la confisca (in parola) non potrebbe colpire l’illecito tributario della società (ex D.lvo n. 231/01),  è  inspiegato come  potrebbe colpire il suo organo (tanto che la confisca  è comunemente  ammessa , a colpire la società, quando questa sia “fittizia”, sia solo una parvenza,   del suo gestore: è ammessa, cioè, nel caso di reità –anche – formale, della società, assorbita nel suo gestore;

2.5 organo il quale, dopo tutto, (tornando a sub 2.3) essendo colpito,  con la sanzione repressiva dell’ingiusto profitto, benchè estraneo a questo, sarebbe  “estraneo” al reato che lo genera;

sulla legittimità del sequestro preventivo in materia, e sulla rimessione della individuazione dell’oggetto della confisca (o del sequestro previo ) all’organo esecutivo (PM);

3. i decreti di  sequestro preventivo volti alla confisca “per equivalente”, non  declinano, generalmente, il proprio potere;

3.1 ma il sequestro ex art 321.2  cpp è dirigibile alla “confisca” facoltativa (“…è consentita…”): mentre quella di specie è obbligatoria (“…è sempre ordinata…”), ex art 322 ter cp; ed il richiamo che l’art 1 L 244/07 fa, di questo,  è alla confisca obbligatoria, non a quella facoltativa;

3.2 quella facoltativa,  peraltro, insieme a quella obbligatoria dello stesso genere (art 240 cp), non esce (concettualmente) dalla “misura di sicurezza”; laddove quella obbligatoria di specie è entrata presto (concettualmente) nella “sanzione penale” (vd sub 2.2);

3.2.1  ed è certo meno facile concepire la cautela, ex art 321 cpp, di questa (sanzione),  alle condizioni nelle quali sarebbe concepibile, concepita,  la cautela di quella (misura);

3.2.2. condizioni che, d’altronde,  suppongono la previsione della cosa oggetto della cautela (cioè, che si sappia prima e subito quale essa sia),  come segnala l’art 321.1 cpp, e segnala l’art 240 cp (insieme al sottosistema processuale del reato che abbia generato o usato le cose or dette);

3.2.3 laddove, nel sequestro di specie, è esclusa quella previsione; è esclusa perfino la visione,  della cosa, se, il sequestrante, rimette al PM la completa individuazione d’essa;

3.3 e che l’art 104 disp att,  cpp (talora richiamato dai decreti) segnali che il sequestro preventivo si esegue al modo del sequestro probatorio, lungi dal legittimare quello di specie, lo delegittima, perché il sequestro probatorio,  al quale quello preventivo è assimilato, postula la previsione della cosa oggetto,  che, per contro,  il sequestro di specie esclude;

3.4 d’altronde, ex art 322 ter.3 cp, il giudice, non il PM,   individua la cosa oggetto della confisca (diretta o)  “per  equivalente”, perfino se fosse cosa fungibile (somma di denaro);

3.5 peraltro, le sanzioni penali, come (in fase genetica) vivono in riserva di legge (art 25.2, 42.2.3,  cost, art. 1 cp) in fase applicativa vivono in riserva di giurisdizione  (artt. 13 ss ,  111 s cost, e, ex multis, art 322 ter cit medesimo);

3.5.1 per cui,  se il giudice avesse  potere di sequestro preventivo in direzione della confisca “per equivalente” ( per ammetterlo, oltre che disattendere quanto sopra, occorrerebbe tralasciare che la “equivalenza” della cosa – al profitto al prezzo….del reato- di specie, non è determinabile senza il ”contraddittorio”- veicolabile dalle produzioni documentali dell’accusato- con l’Agenzia delle Entrate,  contraddittorio atto alla determinazione, del debito da equivalere in confisca,  solo a seguito dei procedimenti,  anche transattivi, inerenti), non potrebbe non avere dovere di (completa) individuazione della cosa suo oggetto;

