Archivio mensile:Maggio 2018

Da un ricorso in Cassazione penale per violazione di legge ex art. 325 c.p.p. …..

Da un ricorso in Cassazione penale per violazione di legge ex art. 325 c.p.p. avverso ordinanza di un Tribunale che, richiesto di riesame di sequestro preventivo ex art 321 cpp, rigetta, reputando che il reato presupposto può anche mancare, sia nella fattispecie concreta che in quella astratta…..

Fatto

A.

1. addì ….l’Ufficio Finanziario iniziava una verifica fiscale nei confronti della società …… “al fine di controllare l’adempimento delle disposizioni contemplate dalla normativa tributaria”;
1.1. addì …..il p.m. chiedeva sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p, in indagine per reato di cui agli artt. 81 cpv c.p. 4 d.lvo 10.03.2000 n. 74 per avere in qualità di legale rappresentante e socio accomandatario della società G, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte, indicato nelle dichiarazioni annuali per l’anno 2015 elementi attivi di ammontare inferiore al reale per un importo di Irpef parti a……e di iva pari a …… In …..i al giugno 2016;

B.

1.2 il decreto del gip asseriva: “letti gli atti del procedimento; premesso in linea di principio che i requisiti richiesti dall’art. 321 primo comma c.p.p. a fini dell’emissione del decreto di sequestro preventivo sono il fumus commissi delicti e il periculum in mora; considerato che nella fattispecie: sussiste, innanzi tutto, il fumus commissi delicti – da intendersi quale astratta sussumibilità del fatto in una determinata ipotesi criminosa e non come concreta fondatezza dell’accusa – è sufficiente rimandare a quanto risulta dalla comunicazione notizia di reato prot……… redatta dai militari della Guardia d Finanza, Nucleo di Polizia Tributari….. , nonché dai relativi allegati, atti da intendere qui integralmente trascritti siccome costituenti motivazione per relationem del presente provvedimento. In particolare, dalla suddetta informativa, infatti, risulta che in relazione al periodo di imposta in contestazione (anno 2015) l’indagato …..abbia omesso di dichiarare ricavi per € ….., omettendo di versare l’IVA dovuta nella misura di ……..E proprio a seguito della rideterminazione del reddito di cui sopra, l’indagato non ha corrisposto anche la relativa IRPEF per un importo pari a ……… come evidenziato nell’imputazione provvisoria e, ancora, come si legge alle pagg. 3-4 della summenzionata comunicazione notizia di reato. Allo stato degli atti non sono state allegate e fornite giustificazioni circa le diversità reddituali contestate, determinando così la legittimità e correttezza del maggior reddito contestato”;
1.3 ndr: come risulta nelle parti evidenziate in “grassetto” dal ricorrente, l’accusa è formalizzata in delitto di “dichiarazione infedele” ex art 4 sopra citato.

Tanto che:

C.

2. la difesa proponeva riesame deducendo (oltre altro) che:
Il decreto d’altronde è manifestamente infondato (se il fatto fosse stato esposto, preesposto mentalmente dal decidente, il decreto non sarebbe stato emesso).
Invero.
2.1 la ricognizione tributaria si apre a novembre 2015 e si chiude a giugno 2016. La dichiarazione fiscale era inesistente (anche perchè i termini per la presentazione delle dichiarazioni erano lontani).
2.1.1 come ha potuto assumersene la infedeltà? La risposta non la dà il decreto, e nemmeno la c.n.r., che anzi, nel suo mutismo, provoca la domanda;
2.1.2. per ciò come ha potuto dirsi reato (e suo corpo quale mezzo di sua commissione, oltre che prodotto dell’uso del mezzo: art 253 c.p.p.)? (come ha potuto ndr) Ritenersi profitto del reato, suo effetto, in assenza di sua causa?

Peraltro:

3. insussistente la dichiarazione, il reato inerente (anche a livello di fumus, salva la fumisteria): come ha potuto anteciparsi la sanzione (della confisca, tale è ritenuta quella di specie)? Anticiparsi una sanzione requisente il profitto (fiscale), questo mancante, mancando il reato?
Anticiparsi una sanzione, per giunta, nemmeno “diretta” sul patrimonio del profittante, pur persona giuridica, ma diretta su patrimonio altrui, del suo amministratore (vd. l’oggetto del sequestro, nel decreto medesimo)?
Una sanzione per giunta definita “per equivalente” quando a rigore, data la confusione dei profittatori e del profitto, sarebbe stata diretta?
Per giunta, diretta o per equivalente, una sanzione su patrimonio dell’amministratore, senza che neppure per fumus risultasse la dissimulatività, di costui, dalla “persona giuridica” da lui strumentalmente e fittiziamente costituita?

E ancora:

4. insussistente la dichiarazione, come ha potuto constatarsene e affermarsene la infedeltà, alla situazione imponibile?
Come ha potuto misurarsi questa in assenza di, e prima di, quella (non “omessa”)?

E inoltre:

5. non essendo misurabile la situazione imponibile come ha potuto determinarsi il superamento delle soglie in art 4 DLgs 74/2000, e ritenersi, in conseguenza, che il fatto corrispondesse alla norma?
Dunque il decreto è manifestamente infondato, in fatto e in diritto: si chiede che sia revocato.

D.

6. il Tribunale del Riesame riteneva: “priva di fondamento, l’eccezione della difesa che ritiene insussistente il delitto di assenza di dichiarazione, per essersi l’attività investigativa conclusa il 06.06.16, anteriormente alla data di presentazione, poiché viceversa, la predetta attività istruttoria è proseguita ulteriormente, concludendosi in data 08.02.2017. E’ proprio all’esito complessivo delle indagini che si è giunti alla formulazione dell’imputazione provvisoria trascritta nel gravato decreto”;

