Archivio mensile:Febbraio 2020

LA MALAFEDE DEL DDL BONAFEDE: PRESCRIZIONE E DURATA DEL PROCESSO

Ognuno ricorda la ragione ufficiale della riforma del processo penale.

Sarebbe stata diretta ad evitare che l’abolizione della prescrizione penale, voluta dal governo gialloverde insieme alla legge “spazzacorrotti”, conservata (con questa) dal governo giallorosso, generasse accusati a vita dopo la prima sentenza di condanna o di assoluzione. Come paventato ed obiettato dalla maggioranza della avvocatura e della accademia.

Il governo rispose che, quella dimensione temporale, sarebbe stata accorciata limitando i tempi iniziali medi e finali del processo. E nelle occasioni stilisticamente più impegnate, aggiunse che, l’opera, avrebbe adempiuto al precetto di “ragionevole durata del processo”, costituzionalmente sancito in art 111.2 Costituzione.

L’accorciamento dei tempi del processo fu, in una parola, prospettato dal governo quale offerta transattiva, in cambio della rinuncia alla pretesa, dalle suddette categorie, della conservazione della prescrizione.

Il ddl (disegno di legge) è stato approvato e, dal governo, ne è stato diffuso il contenuto mediante un comunicato stampa.

Per quanto è dato apprendere (in tema, ) sono stati accorciati:

i tempi delle indagini preliminari (invero relativamente, perché alcune indagini, per taluni reati, possono godere di ben diciottomesi, prorogabili per sei mesi);
i tempi dei primi giudizi;
i tempi dei secondi giudizi (di Appello);
i tempi di Cassazione.

Inoltre sono state previste “sanzioni disciplinari” per le trasgressioni d’essi (ne è stata prevista, invero, segnalazione all’organodisciplinare), nei (soli) casi di Dolo o di Negligenza inescusabile).

Cioè:

le trasgressioni non sono state sanzionate penalmente, ad esempio con previsione di reati di abuso d’ufficio o di omissione di atti o di quant’altro, i reati stimolatori degli adempimenti di tutti gli uffici pubblici, ma non di quelli giudiziari!

Né sono state sanzionate civilmente, in quanto dannose dei diritti della parti alla ragionevole durata del processo (valore costituzionale, si ricorda); mentre lo sono i fatti ingiustamente dannosi che qualunque agente pubblico (non giudiziairio) o privato cagionasse a qualunque membro della società (art 2043 cc)!

Insomma, le trasgressioni del ddl integrano bagatelle disciplinari, a responsabilizzazione (soggettiva) assai ristretta ( dolo o negligenza inescusabile: una specie rarissima della colpa). Per di più, processabili da “giustizia domestica” ( da altri magistrati).

MA COMUNQUE

Ad accorciamento della durata del processo, ad eclisse della tragica figura dell’accusato a vita, è’ stato previsto altro?

I termini (taciti o impliciti) della transazione furono che, non accorciata la durata del processo mediante la prescrizione, lo sarebbe stata con altri mezzi.
Che agissero sulla durata al modo della prescrizione:

togliendo alla magistratura il potere di protrarla, prevedendo estinzione o decadenza dell’”azione penale” o della “punibilità del reato” o, più istituzionalmente, del “potere di punire” (o altre formule descrittive del fenomeno).

Insomma era stato promesso ed era atteso, che decorsi i termini ultimi delle indagini o dei giudizi, il processo si fermasse irremissibilmente.

Ebbene

Dov’ è la previsione della estinzione o decadenza o altro del propulsore (comunque denominato) del processo?

Non pare proprio che il ddl la contenga!

Quindi, la promessa costituì l’artifizio per indurre una parte a riporre le armi?
Costituì il raggiro della attesa, in art 111 Cost. di un limite temporale al processo effettivamente invalicabile?

Nemmeno il comunicato stampa del governo riesce a negarlo.
Invero:
“Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha approvato un disegno di legge che prevede deleghe al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti d’appello.
Il testo interviene, nella prima parte, con specifiche previsioni di delega relative alla riforma del Codice di procedura penale, da attuarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge di delega, con una finalità di semplificazione e di aumento della celerità del procedimento.”