su una possibile retroattività della applicazione  della legge 144/07

4. se la sanzione penale (confisca “per equivalente”) in relazione al reato ex art 10 ter cit,  introdotta dalla legge 24 12 2007/ 144, successiva all’anno di imposta 2007 (nel corso del quale sia sorta ed  evoluta la omissione di adempimento , dell’obbligo di versamento), fosse applicata (anche prodromicamente, mediante il  sequestro de quo ) a quel periodo, potrebbe esserlo  retroattivamente (contro i principii di irretroattività, della legge penale incriminatrice e della sue sanzioni, ex  artt 25 cost, 1 cp), almeno rispetto al periodo (2007), pur se non a quello, dell’anno successivo, nel quale maturi il termine dell’adempimento (27 12…).

4.1. E se fosse discutibile  che,  nel reato di omissione propria, la posteriorità  della legge al momento genetico dell’obbligo e dell’obbligato, e del  periodo di   inadempimento d’esso, cioè,  l’anteriorità,  della legge,   soltanto al momento evolutivo d’essi, non comporti sua applicazione retroattiva, ove sia riportata al primo momento:

4.2. sarebbe indiscutibile soltanto supponendo la “permanenza”, della condotta di omissione, fino al termine dell’adempimento, permanenza tuttavia insupponibile  quando la omissione sia eseguita  prima del termine, e sia impossibile l’adempimento dopo essa e prima di questo ( e sempre che,  quella esecuzione,  renda giuridicamente ammissibile l’altrui adempimento: vd sopra sub 1.3.1) ; soltanto supponendo essa, e con essa, permanenza quella,  ammettendo,  la legge successiva,  a innovare sulla condotta iniziata con la precedente.

4.3. Peraltro, decorso il termine dell’adempimento nella omissione di questo, essa sarebbe, nonché eseguita, consumata, non sarebbe in alcun modo reiterabile in relazione a successivi   termini di adempimento.

Pietro Diaz

Tribunale di Sassari- Collegio penale- pres. Fanile, ordinanza di ammissione della costituzione di PC di Figc… sulla legittimazione ad agire di Figc nel processo per reato di truffa in danno del CONI…

1. Una paralogia tende a  fagocitare,  in prassi, la norma giuridica, divulgando  che:

1.1 poiché l’art. 74 cpp ammette alla azione civile in processo penale il “soggetto al quale”  il reato abbia “recato danno”, non  la “persona”, alla quale il reato abbia fatto altrettanto, ammessa in vece dall’abrogato art. 22 cpp, allora:

 1.2 il  primo sarebbe altro, dalla seconda, e (per ciò) avrebbe  un diritto altro o ulteriore o diverso, da  quello della seconda, tale (altro ulteriore diverso)  anche da quello  difeso dal reato, del quale senz’altro  è titolare la “persona” (per ciò “offesa” dal reato: art. 120 cp );

2. è certo che la divulgazione,  prima di esordire,  né si è interrogata  sul senso e le ragioni di quelle variazioni nominali (dall’art. 22 all’art. 74 citt.), né, tanto meno,  ha prestato ascolto ai LLPP dell’art. 74; se avesse compiuto l’uno o l’altro atto,  avrebbe tosto appreso che, la variazione lessicale  era stata studiata:

 2.1  per risolvere l’antica disputa se “persona” potesse essere, oltre quella fisica – individuale, quella collettiva non giuridica (potendo certamente esserlo quella giuridica, “persona giuridica”) e si era deciso di chiamarla “soggetto” perché meglio generalizzante, comprensivo,

2.2 e per risolvere l’antica disputa se  “erede” (dell’art. 22) potesse essere anche il “successore” della persona collettiva giuridica o non giuridica (come si sforzava di sostenere, al limite del lessico, la giurisprudenza del tempo), e si era deciso di chiamarlo  “successore universale”, perché meglio generalizzante, comprensivo.

2.3 e, quando lo avesse appreso, avrebbe evitato di  alienarsi  alla interpretazione ed alla norma; o di farlo con rimarcabili eccessi.

