Archivio mensile:Dicembre 2019

DELL’UTRI FINISCE LA SUA PENA, PER “REATO DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA”, INFLITTAGLI SENZA CHE LA LEGGE LO PREVEDESSE….

Seconda e ultima parte
FATTO

4.Chi ritenga che il processo legislativo, dagli sbocchi sopra visti  , sia stato opera dei rappresentanti del popolo in Parlamento, ignorerebbe  il suo complesso  tecnicismo  e la sua estraneità alle conoscenze loro (sebbene,  allora, ben  più estese  di quelle d’oggi).

Il tecnicismo,  d’altronde,  corrispose ad un disegno punitivo e più latamente eliminativo, alle istanze della magistratura inquirente,  (particolarmente) “antimafia”, ed anche  giudicante. Basti notare, in proposito,  che un  magistrato  della sentenza (del  “maxiprocesso”)  che  attivava il “teorema Buscetta” fu prima nel  pubblico ministero   e dopo poco vi tornò,    divenendo  “procuratore nazionale antimafia” ( indi, per volontà di  un “segretario di partito”,   senatore e presidente del senato.   In questa veste,  il primo giorno d’aula,  depose  un ddl “anticorruzione”, a ricordo della veste precedente…).

Il tecnicismo, peraltro,  corrispose  solo a quelle istanze, non ad altre (eventualmente)  opposte, sebbene,  messo in legge che fosse stato da effettivi rappresentanti  del popolo ( ovviamente,  anche del popolo “delinquente”: artt. 1, 2, 3 Cost. ex aliis),  mai le avrebbe  trascurate.
Perché sorrette dalla Costituzione (quella del “diritto penale del fatto” e non “del soggetto”, della pena per “il fatto” e non  per il “modo di essere del soggetto”: artt. 25, 27, etc.). E sorrette, comunque,  dall’indole dialettica di ogni determinazione penale,  mai plausibilmente  incolpatoria se non anche discolpatoria.
4.1 E’ per ciò palese che,   se quel processo legislativo ha preso avvio ed è  stato  gestito esclusivamente dalla magistratura, questa si era munita della  capacità di instare con successo, da autentico Potere (anziché Ordine: art. 104.1 cost. ), in Parlamento.

Ma, conseguita la capacità politica (abnorme, perché scardinativa della costituzionale  separazione dei poteri…) di foggiare a  piacimento la legge “parlamentare”, si sarebbe trattenuta  dal legiferare direttamente,  sentenziando?
4.2 Da tempo praticava “interpretazioni estensive” della “lettera della legge”,  sebbene ad essa dovesse rigorosamente attenersi ( artt. 12 “Preleggi”, 1 cod. pen.,  25.2  Cost.). O la parafrasava o  la interpolava. O ne deviava o sviava  logica funzione e scopo.  O, di  più, ne sconnetteva  la scienza relativa, sebbene puntualmente enucleata dai principii “in generale” del Codice (Libro Primo) o dei Codici correlati (civile,  amministrativo…), o della Costituzione (ricorrendo a c.d.  “interpretazioni costituzionalmente orientate”, ma da visioni  del tutto proprie…).    .

Ma (forse) non era prevedibile che, per quanto “creativamente” sentenziasse caso per caso, sarebbe pervenuta ad aggiungere ad un intera categoria di reati, gli  “associativi”, ed ai relativi autori,  la categoria del concorso e dei concorrenti “esterni” ad essi.
E ciò sebbene,  quelli,  fossero casi di “responsabilità collettiva” e di “responsabilità per lo stile di vita”,  manifestamente deroganti  ai principii di “responsabilità personale” e “per il fatto”. E fossero, quindi,   casi “eccezionali” ex artt. 2 cod pen, 12 Preleggi”,  inestendibili ad altri  non espressamente previsti dalla legge.
LA MANOVRA “INTERPRETATIVA”
Premessa

  1. Quali e quanti possano essere gli autori dei reati lo dice la previsione legale:

Della rapina   può essere autore  chiunque e da solo.

Del peculato può essere autore  (non chiunque ma) l’agente pubblico e da solo.

Dell’ ”associazione per delinquere”  può essere autore chiunque ma non da solo – almeno tre- (per tale caratteristica è detta “reato necessariamente plurisoggettivo” ).

