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La condanna generica al  risarcimento del danno può non contenere nemmeno in potenza danno specifico.

Come dire (con Calamandrei) che, accertato che tizio è genericamente morto, si scopre che è specificamente vivo…

 

Sentenza del Tribunale di Cagliari anno 2019

 

1.“È incontroverso che… con la sentenza n. 1…/06 della Corte di Cassazione [si era  formato]  giudicato sui seguenti punti…… accoglimento della domanda di accertamento della titolarità in capo al Signor … delle restanti ….000 azioni del valore di …..000 ciascuna depositate presso la Tesoreria della RAS in previsione di un futuro aumento di capitale sociale (che poi non fu mai attuato) e condanna generica della RAS al risarcimento del danno in favore del Signor…. e della società ….. per la mancata disponibilità delle ….000 azioni”;

nondimeno:

….la pronuncia di condanna generica al risarcimento comporta un accertamento limitato alla potenzialità del danno, la cui concreta esistenza deve essere dimostrata davanti al giudice della liquidazione; quest’ultimo può infatti negare la sussistenza del danno, senza incorrere in violazione del giudicato. […] E difatti sia il Tribunale nella sentenza n. 1/95, sia la Corte d’Appello nella sentenza n. /03, nel motivare sulla condanna generica hanno espressamente fatto riferimento alla potenzialità lesiva dell’attività illegittima della pubblica amministrazione, ferma restando la necessità, nel presente giudizio, di dimostrare la lesività in concreto della condotta […] Nell’atto di citazione l’attore ha ripercorso tutta la vicenda che ha condotto alla condanna generica della RAS, ma non ha formulato alcuna allegazione su quello che è l’oggetto del presente giudizio, quindi sull’esistenza in atto e sulla quantificazione del danno…;

 

  1. Ma ciò implica che:

a. la condanna al  risarcimento del danno non sia una sentenza di accertamento di questo.
Cioè di sua identificazione, in ogni elemento qualitativo, di qualunque genere e specie, tranne l’elemento quantitativo relativo ( questo sì appellabile potenziale, nel senso dell’essere aperto ad ogni ponderazione);

b.non essendo una sentenza di accertamento del danno, non sia nemmeno una sentenza di accertamento della condotta riparatoria (fin dal presupposto). Cioè di sua identificazione nel genere e nella specie (ovviamente  nei limiti della previsione legale);

c) non essendo una sentenza di accertamento della condotta riparatoria, non sia nemmeno una sentenza di accertamento del dovere di riparare. E quindi del precetto di riparare. E quindi del proprio imprescindibile contenuto di sentenza di condanna;

d) ma se ciò implica il discorso del giudice, perché mai (comunque) egli evoca “una sentenza di condanna”, tanto da porsi a “perfezionarne” il contenuto?

L’illogicità, absit jniuria…, fu pittorescamente descritta da Calamandrei in tema:

come se il primo accertamento dicesse   che tizio è genericamente vivo ed il secondo potesse dire che è specificamente morto…:

pietro diaz

 

AL GIP, PER RIGETTARE UN’ISTANZA, BASTA UNA SOLA FRASE CON UNA QUINDICIINA DI PAROLE…

CHIESTA, CON ISTANZA ADEGUATAMENTE CONGEGNATA IN FATTO E IN DIRITTO, LA REVOCA DEL SEQUESTRO PREVENTIVO DI UN APPARATO  MOBILIARE E IMMOBILIARE COMMERCIALE E RESIDENZIALE (disposto per reati ex  artt. 81, 110 c.p.,  256, comma 1 e comma 2 del D.lvo 152/06: per “sversamento di liquidi sul suolo e sul mare”), UN GIP RISPONDE:

considerato il giudicato cautelare (ord. Trib. Riesame 0O.O0.2000), richiamata l’ordinanza del 00.00.. 20Oi, di rigetto di analoga istanza, in assenza di elementi sopravvenuti in fatto e in diritto”;

1.Varrebbe la pena di discutere a fondo del cd “giudicato cautelare”, peraltro formularmente ignoto alla legge processuale penale (sebbene noto alla sua
giurisprudenza).
In  una  materia a trattamento (giudiziario) “cautelare”;  cioè prevenzionale; cioe presuppositivo di rischi  da contenere (se non elidere);  cioè operante
per   diagnosi  di “pericolosità” (reali o personali  o miste):
intrinsecamente  implicanti  fluidità, del suo stato,  mobilità e mutabilità costanti di questo.
Implicanti quindi  affermazioni e giudizi (“giudicato”) solo “allo stato”, della materia,  sua costante (ri)giudicabilità.

D’altronde, di quel trattamento e dei relativi presupposti, è  riflesso (solo sintetico) l’art 299 cpp.
Insieme alla già rilevata  assenza formulare (“giudicato cautelare”).
Insieme, essi a loro volta, alla assenza della più eloquente “segnaletica”  procedurale, le “preclusioni processuali”.
Preclusioni  sia a (ri)chiedere  che a (ri) emettere giudizio nella materia , (preclusioni)  che il “giudicato” classicamente implica, e che d’altronde soggiacciono al principio di tassatività.

1.1 Ma come che sia  la questione,  pare obiettabile,  alla ordinanza appellata,  alla luce dei rilievi (di fatto e di diritto) superiormente stanti (omissis),   che infondatamente ha invocato il giudicato cautelare:
se la “exceptio judicati” implica, costitutivamente, ipsità almeno fattuale (se non anche  giuridica) del suo  oggetto e di quello  giudicando.

E per ciò pare obiettabile che  la  supposizione fallace della ipsità dei due oggetti, (ripetesi) sopra indiscutibilmente esclusa,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.2 E pare obbiettabile che altrettanto infondatamente essa ha  negato la sopravvenienza “di elementi …in fatto e in diritto”. E ciò in conseguenza sia  della inidentificazione dell’oggetto del “giudicato”, sia del disconoscimento degli “elementi”  in sé.
Appena rilevando, d’altro canto, che se il disconoscimento  è stato “naturalistico” ,  è stato anche “cognitivistico”. Indebito allo stesso modo, se può essere anche solo tale,  cognitiva (per differente o integrante o novante  prospettazione, in logica fattuale o giuridica: vd sopra: omissis…) la sopravvenienza degli “elementi in fatto e in diritto”.

E per ciò pare obiettabile che  la  negazione fallace della sopravvenienza non solo “naturalistica” ma anche “cognitivistica” degli elementi, (ripetesi) sopra diffusamente dimostrata,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.3  E pare obiettabile che altrettanto infondatamente l’ordinanza ha   “richiamata l’ordinanza del 00.00.2000, di rigetto di analoga istanza”,  a mò di preclusione a (ri)chiedere (revoca).
Giacchè se il richiamo ha supposto  ipsità degli oggetti,  della “ordinanza” e della “istanza”, alla luce dei superiori rilievi (di fatto e di diritto),   lo ha fatto fallacemente.

E per ciò pare obiettabile che  la  supposizione fallace della ipsità dei due oggetti, (ripetesi) sopra diffusamente mostrata,  implichi (radicale ) difetto di motivazione in punto.

1.4 Pare obiettabile, per ciò, mancanza anche grafica (nella poca grafia esistente, sta solo apparenza) della motivazione.

Con seguente nullità della ordinanza (ex art 125.3 cpp).

Pietro Diaz

CASSAZIONE A SEZIONI UNITE (OLTRE O SENZA O) CONTRO LA LEGGE PROCESSUALE PENALE

E’ stata posta, al giudice monocratico, questione sulla persona della p.o. pc. quale testimone ex art 197 bis cpp; sulla inammissibilità o invalidità di altra specie. Sulle conseguenze della assunzione della p.o., p.c. quale testimone comune:

1.Il giorno…., figlia e genero di…,  sono avvicinati dalla persona offesa, che consegna ad essi uno scritto (prodotto e in fdib.) dicente: Tieni …–….. –tra le tante cose che ignori c’è anche questo: tuo padre ha bisogno di essere curato perchè la smetta di fare del male agli altri e a se stesso e perchè finisca per me il film dell’orrore nel quale mi trovo di giorno …….. io non posso fare più niente, nemmeno evitare che la notizia, con la sua fotografia, finisca sul giornale quando verrà processato. Questa comunicazione fatta per iscritto è stata ritenuta gravemente diffamatoria e minatoria da …., e in quanto tale è stata da lui querelata. E’ stato avviato procedimento penale per reato di diffamazione. Esso è stato indirizzato dal Procuratore della Repubblica verso l’archiviazione perchè non vi sarebbe stato dolo di diffamazione, né vi sarebbero state minacce o altro reato. … ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. L’opposizione è stata dichiarata inammissibile de plano (la difesa lo apprende sul momento per indicazione della difesa di p.c). senza che, all’opponente né al suo difensore … ne fosse data comunicazione (tuttora omessa). La p.o. p.c. risultava “testimone archiviato”,  puntualmente rientrante nella specie prevista e regolata dall’art. 197 bis cpp, quale testimone assistito da un difensore, facultato a tacere o a non dire contro sé, onerato, nella dichiarazione, da conferme estrinseche della sua attendibilità, etc..