3.   ad esempio,  si è giunti  a rilevare che tra i “soggetti” del processo (si suppone quelli del Lib.  I  TT. I ss cpp), altra sarebbe la “persona offesa”,  altra  la “parte civile”, per cui, questa non si identificherebbe in quella, potrebbe identificarsi in altro soggetto;

3.1 il quale quindi, necessariamente, non avrebbe le facoltà e i diritti (art. 90 ss cpp) della persona offesa (talora, perfino, garantiti da sanzioni processuali di nullità e di inutilizzabilità, a segno della loro rilevanza), non li avrebbe nè rispetto al “procedimento” né rispetto al “processo”!

3.2 contemporaneamente la “parte civile”, che dovrebbe esordire nel “processo” preparandosi nel “procedimento”, preparare quello passando per questo, non  discendendo   da quella “persona”,  essendo “soggetto” altro dalla persona offesa, dovrebbe venire  al processo uscendo dal nulla, entrare nell’agone impreparata, gettarvisi temerariamente….;

3.3 effetto che non pare apprezzabile, raziocinante:  o  la parte civile, soggetto al quale il reato ha recato danno, è persona offesa, e si identifica in questa,  oppure sarebbe ospite, in vece che attore, del processo penale:  (esemplificando) non avrebbe diritto a citazione,  né all’eventuale giudizio preliminare né a qualsiasi giudizio di merito (per “citazione diretta”, “presentazione” dell’imputato a giudizio direttissimo…); conseguentemente, quando  si affacciasse ai  giudizi, lo farebbe per  “intervento volontario” ( tuttavia,  processualmente previsto solo per il  responsabile civile):  ignoto al processo perché ignoto al diritto,  penale, che va al processo soltanto con soggetti noti, a sé stesso, e tali in quanto siano espressi nelle sue   fattispecie incriminatrici,  sul lato della soggettività attiva e su quello della soggettività passiva (eventualmente plurima, in fattispecie “plurioffensiva”), purchè espressamente tale, anche se per fattispecie accessoria  circostanziale [si pensi al proprietario dell’abitazione nella quale sia derubato un abitante: artt. 624, 625 cp)]; espressamente tale,  a scongiurare immigrazioni clandestine, clandestini, “soggetti passivi” ignoti alla fattispecie penale improvvisamente materializzantisi  in  quella processuale in  (mentite) spoglie di soggetti ai quali il reato avrebbe recato danno!);

 3.3.1 ed evitato il quale (effetto)  riprende a consonare ( penalisticamente),    che   chi stia nella  soggettività passiva del reato perché in rapporto  giuridicamente qualificato col  bene   difeso,    è  persona offesa;   che  è “persona offesa” il soggetto al quale il reato ha  recato danno;  che è parte civile chi agisca civilmente in processo penale  per la restituzione da,  o il risarcimento di, esso;

3.4 nei limiti soggettivi delle fattispecie incriminatici, limiti, d’altronde, anche della cognizione del  giudice penale, che è ammesso a conoscere la fattispecie incriminatrice sia nella parte attiva, quella che ha commesso il reato, sia nella parte passiva, quella che ha subito il reato, e quando queste due parti si soggettivassero, come per lo più accade (esclusi i reati senza offesa o ad offesa soggettivamente indeterminata: offesa del “pubblico”, vd infra), egli, dicevasi,  sarebbe ammesso a conoscere di costoro, non di altri, perché di altri, e dell’altro relativo, conoscerebbe altro giudice, di altro sub-ordinamento, di altra giurisdizione ( se la parte passiva, con la sua soggettività, si protendesse oltre l’ambito di offensività della fattispecie penale, cadendo  in altre fattispecie, solo il giudice di queste, non di quella, sarebbe competente).

3.5 d’altronde, le ammissioni al procedimento ed al processo penale sono determinate dal pubblico ministero, che ha obbligo di ammettere l’ammissibile, a pena di nullità del subprocedimento inammettente (con la conseguenza che le ammissioni  sono fatte riparatoriamente  anche dal giudice che annulli quel subprocedimento o che “rinnovi” una citazione, su eccezione di parte o di ufficio) e di non ammettere l’inammissibile (con la stessa conseguenza, a termini più o meno invertiti).

