Requiem per il “concorso esterno”

1.La collettività associata, in art. 416 cp, delinque in quanto abbia fine di delinquere. E, dunque, essa è incriminata per quella riflessione finalistica, cioè, ben prima che per il “fatto diretto a…”(come nei delitti di attentato: ess. in Libro II Titolo I cp), degli  atti diretti in modo non equivoco a… (come nel delitto tentato: art 56 cp, e (ovviamente) ben prima del fatto del delitto compiuto (comprendente l’evento “consumativo” del reato).
Quella riflessione, d’altro canto, la incrimina in quanto collettività “associata”, e, per ciò,  non incrimina né la collettività non associata né, tanto meno, l’individualità.
Con ciò, la anticipazione della incriminazione (della persona) alla riflessione finalistica – che potrebbe consistere anche di puro pensiero- presume la maggiore pericolosità (avverso l’”Ordine Pubblico”: Libro II, Titolo V cp) della prima, rispetto alle  seconde.
Ebbene questa è la “associazione comune” (art 416 cp), capace di sorgere in condizione sociale comune, formabile e partecipabile da chiunque: “reato associativo comune”, potrebbe dirsi, non “proprio”.
2. Con essa, tuttavia, abitano (o abitarono) il codice penale (o la legislazione complementare) altre collettività associate, non “comuni” e quindi “proprie”. Dove la riflessione finalistica è differenziata, non sempre o non necessariamente (addirittura…) verso delitti (artt, 270, 270 bis, 271 abr., 273 abr., 305).  “Associazioni proprie”, capaci di sorgere in condizione sociale propria, formabile e partecipabile da soggetti propri: “reati associativi propri”, pericolosi rispetto all’Ordine Pubblico ma anche rispetto alla “Personalità Internazionale o Interna dello Stato (Libro II Titolo I c.  p. ) o rispetto ad altro.
Alla categoria certamente appartiene la collettività associata, il reato associativo proprio, in art 416 bis cod pen. Anche esso, come gli altri della categoria, a riflessione finalistica differenziata, non sempre o non necessariamente verso delitti (questo reato, come altri della categoria, può differenziarsi anche nella costituzione interna, soggettiva od oggettiva: ad esempio, quello appena citato, per la incorporazione della “forza di intimidazione derivante da vincolo associativo” e per l’avvalersi di esso con effetti dati…).
3. Se “reato associativo comune”, quello in art 416 cp, se “reati associativi propri” gli altri, non è teorizzabile che, la disposizione di legge del primo sia generale rispetto alle altre, speciali; non soltanto perché mai è tale il rapporto fra reato comune e reato proprio, distribuiti in differenti strati, o sfere, oggettive soggettive e funzionali, della società; ma anche perché, i contenuti delle “specie” sono senz’altro irriducibili a quelli del (di quel) genere; laddove la riducibilità, d’essi, è condizione del “rapporto di specialità” fra leggi o disposizioni di legge (art 15 cp).
3.1 Distribuzioni in differenti strati della società che, nondimeno, subito segnala la mullticulturalità delle collettività associate incriminate, cioè la multiculturalità (trasversalità?) della loro incriminazione. E. ad un tempo, la presenza di un’altra collettività, differentemente acculturata, o acculturata asimmetricamente, che, conseguita la egemonia, assurge a potere regolatore (e ad un tempo penalisticamente  creatore) d’esse. Questa collettività, d’altronde, si differenzia tipologicamente dalle prime in relazione all’ uso della Forza (necessario ex art 416 bis cp, solo eventuale, perché generalmente estraneo alla previsione legale, nelle altre), che per ciò  ha monopolizzato e sistematizzato; uso costitutivo e funzionale della Forza, della Vis (Publica), in funzione e a scopo di (oggettive) lesioni dei diritti della persona (l’ordinamento penale processuale penale e, particolarmente, penitenziario, menomano o annientano costitutivamente,  sostanzialmente e formalmente,  diritti della persona, del  suo patrimonio, della compagine familiare e sociale cui appartenga, dello stato inerente e di quello  esistenziale: lesioni tuttavia giustificate ex art 51 cp).