La difesa, ripetesi,  ha  posto  la questione, premesso che, se i reati attribuiti rispettivamente ai due non fossero connessi (nei relativi procedimenti: art 12 cpp), sarebbero collegati per reciprocità di offesa e probatoriamente  ex art 371.1 b) c). La pc si oppone (ambendo all’accredito della testimonianza senza conferma della sua attendibilità). Si oppone anche il PM.

1.1.Il giudice: in relazione all’audizione della persona offesa visto il consolidato orientamento delle Sezioni Unite del 2010, dispone che l’audizione della persona offesa sia effettuata nelle forme ordinarie, essendo un testimone comune in quanto intervenuta archiviazione nei suoi confronti, così come da documentazione prodotta all’odierna udienza.

1.2 perchè sarebbe testimone comune, essendo per (chiara) legge di art 197 bis cpp “testimone archiviato”? Per legge e per ripetute sentenze di Consulta, che si erano astenute dall’affermarlo poichè avrebbero dovuto svolgere attività legislativa (di abrogazione parziale della legge indicata) non spettante ad essa (vd dopo). Ed il consolidato orientamento delle Sezioni Unite del 2010 risponde alla domanda, spiega le ragioni del disattendimento della affermazione contraria (vd tra poco) ? Con esso non risponde  la ordinanza. Insomma, ha una motivazione l’ordinanza che non sia aprioristicamente assertiva? Si riportano in (corsivo) gli argomenti di SSUU cit con rapidi commenti della difesa (in grassetto):

Corte di cassazione penale sezioni unite 29 marzo 2010 n 12067 premette:

la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 197 – bis c.p.p. “nella parte in cui non prevede che anche le persone indagate in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. possano essere sempre sentite come testimoni – con le garanzie di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 della citata norma […] – quando nei loro confronti è stato pronunciato decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 411 cod. proc. pen.”, nonché del comma 5 del medesimo articolo, “nella parte in cui non prevede la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle dette persone contro di esse nel procedimento conseguente alla eventuale riapertura delle indagini”, la dichiarò manifestamente inammissibile con ordinanza n. 76 del 2003, rilevando che:

nell’assetto scaturito dalla legge 1 marzo 2001, n. 63 (che ha ridefinito i casi di connessione tra procedimenti e di collegamento tra reati, modificato l’art. 197 c.p.p. con ampliamento del novero dei provvedimenti idonei a far cessare la incompatibilità a testimoniare, in precedenza individuati nella sola sentenza irrevocabile di proscioglimento, e previsto nell’art. 197 – bis c.p.p. una particolare disciplina e specifiche garanzie per l’esame testimoniale dell’imputato sul fatto altrui) l’incompatibilità con l’ufficio di testimone per gli imputati in procedimento connesso o di reato collegato è stata esclusa a condizione che siano stati definitivamente giudicati (e sia perciò operante il divieto di bis in idem), ovvero a condizione che abbiano volontariamente assunto la veste di testimone (a seguito dell’avviso a norma dell’art. 64, comma 3, lettera c, c.p.p.) e non siano imputati dello stesso fatto (art. 12, comma 1, lettera a, c.p.p.);

e premette:

Sulla scia di tale ordinanza, che pur si muoveva nell’ambito della questione posta e opponeva essenzialmente un non possumus istituzionale, la giurisprudenza di legittimità si è consolidata nella tesi che il provvedimento di archiviazione, in quanto atto inidoneo a produrre una situazione di stabilità processuale pari a quella di un’assoluzione irrevocabile, non determina il venir meno dell’incompatibilità prevista dall’art. 197 c.p.p., e che, quindi, stante la ratio di tale norma, costituita dal principio del ne bis in idem (che non può essere posto a fondamento dell’archiviazione, provvedimento definitivo allo stato degli atti), sussiste l’incompatibilità a testimoniare dell’indagato archiviato, salvo il caso che lo stesso, previamente avvertito, abbia rinunciato ad avvalersi della facoltà, riconosciuta dall’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p., cui fa espresso rinvio l’incipit della lettera b) dell’art. 197 c.p.p., di non rispondere anche sui fatti riguardanti la responsabilità di altri, nel qual caso è legittima la sua assunzione come testimone assistito. Sostanzialmente in tal senso v. sez. 6, 1 febbraio 2005, n. 22402, P.M. in proc. Gilbo, Rv. 231851; sez. 5, 15 marzo 2007, n. 15804, Grimaldi, Rv. 236556; sez. 2, 10 aprile 2008, n. 26819, Dell’Utri, Rv. 240946; sez. 2, 9 luglio 2008, n. 34843, Manticello, Rv. 241298; sez. 6, 7 ottobre 2008, n. 44274, Russo, Rv. 242386.

Ebbene

– Ad avviso del Collegio, tale orientamento va rimeditato.

”rimedita(..)”, il Collegio, l’orientamento formatosi sulla scorta di una ordinanza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 197 bis cpp, perché il suo accoglimento avrebbe imposto alla Corte attività attribuita al legislatore parlamentare (cioè attività modificativa, in tutto o in parte, della legge vigente, mediante l’adozione di scelte normative discrezionali ). Rimedita il Collegio di attribuirsi il potere di compiere quella attività.

Peraltro prosegue

La citata lett. a) del comma 1 dell’art. 197 poneva un’incompatibilità assoluta per i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, precisando espressamente che la stessa permaneva anche se nei loro confronti fosse stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di condanna, salvo che la sentenza di proscioglimento fosse divenuta irrevocabile. Non la cessazione della qualità di imputato, quindi, e neppure il formarsi di un giudicato definitivo nei suoi confronti, facevano cessare l’incompatibilità, ma solo il giudicato definitivo di proscioglimento, che rimetteva peraltro il soggetto nella capacità di testimoniare tout court.

Per quanto la disposizione anzidetta parlasse solo di imputati e accennasse, per escluderne la rilevanza ai fini della cessazione dell’incompatibilità a testimoniare, a esiti del processo che presupponevano specificamente tale qualità (“sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di condanna”), con la sentenza n. 108 del 4 marzo 1992 la Corte costituzionale ebbe a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 60 c.p.p., in relazione agli artt. 405 e 197, primo comma, lettera a), dello stesso codice, nella parte in cui – secondo il giudice rimettente – non avrebbe previsto l’incompatibilità con l’ufficio di testimone della persona sottoposta alle indagini, nei confronti della quale fosse stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale in un procedimento conclusosi con l’archiviazione. Osservò, infatti, la Corte che la norma di garanzia contenuta nell’art. 197, primo comma, lettera a) del codice di procedura penale doveva essere applicata alla persona sottoposta alle indagini preliminari così come essa veniva applicata all’imputato; vale a dire che il combinato disposto di tale norma con l’art. 61, primo comma, c.p.p. vietava l’assunzione come testimone delle persone sottoposte alle indagini preliminari anche se nei loro confronti fosse stato pronunciato provvedimento di archiviazione. Una conseguenza, questa, reputata coerente al sistema, dato che il presidio offerto dal principio secondo cui nemo tenetur se detegere – su cui si fondava l’esclusione dall’ufficio di testimone dell’imputato, nei cui confronti fosse stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere (revocabile a norma dell’art. 434 c.p.p.) – doveva valere anche per la persona sottoposta alle indagini preliminari nei cui confronti fosse stato pronunciato provvedimento di archiviazione, essendo prevista in tal caso la possibilità di riapertura delle indagini.

Dopo di che rileva

Quanto alle persone imputate di un reato collegato a quello oggetto di procedimento a sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b) (allora contemplante la sola ipotesi del collegamento interrogatorio), non era prevista, nel regime originario, alcuna clausola specificativa della durata dell’incompatibilità, e la Corte costituzionale, con sentenza n. 294 depositata il 17 luglio 2000, interpretò tale omissione nel senso che l’incompatibilità sussisteva, in detta ipotesi, soltanto nei confronti di coloro che, e per il tempo in cui, rivestivano la qualità di persone imputate o indagate (in virtù della generale estensione prevista dall’art. 61 c.p.p.) di un reato collegato a norma dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b).

Di conseguenza l’intervenuta archiviazione del procedimento probatoriamente collegato (ovvero qualsivoglia proscioglimento, pur revocabile) produceva l’effetto di dissolvere la correlazione qualificata tra le regiudicande e, con essa, l’incompatibilità ad assumere l’ufficio di (pieno) testimone.