Diritto

I. Violazione di legge rilevante ex art. 325 cpp, in relazione alla legge penale in art 4 d.l.gs74/2000.

1. la legge in epigrafe incrimina la “dichiarazione infedele”. Questa d’altronde è stata supposta nel decreto di sequestro, nella impugnazione d’esso, é stata supposta in ogni atto del procedimento (vd in Fatto): sorto ed evoluto sulla scorta d’essa (il processo penale, anzitutto quello preliminare, nasce ed evolve da una notizia di reato, il cui contenuto funge da accusa prima della imputazione).
2. il fatto del reato, peraltro, è parso insussistente: nella motivazione del decreto di sequestro, negli atti di indagine di p.g., cui esso per relazione (indebita per le ragioni richiamate nell’atto di sua impugnazione : sub 1.d’esso) ha reputato di poter attingere.
In ogni parte del procedimento.
Nella ordinanza (qui ricorsa), la quale peraltro, a differenza del decreto, neppure menziona il fatto di reato (di dichiarazione infedele: menziona soltanto una “imputazione provvisoria”, che non è fatto ma “imputazione”, la quale peraltro è inconfigurabile come tale, nella fase procedimentale delle indagini preliminari); vi allude sofisticamente, “correggendo” una allegazione difensiva (come se, o dando ad intendere che, la correzione porti al fatto di reato): “priva di fondamento, l’eccezione della difesa che ritiene insussistente il delitto di assenza di dichiarazione, per essersi l’attività investigativa conclusa il 06.06.16, anteriormente alla data di presentazione, poiché viceversa, la predetta attività istruttoria è proseguita ulteriormente, concludendosi in data 08.02.2017. E’ proprio all’esito complessivo delle indagini che si è giunti alla formulazione dell’imputazione provvisoria trascritta nel gravato decreto”;
2.1 fatto di reato, dunque, inesistente anche lì, incontrovertibilmente.
Laddove avrebbe dovuto esistere a legittimazione (liceizzazione), dell’avvio del procedimento, della sua evoluzione in concussione di un bene patrimoniale, in (grave) menomazione della libertà relativa.
2.1.1 Non potendo non esistere secondo la imposizione veniente dalla legge incriminatrice, postulante (anche per la sua efficacia sanzionatoria) l’esistenza del suo oggetto;
3. orbene questa legge è stata applicata ad un caso non concernente il suo oggetto, privo di questo. In violazione della sua volontà, della sua forma.

II. Violazione di legge rilevante ex art 325 c.p.p., in relazione alla legge processuale ex art 125.3 c.p.p. (imponente la motivazione dei decreti e delle ordinanze sotto pena di nullità).

1. come sopra rilevato, l’ordinanza, decidente sul reato sopra indicato, non ne motiva (neppure minimamente) la sussistenza.
Peraltro la sussistenza del reato non era stata motivata, direttamente o indirettamente (per relazione ad atti di p.g.!!!) nemmeno dal decreto;
1.1 il vizio della motivazione era stato impugnato davanti il tribunale. L’ordinanza, da un lato, non annullando né riformando il decreto, ha assimilato quel vizio (che all’interno d’essa esplica i suoi effetti invalidanti); da altro lato, reitera da sé il medesimo vizio, mancando appunto (totalmente) la motivazione della sussistenza della fattispecie concreta postulata dalla fattispecie astratta. Se non, addirittura:

III. Violazione di legge rilevante ex art 325 c.p.p., in relazione alla legge penale in art 4 d.l.gs74/2000; stavolta:

1. (se non addirittura, si diceva) l’ordinanza del tribunale non avesse ritenuto che la fattispecie astratta, la legge incriminatrice della “dichiarazione infedele”, possa non contenere questa. O che essa possa sussumere una fattispecie concreta mancante della “dichiarazione infedele”.
Se lo avesse fatto, avrebbe esercitato potere legislativo!

II bis Ritornando al vizio sub II:

1. l’ordinanza ignora (platealmente) le deduzioni difensive sub C. 3, 4, 5 (qui richiamato).
E se la motivazione della decisione giudiziaria si estrania dalla dialettica delle parti col giudice, dal contraddittorio della collettività processuale, se essa cioè, autistica (e autocratica), non dà conto della decisione alla collettività suddetta e a quella esterna, ovviamente (funzionalmente oltre che formalmente) manca.
1..1 Non dovendo secondo la legge processuale in art 125.3 cit.., che quindi viola.

IIII Conclusioni:

per i motivi indicati si chiede l’annullamento della ordinanza (che non fosse riformata).

Con Maria Carla Sunch
Pietro Diaz

 