3.2. Va inoltre evidenziato che le collettività associate “comuni” non sono meno inculturate di quelle “proprie”. Esse rinviano a strati e stati sociali che le mantengono, con la riflessione finalistica propria (ad esempio, quando esse abbiano ad oggetto delitti contro il patrimonio, come è possibile per art 416 cp, o abbiano ad oggetto acquisizioni patrimoniali (come è possibile per art 416 bis cp), fini, mezzi, attività, realizzazioni sarebbero “economici”, tali e quali quelli delle collettività non incriminate, differenti da queste essenzialmente nei mezzi (e modi dell’impiego), e nello (e per lo) stigma socioeconomicogiuridico, che la collettività egemone ha ritenuto di impartire (per tale  aspetto anche la collettività associata comune sarebbe propria, e proprio il reato associativo inerente).
Questo mostra che la condizione giuridicopenale delle collettività associate dipende dalla condizione politica della collettività egemone, e dalle relative volizioni legislative.
Essa potrebbe attuare politica su esse in vario modo, fino ad ignorarle sociogiuridicamente in quanto comunità fra le altre. Non facendolo, potrebbe adottare strumenti di regolazione differenti da quello penale repressivo eliminativo. Ad esempio, strumenti di conversione o inversione culturale (che, peraltro, eviterebbero la dissipazione dell’enorme patrimonio materiale e immateriale oggettivo e soggettivo di cui la collettività sia intestataria, infinitamente più esteso di quella parte d’esso cui fosse impartito lo stigma).
E comunque, quando attuasse politica criminale, potrebbe acclimatarsi ai principii della modernità penale; ad esempio, quella elaborata nei Titoli III, IV, V del Libro I del Codice, stabilenti la reità del reo per il fatto-reato da lui commesso (cioè) cagionato, stabilenti la reità per il fatto, per azioni od omissioni generative di eventi offensivi.
Ai principii della modernità scritti nel Codice, benché, o proprio perché, disapplicati dal medesimo, per l’appunto con la incriminazione delle collettività associate (perfino se prive di riflessione finalistica delinquente). Certamente anticipatrice, di sé, alla reità del reo senza reato (se non quello che avrebbe addosso, quale reo in sè, reo che si fa reato, fattore intrinseco di reato).
Disapplicati dalla legislazione “speciale” del Regime, che infatti appositamente diffonde la anticipazione della incriminazione alle collettività associate espressamente antagoniste d’esso (Libro II, Titolo I cit), o  contrarianti  il suo Ordine Pubblico (Libro II Titolo V cit) ); Dalla legislazione del  Regime, perpetuata, dopo la sua caduta,  dalla legislazione successiva (del periodo “repubblicano democratico”, come segnalano le integrazioni ai  due Titoli sopra indicati (iniziate negli anni “ottanta” del secolo scorso).
E, con ciò, segnalando  la identità della politica criminale dei due periodi. Con una differenza tuttavia: che la potenza dello strumento penale, in distruttività delle collettività associate, cioè, dopo tutto, della collettività sociale, della società, sarà spasmodicamente accresciuta. Tanto più in quanto abbinato alle “misure di sicurezza” patrimoniali, e (ancor più) alle “misure di prevenzione” patrimoniali e personali, applicabili per semplice “fama” (pur se) esclusivamente riferita da informazioni e informatori di polizia (si tace dell’apporto dei “collaboratori di giustizia”, assoldati collettivamente e previamente, per apposita legge, e tenuti a disposizione della accusa).