Dell’ammutinamento  può essere autore ( non chiunque ma) l’agente pubblico e non da solo –almeno quattro- (vd sopra in  parentesi).

5.1 Ciò nelle previsioni legali,  degli autori  dei reati ( e di questi).

5.2 Ma non è escluso  che essi, nell’avverarsi  dei reati,   possano essere   più,  anche  misti (agenti pubblici e  “comuni”, nel peculato ad esempio). Cioè che altri possano  aggiungersi all’autore (o agli  autori) della previsione legale.

Tuttavia:

-possono esserlo se eseguano  il  reato (ciascuno a suo modo: riempiendo la borsa, mentre l’altro minaccia con la pistola, nella rapina. Conducendo l’agente pubblico in giro turistico  con l’aereo statale nel peculato. Dirigendo l’associazione o partecipando a questa  nella associazione per delinquere. O dirigendo l’ammutinamento o partecipando ad esso).
-se lo eseguono  la loro attività è interna ad esso;
-interna perfino linguisticamente, tanto  da trarre verbi e nomi  (rapinare,  rapinatore,  peculare,  peculatore…) dal nome del reato (rapina, peculato).

Ora

Il  “concorrente esterno” agirebbe all’interno del  reato?

Agendo all’esterno, eseguirebbe  il reato?

Non eseguendo il reato  la sua attività potrebbe trarre denominazione da quella del reato?

5.3 Le risposte sono  (ovviamente) negative.

E purtuttavia, per paradosso anzi per ossimoro????, sono quelle che  danno, esplicitamente o implicitamente,   le sentenze  applicative del “reato di concorso esterno in associazione….”!.
Di fatti:
esterno=non interno; non interno=non esecutivo; non esecutivo non (de)nominativo dell’attività (al proposito,  il “concorrente esterno” mai è denominato associato. Anche perché, se lo fosse, sarebbe necessario aggiungere:  di che specie? perché queste, insieme alle pene, sono differenti).

5.4 Basta ciò per capire quanto le figure del “concorso esterno”,  del “concorrente esterno”, già dalla interna contraddizione terminologica abbiano scombinato la materia, il  diritto  e la scienza che la impregnano, la logica inerente.

Scombinamento, d’altronde, platealmente  implicante:

– che “il fatto” del concorrente esterno è del tutto estraneo “al fatto” del reato;

– che nessuna  legge lo prevede;

– che la sua incolpazione è attuata  senza che la  legge la preveda;

è attuata  contro   la legge (della “legalità” della incolpazione penale: at 1 cod pen, artt 25 cost), che lo  vieta.
IL VEICOLO  MANOVRANTE: L’ART.  110 cod pen.

6.Ma quale mezzo specifico ha sostenuto la manovra?

Stava  (e sta)  nel codice una norma generale (art 110 cod.pen.) che si occupava della possibilità che, all’autore della previsione del reato se ne aggiungessero altri, detti “concorrenti”.
E che si preoccupava di avvertire che, a questi,  pur se avessero solo (co)eseguito il reato (vd sopra… gli esempi), sarebbe stata applicata la pena degli altri.

Ebbene questa norma, del modo della punizione dei concorrenti nel reato,  (inopinatamente) è stata impiegata quale   norma anche del reato associativo.

Non percependo tuttavia, o travisando o rimuovendo, che:

– essa si riferiva  ai  concorrenti in  reati previsti ad autore unico (rapina,  peculato…),  non plurimo e associativo (ammutinamento, associazione per delinquere);

-essa implicava che   concorresse solo chi eseguisse il reato,  compiendo   attività interna ad esso;

– ovunque  fosse condotta, fosse pure ai reati associativi, avrebbe riprodotto quest’ultima implicazione ( e le altre sopra dette, sub 5.2);

-d’altro canto,  i reati associativi sono in sé stessi aperti alla pluralizzazione degli autori della previsione legale, perchè costitutivamente “associativi”, dove cioè la pluralizzazione degli autori corrisponde al fatto del reato. E lo esaurisce;

lQuindi:

non percependo o travisando o rimuovendo, dicevasi,   la totale oppositività della norma  alla raffigurazione del “concorso esterno”, del “concorrente esterno”, al reato associativo. Per internità, al reato, della attività del concorrente, ripetesi,   pregnante al punto di rappresentare,  l’art 110, anziché norma costitutiva, delle reità,  norma esclusivamente punitiva d’esse.