Fulminea incursione nella interiorità della colpa

1.Colpa, per una condotta che generi un evento, esterno o interno ad essa (in questo caso, a quanto si dice, una mera condotta), (in entrambi i casi una condotta) che causi un evento, secondo la dizione in art. 43.3. c.p., che lo causi, in, e per, violazione di una regola, di condotta concepita e posta. Una condotta notoriamente idonea a causare quell’evento, per ripetuta osservazione sociale (più o meno diffusa) della sua idoneità, ripetutamente esperita, e apparsa sulla scena delle attività sociali.
Alla nascita del suo rilievo giuridico, e della sua assunzione ad oggetto di normazione sociale, sta, appunto, la sua apparizione quale causa di eventi offensivi.
E perchè lesiva o pericolosa di beni dati, la sua proibizione.
Onde la proibizione della condotta ne suppone la causalità, sulla quale si interviene, normativamente, appunto, proibendola, perchè ciò previene l’evento offensivo.
E, rispetto alla condotta che potesse essere socialmente utile, oggettivamente (nel senso che genera vantaggi sociali) e soggettivamente (nel senso che anima corrispondenti fini sociali), (che potesse essere tale oltrechè, eventualmente, offensiva), la proibizione concerne la sua versione offensiva, non quella vantaggiosa (o inoffensiva), epperciò essa si esercita nella modellatura della forma della condotta vantaggiosa, la quale a sua volta modella, nel suo rovescio, la forma della condotta offensiva.
Quando la proibizione fosse assoluta, la condotta è vista come assolutamente (sempre) offensiva; in tal caso, generalmente, la proibizione ricorre ad una norma penale repressiva, e contemporaneamente preventiva (è falso che tutte le norme repressive siano anche preventive, secondo visioni giurisprudenziali inavvertite; è vero, per contro, che le norme repressive possono esse preventive, lo sono in quanto lascino prevedere eventi offensivi, in quanto notoriamente causanti essi).
Quando la proibizione fosse relativa, la condotta è vista come relativamente offensiva, epperciò è permessa nella sua forma inoffensiva.
2.La proibizione della forma offensiva della condotta vantaggiosa può avvenire per atti normativi (leggi regolamenti ordini o discipline), o per fatti normativi (prudenza, diligenza, perizia), in entrambi i casi ha la stessa “specificità” (non è cioè specifica nel primo caso e generica nel secondo, a tenore di quanto comunemente si ritiene), nel senso che la sua essenza, e la sua fenomenicità, sono pari; impari essendo, eventualmente, la modalità della sua conoscenza, che nel secondo caso e non nel primo, avvenendo codificazione per fatti e non per atti (normativi) , impone la esplorazione della esperienza.
D’altronde, essendo sorretta, per principio, da norme, la sua specificità discende dalla essenza loro.
La proibizione della forma offensiva, a sua volta, è ostensione della forma inoffensiva. Questa dualità ha una doppia implicazione.
Da un lato, nell’oggettività: che esse sono in rapporto di esclusione reciproca, nel senso che data l’una non può darsi l’altra, che ( e perché) l’una è offensiva e l’altra è inoffensiva ( e nel senso, ulteriore, immanente al primo, che l’una è causale e l’altra è acausale).
Da altro lato, nella soggettività: che esse sono due volte conoscibili, e quindi che sono tendenzialmente conoscibili, se non conosciute, perchè si ostendono sia nella forma offensiva, che nella forma inoffensiva, si ostendono come attività sociali ripetute offensive o inoffensive,e, in questo caso, come si diceva, vantaggiose.
D’altro canto, le due forme sono costanti e invarianti, nel senso che data la forma offensiva avviene offesa, data la forma inoffensiva non avviene offesa. Regolarmente. Nel senso che la costanza è espressione delle rispettive regolarità causali, nel senso che sempre l’una forma offende, sempre l’altra forma non offende.
3.Quando si fosse notato questo, dovrebbe essere avvertito che la causalità generale, l’etiologia generale, non può che ricalcare, la causalità, l’etiologia speciale. Se la causalità dell’illecito colposo ha taluna ontologia, altrettale è quella dell’illecito doloso, e di qualunque altro illecito penale. La causalità è strutturata ed è mostrata dalla regolarità, dei suoi processi.
La regolarità del susseguente dall’antecedente, del susseguente offensivo dal suo antecedente, del susseguente inoffensivo dal suo antecedente, permeano culturalmente il sapere sociale, e lo formano: il sapere sociale quale insieme dei saperi individuali, un sapere diffuso, ad ogni individualità; tendenzialmente, un sapere posseduto da ogni individuo.
Quando non fosse posseduto, sarebbe possedibile, per l’appartenenza di ogni individuo al contesto sapiente. E nella possedibilità, del sapere, da chi non lo possedesse, nella appartenibilità, di quel sapere, anche a lui, si giustifica soggettivamente l’addebitabilità di non possederlo, e di non regolare la propria condotta conseguentemente.
Si addebiterebbe, a lui, di non essersi adeguatamente socializzato, di non avere adeguatamente partecipato del sapere sociale (un sapere rilevante, poichè discrimina puntualmente tra offensività ed inoffensività sociali). Gli si addebiterebbe di non essersi adeguatamente responsabilizzato socialmente, nell’autoadeguamento al discrimine tra offensività ed inoffensività.
Di non essere socialmente inoffensivo, insomma (nel quadro assiologico della offensività considerata mediamente dalla illiceità colposa).
