Fulminea incursione nella interiorità della colpa

1.Colpa, per una condotta che generi un evento, esterno o interno ad essa (in questo caso, a quanto si dice, una mera condotta), (in entrambi i casi una condotta) che causi un evento, secondo la dizione in art. 43.3. c.p., che lo causi, in, e per, violazione di una regola, di condotta concepita e posta. Una condotta notoriamente idonea a causare quell’evento, per ripetuta osservazione sociale (più o meno diffusa) della sua idoneità, ripetutamente esperita, e apparsa sulla scena delle attività sociali.
Alla nascita del suo rilievo giuridico, e della sua assunzione ad oggetto di normazione sociale, sta, appunto, la sua apparizione quale causa di eventi offensivi.
E perchè lesiva o pericolosa di beni dati, la sua proibizione.
Onde la proibizione della condotta ne suppone la causalità, sulla quale si interviene, normativamente, appunto, proibendola, perchè ciò previene l’evento offensivo.
E, rispetto alla condotta che potesse essere socialmente utile, oggettivamente (nel senso che genera vantaggi sociali) e soggettivamente (nel senso che anima corrispondenti fini sociali), (che potesse essere tale oltrechè, eventualmente, offensiva), la proibizione concerne la sua versione offensiva, non quella vantaggiosa (o inoffensiva), epperciò essa si esercita nella modellatura della forma della condotta vantaggiosa, la quale a sua volta modella, nel suo rovescio, la forma della condotta offensiva.
Quando la proibizione fosse assoluta, la condotta è vista come assolutamente (sempre) offensiva; in tal caso, generalmente, la proibizione ricorre ad una norma penale repressiva, e contemporaneamente preventiva (è falso che tutte le norme repressive siano anche preventive, secondo visioni giurisprudenziali inavvertite; è vero, per contro, che le norme repressive possono esse preventive, lo sono in quanto lascino prevedere eventi offensivi, in quanto notoriamente causanti essi).
Quando la proibizione fosse relativa, la condotta è vista come relativamente offensiva, epperciò è permessa nella sua forma inoffensiva.
2.La proibizione della forma offensiva della condotta vantaggiosa può avvenire per atti normativi (leggi regolamenti ordini o discipline), o per fatti normativi (prudenza, diligenza, perizia), in entrambi i casi ha la stessa “specificità” (non è cioè specifica nel primo caso e generica nel secondo, a tenore di quanto comunemente si ritiene), nel senso che la sua essenza, e la sua fenomenicità, sono pari; impari essendo, eventualmente, la modalità della sua conoscenza, che nel secondo caso e non nel primo, avvenendo codificazione per fatti e non per atti (normativi) , impone la esplorazione della esperienza.
D’altronde, essendo sorretta, per principio, da norme, la sua specificità discende dalla essenza loro.
La proibizione della forma offensiva, a sua volta, è ostensione della forma inoffensiva. Questa dualità ha una doppia implicazione.
Da un lato, nell’oggettività: che esse sono in rapporto di esclusione reciproca, nel senso che data l’una non può darsi l’altra, che ( e perché) l’una è offensiva e l’altra è inoffensiva ( e nel senso, ulteriore, immanente al primo, che l’una è causale e l’altra è acausale).
Da altro lato, nella soggettività: che esse sono due volte conoscibili, e quindi che sono tendenzialmente conoscibili, se non conosciute, perchè si ostendono sia nella forma offensiva, che nella forma inoffensiva, si ostendono come attività sociali ripetute offensive o inoffensive,e, in questo caso, come si diceva, vantaggiose.
D’altro canto, le due forme sono costanti e invarianti, nel senso che data la forma offensiva avviene offesa, data la forma inoffensiva non avviene offesa. Regolarmente. Nel senso che la costanza è espressione delle rispettive regolarità causali, nel senso che sempre l’una forma offende, sempre l’altra forma non offende.
3.Quando si fosse notato questo, dovrebbe essere avvertito che la causalità generale, l’etiologia generale, non può che ricalcare, la causalità, l’etiologia speciale. Se la causalità dell’illecito colposo ha taluna ontologia, altrettale è quella dell’illecito doloso, e di qualunque altro illecito penale. La causalità è strutturata ed è mostrata dalla regolarità, dei suoi processi.
La regolarità del susseguente dall’antecedente, del susseguente offensivo dal suo antecedente, del susseguente inoffensivo dal suo antecedente, permeano culturalmente il sapere sociale, e lo formano: il sapere sociale quale insieme dei saperi individuali, un sapere diffuso, ad ogni individualità; tendenzialmente, un sapere posseduto da ogni individuo.
Quando non fosse posseduto, sarebbe possedibile, per l’appartenenza di ogni individuo al contesto sapiente. E nella possedibilità, del sapere, da chi non lo possedesse, nella appartenibilità, di quel sapere, anche a lui, si giustifica soggettivamente l’addebitabilità di non possederlo, e di non regolare la propria condotta conseguentemente.
Si addebiterebbe, a lui, di non essersi adeguatamente socializzato, di non avere adeguatamente partecipato del sapere sociale (un sapere rilevante, poichè discrimina puntualmente tra offensività ed inoffensività sociali). Gli si addebiterebbe di non essersi adeguatamente responsabilizzato socialmente, nell’autoadeguamento al discrimine tra offensività ed inoffensività.
Di non essere socialmente inoffensivo, insomma (nel quadro assiologico della offensività considerata mediamente dalla illiceità colposa).
Pietro Diaz

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