Nasce da qui, dalla inclinazione legislativa di Corte Costituzione su detta, in (verosimile) eccesso di potere, il viaggio della SSUU verso l’affermazione della “compatibilità” a testimoniare dell’indagato archiviato. Viaggio che tuttavia avrebbe dovuto fermarsi all’arrivo della legge n. 63 del 2001 – di attuazione del giusto processo che ha modificato, tra l’altro, gli artt. 64, 197, 210 e 371 c.p.p. e inserendo l’art. 197 – bis c.p.p., che prevede la nuova figura del testimone c.d. assistito. In pratica, l’ibrido della prassi del codice abrogato, espulso dall’ordinamento dal codice vigente perché troppo controverso nel merito, e inoltre la inadeguatezza operativa, nella giurisprudenza allora corrente, del criterio verificativo ab extrinseco del contenuto della dichiarazione, con la riforma ad opera della legge n 63 dell’anno 2001 ( richiesta dalla giurisprudenza intenta ai mezzi di prova accusatori: SSUU in commento ha selezionato la testimonianza della “persona offesa”), è stato reimmesso, nella spoglia del “testimone assistito”, dell’ ”impumone” appunto, con l’art 197 bis cit., tuttavia non togliendo, al predetto, diritto al silenzio, valore di mezzo non autoprobante ((artt. 197 bis.6, 192.3 cit.), qualità gnoseologica del risultato

E invece:

Ora, però, è proprio tale ratio del sistema che induce a meglio esaminare, per verificarne la compatibilità con esso, la particolare situazione dell’indagato di reato connesso o collegato, nei cui confronti sia intervenuto provvedimento di archiviazione. Esigenze di equità e razionalità del sistema inducono in effetti a escludere che possa bastare a giustificare una persistente esigenza difensiva con le connesse permanenti limitazioni della capacità testimoniale un semplice adempimento burocratico (iscrizione nel registro degli indagati) a seguito del quale le autorità preposte non siano riuscite ad addivenire alla formulazione di una specifica accusa meritevole di ulteriore sviluppo.

Come si vede, equità e razionalità, entità pregiuridiche, insidiano il dato legislativo costituzionalizzato dalla Consulta.

E logiche incongrue all’interpretazione del diritto, perchè sostanzialistiche, pregiuridiche, con seguenti forzature del dato giuridico:

Né può validamente invocarsi in contrario l’argomento della possibile riapertura delle indagini. Si tratta infatti di una eventualità (per esigenza di nuove investigazioni) sostanzialmente assimilabile, e anzi probabilisticamente inferiore, a quella della possibile apertura delle indagini nei confronti di qualsiasi soggetto (per notizia di reato individualmente attribuito).

Anche i timori per i possibili pregiudizi del diritto di difesa del dichiarante sono sostanzialmente analoghi

e sufficientemente scongiurati dalle garanzie di cui al comma 2 dell’art. 198 e al comma 1 dell’art. 63 c.p.p..

ma se dette garanzie si applicano al testimone mai indagato sono applicabili al testimone indagato archiviato? Letteralmente e logicamente no. E proprio ciò da’ ragione delle garanzie di cui all’art 197 bis cpp..

La tesi qui sostenuta non è contrastata, ma piuttosto confortata, dalla lettera della legge.!!! La disciplina di cui agli artt. 197, 197 – bis e 210, comma 6, c.p.p. si riferisce, invero, testualmente al solo imputato e non all’indagato. Vero è che l’art. 61 c.p.p. pone una regola generale di equiparazione dell’indagato all’imputato.

la lettera della legge non è composta da tutte le disposizioni che enuncino la norma?!!E comunque, il rilievo letterale non fu dissolto una volta per tutte da Corcost in premessa? E di fatti:

In passato la giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla preesistente formulazione dell’art. 197 c.p.p., aveva affermato che l’incompatibilità con l’ufficio di testimone del già imputato, sancita dalla lett. a) del citato articolo, valesse anche per l’indagato/imputato nei cui confronti fosse stato emesso provvedimento di archiviazione o sentenza di non luogo a procedere (Corte cost. 18 marzo 1992, n. 108).

SSUU risponde Ora, però, mentre per la cessazione della qualità di imputato per effetto della sentenza di non luogo a procedere soccorreva il dato testuale della esplicita menzione della sua irrilevanza, l’estensione della regola all’indagato archiviato si basava sostanzialmente sull’argomento del rischio di riapertura delle indagini, della cui fragilità si è già detto.

Fragile l’argomento quanto il rischio??

Tanto che E, se è vero che, dal coordinato disposto del comma 1 dell’art. 197 – bis e delle previsioni di cui alla lett. a) e alla seconda parte della lett. b) dell’art. 197 c.p.p. emerge l’utilizzo del termine imputato anche in riferimento a situazioni in cui tale qualità è stata persa, ciò non basta a ritenere assimilato all’ex – imputato, agli effetti della disciplina in esame, anche l’ex – indagato, posto che le situazioni richiamate sono strutturalmente diverse in quanto presuppongono un processo il cui impulso ufficiale si pone proprio in radicale alternatività con l’intervenuta archiviazione.

Ciò non basta? E comunque: l’archiviazione non verrebbe da impulso ufficiale? l’impulso ufficiale verso la azione sarebbe differente da quello verso la inazione (se non contenutisticamente)? come potrebbero essere in rapporto di radicale alternatività (se non contenutistica)? e comunque, non salta la congetturazione quando si osservi ciò che è in gioco, che ex imputato ed ex indagato richiedono sia prevenuta lesione pur minima di loro pur eventuali interessi difensivi?  Com’è evidente, non c’è interpretazione della legge, ogni battuta è mimeticamente abrogativa d’esso.

E, in conseguenza di quanto sopra (all’incirca tutto ndr), si può addivenire alla formulazione del seguente principio di diritto:

La disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all’art. 197, comma 1, lettere a) e b), all’art. 197 – bis e all’art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione”.

Cioè alla abrogazione della legge vigente…..e per il pieno recupero probatorio, sulla esclusiva base del suo verbo, del primo testimone di accusa della stragrande maggioranza dei processi: la persona offesa (basterebbe tale discriminazione per screditare senza ulteriore commento SSUU).

A parte la questione che le SSUU suppongono un procedimento di archiviazione valido e concluso  e non uno, come in specie, inconcluso,  per mancato avviso del  al difensore …( vd  sub 1) e perciò il principio enunciato, quand’anche fosse condiviso, non sarebbe pertinente alla fattispecie concreta.

 

Conclusione.

1.3 La motivazione della ordinanza è visibilmente (materialmente) mancante, perciò è nulla ex art 125.3 cpp. L’ordinanza comunque disapplica la legge vigente, è quindi illegittima e per ciò va riformata: si chiede che lo sia. In entrambi i casi se l’assunzione della prova non fosse stata omessa (perché assunta in forma indebita: di testimonianza comune) : art. 581.1 b) cpp; o se la prova non fosse stata erroneamente valutata (ivi); o se il risultato di prova non fosse stato interamente travisato (ivi), vertendosi su prova bisognosa di conferma della attendibilità – art 197 bis.6 cit – (che in quanto omessa –la conferma- potrebbe integrare la omissione di assunzione menzionata):

la sua assunzione sarebbe stata nulla :

per indebita riduzione dell’onere probatorio accusatorio; per indebito aggravamento dell’onere probatorio difensivo; per riflesso indebito alleviamento della valutazione giudiciale. In danno della difesa rilevante ex art 178.1 c) cpp.. Con seguente nullità che si chiede sia dichiarata.

La precedente casistica porta alla mancanza o alla insufficienza della prova d’accusa, con seguente assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, che si chiede sia pronunciata.

1.3.1 ma se la prova fosse dichiarata inammissibile, perché (difforme da quella tipizzata) non disciplinata dalla legge (art 189.1 cpp):

la inammissibilità dell’attività (probatoria) propulsiva della successiva investe questa, da rimuoversi per conseguenza dall’insieme della attività processuali compiutesi. Si chiede che sia dichiarato.