Pietro Diaz

ISLAM IRAN ITAL e iI tabù del sesso

1. Golrokh Ebrahimi Iraee, femmina in Iran dove “il genere” è sodomizzato sociopoliticamente dal maschio, è a lui asservito (anche) come insegna della sconfitta del potere femminile dal potere maschile (entrambi storici non solo mitici). Più in particolare come insegna della appropriazione individuale della sessualità femminile procreativa, prodigiosa e arcana, allora, e offerta ad arbitrio alla comunità maschile indifferenziata. Golrokh, si diceva, nell’estremo rifugio critico fatto di un taccuino ad uso diario,annota una fantasia:
una donna che guarda un film dell’anno 2008, “La lapidazione di Soraya M.” (tratto dalla realtà giudiziaria) e che, sconvoltane, dà fuoco ad una copia del Corano:
la fonte legislativa della “repubblica” khomeinysta, che la lapidazione impartisce, a sostegno della repressione della sessualità femminile che attentasse al potere maschile; e che è (perfino) eseguita “democraticamente”, da una rappresentanza del popolo che con ritmici lanci di pietre contunda l’adultera, in piazza, finché muoia (il sistema punitivo ha diviso il lavoro: al “giudice” l’ordine della lapidazione, al popolo la sua esecuzione: giustizia del popolo- variante della nostra: in nome del popolo-).
Così la repubblica “rivoluzionaria” celebra i fasti del potere maschile, e gli accredita il consenso popolare (anche a camuffare l’infamia della sua “giustizia”).
Addì 6 di settembre 2014 il taccuino di Golrokh è scoperto, nel corso di un’ispezione delle “Guardie rivoluzionarie” nella casa dove abita col marito, l’attivista Arash Sadeghi.
Arrestata, è ripetutamente interrogata, bendata, col volto al muro e “persuasa” dall’ascolto delle urla del marito appositamente torturato nella stanza accanto. Per 20 giorni nel carcere di Evin, senza avvocati o familiari.
E’ stata accusata, da La Sezione 15 della Corte Rivoluzionaria, di “insulto all’Islam”, “diffusione di propaganda contro il sistema” di “offesa alle figure sacre dell’Islam”.
Sadeghi, dal suo canto, è stato accusato di “diffusione di propaganda contro il sistema”, “collusione contro la sicurezza nazionale” “offesa al fondatore della Repubblica islamica”. La sua colpa starebbe in una sequela di post su Facebook e mail inviate a giornalisti, attivisti per i diritti umani stranieri e all’emittente Bbc Persian.
Di seguito a processi fatti apposta in favore dell’accusatore, dove la difesa è ingrediente rituale quando non espulsa dall’aula o impedita ad entrarvi, ed “il giudice” è (im)pura emanazione del suddetto: Iraee è condannata a sei anni e mezzo di carcere. Sadeghi a quindici anni.
2. I capi di accusa e di condanna dell’una e dell’altro sono fatti di parole. Quelle del taccuino o dei post o delle mail e quelle proprie, poste in conflitto (contro il sistema, contro la sicurezza nazionale..). Lì dove esse si intersecano, sono in gioco “logiche” di potere e di critica del potere, tabù (autentici) e loro violazione. Perché l’assoggettamento della sessualità femminile ha tabuizzato talmente la esclusiva individuale maschile, che questa si è trasfigurata nell’Islam, tra le sue figure sacre. E talmente che, prima ancora dell’adulterio (che confuta quella esclusiva e la sua conquista di per sè), la sola critica (per giunta femminile) d’esso, pur se critica dell’ infame atrocità della lapidazione dell’adultera, è insulto all’Islam, offesa alle figure sacre dell’Islam. Perfino offesa del sistema, e della sicurezza nazionale.
Quando ciò avvenga, il potere socioeticopoliticogiuridico si è assolutizzato tanto quanto il divieto tabuico. Corrispondentemente ha brutalizzato la propria difesa, anticipata già nell’insulto, la parola, l’intenzione d’essa, l’essere umano in sé, incondizionatamente condannabile a morte civile o fisica.
E tanto da essere, e da apparire, orgiastico.
3. Ma chi pensasse che il Corano sia fonte della sola legge penale iraniana, non d’altri popoli, altre nazioni, altri Stati, non della legge italiana, potrebbe illudersi incautamente se non stoltamente.
Solo a mò di esempio:
per art. 600 ter cp, chi “utilizzi” minori degli anni diciotto per produrre “materiale pornografico” (o per esibizioni o spettacoli pornografici) – col pieno consenso e profitto del “minore” (e per lo più dei suoi genitori), si intende. Cioè chi simuli, non attui, sessualità (benchè lo faccia con carni ed ossa), è punibile con dodici anni di reclusione e 240000 euro di multa!
Basterebbe ciò per accorciare la distanza socioeticopoliticogiuridica dell’Italia dall’Iran, dalla sua (letale) foga tabuistica in materia sessuale.
Ma la distanza, da quella foga primordiale, pare perfino annullata, se non sorpassata, quando si osservi che, per art. 600 quater cp, se il materiale pornografico sia prodotto non “utilizzando” il “minore” in carne ed ossa, ma elucubrando “immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori…” – e “per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali..”- : il malcapitato grafico della più pura fantasticazione sulla sessualità “minorile” è punibile con la pena suddetta!
Quando ciò si osservi: sarà pari, la legge penale italiana a quella islamica? Sarà Iran, l’Italia, nella tabuizzazione della sessualità?
Ed al micidiale danno socioeticogiuridico, come per lo più accade segue la beffa:
perché quella legge, del mese di febbraio 2006, fu emanata dal Governo e dalla maggioranza parlamentare dei “libertari” berlusconiani ….