EFFETTI SOCIOPOLITICI DELLA MANOVRA “INTERPRETATIVA”.

7.In venticinque anni di vita giudiziaria, il “concorso esterno in associazione di tipo mafioso” ha raddoppiato le quantità degli aggregati sociali (detti “associazioni”) imprigionati ed espropriati di ogni avere civile.
Avvocatura e scienza penale hanno ripetutamente denunciato la eclatante violazione del multisecolare principio della legalità (riconducibilità a legge) della attività punitiva istituzionale. Legalità quale invalicabile limite,  democratico se  di origine parlamentare,  di essa.
E quale fondamento della separazione costituzionale dei poteri (senza la quale si ritornerebbe  a prima delle rivoluzioni borghesi, della relativizzazione degli assolutismi).

Le denunce non possono non essere giunte in Parlamento. Che con una semplice disposizione  legislativa, di  “interpretazione autentica” del rapporto fra le norme degli agli artt. 110, 416 bis cod pen, avrebbe potuto apprezzarle.

Invano.

Ebbene anche ciò  dimostra,  irrefragabilmente,  come e quanto,  potere giudiziario e potere legislativo (in posizione  leonina il primo), sia siano oramai-involutivamente- (ri)uniti.

DELL’UTRI FINISCE LA SUA PENA, PER “REATO DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA”, INFLITTAGLI SENZA CHE LA LEGGE LO PREVEDESSE….

(Prima parte di due)

ANTEFATTO

NEI PRESSI DEL 1982, DELLA LEGGE ROGNONI LA TORRE….

1.La mafia spara e uccide, ed anche per la omertà del contesto ove vive, raramente se ne scopre l’autore.

D’altronde, la evoluzione sociopolitica del Paese è stata bruscamente interrotta dal“l’affare” Moro.

Altrettanto quella sociogiuridica (penale), dalle leggi eccezionali del “periodo cossighiano”, invero esordiente già da quell’affare.

Senonchè la mafia uccide anche tra poliziotti e magistrati. I cui morti non sono reputati anonimi, come gli altri, perché morti tra “servitori dello Stato”.

E se è (istituzionalmente) accettato che non abbiano esito le indagini sull’omicidio di chiunque, inizia a non esserlo, per nulla, che non lo abbiano sull’omicidio dei predetti.

QUALE IL RIMEDIO?

1.1 Se è ardua, per quanto detto, l’incolpazione del mafioso che uccida, non lo sarebbe quella del mafioso come tale.

Giacchè egli vive in aggregati sociali etnicamente connotati, caratterizzati, folclorizzati, per ciò visibili e captabili.

Quindi sarebbe facile incolpare lui attraverso quelli.

Ovviamente con leggi apposite, che, ad esempio, incriminassero gli aggregati quali “associazioni”.

Ed alle quali, se non si volesse indebolire “la risposta dello Stato”, assegnare pene da omicidio (detentive, in media, per un venticinquennio circa).

D’altronde quando la individuazione del singolo associato non fosse agevole, potrebbe essere aiutata da “testimoni o collaboratori” di giustizia, che adeguatamente remunerati “legalmente” (altrimenti sarebbero “subornati, in violazione di preciso divieto), potrebbero essere officiati, e tenuti in serbo all’occorrenza.

Peraltro, un abbozzo del loro ufficio era stato messo in scena nel “periodo cossighiano”, e l’esperimento si era rivelato proficuo.

DOPO LA LEGGE ROGNONI LA TORRE

2.Fu così, dunque, che, nel 1982, i due maggiori partiti politici (benchè “opposti”: DC, PCI) si allearono in Parlamento per comporre e avviare la legge ”antimafia” Rognoni-La Torre. Che introdotto nel codice il delitto di “associazione di tipo mafioso” (art 416 bis), in effetti cominciò presto a rimediare alle inefficienze indagative dell’omicidio ( o di altro grave reato) del singolo mafioso. D’altronde infliggendo, a questo come tale, pene da omicidio (come si diceva).