                                                                                                                                                                                           pietro diaz

DA UN ATTO DI APPELLO AVVERSO DECISIONI DI UN GIUDICE PENALE MONOCRATICO

 

 

Ordinanza su una  questione preliminare della validità del sequestro di PG di un  GPS:

1 Il Giudice, rilevato quanto all’eccezione di nullità del sequestro probatorio del rilevatore satellitare per violazione degli artt.356 e 114 disposizioni e attuazioni c.p.p., che la medesima non possa essere accolta non riscontrandosi la presenza del X nel frangente in cui il predetto apparecchio era stato sottoposto al vincolo; considerato che il dato letterale all’art.114 non si presta ad equivoci nella misura in cui subordine l’avviso e la facoltà di farsi assistere da Difensore di Fiducia, senza che sia previsto in quel momento l’obbligo di procedere alla nomina di un difensore alla presenza della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini: evidenziato come sopra accennato che l’apparecchio era stato sottoposto a sequestro successivo a quello in cui la persona offesa l’aveva rinvenuto in prossimità della propria auto e consegnato nell’occasione della proposizione della querela il 22 giugno 2015 alle forze dell’ordine che avevano proceduto ai sensi degli artt.356 e seguenti, in assenza dell’indagato neppure in quel frangente identificato; rilevato che alcuna nullità del decreto di sequestro è pertanto ipotizzabile;

1.Ma non fu eccepita la violazione dell’art 114 disposizioni di attuazione, bensì degli artt. 354, 356, 97 cpp:, essendo mancato, nell’atto, il contradditorio con l’indagato ed il suo difensore di fiducia, o d’ufficio ove esso per qualunque ragione, compresa quella della assenza ex art 114 cit. dell’indagato, non fosse stato nominato. Cioè non potendosi compiere l’atto senza (almeno) realizzare la condizione del contraddittorio (attraverso la nomina or detta), pur se l’avvento del  difensore al compimento dell’atto potesse essere prevenuto dalla urgenza di questo. Fu d’altronde mostrato, a stregua del verbale di p.g, , che il nome del possibile autore dell’apposizione del GPS era stato dato dal querelante prima della consegna dell’apparecchio e del sequestro (per ciò è inesatto il contrario asserto della ordinanza.). La disposizione in discorso fu estratta dal difensore della parte civile e fatta propria dal giudice, in una lettura della stessa asistematica, scissa dalla disposizione in art. 97 cpp, anzi abolitiva d’essa benchè indipendente. Disposizione chiarissima nell’imporre, mancando, per qualunque ragione, il difensore di fiducia, la designazione del difensore d’ufficio (la legge tutela la formazione in contraddittorio dell’atto, anche perché irripetibile – e quindi diretto al fascicolo di qualunque giudizio di merito- prescindendo dalla volontà dell’indagato, eventualmente contraria o inconsultabile per assenza dell’or detto).

Dunque l’ordinanza è errata, per inosservanza della legge processuale; assorbe la nullità dell’atto ex art 356 178.1 c) cpp. Se non fosse da annullare sarebbe da riformare. Con le conseguenze del caso, In proposito, quando fosse ritenuta superata, la questione, dall’ammissione, dall’imputato, della apposizione del GPS, andrebbe considerato che la nullità ha permeato di se gli atti consecutivi e dipendenti rispetto a quello che affettava.

 

Conclusione

1.1 L’atto di sequestro era nullo per le indicate ragioni, si chiede che sia dichiarato, riformata l’ordinanza, con le conseguenze ex art 185.1 cpp

 

sulla inammissibilità, ex art 468 cpp, dei capi di prova non circostanziati. Sul dovere del giudice di dichiararla. sulle conseguenze del suo inadempimento.

1, Se oggetto della prova sono “i fatti che si riferiscono all’imputazione” (artt 187.1 cpp), se “i fatti” sono quelli che identificano gli elementi essenziali del reato e gli elementi accidentali che lo aggravano, non altri (per tutti: art 417 cpp, onde il PM esercita l’azione penale formulando l’imputazione degli elementi che accusano, essenziali ed accidentali del reato), essi non potrebbero che essere, nella loro concreta espressione materiale, circostanze (perché, convertendo la fattispecie astratta in concreta, situandola nella realtà, la circostanziano appunto, distintamente rispetto ai fatti suddetti). Se le parti d’altronde enunciano il loro disegno probatorio, non potrebbero non enunciarne l’oggetto, dato appunto dalle circostanze, degli elementi essenziali e accidentali del fatto, in parola.

Imputazione e fatti che ad essa si riferiscono sono enunciati dalla parte promotrice della azione penale (ed eventualmente collateralmente da quella della azione civile), per istituire l’oggetto del giudizio rispetto al giudice e contro la difesa (dell’imputato o di altre parti: responsabile civile civilmente obbligato per la pena pecuniaria), che con esso imprescindibilmente interagiscono ciascuno secondo il proprio ufficio. L’oggetto del giudizio circostanziato anche quale oggetto della prova, in mancanza dei quali la presunzione di non colpevolezza non sarebbe nemmeno sfiorata e sarebbe immediatamente operante imponendo la definizione del processo ex art 129 cpp.

Quando ciò non avvenisse la prova a carico sarebbe inammissibile (il giudice non potrebbe ammetterla, se non inadempiendo al dovere della pronuncia or detta, oltre che al dovere di proscioglimento ex art 129 cit). Ma se il giudice la ammettesse, poiché non sarebbe possibile esercitare la prova contraria (mediante presentazione in lista fuori udienza o richiesta di ammissione in udienza), il diritto di difendersi (contro)provando, parte del diritto di difesa ex art. 24, 111.4, 495.2 cpp, sarebbe leso, e la sua lesione genererebbe la nullità in art 178.1 c) cpp.

Il discorso codicistico in tema è chiarissimo, il dissenso da esso non potrebbe che essere illegittimo. Lo è per ciò quello della ordinanza, che avrebbe dovuto dichiarare inammissibili le prove, a pena di impossibilità, da un lato, di esercizio, dal giudice, di esercitare l’attività probatoria in art 190 cpp, oltre che di inadempimento dell’obbligo di declaratoria immediata della non colpevolezza dell’imputato ex art 129.2 cpp; da altro, di impedimento alla difesa di esercitare  l’attività controprobatoria in artt 468, 493, 495 cpp (esercizio presidiato dall’art 178.1 c) cpp); oltre che di lesione del suo diritto ad ottenere la pronuncia in art 129 cit. .

Tanto più chiaro, il discorso codicistico, alla luce dell’ulteriore fatto per cui, la capitolazione della prova per circostanze (degli elementi essenziali e accidentali del reato) era impossibile alla stregua della formulazione della imputazione, come sub A si è visto del tutto mancante nelle coordinate spaziotemporali. L’inammissibiltà della prova a carico non circostanziata era amplificata anche dallo stato della imputazione che la generava. Nullità della imputazione e inammissibilità della prova a carico interagivano impartendo vizio tanto potente quanto lesivo della difesa, se non fosse stato dichiarato. Non lo è stato.

1.1 Il giudice rigetta l’eccezione osservando: quanto alla asserita indeterminatezza delle circostanze sulle quali dovrebbero riferire i testi dedotti dalla Parte Civile, rigetta  l’eccezione, essendo state tra l’altro indicate in relazione a ciascun teste le circostanze sulle quali dovrebbero riferire.

  • La motivazione della ordinanza è visibilmente (materialmente) mancante. Se (non) siano state indicate le circostanze, lo dicono le liste dei deducenti!

 

Conclusione.

  • per ciò l’ordinanza è nulla ex art 125.3 cpp. Si chiede che sia dichiarato.

Altrimenti:

1.3 La inammissibilità dell’attività (probatoria) propulsiva della successiva investe questa, da rimuoversi per conseguenza dall’insieme della attività processuali compiutesi. Si chiede che sia dichiarato, riformata la ordinanza.

  • Alternativamente, si chiede che sia dichiarata la nullità di quella attività, per lesione del diritto alla controprova sulle circostanze di prova, ex art 178.1 c) cpp (ciò valga per la attività probatoria accusatoria compiuta con la testimonianza della persona offesa parte civile; non valga per la consulenza S, perchè l’imputato non chiese di controdedurre; né valga per i testimoni annunciati dalla pc, perché rinunciati dalla stessa); non valga per la “testimonianza” L, perché la difesa fu posta in grado di controdedurre (mediante la consulenza Mi).

 

E comunque, non dichiarata inammissibile la testimonianza della p.o., p.c., né annullata (in ipotesi) per quanto detto, allora:

 

Un caso di calunnia per minaccia

PROVA DIRETTA E CONTRARIA IN MATERIA DI CALUNNIA, LORO OGGETTI, ONERI, STANDARD. RISULTATI DI PROVA. TRAVISAMENTI FRAINTENDIMENTI AGGIRAMENTI INADEGUATEZZE DELLA GIURISPRUDENZA.