Alfie Evans morto ammazzato o trattenuto in vita?

Alfie è morto. E’ stato ucciso? All’ “assassinio” grida Fozza de Il Giornale; al “crimine contro l’umanita” grida Gandolfini de La verità (si tralasciano pietosamente altre emissioni di noti politicanti).
Per la scienza medica (universale) egli era affetto (necessariamente e alternativamente) da deplezione mitocondriale‎ o da mioclonia atassica. Entrambe morbi neurodegenerativi ad epilessie miocloniche (convulsive) progressive (che a cinque mesi d’eta’ imponevano ad Alfie il cervello di una settimana).
A causa d’esse egli: non vedeva non sentiva non respirava non agiva‎ non reagiva, era scosso da continue scariche elettriche, irreversibilmente incurabilmente fino che morte (incombente) sopravvenisse.
Talune “medicine“, italiana e norvegese propostesi quali soccorritrici (taluni membri del governo italiano ha conferito al malato la cittadinanza…), non avrebbero potuto far altro che: tracheotomizzarlo, perché ‎”respirasse“; gastrostomizzarlo, perché “ingerisse cibo”. Le due chirurgie lo avrebbero torturato, e ne avrebbero accelerato la morte.
Dunque, Alfie, cui il medico inglese ha tolto il sostegno vegetativo‎ d’intesa col giudice (condiviso anche dal vescovato locale) che ha fatto propria la sua indicazione (in Inghilterra questa decide, non quella “dei familiari”), è stato ucciso? Fozza che chiede l’incriminazione di giudice e medico inglesi alla Procura romana, per “assassinio” del cittadino italiano, ignora che la legge italiana può perseguire l’omicidio dello straniero commesso dallo straniero all’estero. E Gandolfini, che evoca “crimine contro l’ umanità”, ignora che esso è “massacro”, uccisione di masse, non del singolo: ad esempio il massacro delle popolazioni, ribelli e non, siriane, perpetrato da Al Assad; o quello, da imprigionamento e torturamento letali, dei migranti attraverso la terra libica verso l’Europa perpetrato da Al Sarraj.
Ha cioè subito omicidio?
Si ha questo allorchè sia cagionata volontariamente (si tralascia il cagionamento per colpa, non in questione) la morte “di un uomo” (inteso come persona in genere: art 575 cp)‎. Cagionata per approntamento e uso di mezzi omicidiari in contesto condizionale omicidiario, per adozione di modi corrispondenti tipicamente, formalmente, universalmente, a condotta di omicidio cagionativa di questo (notisi che, per il diritto penale, quando la sequenza causale letale non corrisponda esattamente a quella legale, il reato manca).
Condotta che, quindi, sostituisce alla vita la morte, nega la vita dandole morte: la quale non si avrebbe, mentre si avrebbe vita, senz’essa. Per ciò omicidiaria (causativa di caedes: morte per uccisione).
Laddove il sostegno vegetativo nega la morte dandole “vita“, la quale non si avrebbe, mentre si avrebbe morte, senz’esso.
Condotta che quindi differisce la morte non uccide la vita, che nemmeno trattiene, se non in forma vegetativa.
L’inverso esatto della condotta che cagiona la morte, condotta che finge la vita. Dunque, Alfie è stato ucciso?
Risponde appropriatamente la “medicina legale”….
Pietro Diaz

Sulla falsità ideologica ex art 479 cp mediante “attestazione implicita” e sul concorso dell’abuso d’ufficio ex art 323 cp a quella: in una accusa formulata da PM in avviso ex art 415 bis cpp.