2.1 Non fu avvertito, allora (ed ancor meno oggi), il problema della restrizione della (libertà di) esistenza sociale di aggregati pur etnicamente forti, pregnanti e pur individualmente (variamente) delinquenti. Sebbene essa fosse garantita dalla Costituzione (art 18).

Né tanto meno fu avvertito il problema se, quel rimedio, in realtà, fosse antico come Iddio, e assai malvisto (e deplorato) dalla storia del diritto penale (di Pace e di Guerra).

Perchè era il rimedio cui erano ricorse le punizioni collettive, frustrate, quelle individuali, dalla impossibilità (o difficoltà) di “ scoprire il colpevole”.

Rimedio operante anche nella sottoforma (“moderatrice”) della “decimazione” (la punizione di uno su dieci di un gruppo di cento o di mille…).

Rimedii andanti, insieme, sotto il nome di “Responsabilità (intesa come responsabilizzazione) collettiva”, oggi fermamente osteggiati da varie Carte nazionali internazionali sovrannazionali, e con particolare veemenza dalla Costituzione italiana all’art. 27.1, per il quale la “responsabilità penale è personale” .

Tuttavia

2.2 A seguito della “innovazione” strategica suddetta, intere popolazioni “di tipo mafioso” o equivalente (camorristico… ‘ndranghetistico…), poterono essere imprigionate, anche a corrispettivo (surrettizio) di omicidii o di altre delinquenze individuali.

L’apparato di segregazione etnica di quei “tipi” si inorgoglì al punto che, con leggi successive (degradanti efficientisticamente la mafiosità probatoriamente certa alla possibile e perfino alla sospettabile), divennero aggredibili ”i patrimoni”, le “imprese”, le “aziende” . Escludibili, i membri degli aggregati, dalla economia privata e pubblica. O, se inclusi, brutalmente annientabili da confische di ogni avere.

2.2.1 Indi, l’apparato allungò i suoi tentacoli oltre l’isola di Sicilia, nel Meridione campanocalabropugliese prevalentemente, imprigionando interdicendo espropriando, disintegrando il tessuto sociopoliticoeconomico, devastando il compendio umano.

Il disastro, oggi, è nelle statistiche della povertà assoluta e relativa, della disoccupazione, del degrado morale, dell’analfabetismo di andata e di ritorno, della espansione della attività illegale a fine di sopravvivenza.

Dell’immiserimento e dell’immeschinimento d’ogni ordine, fra i più acuti del Globo.

L’IMPENNATA OPPRESSIVA REPRESSIVA DISTRUTTIVA

3.Ai primi anni ‘novanta, gli omicidii (parsi allora) di mafia, teatralmente compiuti in rapida successione, di due magistrati -che col “teorema Buscetta” da loro escogitato poi sperimentato con successo in Corte di Assise (centinaio di ergastoli e centinaia d’anni di pene detentive), per cui il delitto nel “mandamento” mafioso “non poteva non essere” delitto del suo Capo, perché questo “non poteva non sapere” e perché nessuno avrebbe osato commetterlo senza il suo pur tacito assenso…- inasprì quella prima “risposta dello Stato” (a base di “responsabilità collettiva”), sebbene fuori misura (anche storicamente).

Furono istituiti modi di imprigionamento annientativi di ogni facoltà della persona eccetto quella di vegetare (“41 bis”). Istituiti centri nazionali di inquisizione capillare e diretta in ogni parte del territorio, a comando unipersonale (il procuratore nazionale antimafia: ideato da un Ministro “socialista” della Giustizia, e da lui destinato ad uno dei due magistrati sopra ricordati). Furono generalmente incrementate le pene per i delitti (così, inoltre, portandone i tempi di prescrizione anche a mezzo secolo!), e le magistrature le attestarono sui livelli più alti, quando possibile sugli ergastoli.