Da una memoria ex art 121 cpp a sostegno di un atto di appello

1. L’oggetto della prova diretta.
Se il fatto di calunnia (verbale) consiste della incolpazione di alcuno di un reato di cui egli sia “innocente”,  l’oggetto della prova diretta (accusatoria e condannatoria) è:
la insussistenza del fatto, oppure
la non commissione del fatto dall’incolpato, oppure
la non costituzione di reato dal fatto (per le ragioni e oggettive e soggettive che la formula implica), oppure
l’accompagnamento del fatto da circostanze di esclusione della pena (oggettive o soggettive).
Mentre va esclusa, dall’oggetto in questione, la conformità del fatto incolpato ad una previsione di legge incriminatrice, giacchè in questo caso l’incolpazione innescherebbe un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto (art 49.2 cp).
(Ovviamente è oggetto della prova diretta anche) il mezzo della incolpazione, la denunzia, la querela, la richiesta, l’istanza, anche esso elemento costitutivo del (la condotta del) reato.
2. L’oggetto della prova contraria diretta
Esso corrisponde a quello sopra esposto, invertito ovviamente (fatto sussiste, l’incolpato lo ha commesso, il fatto costituisce reato, il fatto non è stato accompagnato da circostanze oggettive o soggettive di esclusione della pena; l’incolpazione non è avvenuta mediante presentazione di denunzia, querela,  richiesta, istanza).
3. Il grado della prova diretta in genere e in specie
La prova diretta accusatoria è  condannatoria ex 533 cpp quando, in sé o per interazione della prova contraria,  ex art 530.1 cpp, non evidenzi  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria  sub 2;  o  non evidenzi, ex art. 530.2 cpp, che è mancante o è insufficiente o è contraddittoria rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto della prova diretta sub 1. E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione basasse l’accusa di calunnia), è condannatoria solo se essa le escluda, giacchè negli altri due casi di prova diretta insufficiente o contraddittoria, varrebbe la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).
E secondo la terminologia in art 533 cpp novellato (art 5 L.46/2006), quando evidenzi che, rispetto all’oggetto della prova diretta sub 1, sia andata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. In proposito va tuttavia notato che il grado, della prova diretta, risultante dalla dicitura della novella, in effetti è inferiore al grado segnato dalla prova diretta in art 530.2. nelle due ipotesi della prova insufficiente o contraddittoria. Giacchè questa potrebbe aversi anche nel dubbio irragionevole (“irragionevolezza” del dubbio è scientificità della insufficienza o della contraddittorietà della prova, quando la ragione scientifica sormonti la ragionevolezza comune o parascientifica, sono compatibili).
3.1  Il grado della prova contraria in genere e in specie
La prova contraria difensiva è assolutoria ex art 530 cpp quando evidenzi ex art 530.1 cit  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (o che questa non è andata “al di là di ogni ragionevole dubbio” ex art 533 cpp,  rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto di questa sub 1..
E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione  basasse l’accusa di calunnia), quando evidenzi ex art 530.1 cit  la relativa ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi sulla stessa l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (valendo la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).
4. L’onere della prova  diretta ed il suo oggetto in specie
Onerato della prova dell’oggetto sub 1,  e in particolare di quello sopra indicato,  è l’organo pubblico e quello privato dell’accusa. Quando l’onere non sia eseguito, opera la regola  di giudizio in art 530.2 cit. Quando sia eseguito, nel grado della  prova diretta oltre quello delle due ipotesi della sua insufficienza o contraddittorietà, o, almeno, nel grado “al di là di ogni ragionevole dubbio” in art 533 cpp, opera la regola di giudizio qui prevista.
Oggetto della prova diretta di specie era la insussistenza del fatto incolpato e che la incolpazione costituisce reato):
Ciò premesso:
4.1 Nella specie hanno agito sia la prova diretta (di genere personale orale: testimoni) ad opera del suo onerato, sia la prova contraria (di genere personale orale; esame dell’imputato) ad opera del suo onerato, sia la prova “terza”, “del giudice” ad opera di una perizia che ha enucleato il contenuto di un documento sonoro rappresentativo degli elementi della situazione fattuale.
Premesso inoltre
4.2 Che la prova (personale orale) testimoniale è rappresentativa (all’opposto  di quanto profilato in art 530.2 cit. rispetto alle due ipotesi  sopra indicate della insufficienza e della contraddittorietà della prova) in modo certo, “oltre ogni ragionevole dubbio”,  di ognuno dei profili dell’oggetto della prova diretta sopra esposto. Cioè essa immediatamente, senza necessità di mediazione logica, nel suo “risultato di prova” (artt 192.1, 546.1 e) cpp1), esprime il fatto di cui sia chiamata a dire. La prova testimoniale d’altronde è detta “storica” perchè istoria, raffigura “iconicamente” il suo oggetto. E in ciò differisce dalla prova “logica”, che porta all’oggetto, al  fatto di cui sia chiamata a dire, al proprio “risultato, compiendo una  desunzione logica (art. 192.2 cpp) da una premessa minore attraverso l’applicazione ad essa di una premessa maggiore.
Tutto ciò premesso
5.Le prove dirette  testimoniali di specie:
5.1 D. nelle pagine 19 e 20 del verbale di udienza (Vds. All. 1 l_pagg. 19 e 20 verbale udienza…), alla domanda del P.M. “Lei si ricorda queste frasi che le disse la B per chiederle di fare allontanare il signor A, c’era un tono minaccioso?’\  risponde: “Non ricordo”: alla domanda del P.M, “Ricorda se ha fatto riferimento ad armi?”,  risponde “Non me lo ricordo”, prosegue il P.M. “Cioè se il fatto che avesse armi in casa potesse essere collegato…” risponde “Non me lo ricordo perché c’era molto trambusto, molte persone che parlavano accavallare l’una all’altra”. chiede il P.M. “Non si ricorda che cosa gli ha detto o esclude che possa aver fatto riferimento ad armi?”, i risponde “‘Non mi ricordo cos’ha detto e neanche se abbia fatto riferimento ad armi“: il P.M. prosegue facendo presente al D quanto dallo stesso affermato in sede di sommarie informazioni “Le venne chiesto: Invitava il signor A. ad andare vìa e chiedeva agli agenti di Polizia l’allontanamento dello stesso perché vi erano armi in casa? Lei risponde: Non  ricordo nulla dì tutto ciò e ripeto che la signora fin dalle prime fasi si era dimostrata collaborativa. Non ricorda cosa gli ha detto la signora o non ricorda che sì fosse parlato dì armi?”, il teste risponde ‘Non ricordo innanzitutto le frasi esatte della signora B, ma anche questa storia delle armi non me la ricordo (osserva l’appellante: Sì tratta dì una. serie: di “non ricordo” pronunciati dal testimone D, ben sei….perciò: non è chiaro sulla base di quale logica, il primo giudice affermi che’ dalla stessa,, emerge che la frase incriminata non è stata pronunciata : pag. 6 sentenza, appellata).
Ora
Se il testimone non ricorda il fatto per cui è interpellato non ne dice. Se non ne dice non lo rappresenta. Se non lo rappresenta egli non esplica la funzione di (mezzo) di prova rappresentativa. Tale è il risultato (art 192.1 cit, art 546.1 e) cpp) completamente  negativo dell’attesa della prova.  L’ascrizione al testimone di un risultato di prova inverso o diverso da quello emerso è manifestamente illogica, e illegittima perché travisa il risultato effettivo. (quel)La  prova è mancante e innesca la regola di giudizio art 530.2 cpp. ben opposta a quella in art 533 cpp.
5.2 F : ”Mi pare molto improbabile che l’A. possa aver udito simili frasi‘, anche perché quando la signora B è uscita, dalia sua casa è rimasta, all’interno del cortile, mentre l’A. si trovava  in strada a molti metri di distanza’’.. A tal riguardo il F risponde “Perché mi era stato  chiesto se era possibile che l’A avesse sentito qualcosa? (Vds., All. 17_pagg. 8 e 9 verbale dì udienza db! …). Osserva l’appellante: Peraltro é lo stesso F ad affermare che l’ A. si trovava davanti all’ingresso del cortile della proprietà M — B” (Vds. All. 18_pag. 4 verbale di udienza….).
Ora
Il testimone non dice del fatto su cui è interpellato direttamente. Dunque  non esplica la funzione rappresentativa del  mezzo di prova che incarna.
Ne dice indirettamente, soffermandosi  sulla impossibilità (a suo avviso) che la minaccia potesse essere udita da A (impossibilità peraltro insussistente, per le ragioni di cui all’atto di appello), Ma se  il rilievo “acustico” ha logicamente, a premessa la minaccia, con quel rilievo, col  suo complessivo dire, il testimone non la esclude. Cioè non ne adduce  l’insussistenza.
Quindi, dell’insussistenza del fatto, se la prova non fosse in ipotesi  mancante, sarebbe insufficiente – e se non fosse mancante sarebbe inoltre contraddittoria a prova contraria- vd dopo- .
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cit..
5.2.1 Peraltro, disatteso in ipotesi quanto tratto dal rilievo precedente, cioè ritenuto che il testimone abbia escluso la minaccia, l’esclusione, poiché indiretta, da un lato sarebbe indebolita dal modo di compierla in sé (per implicazione). Da altro lo sarebbe dalle note di inattendibilità soggettiva del testimone, evidenziate nella sua inclinazione a favorire  (e sfavorire sull’opposto versante) contro i fatti. (Come osservato dall’appellante): “A tal riguardo dovrebbe raffrontarsi quanto sopra affermato con il tentativo del F di sminuire h gravità della condotta del figlio della B. Significativo a tal riguardo è il fatto che all’udienza del…, quando è stato sentito il F, non era ancora stata, trascritta la registrazione fonografica, da cui si sentono: in maniera distinta e assolutamente comprensibile le gravi parole proferite ad alta, voce – ovvero ad urla dal F M nei confronti dell’A. Il tentativo del F di edulcorare l’accaduto rispetto a tale episodio; è significativo- dell’attendibilità dei teste, che, lo si ripete, non era a conoscenza, della sussistenza di una prova certa idonea a rappresentare i fatti come realmente avvenuti. Se il F ha senza ombra di dubbio, edulcorato, nel suo racconto in dibattimento, la. posizione del figlio della B, in base a quale logica si potrebbe invece escludere che il medesimo tentativo sia stato posto in essere anche in relazione al comportamento della B stessa?”
5.3 Dunque il risultato di prova dice e non dice dell’ insussistenza della minaccia. E’ ambiguo e tale condizione non è contestabile. Per ciò la prova,  ripetesi, se non fosse mancante sarebbe insufficiente.
Ma (ripetesi)  se il risultato non fosse ambiguo, se escludesse la minaccia, la sequenza espressiva d’esso sarebbe fortemente minata dai fattori, accertati, di inattendibiltà soggettiva del testimone. Oltre che, aggiungasi, minata internamente dalla sua composizione, fatta di apprezzamento personale (delle possibilità acustiche), proceduralmente inibito ex art 194. 3 cpp:
Onde la prova tornerebbe ad essere insufficiente. Con innesco della  regola di giudizio in art. 530.2 cpp..
5.3.1. Alla domanda della difesa “Ha sentito per caso o potuto apprezzare cosa riferisse l’’Ufficiale al dottor A?”,  risponde ‘‘Più che altro l’ufficiale Giudiziario gli diceva di allontanarsi e di andare via” (Vds. All. 23_pag. 8 verbale udienza….). Alla domanda della difesa ‘”Lei cosa ha percepito nella circostanza? Cioè qual era la sensazione che lei ha materialmente percepito?”, risponde “E beh, sicuramente come erano agitati qualcosa c’era”. La difesa prosegue ‘’Lo traduca in parole, ho capito che erano agitati” e L risponde “Non lo so, gli ha detto di andarsene che boh, non l o so” (Vds, All. 22).