1. M. è incolpata di avere partecipato alla formazione della deliberazione di Giunta n. ., ed a connesso atto abusivo dell’ufficio, in qualità di “Assessore” del Comune di……
1.1 Partecipava alla deliberazione suddetta avente ad oggetto “Programma di Sviluppo Rurale……..– Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale –BANDO PUBBLICO PER L’AMMISSIONE AI FINANZIAMENTI AZIONE 3– Conservazione e recupero degli elementi architettonici tipici del paesaggio rurale……..– APPROVAZIONE PROGETTO DEFINITIVO – ESECUTIVO -€.84.700,00 -” e “approvare il progetto definito-esecutivo relativo al Programma di Sviluppo Rurale – Di dare atto che la spesa complessiva di €. 84.700,00 trova(va) copertura con i fondi assegnati a questo Comune ed iscritti nel bilancio al Titolo……..– 3) Di dichiarare la presente, con successiva ed unanime votazione, immediatamente eseguibile ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.lgs 18/8/2000 n° 267 stante l’urgenza di consentirne l’operatività.
1.2 E, rispetto a siffatto oggetto della deliberazione, è incolpata ( oltre che del reato ex art 323 cp, di cui dopo), di avere, in concorso con altri, ex art 479 cp, “…formato un atto pubblico nell’esercizio delle relative funzioni e attestato falsamente fatti dei quali l’atto stesso era destinato a provare la verità. Ciò in quanto, con l’adozione della delibera n……., quali componenti della giunta comunale, approvavano il progetto definitivo dei lavori di manutenzione straordinaria nella locale strada di …..……..Con tale delibera implicitamente attestavano falsamente l’esistenza del progetto definitivo-esecutivo e il relativo deposito presso gli uffici del Comune da parte di P, alla quale erano stati affidati, nell’ambito di tale stessa procedura, gli incarichi di progettazione, direzione e contabilità dei lavori e adempimenti in materia di sicurezza del cantiere, con determinazione n……, nonostante, a quella data, lo stesso progetto non fosse ancora pervenuto agli Uffici Comunali. In……..
È da notare fin d’ora che, fra l’oggetto della deliberazione (sub 1.1.) e l’oggetto della “falsa attestazione” (sub 1.2) manca ogni corrispondenza formale, tanto che, questa ed il suo oggetto sono delineati come impliciti. Sarà discusso più avanti se la falsificazione ideologica di un fatto (o di un atto) possa essere implicita, col suo oggetto.
Ma adesso:
2. ex art. 2699 cc, “il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato“; e che, ex art. 2700 c.c., “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti“:
è l’atto pubblico categorialmente probatorio erga omnes.
Di fatti, quando ricalchi (oggettivamente soggettivamente contestualisticamente funzionalmente) il procedimento formativo suddetto, è prova legale. Tale (comunque e sempre) per destinazione (del potere dell’autore e dell’atto): è scolastico l’assunto per cui secondo l’ordinamento giuridico l’attestazione fa prova legale di fatti o atti giuridici in quanto redatto, con le prescritte formalità, da un funzionario pubblico o da un privato che esercita una funzione pubblica, al quale l’ordinamento ha attribuito la relativa potestà.
2.1 ebbene precisamente esso, non altro, è l’atto richiamato dall’’ art 479 cp, in accusa. Esso, non altro, va cercato e rinvenuto (accusatoriamente), nel genere di attività e/o di atto sub 1.1 :
l’assunto vale ovviamente in concreto, alla stregua della accusa, non in astratto o in genere, giacchè, qui, la nozione penalistica di atto pubblico probatorio può anche differenziare quella civilistica e penalistica appena detta (in art 479 cit.), sia dal lato soggettivo, perché dell’atto potrebbe essere autore, oltre il pubblico ufficiale, anche il pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio (sempre con le prescritte formalità, la stessa destinazione probatoria, lo stesso per uno scopo di diritto pubblico inerente la propria funzione o il proprio servizio): art 493 cp. Sia dal lato oggettivo, perché funzione e servizio plasmano a loro modo valore e scopo dell’atto: al punto che esso, ad esempio, potrebbe non essere fidefacente al modo sub 2 (vd l’indicazione in art 476.1.2 cp). La nozione penalistica in questione comprende dunque gli atti pubblici probatori di cui agli artt. 2699 2700 cc, e quelli, differenti soggettivamente e oggettivamente al modo detto, da essi.
2.2 va ora specificato che tutti e solo gli atti indicati sono “attestativi”, formalmente ed espressamente (e per destinazione d’atto e di autore), cognitivi accertativi e assertivi del vero, di un fatto o di un atto, veritativi di questi. Penalisticamente si rinvengono negli artt 478.3, (479), 480, 481, 483, 491 bis, 495, 495 bis cp, (con pari denominazione ma con differenti oggetti e differenti ambiti funzionali sono rinvenibili in altre aree dell’ordinamento, qui non rilevano).
Orbene:
3. l’ atto pubblico 29 9 14 è costituito da una “deliberazione” della PA esercente attività (funzionalmente e con natura) di amministrazione, la quale, nel suo moto, innova il mondo fattuale e giuridico amministrandolo appunto, non provandolo e per ciò probatoriamente non attestandolo. Pur se le sue premesse o i suoi presupposti, fattuali e giuridici, potessero o dovessero essere veri. Quell’atto, pubblico e di pubblici ufficiali in (e per) esso, è segmento della attività amministrativa dell’interesse pubblico competente all’organo che li assembra (la Giunta Comunale in specie); e coerente gli è la destinazione, a scopo rigorosamente amministrativo, tutt’altro che probatoria (eccetto quella, riflessiva, di provare se stesso).
Atto deliberativo (decisorio e prescrittivo o propulsivo), non è quindi attestativo. Non è (risolutivamente quindi) nemmeno lessicalmente (tanto meno concettualmente e funzionalmente) riconducibile alla categoria degli atti attestativi (civili o penali ) sopra visti (che innovano il mondo fattuale e giuridico esclusivamente dando prova di un fatto o di un atto, dichiarandoli pubblicamente certi, veri, ad opera di un organo appositamente preposto a farlo). Per ciò non avrebbe potuto né dovuto essere condotto ad una accusa penale che fosse al seguito, oltre che delle regola tecniche di dettaglio, del principio di legalità, e di riserva di legge.
Insomma manca ogni corrispondenza strutturale e funzionale oggettiva e soggettiva e contestuale fra questo atto, deliberativo, e quello attestativo (malgrado la contraria pretesa del PM).
4. In concreto comunque:
la deliberazione impresse ulteriore corso alla attività amministrativa dell’Ente assumendo premesse fattuali e giuridiche allegandole indicandole, esponendole, presupponendole (“visto”), mai attestandole nel senso proprio sopra illustrato. Anche perché la prova del loro contenuto era data dai referenti esse, estranei all’atto e all’attore deliberativo, intranei alla attività di sua istruzione – unica attestazione appartenente all’atto di deliberazione (ma non ad esso, essendo autonomo) ha avuto ad oggetto l’affissione all’albo pretorio d’essa (ed è stata fatta dal segretario comunale).
Altrettanto è il rapporto logico e funzionale fra la deliberazione ed il particolare elemento, premesso, dato dall’esistenza del progetto definitivo-esecutivo e il relativo deposito presso gli uffici del Comune da parte di P.…….
Esso è portato da attività allegativa indicativa probativa altrui, e quale suo prodotto è assunto dalla deliberazione. La quale, ripetesi, nulla attesta, visibilmente, d’esso.
Ciò è tanto vero, sopra cennavasi, che PM è costretto ad evocarne attestazione implicita ( peraltro, nemmeno essa rintracciabile, se, premettere, non implica attestazione di quanto premesso, se mai supposizione se non ipotizzazione: nemmeno quando il premettere suonasse “visto”, o equivalente, giacchè la visione non è attestazione).
