DELL’UTRI FINISCE LA SUA PENA, PER “REATO DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA”, INFLITTAGLI SENZA CHE LA LEGGE LO PREVEDESSE….

Seconda e ultima parte
FATTO

4.Chi ritenga che il processo legislativo, dagli sbocchi sopra visti  , sia stato opera dei rappresentanti del popolo in Parlamento, ignorerebbe  il suo complesso  tecnicismo  e la sua estraneità alle conoscenze loro (sebbene,  allora, ben  più estese  di quelle d’oggi).

Il tecnicismo,  d’altronde,  corrispose ad un disegno punitivo e più latamente eliminativo, alle istanze della magistratura inquirente,  (particolarmente) “antimafia”, ed anche  giudicante. Basti notare, in proposito,  che un  magistrato  della sentenza (del  “maxiprocesso”)  che  attivava il “teorema Buscetta” fu prima nel  pubblico ministero   e dopo poco vi tornò,    divenendo  “procuratore nazionale antimafia” ( indi, per volontà di  un “segretario di partito”,   senatore e presidente del senato.   In questa veste,  il primo giorno d’aula,  depose  un ddl “anticorruzione”, a ricordo della veste precedente…).

Il tecnicismo, peraltro,  corrispose  solo a quelle istanze, non ad altre (eventualmente)  opposte, sebbene,  messo in legge che fosse stato da effettivi rappresentanti  del popolo ( ovviamente,  anche del popolo “delinquente”: artt. 1, 2, 3 Cost. ex aliis),  mai le avrebbe  trascurate.
Perché sorrette dalla Costituzione (quella del “diritto penale del fatto” e non “del soggetto”, della pena per “il fatto” e non  per il “modo di essere del soggetto”: artt. 25, 27, etc.). E sorrette, comunque,  dall’indole dialettica di ogni determinazione penale,  mai plausibilmente  incolpatoria se non anche discolpatoria.
4.1 E’ per ciò palese che,   se quel processo legislativo ha preso avvio ed è  stato  gestito esclusivamente dalla magistratura, questa si era munita della  capacità di instare con successo, da autentico Potere (anziché Ordine: art. 104.1 cost. ), in Parlamento.

Ma, conseguita la capacità politica (abnorme, perché scardinativa della costituzionale  separazione dei poteri…) di foggiare a  piacimento la legge “parlamentare”, si sarebbe trattenuta  dal legiferare direttamente,  sentenziando?
4.2 Da tempo praticava “interpretazioni estensive” della “lettera della legge”,  sebbene ad essa dovesse rigorosamente attenersi ( artt. 12 “Preleggi”, 1 cod. pen.,  25.2  Cost.). O la parafrasava o  la interpolava. O ne deviava o sviava  logica funzione e scopo.  O, di  più, ne sconnetteva  la scienza relativa, sebbene puntualmente enucleata dai principii “in generale” del Codice (Libro Primo) o dei Codici correlati (civile,  amministrativo…), o della Costituzione (ricorrendo a c.d.  “interpretazioni costituzionalmente orientate”, ma da visioni  del tutto proprie…).    .

Ma (forse) non era prevedibile che, per quanto “creativamente” sentenziasse caso per caso, sarebbe pervenuta ad aggiungere ad un intera categoria di reati, gli  “associativi”, ed ai relativi autori,  la categoria del concorso e dei concorrenti “esterni” ad essi.
E ciò sebbene,  quelli,  fossero casi di “responsabilità collettiva” e di “responsabilità per lo stile di vita”,  manifestamente deroganti  ai principii di “responsabilità personale” e “per il fatto”. E fossero, quindi,   casi “eccezionali” ex artt. 2 cod pen, 12 Preleggi”,  inestendibili ad altri  non espressamente previsti dalla legge.
LA MANOVRA “INTERPRETATIVA”
Premessa

  1. Quali e quanti possano essere gli autori dei reati lo dice la previsione legale:

Della rapina   può essere autore  chiunque e da solo.

Del peculato può essere autore  (non chiunque ma) l’agente pubblico e da solo.

Dell’ ”associazione per delinquere”  può essere autore chiunque ma non da solo – almeno tre- (per tale caratteristica è detta “reato necessariamente plurisoggettivo” ).

Dell’ammutinamento  può essere autore ( non chiunque ma) l’agente pubblico e non da solo –almeno quattro- (vd sopra in  parentesi).

5.1 Ciò nelle previsioni legali,  degli autori  dei reati ( e di questi).

5.2 Ma non è escluso  che essi, nell’avverarsi  dei reati,   possano essere   più,  anche  misti (agenti pubblici e  “comuni”, nel peculato ad esempio). Cioè che altri possano  aggiungersi all’autore (o agli  autori) della previsione legale.