4. Può essere utilmente notato che, la anticipazione della incriminazione su descritta non è la massima, attinta dalla legislazione penale. Perché, fra le collettività incriminate vi è quella per “accordo” (art 304 cp), munita d’altronde di riflessione finalistica propria. Questa anticipazione ha investito, dunque, la collettività non associata (vd sopra), tenuta da un legame che in quanto fatto di semplice intesa, è certamente il più esile dal lato materiale e da quello della sua tipizzazione; oltre esso, verrebbe a mancare la predeterminazione del fatto e della fattispecie alla incriminazione, e sarebbe possibile soltanto la determinazione concreta, tanto del fatto quanto della fattispecie, la determinazione concreta dell’oggetto e della causa della incriminazione.
Ora, anche rispetto a siffatta collettività sarebbe possibile, ex art 110 cp, l’innesto del “concorso esterno”? la questione non risulta sia sta posta.
5. Ebbene se, le predette, sono forme della anticipazione (maggiore o massima) della incriminazione; e, d’altronde, sono forme della “collettività necessaria” (della “fattispecie plurisoggettiva necessaria”) alla raffigurazione del reato, va visto se, le forme della collettività non necessaria, “eventuale” (come dicesi), siano anch’esse anticipatrici della incriminazione o, all’opposto, accompagnatrici d’essa fino al compimento del reato consumato o tentato o attentato (quali espressioni di reità individuale, monosoggettiva, o plurisoggettiva impropria – dove uno solo dei soggetti presenti nella fattispecie è punibile, fino che non sopravvengano concorrenti-.
Ed allora si vede che, la “collettività eventuale”, incrimina esattamente gli eventi consumativi di quei reati; quali eventi anche delle condotte dei concorrenti, cogenerative, con le restanti,  del fatto, coassuntive della sua tipicità.
5.1. Per cui, l’impiego della collettività non anticipatrice della incriminazione nella “interpretazione” della collettività anticipatrice d’essa, appare discrasico e afunzionale. E inoltre illogico, perché la prima, mentre, nella attività propria, estende il fatto e la tipicità (ed il titolo del reato e del  reo: “rapina”: “rapinatore” l’autore e il concorrente) a tutti i suoi componenti, nella attività impropria non potrebbe farlo. Tanto che mai si interna, nel fatto, nella tipicità etc…; tanto che immancabilmente si esterna ad essi: e, di fatti, “esterno” è detto il “concorso”, con abuso della contraddizione (in termini e rispetto al reale) per la dizione,  che solo l’irrazionalismo potrebbe ammettere nella scienza penale.
Peraltro, se la “collettività eventuale” non anticipa la incriminazione, la “interpretazione” con essa della “collettività necessaria” le impone di farlo, e di “farne le spese”, della completa dismissione della predeterminatività, tassatività, tipicità, legalità (fattualità), della incriminazione; della corrività ad ogni concrezione di questa ex post, nella decisione ponente il suo oggetto mentre lo crea. Con ciò imponendole di anticipare la incriminazione anticipata, perfino oltre  il caso della “collettività per accordo”, nel vuoto completo della previsione e prevedibilità dell’esito,  senz’altra possibilità che la “presa d’atto” d’esso;  in un confronto “giudiziario”  “a tu per  tu”, che esclude ogni processualità antica e moderna.
6. Basterebbe quanto rilevato a  segnalare l’alienità e l’alterità complete, della “collettività eventuale” alla “collettività necessaria”. Esse, peraltro, sono ampiamente narrate dalla illustrazione codicistica del “concorso eventuale”, dalle disposizioni seguenti quella in art. 110 cp, e,  anzitutte da questa:
se, e perché, non “norma di struttura” (la commissione del reato, oltre che dall’ “autore”,  dal “partecipe” – in qualsiasi modo e misura – ad  essa, ed alla  tipicità inerente, è intrinseca alla previsione incriminatrice; cioè non trae, né ha bisogno di trarre, alcunchè, dalla disposizione in art 110), bensì “norma di disciplina”, delle molteplici espressioni della commissione del reato da più persone concorrenti; e, quindi, inadatta a congegnare ed esprimere il concorso della persona, nella “collettività eventuale”, tanto più nella “collettività associata”.
