Tribunale Penale di Sassari – in composizione monocratica (Dott. S. Marinaro); sentenza 29.11.2012, che condanna l’imputato, Tizio, per il reato di cui all’art. 582 c.p. per avere cagionato a Caio lesioni personali, colpendolo con una testata.

– su taluna motivazione giudizio probatorio penale

1. cosa dire, altresì, della logica del Giudice penale che, nella motivazione della sentenza di condanna (per reato di lesioni ex art. 582 c.p.), valutando le prove a carico e quelle a discarico dell’imputato, Tizio, definisce, senza peraltro riportarne contenuto e fonti, “ininfluenti affermazioni di generico contenuto negativo, non incidenti sull’accertata verificazione del fatto, ma rappresentative della percepita realtà soggettiva”, le dichiarazioni testimoniali, a discarico, aventi il seguente tenore: “tutto il tempo che ho trascorso all’interno del [luogo ove il reato sarebbe avvenuto] Tizio è rimasto con me […] nella nostra compagnia non successe niente”, “non ricordo che il Tizio abbia avuto quella sera una discussione o un contatto fisico con Caio [persona offesa], anche perché Tizio è rimasto sempre con noi”, “ Noi [con Tizio] eravamo collocati nei divanetti sulla sinistra nei pressi del primo bar mentre questo movimento che è durato pochissimo si è svolto in fondo al locale nei pressi dell’altro bar. Tizio rimase tutta la sera con noi e che io ricordi non ebbe assolutamente discussioni con qualcuno, tantomeno contatto fisico” (testi Mevio e Sempronio), accomunando la valenza di queste a quella delle dichiarazioni che seguono “non conosco le parti e non ricordo tale fatto, non ho visto niente … non ricordo di avere assistito al fatto” (testi Filano e Calpurnio);

2. orbene, la sentenza, con grave vizio logico, confonde (e dunque non distingue tra) fatti genericamente negativi (non ho assistito ai fatti di cui mi si chiede) e fatti positivi contrari (Tizio non può avere leso chicchessia giacché quella notte, in quel luogo, è sempre stato in mia compagnia e mi sarei senz’altro accorto del fatto che mi si chiede), assumenti in specie forma e valore di alibi (fatto logicamente incompatibile con quello in imputazione);

3. nel caso de quo, con ogni evidenza, la prova del suddetto “fatto negativo”, o “non accadimento”, è data dalla prova del cennato fatto positivo contrario ad esso (Tizio è sempre stato in mia compagnia durante il lasso di tempo trascorso nel luogo de quo), riferito concordemente da più soggetti e non valutato dai giudici di prime cure e del gravame, prova, dicevasi, che desume dunque il fatto negativo da un positivo e specifico fatto contrario, che non può certo definirsi di “generico contenuto negativo” come affermato da quel Giudice (con giudizio che si attaglia alle sole dichiarazioni di Filano e Calpurnio)

4. la sentenza, dunque, accomuna, immotivatamente e, comunque, illogicamente, risultanze probatorie di valore dimostrativo totalmente difforme e non sovrapponibile, non distinguendo tra esse, mostrando quindi di averne travisato, per omessa valutazione o comunque distorsione delle relative acquisizioni processuali, la valenza probatoria e, per conseguenza, di non aver tenuto conto di fatti decisivi attinenti all’imputazione, espunti i quali il giudizio  risulta mistificato ;

5. eppure, da un lato, l’art. 192, co. 1 c.p.p. prescrive che la prova sia valutata dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, da altro lato, l’art. 546, lett. e) c.p.p., attraverso il prescritto vaglio delle opposte “ragioni”, recepisce e traduce l’esigenza dialogica del confronto tra le diverse ipotesi ricostruttive del fatto formulate dalle parti, sicché il giudice non potrebbe limitarsi a designare un’ipotesi ricostruttiva del fatto (auto)confermandola con le sole prove che la dimostrino, ma dovrebbe, per contro, indicare compiutamente le ragioni che lo abbiano portato a escludere ipotesi contrarie e a ritenere non attendibili le prove che le supportano;

5.1. tanto che, una motivazione che considerasse le sole prove a conferma della ricostruzione fattuale prescelta  e non anche le prove contrarie, certamente potrebbe elaborare un ragionamento intrinsecamente coerente, ma perderebbe quella struttura dialogica che le è legalmente imposta (Tonini);

5.2. una motivazione, poi, che espungesse da sé acquisizioni processuali decisive o che distorcesse la valenza probatoria di esse, non sarebbe più nemmeno un ragionamento coerente, per “infedeltà” rispetto al processo, non appena quelle acquisizioni espunte o travisate fossero immesse in quel ragionamento, con effetto dirompente rispetto a congruenza, logicità e aderenza alla realtà (processuale) di esso.

Carlo Manca e Simona Todde con Pietro Diaz

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