Tuttavia:

-possono esserlo se eseguano  il  reato (ciascuno a suo modo: riempiendo la borsa, mentre l’altro minaccia con la pistola, nella rapina. Conducendo l’agente pubblico in giro turistico  con l’aereo statale nel peculato. Dirigendo l’associazione o partecipando a questa  nella associazione per delinquere. O dirigendo l’ammutinamento o partecipando ad esso).
-se lo eseguono  la loro attività è interna ad esso;
-interna perfino linguisticamente, tanto  da trarre verbi e nomi  (rapinare,  rapinatore,  peculare,  peculatore…) dal nome del reato (rapina, peculato).

Ora

Il  “concorrente esterno” agirebbe all’interno del  reato?

Agendo all’esterno, eseguirebbe  il reato?

Non eseguendo il reato  la sua attività potrebbe trarre denominazione da quella del reato?

5.3 Le risposte sono  (ovviamente) negative.

E purtuttavia, per paradosso anzi per ossimoro????, sono quelle che  danno, esplicitamente o implicitamente,   le sentenze  applicative del “reato di concorso esterno in associazione….”!.
Di fatti:
esterno=non interno; non interno=non esecutivo; non esecutivo non (de)nominativo dell’attività (al proposito,  il “concorrente esterno” mai è denominato associato. Anche perché, se lo fosse, sarebbe necessario aggiungere:  di che specie? perché queste, insieme alle pene, sono differenti).

5.4 Basta ciò per capire quanto le figure del “concorso esterno”,  del “concorrente esterno”, già dalla interna contraddizione terminologica abbiano scombinato la materia, il  diritto  e la scienza che la impregnano, la logica inerente.

Scombinamento, d’altronde, platealmente  implicante:

– che “il fatto” del concorrente esterno è del tutto estraneo “al fatto” del reato;

– che nessuna  legge lo prevede;

– che la sua incolpazione è attuata  senza che la  legge la preveda;

è attuata  contro   la legge (della “legalità” della incolpazione penale: at 1 cod pen, artt 25 cost), che lo  vieta.
IL VEICOLO  MANOVRANTE: L’ART.  110 cod pen.

6.Ma quale mezzo specifico ha sostenuto la manovra?

Stava  (e sta)  nel codice una norma generale (art 110 cod.pen.) che si occupava della possibilità che, all’autore della previsione del reato se ne aggiungessero altri, detti “concorrenti”.
E che si preoccupava di avvertire che, a questi,  pur se avessero solo (co)eseguito il reato (vd sopra… gli esempi), sarebbe stata applicata la pena degli altri.

Ebbene questa norma, del modo della punizione dei concorrenti nel reato,  (inopinatamente) è stata impiegata quale   norma anche del reato associativo.

Non percependo tuttavia, o travisando o rimuovendo, che:

– essa si riferiva  ai  concorrenti in  reati previsti ad autore unico (rapina,  peculato…),  non plurimo e associativo (ammutinamento, associazione per delinquere);

-essa implicava che   concorresse solo chi eseguisse il reato,  compiendo   attività interna ad esso;

– ovunque  fosse condotta, fosse pure ai reati associativi, avrebbe riprodotto quest’ultima implicazione ( e le altre sopra dette, sub 5.2);

-d’altro canto,  i reati associativi sono in sé stessi aperti alla pluralizzazione degli autori della previsione legale, perchè costitutivamente “associativi”, dove cioè la pluralizzazione degli autori corrisponde al fatto del reato. E lo esaurisce;

lQuindi:

non percependo o travisando o rimuovendo, dicevasi,   la totale oppositività della norma  alla raffigurazione del “concorso esterno”, del “concorrente esterno”, al reato associativo. Per internità, al reato, della attività del concorrente, ripetesi,   pregnante al punto di rappresentare,  l’art 110, anziché norma costitutiva, delle reità,  norma esclusivamente punitiva d’esse.

EFFETTI SOCIOPOLITICI DELLA MANOVRA “INTERPRETATIVA”.

7.In venticinque anni di vita giudiziaria, il “concorso esterno in associazione di tipo mafioso” ha raddoppiato le quantità degli aggregati sociali (detti “associazioni”) imprigionati ed espropriati di ogni avere civile.
Avvocatura e scienza penale hanno ripetutamente denunciato la eclatante violazione del multisecolare principio della legalità (riconducibilità a legge) della attività punitiva istituzionale. Legalità quale invalicabile limite,  democratico se  di origine parlamentare,  di essa.
E quale fondamento della separazione costituzionale dei poteri (senza la quale si ritornerebbe  a prima delle rivoluzioni borghesi, della relativizzazione degli assolutismi).

Le denunce non possono non essere giunte in Parlamento. Che con una semplice disposizione  legislativa, di  “interpretazione autentica” del rapporto fra le norme degli agli artt. 110, 416 bis cod pen, avrebbe potuto apprezzarle.

Invano.

Ebbene anche ciò  dimostra,  irrefragabilmente,  come e quanto,  potere giudiziario e potere legislativo (in posizione  leonina il primo), sia siano oramai-involutivamente- (ri)uniti.

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