Dunque, ddl per la “celere definizione dei procedimenti”, per “l’aumento della celerità del procedimento”.
Senza la minima comminatoria di decadenza, di estinzione d’essi…

pietro diaz

PADELLARO, DA FORMIGLI A “PIAZZA PULITA”, CON DAVIGO E CAIAZZA.

1.Per la prima volta l’altro ieri, un conduttore di talk show usualmente ospitante, forse per identità di fede, l’incessante locutore di diritto (solo) persecutorio,  Davigo, ha posto di fronte a questi chi potesse contraddirgli.
Uno della sua formazione, dopo caterve di pseudocontraddittori di tutt’altra formazione, al postutto plauditori.

L’avvocato G. D. Caiazza.

Per ciò, impostato l’incontro de jure in chiave finalmente dialettica, non si comprende perché, il conduttore, abbia ospitato anche “ Padellaro”, di cui mai è risultata la competenza (se non fosse risultata sempre l’incompetenza) a interloquirvi.

Se non supponendo che lo abbia fatto perché, costui, fu “ fondatore” di un Quotidiano che, con la attuale guida, ha trascritto ed esaltato visceralmente il pensiero ed il verbo del magistrato.

E che sia stata tale “benemerenza” la ragione della sua presenza, egli stesso si affretta a mostrarlo.

Aperto un taccuino d’appunti, correndo subito (manco a dirlo) al “fatto”, alieno visibilmente alla teoria, occhi astratti e tono recisorio, ad elogio della cacciata della prescrizione penale rimarca, con sdegno, che nel processo per il disastro ferroviario di Viareggio (cui nessuno al momento pensava), il reato di incendio e quello di lesioni si siano prescritti.

E ventila che l’allora AD di Ferrovie dello Stato ( e di altro ente), sia stato condannato a (sette anni di) reclusione sol perché avrebbe rinunciato ad essa.

Con ciò dando a vedere di credere ( e dando a credere) che, essendo, le (32) morti del disastro, avvenute tra le fiamme, col reato di incendio si siano prescritte anch’esse!

2.Ciò deposto, Formigli, forse perché estraneo alla esigua percentuale di italiani che, secondo recente demoscopia, saprebbe qualcosa di prescrizione , non obietta alcunché.

Ma non obietta nemmeno Davigo, alcunché.

Sebbene stia ampiamente in quella percentuale. Sia, inoltre, esponente di spicco del CSM e presidente di Cassazione penale. Oltre che glorioso reduce di Mani Pulite. E quindi :

per ragione istituzionale se non professionale dovrebbe obiettare, se vi fosse ( e vi è) di che.
.
E in vece tace, malgrado quell’emissione sonora strida oltremodo.

Sia perché le morti nell’incendio integrarono più reati di omicidio (omicidio colposo plurimo: art. 589. 5 cp). Reato la cui pena edittale raggiunge anni quindici. Ed è perciò prescrittibile in pari tempo aumentato di un quarto. E decorrente, si sa, dal giorno dell’accadimento (anno 2009).

E sia perché, l’AD suddetto, essenzialmente per quelle morti, quel reato, (oltre che, marginalmente, per il reato di incendio e di lesioni) è stato condannato.

E lo sarebbe stato pur se non avesse rinunciato alla prescrizione. Per quel reato, oltretutto, nemmeno rinunciabile, giacchè immatura fino all’anno 2029.

E ciò indipendentemente dalla “legge Bonafede”.
Demagogicamente silenziante che i reati “alla moda” (corruzione droga immigrazione mafia etc.), e innumerevoli altri:
o hanno pene talmente elevate da “ impossibilitare” la prescrizione;
o derogano al suo regime (esempi in art. 157.4 cp).

3.Mentre l’avvocato Caiazza, chiamato a contraddire a Davigo, sullo specifico punto non ha degnato di interlocuzione l’ospite profano.

TRAVAGLIO A GAIA TORTORA…. ex art 27.2 cost..

“…non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente finisce in carcere…”.

Ha inteso dire:

poichè la “presunzione di innocenza” attiene a chiunque, è data (dalla Costituzione) a chiunque, è necessariamente il “presunto innocente” che “finisce in carcere” (quando questo operasse)? Non potrebbe che esser lui?