E, a oltranza, da Cassazione penale, fu preparato l’avvento del “reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso”.

pietro diaz

Segue

AL GIP, PER RIGETTARE UN’ISTANZA, BASTA UNA SOLA FRASE CON UNA QUINDICIINA DI PAROLE…

CHIESTA, CON ISTANZA ADEGUATAMENTE CONGEGNATA IN FATTO E IN DIRITTO, LA REVOCA DEL SEQUESTRO PREVENTIVO DI UN APPARATO  MOBILIARE E IMMOBILIARE COMMERCIALE E RESIDENZIALE (disposto per reati ex  artt. 81, 110 c.p.,  256, comma 1 e comma 2 del D.lvo 152/06: per “sversamento di liquidi sul suolo e sul mare”), UN GIP RISPONDE:

considerato il giudicato cautelare (ord. Trib. Riesame 0O.O0.2000), richiamata l’ordinanza del 00.00.. 20Oi, di rigetto di analoga istanza, in assenza di elementi sopravvenuti in fatto e in diritto”;

1.Varrebbe la pena di discutere a fondo del cd “giudicato cautelare”, peraltro formularmente ignoto alla legge processuale penale (sebbene noto alla sua
giurisprudenza).
In  una  materia a trattamento (giudiziario) “cautelare”;  cioè prevenzionale; cioe presuppositivo di rischi  da contenere (se non elidere);  cioè operante
per   diagnosi  di “pericolosità” (reali o personali  o miste):
intrinsecamente  implicanti  fluidità, del suo stato,  mobilità e mutabilità costanti di questo.
Implicanti quindi  affermazioni e giudizi (“giudicato”) solo “allo stato”, della materia,  sua costante (ri)giudicabilità.

D’altronde, di quel trattamento e dei relativi presupposti, è  riflesso (solo sintetico) l’art 299 cpp.
Insieme alla già rilevata  assenza formulare (“giudicato cautelare”).
Insieme, essi a loro volta, alla assenza della più eloquente “segnaletica”  procedurale, le “preclusioni processuali”.
Preclusioni  sia a (ri)chiedere  che a (ri) emettere giudizio nella materia , (preclusioni)  che il “giudicato” classicamente implica, e che d’altronde soggiacciono al principio di tassatività.

1.1 Ma come che sia  la questione,  pare obiettabile,  alla ordinanza appellata,  alla luce dei rilievi (di fatto e di diritto) superiormente stanti (omissis),   che infondatamente ha invocato il giudicato cautelare:
se la “exceptio judicati” implica, costitutivamente, ipsità almeno fattuale (se non anche  giuridica) del suo  oggetto e di quello  giudicando.

E per ciò pare obiettabile che  la  supposizione fallace della ipsità dei due oggetti, (ripetesi) sopra indiscutibilmente esclusa,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.2 E pare obbiettabile che altrettanto infondatamente essa ha  negato la sopravvenienza “di elementi …in fatto e in diritto”. E ciò in conseguenza sia  della inidentificazione dell’oggetto del “giudicato”, sia del disconoscimento degli “elementi”  in sé.
Appena rilevando, d’altro canto, che se il disconoscimento  è stato “naturalistico” ,  è stato anche “cognitivistico”. Indebito allo stesso modo, se può essere anche solo tale,  cognitiva (per differente o integrante o novante  prospettazione, in logica fattuale o giuridica: vd sopra: omissis…) la sopravvenienza degli “elementi in fatto e in diritto”.

E per ciò pare obiettabile che  la  negazione fallace della sopravvenienza non solo “naturalistica” ma anche “cognitivistica” degli elementi, (ripetesi) sopra diffusamente dimostrata,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.3  E pare obiettabile che altrettanto infondatamente l’ordinanza ha   “richiamata l’ordinanza del 00.00.2000, di rigetto di analoga istanza”,  a mò di preclusione a (ri)chiedere (revoca).
Giacchè se il richiamo ha supposto  ipsità degli oggetti,  della “ordinanza” e della “istanza”, alla luce dei superiori rilievi (di fatto e di diritto),   lo ha fatto fallacemente.

E per ciò pare obiettabile che  la  supposizione fallace della ipsità dei due oggetti, (ripetesi) sopra diffusamente mostrata,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.4 Pare obiettabile, per ciò, mancanza anche grafica (nella poca grafia esistente, sta solo apparenza) della motivazione.

Con seguente nullità della ordinanza (ex art 125.3 cpp).

Pietro Diaz