Ma non (può) esiste(re) nell’ordinamento un atto attestativo implicito o implicitamente attestativo. Giacchè esso è atto giuridico, come tale necessariamente formale, espresso esplicito. Poi è atto solenne (della solennità in art 2699 s. cit; ma anche in articoli sub 2.2 citt), perchè postulando un soggetto in posizione e funzione (esclusivamente e finalisticamenrte) attestatorie, percepibili visibili e assumibili come tali, insieme al loro prodotto (attestare origina dal “testa a testa”, dell’assertore e dello spettatore, come dal testare- testimoniare, del teste, che a sua volta solennizzava il suo dire ponendosi le mani in data parte del corpo, etc.). Tanto che l’attestazione implicita è una contraddizione in termini, e relative immagini, giacchè la sua inesplicitazione, inespressione, è mancanza di forma, cioè di consistenza (nel mondo dei segni), di atto (quod actum sit, visibile necesse est) in definitiva. Nessuno attesterebbe nulla se non agisse appositamente esclusivamente e manifestamente. E competentemente (per competenza funzionale specifica assegnatagli dalla legge (civile penale amministrativa etc.): talchè “l’attestazione” che non scaturisse dalla competenza dell’”attestatore”, se falsa, non sortirebbe la falsità in art.479 cit o altrove.
4.1. dunque il fatto non è previsto dalla legge come reato, prima ancora che essere insussistente.
5. e comunque, l’accusa avrebbe dovuto cogliere la fattispecie più consona alla sua (pur) giuridicamente sviata logica: quella di falsa attestazione sul contenuto di atti, in art 478.3 cit.,: se la falsità è commessa …in un attestato sul contenuto di atti pubblici o privati la pena è della reclusione da uno a tre anni .
Di fatti la Giunta “attestante” quanto sub 4 primo cpv, “attestava” sul contenuto di atti pubblici e/o privati, e su questi. Non attestava cioè quanto della realtà extradocumentale apprendesse de visu aut auditu (art 479 cit.), falsificando l’atto formato direttamente, per ciò ideologicamente, e così trasmettendolo al pubblico. Ma falsificava, per ciò materialmente, quanto posto in atti da altri, il contenuto di altro atto, la realtà documentale, e così trasmettendolo al pubblico.
5.1 quindi il fatto, se mai, sarebbe stato dalle legge previsto come altro reato.
D’altro canto:
6. così previsto, con quella pena edittale (vd sopra), la intercettazione telefonica (o ambientale…), come sarebbe stata inammissibile, ex art 266 cpp (ad occhio di giudice autorizzante e di PM richiedente…si tralascia qui l’osservazione di altri vizii della decretazione in materia, causa di inutilizzabilità, eccetto uno: fu intercettazione “preventiva”, perché avviata prima della notizia di reato, enucleante anziché probante questa…), così sarebbe stata inutilizzabile, ex art 268 cpp:
e da essa non sarebbe stato estrapolabile quanto elucubrò, accusatoriamente, la cnr (vd dopo).
Onde allo stato è totalmente inaffermabile la falsità dell’elemento sopra indicato: sia contro i conversanti (presenti in Giunta), sia, tanto più, contro altri, totalmente ignari o comunque da presumersi tali.
6.1 a parte che l’intercettazione sarebbe stata inutilizzabile (lo è stata tacitamente nella determinazione di PM ex art 415 bis 1: cpp) perché non trascritta ex art. 268.6.7.8 cpp (avrebbe dovuto esserlo prima di quella determinazione, a pena di nullità ex art 178.1 c) cpp: senza rinuncia alla eccezione, si chiede che lo sia ex 1 art. 415 biss.3 cit..
E comunque
6.2 tornando alla falsità in parola, se nella cnr si narra che tra P ed S (Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di..) sarebbe stato concordato l’invio, dalla prima, di una fittizia lettera di trasmissione del progetto definitivo/esecutivo, la quale sarebbe stata messa agli atti dal tecnico e successivamente corredata dal resto della documentazione occorrente (cfr, pag.):
sta in fatto che, in allegato n. 19 del presente fascicolo si rileva una comunicazione di P del ……indirizzata al Sindaco del Comune di ……ma anche al Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale (S ), avente per oggetto “Progetto definitivo – esecutivo per i lavori di rifacimento di un muro a secco su due lati di una strada che va verso la……..”, contenente un elenco di allegati con un timbro recante “Pervenuta il Prot. N..
6.3 e comunque della falsità in parola nulla che induca a ritenerne la percezione la rappresentazione, neppure il sospetto, in M è rinvenibile nel processo: che, si noti, attribuisce reati a dolo generico e specifico, del fatto in ogni sua componente, molto intenso, e la cui supponibilità in capo al totalmente estraneo al compendio probatorio accusatorio (le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni), è assai problematica, la supposizione irraggiungibile (la giurisprudenza traduce che in tema in tema di falsità documentali, ai fini dell’integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in “re ipsa”, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo: sez. 3 n. 30862 del 14/05/2015, Rv. 264328).
Non è inopportuno evidenziare, al fine della determinazione del grado di cognizione del merito della deliberazione de qua e dell’atto d’ufficio or detto, che, la predetta, ricopriva la carica di “Assessore ai…..” presso il Comune di. Tutt’altra competenza rispetto a quella della materia.
D’altronde, va posta in risalto la peculiarita dell’oggetto del dolo in specie, l’”attestazione implicita” di una realtà documentale inesistente o incompleta, che dal lato della condotta come da quello del suo oggetto e dell’evento, sarebbe afferrabile, raggiungibile, solo da dolo implicito: in re ipsa, ut supra inammissibile.
7. Quanto al reato di abuso d’ufficio ex art 323 cp, M è accusata di avere, in concorso  con altri nelle rispettive qualità di….”nello svolgimento delle relative funzioni procurato a P..un vantaggio ingiusto, in ottemperanza dell’accordo concluso tra Pe e S (di cui ai capi…)consistito in una remunerazione per complessivi euro 7000.
Orbene:
– l’ingiustizia (quale contrarietà a norme giuridiche ed economiche) del vantaggio, e questo stesso, non si vede come siano stati colti, nella retribuzione congrua di una prestazione lavorativa professionale, compiuta o compienda.
Quindi manca un elemento del reato.
-se il mezzo della commissione dell’abuso è dato dalla “ottemperanza all’accordo…”, non da altro. Per ciò non è dato da “violazione di norme di legge o di regolamento…,, pretesa dall’art 323 cit.:
manca un altro elemento del reato (a proposito dell’elemento di fattispecie ora indicato, della violazione di norme di legge, neppure pare che, l’accusa, lo abbia ricondotto alla violazione ex art 479 cp; d’altronde esattamente intuendo che, questa specie di legge, non corrisponde affatto a quella in art 323 cit., sia perché, se così non fosse, ogni reato del p.u o del i.p.s. integrerebbe il reato di abuso d’ufficio. Cioè, questo sarebbe in perenne concorso formale con quello. Assurdo. Sia perchè sarebbe antitetico alla nozione e la funzione della legge, o del regolamento, richiamati art 323 cit. quali norme della funzione e/o del servizio amministrativi: norme di azione lecita, non illecita, della PA.
Mancano quindi tutti gli elementi del reato (il riferimento alle ”rispettive qualità”, di Sindaco etc.. è totalmente inconferente, perché nella falsità in atti o nell’abuso d’ufficio de quibus è la qualità funzionale o serviziale che rileva):
perciò il fatto non sussiste.
E comunque:
7.1. poichè l’elemento integrativo della accusa di abuso d’ufficio, della totalità degli elementi della fattispecie di reato, come si è visto mancanti o irrilevanti, sarebbe dato dal “vantaggio ingiusto”:
non può essere tralasciato che, vantaggio o danno, sono elementi impliciti costanti, intuitivamente, del reato di falsità in atti, pur essendo rimasti alla stadio economico, non giuridico, pur non essendo stati formalizzati. E’ quindi verosimile che PM abbia voluto formalizzare il vantaggio, renderlo giuridico, applicandolo all’art. 323 cit. avrebbe violato, gravemente, sia la fattispecie del falso ideologico (o materiale sopra indicata), addizionandola ab externo, sia quella dell’abuso di ufficio, detraendola ab interno, sia entrambe in combinato disposto, componendo esse un ibrido del tutto alieno alla legge penale.
Pietro Diaz