Ma se così fosse:

la “presunzione di innocenza”, come il suddetto ne dice (in realtà presunzione di “non colpevolezza” almeno secondo l’art 27 cost.), sarebbe formula soltanto denominatoria di ogni accusato, ininfluente al trattamento della sua condizione, a quello, in specie, riguardante l’incarcerazione.

Ciò che, al contrario,  comanda di distinguere fra innocente e colpevole, di attuare accertamento della colpevolezza che superi la “presunzione di innocenza”.

Altrimenti,  la formula , non solo equivarrebbe all’inversa, la “presunzione di colpevolezza”, ma sarebbe sopraffatta da questa, quante volte l’accertamento della colpevolezza non la superasse. E anzi, da essa sarebbe indotto ( se non vincolato) a non superarla.

Quelle volte, d’altronde, innumerevoli, han generato prassi che hanno istituito tacitamente la presunzione inversa.

Laddove essa nacque e fu posta quale regola del giudizio (probatorio).
Del giudizio accertativo del suo contrario, la colpevolezza, ad ogni contatto processuale (iniziale medio e finale) fra accusatore e accusato.
Contatti peraltro appositamente sorvegliati dal giudice, vigilato a sua volta dal difensore, affinchè applicasse la “presunzione di non colpevolezza” quando fosse disapplicata dall’accusatore.

——–

A parte la questione se la “presunzione di innocenza” permetta la incarcerazione preventiva dell’accusato prima della condanna.
Dato che essa è in tutto parificabile alla incarcerazione finale punitiva. Che essa è punitiva. E che , la “punizione”, presuppone condanna definitiva (art. 27.2 cost.).

Questione peraltro intuita dal legislatore processuale del 1988, che perciò presentò l’incarcerazione come extrema ratio, come misura da applicare quando ogni altra non fosse adeguata allo scopo.

Misura estrema, quindi, sebbene tale qualità sia poi stata erosa da legislazioni speciali imponenti il carcere alla prima accusa (qualcuna significativamente intitolata a proponenti dal mestiere, pregresso, di Soubrette!).

E sia stata comunque frantumata e dispersa dalle prassi incarceratorie del Paese, paurosamente dilaganti.

Pietro Diaz

La condanna generica al  risarcimento del danno può non contenere nemmeno in potenza danno specifico.

Come dire (con Calamandrei) che, accertato che tizio è genericamente morto, si scopre che è specificamente vivo…

 

Sentenza del Tribunale di Cagliari anno 2019

 

1.“È incontroverso che… con la sentenza n. 1…/06 della Corte di Cassazione [si era  formato]  giudicato sui seguenti punti…… accoglimento della domanda di accertamento della titolarità in capo al Signor … delle restanti ….000 azioni del valore di …..000 ciascuna depositate presso la Tesoreria della RAS in previsione di un futuro aumento di capitale sociale (che poi non fu mai attuato) e condanna generica della RAS al risarcimento del danno in favore del Signor…. e della società ….. per la mancata disponibilità delle ….000 azioni”;

nondimeno:

….la pronuncia di condanna generica al risarcimento comporta un accertamento limitato alla potenzialità del danno, la cui concreta esistenza deve essere dimostrata davanti al giudice della liquidazione; quest’ultimo può infatti negare la sussistenza del danno, senza incorrere in violazione del giudicato. […] E difatti sia il Tribunale nella sentenza n. 1/95, sia la Corte d’Appello nella sentenza n. /03, nel motivare sulla condanna generica hanno espressamente fatto riferimento alla potenzialità lesiva dell’attività illegittima della pubblica amministrazione, ferma restando la necessità, nel presente giudizio, di dimostrare la lesività in concreto della condotta […] Nell’atto di citazione l’attore ha ripercorso tutta la vicenda che ha condotto alla condanna generica della RAS, ma non ha formulato alcuna allegazione su quello che è l’oggetto del presente giudizio, quindi sull’esistenza in atto e sulla quantificazione del danno…;

 