Alla domanda della difesa “Anche la signora B diceva ai signor A. dì andarsene?” il L risponde “Di non avvicinarsi, quindi sicuramente gli ha detto di andarsene via, spostati da qui prima che succeda danno insomma” (Vds. All, 24_pag. 9 verbale di udienza….).
Alla domanda dell’avvocato di parte civile “ci ha detto che non è in grado di dire chi sia stato a parlare di armi, quindi non è in grado neanche di escludere che sia stato l’A a parlare di armi?” il teste risponde “No, l’A. era già spostato perché mi ha lasciato il posto’‘ (Vds. All. 25 jag. 15 verbale di udienza del 10 novembre 2014).
Ora
Anzitutto il testimone riferisce di tensioni e fermenti, del contesto e delle persone a varie e diverse ragioni lì presenti ed agenti, del tutto propizi, poichè altamente conflittuali, a suscitare la minaccia in questione. Essi potrebbero assumersi quali robusti indizi d’essa. corroborati d’altronde da una circostanza verificata e assai eloquente. Presso B, nella sua abitazione, stavano armi formalmente detenute da suoi familiari, di fatto esclusivamente da lei ed a sua disposizione.
Persuasivi indizi d’essa, peraltro, decisamente confermati dalla testimonianza in esame, ad esplicito tenore della quale, come da interlocuzione fra domanda (della parte civile) e risposta (del predetto):
qualcuno ha parlato di armi, certamente, benchè il testimone non sia in grado di dire chi ma tendendo ad escludere A.
Cioè, mediante questa prova diretta (dedotta dall’accusa) si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia (la conseguente insussistenza del reato di calunnia).
Ma se ciò, benchè indubitabile, fosse dubitato, la prova diretta sarebbe in ogni caso insufficiente (a parte la sua contraddittorietà alla prova contraria: vd dopo) alla rappresentazione del fatto suo oggetto.
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cpp.
5.4 B. osserva l’appellante: “Sentita come testimone all’udienza…., da un lato, riferisce di avere detto quello cosa ci fa qui? ma se ne può anche andare da casa mìa, o te ne puoi anche andare, se ne può anche andare” (Vds. All. 14_pag. 5 verbale di udienza….), dall’altro, aña domanda del proprio avvocato se si fosse mai rivolta direttamente all’Ai” o ci avesse “in qualche modo parlato”, risponde assolutamente no, ho evitato di guardarlo71 (Vds. All, 15_pag. 8 verbale di udienza…..). Tale ultima affermazione da parte della B è evidentemente menzognera oltreché contraddittoria rispetto a quanto dalla stessa precedentemente affermato. Infatti dalla registrazione fonografica in atti e dalla sua trascrizione (Vds. All. 1) risulta pacificamente che la B si è rivolta direttamente all’ A contestando fortemente la sua presenza. Alla domanda del P.M. se lei (la B) sapesse il perché della presenza dell A durante il pignoramento, la B rispondeVeramente non ci faceva niente perché chi doveva fare il compito, cioè il Periti e le altre persone, penso che erano abbastanza, lui non ci faceva niente lì. al che sono stata meravigliata, cosa, ci faceva lui a casa mìa”.
5.4.1 dunque B per un verso è insofferente della presenza di A, per altro verso tenta di occultare l’insofferenza, perfino mentendo. Quando si ritenga da lei esclusa espressamente  la minaccia (non lo ritiene la sentenza p.1) : “La B continuava dicendo di avere visto l’imputato…e che aveva detto, senza urlare, che se ne poteva andare dalla sua abitazione, pur non ricordando con certezza le frasi pronunciate, e sentendo dire da qualcuno che lo stesso poteva assistere, negava…”, dovrebbe tuttavia ritenersi, essa, fortemente indiziata dalle affettività  della indicata situazione. Soprattutto alla stregua della caratterizzazione in senso fortemente causale (del proferimento della minaccia), fatta dal sentenza, onde:
A sul posto “rappresentava ai suoi occhi un comportamento irridente e provocatorio” (pag. 6 sentenza appellata). Per cui era “del tutto comprensìbile e giustificata la sua (di B ndr) richiesta volta all’allontanamento dell’imputato” (pag. 6 sentenza appellata).
Causale se non atta probatoriamente ad imporre la minaccia, certo atta a porre in dubbio la sua negazione. Atta quindi ad evidenziare l’insufficienza della prova diretta in punto, oltre che la sua contraddittorietà, sia agli elementi di fatto e  alle testimonianze sopra viste, che all’esame dell’imputato (di cui dopo),
Tanto più, come rilevato dall’appellante, alla luce della irresistibile spinta di B a tacere di avere minacciato, non solo a salvaguardia dell’esito del processo in corso, ma anche ad elusione di altro processo contro, per reato di minaccia.
E, anzi, è la  possibilità d’esso che impone di riscontrare la irritualità  della assunzione a testimone della predetta, per vizio  dell’origine. Di fatti:
querelata da A, non avrebbe potuto, B,  non essere processata, essendo l’azione penale obbligatoria, salva inazione ma per archiviazione demandata al giudice.
Cioè  B avrebbe potuto  essere  testimone solo dopo avere lasciato il suo processo (o perché definito nel merito o perché archiviato). Essere testimone, così,  sgusciando tra le maglie, di ammissione della testimonianza, ex artt. 197, 197 bis cpp..
Irritualità, perché trasgressiva di divieto espresso,  certo producente oggi inutilizzabilità della sua testimonianza. Ma producente anche (alternativamente) sua nullità (tuttora rilevabile e dichiarabile ex artt 179 180 cpp), perché esitante da vizio della iniziativa della azione penale — estendibile alla inazione questa essendo l’opposto inscindibile di quella – rilevante ex art 178.1 b) cpp.
E in ogni caso:
quando il vizio procedurale fosse disconosciuto, esso non potrebbe non lasciare lo strascico del vizio di merito, della inattendibiltà per ragione genetica (su esposta) della testimonianza della suddetta.
La quale quindi non è immune dalle caratteristiche della prova diretta in art 530.2 cpp. e ne innesca la regola di giudizio.
6. La prova contraria (personale orale, in esame e controesame) di specie.
A: “Mi sembra che veramente […] me l’hanno consigliato i poliziotti per evitare problemi” Osserva l’appellante: L’A, che in quel momento aveva già percepito il riferimento alle armi in casa fatto dalla B (come dallo stesso più volte affermato nel corso di giudizio, sia in sede di spontanee dichiarazioni che in sede di esame), rispondeQuesto ha armi in casa” (Vds. All. 3). La replica dell’ufficiale Giudiziario è eloquente: “Sì. sì. apposta per quello”. Tra l’altro, la rilevanza assoluta di tale frase emerge ancora di più laddove si percepisca il tono con il quale la stessa è stata pronunciata (min. 8.38 registrazione fonografia di cui a Cd-rom in atti).
Ora
Ecco un risultato di prova univoco, sulla minaccia per allusione alle armi (definizione della minaccia assolutamente debita, rispetto ad altre sparse dappertutto e da un pò tutti, dinanzi alla espressione usata all’origine da A. (esposto .., p. 1), la quale non dice che fu minacciato uso delle armi, bensì : “B…mi invitava ad andar via e chiedeva agli agenti di polizia il mio allontanamento facendo presente che vi erano armi in casa...”., espressioni e che integrerebbero semmai minaccia indiretta e indirettamente rivolta (esigente quindi, in sede di ricostruzione, logica desuntiva (art 192.2 cpp) del fatto alluso ( la minaccia) su base (il fatto alludente) rappresentativa (: art 194 cpp). Fatto alluso e alludente, qui si rammenta e si ribadisce, dei quali non s’è vista traccia, nei risultati delle prove dirette sopra viste.
Risultato di prova (contraria), si diceva, mediante la quale si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia (la conseguente insussistenza del reato di calunnia), quello indicato.
Risultato, peraltro, epistemologicamente più forte di ogni altro (che in ipotesi lo contraddicesse: ma in proposito vd sopra), giacchè sostenuto valorialmente dalla presunzione costituzionale di attendibilità fino a prova contraria (va letta così la presunzione di non colpevolezza in art 27.2 cost.), quale presunzione anche probatoria di verità fino a prova contraria, di tutto quanto, sostanziale o processuale, favorisse l’accusato (e presunzione inversa di tutto quanto lo sfavorisse).
E che tuttavia la sentenza ha ignorato, nella funzione probatoria in sè e in quella dialettica con gli altri risultati di prova, e, ove necessaria, in quella di contraddizione ad essi, da istituire immancabilmente nella cognizione e da giudicare probatoriamente secondo la regola in art 530.2 cit..
Ora
Quel risultato il suo valore le sue funzioni non hanno nemmeno sfiorato la sentenza, che quindi ha accantonato non solo l’ermeneutica generale della prova, ma anche la regola positiva – art 546.1 e) cpp novellato- del suo trattamento, mediante anzitutto censimento ed esposizione dei suoi risultati, quindi confronto d’essi, quindi soppesamento disgiunto e congiunto d’essi (alla luce dei criteri valutativi in artt 530 533 citt. (vd sopra), quindi determinazione probatoria, e infine illustrazione delle ragioni del disattendimento della “prova contraria” soccombente (nell’accertamento dei fatti in imputazione o di altro).
Screditandosi nel merito (basti la semplice lettura della motivazione della sentenza lente dei principii indicati: visibile mancato censimento esponimento soppesamento di ogni risultato di prova, mancato confronto d’essi) se non annullandosi ex art 125. 3 (caratterizzato qui dall’art 546.3 cpp). Si chiede che la nullità eventualmente ravvisata sia dichiarata (non essendo ancora scaduto il tempo della rilevazione e della deduzione. prescindendo peraltro, la rilevabilità della nullità, dalla devoluzione in atto di appello).
6.1 a stregua di ciò potrebbe dirsi che il processo disponeva della prova diretta e contraria della insussistenza del fatto, per la via in art 530.1 cpp. E che la sentenza la ha dispersa.
7. il documento fonico.
Prova documentale rappresentativa (peraltro confutativa delle varie capziosità accusatorie per le quali a A non avrebbe potuto udire la minaccia a causa della distanza fra lui e la fonte sonora: se l’apparato di registrazione, da A tenuto addosso, ha captato B mentre ne pretende l’allontamento, captava A disponendo di almeno la stessa sensibilità acustica (se media) del registratore. del predetto).
Ebbene in quel documento, in prossimità delle pretese di allontanamento di A che B avanza, vi sono “inc.”, incomprensibili suoni. I quali, da un lato, ben potrebbero contenere la minaccia in forza delle causali sopra indicate (sub 5.3, 5.4). Da altro ben la contengono, poichè affermata da A (per le ragioni ante, sub 6 prima parte).
8. L’insussistenza a priori del fatto.
Questo, commesso mediante querela secondo imputazione il giorno 15 12…, non rinviene quel mezzo quel giorno, negli atti. Gli impulsi al processo di A, di fatti, sono del giorno 19 12 … (vd il foglio denominabile esposto, nello stesso giorno confermato come “querela” in altro foglio allegato). E del giorno e 9 gennaio … (vd dichiarazione intestata “querela”).
Cioè, nessun atto di impulso processuale, mezzo della condotta commissiva del reato di calunnia, fu formato o presentato il giorno 15 12 …
Dunque in quel giorno il fatto non fu commesso nè sussistette. Rispetto a quel giorno risulta evidente che il fatto non sussiste. La risultanza va trattata ex art 129.2 cpp (è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo).
si chiede che (in riforma della sentenza) sia dichiarato.