3.6 per conseguenza starebbero dalla parte passiva del reato, e attiva del procedimento o del processo coloro che fossero lì ubicati dal pubblico ministero,  il quale,  peraltro,  non potrebbe appellarli se non  persone offese o loro  successori. Appellarli  così fin dalla iscrizione nel registro delle notizia di reato, su per gli atti adducenti alla imputazione, fissandoli qui  insindacabilmente, sia in quanto destinatari che in quanto emissari di atti processuali, destinatari tutti  d’altronde di posizioni giuridiche passive ed attive,  animanti  e formanti la intera vicenda processuale;

4. ciò stigmatizza anzitutto la pretesa di Figc,  ignota quale soggetto passivo dell’evento alla imputazione ed al reato in capo G, tanto da essere nota ad esso quale soggetto passivo della condotta (generativo, appunto,  di danno ricadente su altro soggetto, il Coni), ignota come tale financo alla fattispecie incriminatrice astratta, in art. 640 bis cp, che conosce soltanto Stato ed Enti pubblici (diversi da esso), e che esattamente lo  ha indicato al PM quale elemento  della (soggettività passiva della imputazione),

4.1  mentre Fi stessa, nell’atto di costituzione, si qualifica come associazione con  personalità giuridica di diritto privato, cooperante l’attività dell’Ente pubblico ma non pertanto assumentene la qualità soggettiva e funzionale, e neppure condividente essa ( i tentativi di profilare una accessorietà soggettiva  e funzionale mutuativa delle qualità dell’Ente acceduto non conseguono il fine per riconoscimento tacito dell’attore medesimo),  in somma Figc, associazione privata di diritto privato non ente pubblico di diritto pubblico, che tuttavia pretende di essere (non piè eloquentemente che) “danneggiato materiale” e “non materiale e/o di immagine”, e di agire quale parte civile nel processo per esso (d’altronde, che il reato contro il patrimonio de quo difenda l’”immagine” del leso patrimonialmente, al pari del reato contro la persona, è asserto  che marca platealmente  l’inaderenza al sub-ordinamento di specie).

Pietro Diaz

Tribunale Penale di Sassari – in composizione monocratica (Dott. S. Marinaro); sentenza 29.11.2012, che condanna l’imputato, Tizio, per il reato di cui all’art. 582 c.p. per avere cagionato a Caio lesioni personali, colpendolo con una testata.

– su taluna motivazione giudizio probatorio penale

1. cosa dire, altresì, della logica del Giudice penale che, nella motivazione della sentenza di condanna (per reato di lesioni ex art. 582 c.p.), valutando le prove a carico e quelle a discarico dell’imputato, Tizio, definisce, senza peraltro riportarne contenuto e fonti, “ininfluenti affermazioni di generico contenuto negativo, non incidenti sull’accertata verificazione del fatto, ma rappresentative della percepita realtà soggettiva”, le dichiarazioni testimoniali, a discarico, aventi il seguente tenore: “tutto il tempo che ho trascorso all’interno del [luogo ove il reato sarebbe avvenuto] Tizio è rimasto con me […] nella nostra compagnia non successe niente”, “non ricordo che il Tizio abbia avuto quella sera una discussione o un contatto fisico con Caio [persona offesa], anche perché Tizio è rimasto sempre con noi”, “ Noi [con Tizio] eravamo collocati nei divanetti sulla sinistra nei pressi del primo bar mentre questo movimento che è durato pochissimo si è svolto in fondo al locale nei pressi dell’altro bar. Tizio rimase tutta la sera con noi e che io ricordi non ebbe assolutamente discussioni con qualcuno, tantomeno contatto fisico” (testi Mevio e Sempronio), accomunando la valenza di queste a quella delle dichiarazioni che seguono “non conosco le parti e non ricordo tale fatto, non ho visto niente … non ricordo di avere assistito al fatto” (testi Filano e Calpurnio);