  1. Ma ciò implica che:

a. la condanna al  risarcimento del danno non sia una sentenza di accertamento di questo.
Cioè di sua identificazione, in ogni elemento qualitativo, di qualunque genere e specie, tranne l’elemento quantitativo relativo ( questo sì appellabile potenziale, nel senso dell’essere aperto ad ogni ponderazione);

b.non essendo una sentenza di accertamento del danno, non sia nemmeno una sentenza di accertamento della condotta riparatoria (fin dal presupposto). Cioè di sua identificazione nel genere e nella specie (ovviamente  nei limiti della previsione legale);

c) non essendo una sentenza di accertamento della condotta riparatoria, non sia nemmeno una sentenza di accertamento del dovere di riparare. E quindi del precetto di riparare. E quindi del proprio imprescindibile contenuto di sentenza di condanna;

d) ma se ciò implica il discorso del giudice, perché mai (comunque) egli evoca “una sentenza di condanna”, tanto da porsi a “perfezionarne” il contenuto?

L’illogicità, absit jniuria…, fu pittorescamente descritta da Calamandrei in tema:

come se il primo accertamento dicesse   che tizio è genericamente vivo ed il secondo potesse dire che è specificamente morto…:

pietro diaz

 

AL CITOFONO, STALKER DI IMMIGRATI?

La “citofonata” di Salvini, con codazzo di reporter ( sostenitori   assistenti varii….), alla famiglia di tunisini cui ha provocatoriamente  chiesto se fossero “spacciatori”, potrebbe porre la questione  giuridica (oltre che, ovviamente, di altri generi).

Se integri stalkeraggio, il delitto di “atti persecutori” previsto in art. 612 bis cp.

Semplificando al massimo.

Il reato ( perciò “complesso”) è composto da altri due: quello di “molestia…” (art 660 cp) e quello di “minaccia” (a 612 cp); e da altri accadimenti conseguenti (stato di ansia o di paura, timore per la propria incolumità nel destinatario….).

Per commetterlo, basta che sia commesso uno qualunque d’essi, purché almeno due volte (secondo Cassazione, più di due secondo altri..).

Se la “ citofonata” molestò i destinatari (lo fece certamente, se molesta “chiunque…..col mezzo del telefono (o citofono ndr) per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo, è punito….).

Se per di più li minaccio’ di “danno ingiusto” (oscuramente e palesemente: che cosa si proponevano, sul conto dei tunisini, il razzista esplicito ed il complice e fervoroso assembramento dintorno?).

Allora:

poiché essa constò di un unico “atto”, pur persecutorio, non ha integrato il reato di “atti” persecutori.

Va tuttavia notato che, la “citofonata”, si indirizzo’ a tutti i componenti (almeno tre) della famiglia tunisina.

Notato, cioè, che più persone furono molestate e/o minacciate.

E che il reato protegge ogni persona.

Per cui, se con una sola azione si molestino o minaccino (contemporaneamente) più persone, più sono i fatti, i reati commessi (art 81.1 comma cod pen).

E se così è, l’interrogativo è se, quella pluralità di fatti nell’unità della azione, integri la pluralità degli “atti persecutori” di cui parla l’art. 612 bis cit..

Discende agevolmente che, se la risposta fosse affermativa, e potrebbe esserlo, è ravvisabile il reato in questione.

Va d’altro canto notato che, se non si erra, Salvini ha diffuso la “citofonata” sui “social”.

E se essa avesse raggiunto (lo ha fatto, si dice) anche per tale via, i componenti della suddetta famiglia, certamente sarebbero stati più (almeno due) gli atti persecutori (il mezzo esecutivo d’essi è indifferente, importa che realizzi i fatti).

Dunque è plausibile che la “ citofonata” di Salvini, o perché offendente più persone ad un tempo, o perché replicata sui social, abbia integrato il reato in parola.

Resta da valutare se, egli, ne sarebbe unico responsabile.

La risposta è agevolmente negativa .

Perché se è vero che l’indirizzo dei tunisini gli fu dato da un maresciallo dei CC per il tramite di “una mamma” che invocava il suo intervento.

Ed è vero che, egli,  sarebbe stato scortato, al citofono, dal cupo raduno di cui si è detto:

l’art 110 del codice penale, innestato nell’art 612 bis cit., non ha incertezze a prospettare che tutti costoro sarebbero responsabili del reato quali concorrenti.