Pietro Diaz

Tentativo di omicidio, dolo alternativo e altro…

Fattispecie solo e tutta giurisprudenziale, anzichè legale, di tentativo di omicidio.
Sommersione da essa, per di più, della fattispecie solo e tutta giurisprudenziale, anziché legale, di lesione personale.
Scambio del dolo di questa col dolo di quella, o confusione d’essi.
Uso strategico, non logico, del “dolo alternativo”.
Esclusione della desistenza mediante abbreviazione a piacere della serie concreta degli atti di “tentativo di omicidio”

Da un ricorso per Cassazione avverso sentenza di Corte di Appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari

Sulla fattispecie di delitto di omicidio tentato

1. la sentenza che si impugna (pag. 7) ritiene che: “…la nozione di tentativo proposta dalla difesa, tanto nell’atto di appello quanto nelle conclusioni rassegnate in udienza, non risulta conforme agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità”;
1.1. non è inopportuno notare fin d’ora, per antivedere il tragitto giuridico della sentenza, che la conformità, della “nozione di tentativo proposta dalla difesa”, alla legge penale del tentativo di delitto di omicidio, pare fuoriuscire già programmaticamente dall’orbita cognitiva della sentenza, come se essa, sentenza,  non fosse anzitutto, prima che ad altro, sottoposta alla legge, ed alla scienza giuridica interpretativa d’essa;
2. e di fatti:  “Elementi inscindibili per la configurazione del tentativo sono dunque, una condotta, di tipo commissivo od omissivo, che sia astrattamente idonea a cagionare la verificazione dell’evento…” (pag. 7); ed ancora: “Sotto il profilo dell’idoneità della condotta, deve ulteriormente precisarsi come, ai fini della configurabilità del delitto tentato, l’art. 56 c.p. richieda un’idoneità necessariamente astratta e non concreta, giacché diversamente da quanto sostenuto dalla Difesa, pur essendo oggetto di valutazione a posteriori, la condotta deve essere sempre analizzata con prognosi ex ante ossia sotto il profilo della sua potenzialità a realizzare o meno un determinato evento…” (pag. 7);
2.1 ora già nelle espressioni utilizzate sparisce la formulazione giuridica del delitto tentato, con ovvie implicazioni sulla formulazione scientifica, che può essere tale solo in quanto agganciata alla prima.
Condotta”: cioè, se il tentativo è composto di “atti”?
Condotta “astrattamente idonea”: cioè, se l’idoneità è predicato degli atti non della condotta?
Astrattamente idonea”: cioè, se gli atti necessariamente convertono mezzi in attività, necessariamente concretizzante l’esito della conversione?
E inoltre, che fine ha fatto, nelle suddette espressioni del tentativo di delitto in  sentenza,   la direzione non equivoca degli atti a commettere il delitto, indubitabile  fattore (oggettivo sebbene soggettivabile, vd dopo) di ulteriore concrezione d’essi?
Insomma la sentenza riformula legislativamente il tentativo di delitto, e pro domo sua…?
E cosi riformula come reato di pericolo astratto il reato di pericolo concreto, per di più, in art 56 cp,  svolgente funzione  paradigmatica di ogni altro del genere?Riformula il delitto tentato come delitto di attentato?
Se nemmeno lo avverte e avanza imperturbata nella digressione dalla legge penale della fattispecie di delitto tentato, neppure giusdice, dice di qualunque cosa ma non certo del giuspenale di specie.
Tanto che non è neppure “astrattamente idonea” a considerare lo scolastico (quanto risolutivo in tema di  concretezza degli elementi del delitto tentato come tipizzati) esempio dello spillo, mezzo astrattamente inidoneo a cagionare la morte di un uomo ma atto concretamente idoneo allorché la vittima presa di mira sia affetta da malattia emofiliaca.
2.2. dunque idoneità in concreto, degli atti- diretti in modo non equivoco a commettere il delitto-.
Certo ex ante, perché è nella fase genetica degli atti di tentativo che la loro idoneità può esordire. E perchè non può darsi idoneitàex post che non fosse stata ex ante (salve variazioni essenziali del tragitto causale degli atti, cioè variazioni del tipo degli atti).
D’altronde la sentenza medesima, allorchè chiede potenzialità (della condotta) a realizzare o meno un determinato evento…” (pag. 7), postula accertamento prognostico, ex ante,  concreto (dovendo essere positivo o negativo).
3. gli elementi di fatto forniti dal fascicolo delle indagini (nell’instaurato giudizio abbreviato) evidenziano un episodio di aggressione fisica ai danni della p.o. che riporterebbe delle lesioni (delle quali, peraltro, nessuno ha mai potuto vedere documenti di esami strumentali quali radiografie, ecografie, tac, assenti in atti), nel corso del quale N… avrebbe utilizzato mezzi di peso e dimensioni comunque inadatti a porre in concreto pericolo la vita della p.o. che, difatti, appariva “fin dall’arrivo dei primi soccorsi e poi durante i controlli clinici presso il nosocomio di Sassari, sempre vigile e ben orientata nello spazio, non mostrando in nessuna circostanza segni di cedimento fisico tali da far presagire un imminente pericolo per la sua sopravvivenza” (come riportato anche in sentenza, pag. 8), nonostante la pluralità delle lesioni da pluralità dei colpi.
3.1. Ebbene è proprio l’esclusione concreta del pericolo di vita, con seguente esclusione della possibilità (stessa, prima della probabilità) di morte, a dire che mezzi e (loro messa in) atti non potevano cagionarla. A dire che gli atti concreti ed espressi dal fatto specifico erano inidonei a cagionarla. Cioè inidonei ad uccidere, a commettere delitto di omicidio (oltre che, anche per ciò, non diretti in modo non equivoco alla commissione d’esso).
Ed è dunque a causa della fenomenologia del concreto, che la sentenza si rifugia nell’astratto. Ma così facendo, oltre che (mostrando pregiudizio condannatorio) violare il principio giuridico di concretezza della idoneità degli atti del  tentativo, ha  violato  quello di motivazione del fatto alla stregua delle sue risultanze, quella sopra richiamata). Cui per ciò la motivazione contraddice, ad un tempo mancando a sé stessa.