2. orbene, la sentenza, con grave vizio logico, confonde (e dunque non distingue tra) fatti genericamente negativi (non ho assistito ai fatti di cui mi si chiede) e fatti positivi contrari (Tizio non può avere leso chicchessia giacché quella notte, in quel luogo, è sempre stato in mia compagnia e mi sarei senz’altro accorto del fatto che mi si chiede), assumenti in specie forma e valore di alibi (fatto logicamente incompatibile con quello in imputazione);

3. nel caso de quo, con ogni evidenza, la prova del suddetto “fatto negativo”, o “non accadimento”, è data dalla prova del cennato fatto positivo contrario ad esso (Tizio è sempre stato in mia compagnia durante il lasso di tempo trascorso nel luogo de quo), riferito concordemente da più soggetti e non valutato dai giudici di prime cure e del gravame, prova, dicevasi, che desume dunque il fatto negativo da un positivo e specifico fatto contrario, che non può certo definirsi di “generico contenuto negativo” come affermato da quel Giudice (con giudizio che si attaglia alle sole dichiarazioni di Filano e Calpurnio)

4. la sentenza, dunque, accomuna, immotivatamente e, comunque, illogicamente, risultanze probatorie di valore dimostrativo totalmente difforme e non sovrapponibile, non distinguendo tra esse, mostrando quindi di averne travisato, per omessa valutazione o comunque distorsione delle relative acquisizioni processuali, la valenza probatoria e, per conseguenza, di non aver tenuto conto di fatti decisivi attinenti all’imputazione, espunti i quali il giudizio  risulta mistificato ;

5. eppure, da un lato, l’art. 192, co. 1 c.p.p. prescrive che la prova sia valutata dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, da altro lato, l’art. 546, lett. e) c.p.p., attraverso il prescritto vaglio delle opposte “ragioni”, recepisce e traduce l’esigenza dialogica del confronto tra le diverse ipotesi ricostruttive del fatto formulate dalle parti, sicché il giudice non potrebbe limitarsi a designare un’ipotesi ricostruttiva del fatto (auto)confermandola con le sole prove che la dimostrino, ma dovrebbe, per contro, indicare compiutamente le ragioni che lo abbiano portato a escludere ipotesi contrarie e a ritenere non attendibili le prove che le supportano;

5.1. tanto che, una motivazione che considerasse le sole prove a conferma della ricostruzione fattuale prescelta  e non anche le prove contrarie, certamente potrebbe elaborare un ragionamento intrinsecamente coerente, ma perderebbe quella struttura dialogica che le è legalmente imposta (Tonini);

5.2. una motivazione, poi, che espungesse da sé acquisizioni processuali decisive o che distorcesse la valenza probatoria di esse, non sarebbe più nemmeno un ragionamento coerente, per “infedeltà” rispetto al processo, non appena quelle acquisizioni espunte o travisate fossero immesse in quel ragionamento, con effetto dirompente rispetto a congruenza, logicità e aderenza alla realtà (processuale) di esso.

Carlo Manca e Simona Todde con Pietro Diaz

Tribunale civile di Sassari; Giudice Dott.ssa Deiana, in memoria ex art.183, co. 6 n. 2 c.p.c.

– sulla deduzione della prova contraria civile

1. cosa dire se il convenuto, Ditta Alfa, onde dimostrare che il sinistro patito dall’attore non sia avvenuto in luogo sottoposto alla sua custodia, chiede l’audizione di teste (oculare) del cennato fatto contrario (infra capi a), Tizio, e, di teste indiretto (capo b), Caio, investigatore incaricato dalla Ditta Alfa, a cui Tizio avrebbe riferito il fatto or detto, contemporaneamente, peraltro, interrogando Tizio sulla circostanza d’avere raccontato a Caio il fatto de quo (nello stesso capo b):

1.1. “vero che il tale giorno  – alla tale ora – lungo la strada ubicata all’esterno del piazzale di proprietà della Ditta Alfa.,  Tizio cadeva al suolo” (capo a);