Narrate, dicevasi, alienità e alterità della collettività eventuale. dalla disposizione or detta, con le  successive:
– dalle determinazioni a commettere delitto in art 111 e 112 cp, che porterebbero fatalmente il “concorrente esterno” a divenire “interno” (la determinazione, d’altronde, mai è stata ipotizzata in materia);
– agli aggravamenti della pena per il numero delle persone, in art 112 cit (laddove nelle collettività associate è determinante il numero minimo ed irrilevante la sua variazione, eccetto che, esse, siano dotate di circostanze aggravanti “speciali”, non “comuni” quale è questa);
– alle figure concorsuali di promozione e di organizzazione della cooperazione del reato, sempre in art 112 cit., che, come le determinazioni, porterebbero fatalmente il “concorrente esterno” a divenire “interno”, fino a sovrapporsi terminologicamente alle figure di “partecipazione qualificata” (così detta e supposta, in realtà discutibilmente) alla collettività associata;
– alla “cooperazione nel delitto colposo”, in art 113 cp, che, a proposito, non esige commento;
– alla attenuante della pena  se “l’opera prestata da taluno abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato”,  che suppone tanto la singolarità dell’opera quanto la inaderenza alle fasi tipizzate della collettività associata (promozione della associazione, partecipazione ad essa etc, nessuna  “preparazione” o “esecuzione”);
– alle figure di accordo o di istigazione a commettere delitto, che rilevano penalmente quando il delitto sia commesso, dopo esse, non quando sia commesso prima d’esse, come quello di associazione “a  rafforzamento o a consolidamento della quale si concorrerebbe…” esternamente: secondo i fautori della innovativa “fattispecie plurisoggettiva eventualnecessaria”, unanimi e irriducibili, peraltro, nella applicabilità, ad essa, del “concorso morale”;
– alla imputazione del reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, (che non lo avesse voluto), di art 116 cp, che, se si attivasse nel fatto di promozione di una associazione piuttosto che un’altra (da taluno voluta), come taluno ha ipotizzato, svelerebbe finalmente l’equivoco di fondo:
assolutamente inusabile la collettività eventuale sulla collettività necessaria al modo criticato, essa è ineccepibilmente usabile, purché agisse propriamente, su fatti monosoggettivi della seconda, la promozione menzionata, o la direzione, la organizzazione, la partecipazione, e portasse il concorrente a condividere fatto e tipicità, e titolo: promotore dirigente organizzatore, partecipatore;
– all’ipotesi in art 117 cp, del mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti…..che, come nelle determinazioni, porterebbe fatalmente il “concorrente esterno” a divenire, anzi a restare, “interno”;
– alle circostanze aggravanti e attenuanti “soggettive”, in art 118 cp, che aderiscono a elementi “soggettivi” del reato monosoggettivo, e che porterebbero fatalmente a rappresentare il  “concorrente esterno” come  “interno”;
– alle circostanze di esclusione della pena, in art 119 cp, le quali implicano necessariamente, quali scriminanti, il fatto che incrimina e la sua commissione; le quali, quindi, a parte la quasi completa irreperibiltà della pertinenza contenutistica ai fatti della collettività associata, come nelle determinazioni, porterebbe fatalmente il “concorrente esterno” a divenire anzi a restare, “interno”.
Insomma, un microcosmo autonomo ed  eteronomo dell’oggetto proprio, quello del Libro I Titolo IV Capo III del codice, inconducibile ad essere antinomo, e anarchico, funzionalmente.
7. Per qualificare, in sintesi, la supposizione del contrario, basti notare che essa, per la prima volta nella storia del diritto penale italiano contemporaneo, ha origine esclusivamente giurisprudenziale, scopo di normazione giurisprudenziale, fine di liberismo decisorio, sicuramente oltre, anzi  contro,  il “diritto penale”.
Pdiaz

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