Sorte dibattimentale, in prognosi ex art 425.3 cpp, della sommaria informazione dell’informatore deceduto e della dichiarazione del terzo anch’egli deceduto, ivi contenuta.

Giudizio causale e condizionale, rispetto ad evento letale, sull’ “abbagliamento” da veicolo incrociante (fermo o quasi alla destra della propria corsia), verso il quale l’”abbagliato”, su veicolo viaggiante alla velocità di 30 Km/h., mosse dalla opposta corsia.
Il conducente di questo, a causa di preesistente estrema fragilità (morbosa) del soma, non protetto da cinture di sicurezza né daairbag, all’impatto su uno pneumatico fu leso, poi decedette.

L’argomentazione difensiva nella udienza preliminare.

————

Sulla prognosi di inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio (art. 425.3 ult. parte).

Dal lato procedurale
1.La sommaria informazione di Mu. è “indiretta”.
Nel senso che riferisce una dichiarazione altrui (di Ma. p.o., dicente che il veicolo incrociante lo abbagliava).
Ora se l’elemento andasse a giudizio:
introdottovi che fosse il sommario informatore come testimone, da lui riferita la dichiarazione, chiamato (a richiesta di parte o di ufficio) che fosse il dichiarante a testimoniarla (art 195.1.2 cpp), risultandone il decesso, la dichiarazione sarebbe (probatoriamente) utilizzabile (art 195.3 cit.).
senonché:
E’ deceduto anche il sommario informatore (Mu.).
Il quale per ciò non sarebbe introducibile quale testimone, non riferirebbe la (suddetta) dichiarazione.
Nessuna dichiarazione per ciò, giacchè inesistente, sarebbe utilizzabile. Neppure per il decesso del dichiarante (vd sopra art. 195.3 cit.), giacchè la dichiarazione del deceduto è utilizzabile quando sia stata riferita.
1.1 Dunque, in giudizio, sarebbe integralmente inoperante la disposizione probatoria in art 195 cit.
2. Nè potrebbe utilmente notarsi la possibilità di acquisire per lettura, lì, ex art 512 cpp, la sommaria informazione del deceduto:
giacché la dichiarazione riferita sarebbe utilizzabile ove fosse attivabile, e attivato, il meccanismo in art 195 cit, per contro del tutto inoperante per i rilievi sopra svolti (la disposizione suppone al meno un testimone, una testimonianza, ignora il sommario informatore – tanto più se deceduto-, la sommaria informazione).
Varrebbe d’altronde, in specie, il principio di tipicità della prova, di cui all’art 189 cpp ove, regolandosi (per rinvio al concreto) l’assunzione della prova non disciplinata dalla legge, è implicata la legalità d’essa, d’altronde all’ esordio del Libro III, Prove (checchè ne pensi la giurisprudenza, che, tuttora, detipizza la prova – e cancella la disposizione inerente- col mezzo, “concettuale” e pratico, del “Libero convincimento”…).
3. Comunque, se per operazione probatoria sommaria (non ignota alla esperienza giudiziaria), la acquisizione della informazione ex art 512 cit comportasse quella della dichiarazione (lì contenuta), il valore (gnoseologico) di prova d’essa sarebbe prossimo allo zero. Non solo perché l’informazione sarebbe indiretta, ma anche perché la sua formazione non sarebbe avvenuta in contraddittorio con l’imputato. Ed il contraddittorio nella formazione della prova è la condizione della condanna (art 111.4 cost.). Prossimo allo zero, dicevasi, anche ove il contraddittorio fosse stato impossibile per il decesso del soggetto (mezzo) di prova, giacchè il valore d’uso dell’acquisito non potrebbe non commisurarsi, gnoseologicamente, alla mancanza del requisito formale del contraddittorio.
Dal lato del merito
4. La sommaria informazione suddetta, la dichiarazione da essa riferita –entrambe, d’altronde, inconvertibili mortis causa, per ciò non convertite, in testimonianze per l’udienza preliminare, ex art. 422 cpp) , hanno avuto una interferenza nel merito.
Dalla testimonianza di Mas. – passeggero nel trattore investito dalla vettura condotta dal deceduto – il quale, in conformità logica a due precedenti dichiarazioni (l’una, quale sommaria informazione acquisita dalla polizia giudiziaria, l’altra quale informazione acquisita dal difensore dell’(allora) iindagato), ha evocato attendibilmente la traiettoria della vettura, più volte in sbandata prima dell’impatto. Narrando in conformità alle risultanze del processo e della sua CTPM (insiste Mas. sul fatto che il trattore fosse fermo all’impatto, ma, quando non lo fosse stato, come il CTP ha sostenuto, sarebbe stato in lento moto -15Km.h)- alla destra rigorosa della propria corsia se non in banchina). Ed ha categoricamente escluso che il trattore viaggiasse con luci abbaglianti, all’incrocio con la vettura (d’altronde, se le avesse avute le avrebbe tolte, secondo il precedente: poco prima, all’incrocio con una pattuglia di carabinieri, il trattore, sollecitato da corrispettivo abbagliamento, le aveva tolte).
Ciò facendo quella testimonianza:
4.1 se la prova di accusa non fosse mancante, proceduralmente e nel merito (lo è, per quanto prima e quanto ora esposto) e non fosse (nemmeno) insufficiente (lo sarebbe, per quanto prima e per quanto ora esposto), comunque sarebbe contraddittoria.
Essa cioè non sfuggirebbe alle qualificazioni dello stato della prova o del rapporto tra prove in art 425.3 cit..
Prima conclusione
5. Con seguente emersione della condizione probatoria della sentenza di non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste o non costituisce reato.
Sulla causa del fatto
6. Ma si inoltra (volontariamente) nel (l’area del) rischio di danno attivo e passivo da circolazione veicolare stradale:
impossibilitato o difficultato, fisicamente, a compiere manovre di emergenza (era stato esonerato dall’uso delle cinture di sicurezza in quanto la “deformazione” del rachide non gli consentiva una posizione ergonomica di guida; la patologia, spondilite anchilosante, gli causava rigidità- fusione delle vertebre cervicali per cui il collo -come pure la sede lombare- era rigido, tanto che una sua banale iperestensione ha fratturato il dente dell’epistrofeo: vd relazione di autopsia).
Vi si inoltra quindi con negligenza del possesso della condizioni fisiche atte alla guida e (comunque) a manovrare in emergenza (possibilità prevedibile e irrifiutabile).
E atte farlo con perizia.
Dunque già a priori (prima del fatto e in vista d’esso) la sua condotta è negligente e imperita, e per ciò imprudente (di fatti, pur dovendo, non la omette). E’ pienamente colposa (per previsione).
Tanto più perché, non impiegando cinture di sicurezza, non è nemmeno ancorato al sedile di guida nel modo e nel grado necessari a gestire perite manovre in emergenza.
Per di più ancora, vi si inoltra con parti del soma ipersensibili alla minima scossa (gli si frattura il dente dell’epistrofeo alla minima battura del l capo sul parabrezza, dicevasi).
Benchè, non essendogli stato vietato di indossare le cinture (essendone stato solamente esonerato), non le indossi.
6.1 Con ciò cagionando o non inibendo nè moderando:
la deviazione della traiettoria della vettura dalla propria corsia di marcia fino al punto in intersezione col trattore; l’impatto con questo, l’avanzamento del capo in avanti, l’urto col parabrezza (inibita inoltre la reazione del airbag dalla inattività delle cinture); il decorso causale successivo, fino all’evento mortale.
6.2 Insomma, munito di licenza di guida (?!), si inoltra nell’area del rischio completamente inidoneo alla guida prudente diligente perita, osservante delle norme della circolazione stradale; autoesponendosi (ed esponendo altri) al pericolo di danno alla persona (e alle cose) di ogni dimensione. Autocagionando interamente il danno su di sè.
6.3. Ciò pur se fosse stato abbagliato.
Non solo perché l’abbagliamento avrebbe potuto essere rintuzzato con effetto pari a quello conseguito dalla pattuglia dei carabinieri (di cui si è detto).
O perché, viaggiando a trenta Km.h (vd CTPM) avrebbe potuto avviare ed arrestare la vettura sulla destra della propria corsia (la manovra corrispondente a quella attuata dal trattore in vista dell’impatto).
O perché, a quella velocità, il lato nel quale era il veicolo “abbagliante” avrebbe potuto (e dovuto) essere l’ultimo sul quale dirigere la vettura (dirigibile agevolmente dal lato opposto o centrale alla strada).
O perché avrebbe potuto compiere qualsiasi altra manovra equivalente (le omissioni suddette ebbero causa nelle azioni ed omissioni sopra esposte).
Ma perché, nel contesto dato, l’abbagliamento era e restava non causa bensì condizione della traiettoria concreta della vettura verso l’impatto e gli eventi successivi:
causa essendone l’insieme multifattoriale sopra visto. Sono stati la condotta di Mu., prima della e durante la guida; lo stato fisico e funzionale di Mu. in essa impegnato, a causarli. D’altronde, se causa è quanto stereotipicamente, per rapporto costante e regolare, connetta un antecedente al susseguente (nella totalità degli elementi situazionali che si dessero), la causa di specie sorse alla prima manovra dopo l’abbagliamento.
Cosi che (con ciò riprendendo quanto il PM osservò in penultima udienza, onde il complesso causale somatico e funzionale del conducente la vettura sarebbe stato “causa preesistente”, e come tale non interruttiva del rapporto di causalità, poiché l’art 41.2 cp darebbe rilievo interruttivo soltanto alle cause sopravvenute – ma si obbietta tradizionalmente che se solo le cause sopravvenute interrompessero il rapporto si avrebbe disparità di trattamento di situazioni simili; a parte il fine rilievo per il quale, non vi è causa preesistente, all’evento, che determinando questo non sia ad esso concomitante-), quella causa (il complesso multifattoriale attivo e passivo relativo) è manifestamente sopravvenuta. E da sola sufficiente a determinare l’evento (art.41.3 cit. )
Seconda conclusione
7. Per ciò, “risulta(ndo) che il fatto non sussiste o non costituisce reato (art 425.1 mcpp: la prima formula è adottata dalla migliore dottrina quanto il rapporto di causalità fra condotta ed evento sia assente) si chiede sia emessa sentenza di non luogo a procedere.
Pietro Diaz