1.2. “vero che in  data X, nella propria abitazione, Tizio dichiarava a Caio che il tale giorno, all’ora detta, egli si trovava all’interno del piazzale della Ditta Alfa, allorché nella strada esterna  sentì Tizio chiedere aiuto” (capo b);

2. anzitutto, se la testimonianza deducibile è sempre diretta (su fatti visti o uditi o comunque percepiti dal testimone); se, per ciò, la testimonianza indiretta è (sempre) accidentale, se ne conosce processualmente la deducibilità assumendo la testimonianza (presupposta) diretta:

allora è inammissibile la deduzione contemporanea dell’una e dell’altra (in specie: Tizio, Caio), o, al meno, è inammissibile (per superfluità) la testimonianza indiretta (Caio);

2.1 peraltro, se la testimonianza deducibile ha l’oggetto sopra indicato (sub 2), esso non corrisponde a quello sub 1.2 (rispetto a Tizio), constante di un “fare” (in specie: avere detto….a Caio), e di un “fare proprio”, non altrui; perché inattestabile dal (p.u) testimone, attestabile solo dal p.u. che  avesse il potere, perché all’uopo conferitogli, di attestazione del fare proprio (oltre che altrui): art. 2699 c.c.;

2.2 peraltro, la testimonianza sul fare proprio del testimone, coinvolgendo necessariamente interesse proprio a lui, discosterebbe dalla terzietà (statutaria) d’esso;

2.3 e comunque, se il fare proprio del testimone fosse un dire, di lui, a qualcuno (Caio), ove questi non avesse alcun potere giuridico di documentazione, del dire, la testimonianza sul proprio avere detto sarebbe inammissibile per irrilevanza; ove avesse quel potere, la testimonianza sarebbe inammissibile per superfluità;

2.4 d’altronde, sarebbe inammissibile la testimonianza non dativa di informazione ai soggetti del processo, ma dativa di altra testimonianza (Caio) perché informi i predetti, non solo per la condizione giuridica del suo oggetto (sub 2), ma anche, perché non è prevista legalmente, rispetto alle parti e al giudice, la formazione originaria della testimonianza indiretta (è solo prevista la formazione successiva, alla constatazione, ripetesi, della testimonianza diretta quale indiretta);

 2.5 peraltro, la deduzione della testimonianza diretta deve qualificare il mezzo, d’essa, mediante precisazione della sua facoltà: se taluno sarebbe testimone di fatti per averli visti o uditi o in altro modo percepiti; giacché (anche) da  tale qualificazione dipende l’allestimento della prova contraria (diretta e indiretta);

2.5.1 la deduzione della testimonianza di specie (Tizio sub 1.1) non qualifica, al modo detto, il mezzo; e anche per ciò è inammissibile;

3. in altre parole: se la narrazione della circostanza sub “a” è inclusa in quella sub “b”, in essa implicata e ampliata dalla testimonianza de relato di Caio su ciò che dovrebbe deporre il teste di riferimento (Tizio) rispetto alla circostanza sub a e, simultaneamente, dalla richiesta di conferma rivolta al teste di riferimento (Tizio) sulla testimonianza de relato (di Caio), diviene superfluo, da un lato, l’audizione del teste indiretto (Caio), giacché non rileva sentire costui, nella disponibilità del teste diretto, da altro lato, risulta altresì irrilevante l’audizione del teste di riferimento (diretto) rispetto a entrambe le circostanze sub “a” esub “b”, se le stesse indagano due volte su un’unica circostanza dirimente (la presenza di Tizio all’interno o all’esterno del piazzale della Ditta Alfa.);

3.1. d’altro canto, il capo “b” è assegnato a “propaggine” della parte (fungente ad un tempo da testimonianza de relato e da vincolo alla precedente testimonianza diretta), Caio, investigatore incaricato dalla Ditta Alfa di indagare sui fatti per cui è causa, la cui deposizione è introdotta, parrebbe, per confutare eventuali dichiarazioni sgradite del teste diretto (Tizio), l’intero capo “b” diviene inammissibile;

Carlo Manca e Simona Todde con Pietro Diaz