Sulla fattispecie di delitto di lesioni

3.2 Peraltro, avendo davanti sé quel fatto, accingendosi alla sua sussunzione alla fattispecie inerente, essa, evocante (genericamente) una “condotta”, non avrebbe potuto non cogliere,  al più presto, altro che  una azione causalmente seguita da evento di lesione, animati  ipsa re  dall’elemento psicologico pertinente, il dolo. E non avrebbe potuto che dichiararlo.
Quindi, la sentenza  ha riformulato  la legge  del delitto di tentato omicidio (vd sopra) e  quella del delitto consumato di  lesioni. Al punto da avere fuso questa in quella, e irreversibilmente per la categoricità dei suoi enunciati. Ovviamente riformulando e fondendo i fatti di reato relativi. Con evasione inusitata dal metodo e dal merito della cognizione penale.

Sul dolo di tentativo di delitto di omicidio e di delitto di lesioni

4. “…indici rivelatori della idoneità degli atti a cagionare la morte della vittima sotto il profilo oggettivo oltre che, sotto il profilo soggettivo, della sussistenza di una volontà dolosa dell’agente alternativamente diretta in modo inequivoco a cagionare la morte o gravi lesioni alla p.o.” (pag. 8); inoltre: “Con riferimento all’elemento soggettivo, erra la Difesa nel ritenere come il dolo diretto alternativo, così come sopra ricostruito dagli elementi oggettivi della condotta, debba escludere la configurabilità del delitto tentato per carenza di direzione non equivoca degli atti al compimento del delitto. Ed invero, secondo la valutazione più garantista di tali atti, l’agente ha posto in essere la condotta penalmente rilevante non già accettando il rischio di cagionare la morte della persona offesa (dolo eventuale)…ma al preciso scopo di cagionare-alternativamente tra loro ma con lo stesso grado di probabilità-lesioni gravi o la morte della p.o. rappresentati entrambi gli eventi come effetti altamente probabili se non addirittura certi della condotta criminosa (dolo alternativo e diretto)”(pagg. 8-9); infine: “Dolo che, è bene ribadirlo, si distingue nettamente…dal dolo intenzionale, in relazione al quale non è stata raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio, ed in tal senso-e solo in tal senso-divendosi concordare con la tesi difensiva, altrimenti priva di pregio e comunque non idonea a fondare una riforma, ancorché parziale, di tale punto della sentenza appellata” (pag. 9);
4.1. le sottolineature evidenziano come il dolo del delitto tentato che sarebbe stato accertato in specie, prenderebbe di mira più eventi (almeno due) definiti (in sentenza) come alternativi nella loro (pari) probabilità di verificazione definita anche come alta probabilità.
Ma la direzione degli atti a più eventi alternativi e con pari probabilità di verificazione (il che implica che gli atti siano parimenti idonei, e come possano esserlo in rapporti a fatti materialmente e tipologicamente differenti è incomprensibile) come potrebbe non essere equivoca (per riflesso anche  lessicale della alternatività stessa)? E tale rispetto all’uno ed all’altro evento, rispetto all’uno ed all’altro fatto implicato dall’evento? Come potrebbe non essere equivoca, la direzione, sia, d’altronde, nella proiezione oggettiva che in quella soggettiva suo (riflesso)?
Se equivoca, ovviamente, manca un elemento del delitto tentato.
Le incongruenze logiche della applicazione del dolo alternativo al delitto tentato – distinto costantemente da dolo intenzionale escludente  ogni altro fino all’artificioso recupero di taluno di questi (mistificatorio del dolo eventuale), del dolo alternativo appunto- sorgono dalla sottrazione di questo al suo campo tradizionale, quello del dolo indeterminato (questo o quell’evento per esso pari sono, ma prima dell’evento) e che si determina con l’evento (qui determinatur ab exitu):
in avvio non si sa che dolo sia ma lo si sa in arrivo; solo allora il dolo è determinabile, perchè solo allora si determina.
Basta ciò per constatare che non determinandosi con l’evento il dolo del tentativo, esso non è determinabile  se non alla stregua degli elementi materiali che lo supportano. E poiché questi sono tutti inequivoci e inalternativi (lo è anche l’idoneità degli atti qual supporto materiale della loro direzione), il dolo non potrebbe che essere altrettale, intenzionale appunto, cioè del reo intento alla produzione di atti che commettano il delitto voluto e previsto come conseguenza d’essi.
4.1.1. dolo intenzionale che, peraltro,  la sentenza esclude: “Dolo che, è bene ribadirlo, si distingue nettamente…dal dolo intenzionale, in relazione al quale non è stata raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio, ed in tal senso-e solo in tal senso-divendosi concordare con la tesi difensiva, altrimenti priva di pregio e comunque non idonea a fondare una riforma, ancorché parziale, di tale punto della sentenza appellata”.
4.2 sono quindi del tutto improprie tecnicamente locuzioni del tipo:
sussistenza di una volontà dolosa (sic)  dell’agente alternativamente diretta in modo inequivoco a cagionare la morte o gravi lesioni alla p.o.” (pag. 8); inoltre: “Con riferimento all’elemento soggettivo, erra la Difesa nel ritenere come il dolo diretto alternativo, così come sopra ricostruito dagli elementi oggettivi della condotta, debba escludere la configurabilità del delitto tentato per carenza di direzione non equivoca degli atti al compimento del delitto. Ed invero, secondo la valutazione più garantista (sic) di tali atti, l’agente ha posto in essere la condotta penalmente rilevante non già accettando il rischio di cagionare la morte della persona offesa (dolo eventuale)…ma al preciso scopo di cagionare-alternativamente tra loro ma con lo stesso grado di probabilità-lesioni gravi o la morte della p.o. rappresentati entrambi gli eventi come effetti altamente probabili se non addirittura certi della condotta criminosa (dolo alternativo e diretto)”;
4.3.peraltro, ciò che la difesa ha detto in discussione in tema, è quanto sopra esposto. Non pare che lo confutino i precedenti passi della sentenza.

Sulla desistenza

5. perchè possa sussistere la desistenza è necessario che ci si trovi davanti a un tentativo incompiuto. Senza che sia stata posta in essere la sequenza causale idonea a  generare l’evento morte. Nel caso di specie appare chiaro come gli atti da cui sarebbe potuta derivare la morte della persona offesa erano già stati tutti realizzati, colpi inferti ad una distanza molto ravvicinata…diretti in zone del corpo ove sono presenti organi vitali…azioni che se si fossero pienamente concretizzate negli effetti oggi solo ipotizzabili, sarebbero state capaci di provocare il decesso della donna (sentenza pg.9);
5.1 cioè, gli “atti” (che peraltro, come si è detto sub 3.2, hanno composto, formalmente e funzionalmente, l’azione causante tipicamente l’evento di lesione e si fermarono a questo, non andarono oltre e non cagionarono altro che questo, cioè un fatto reato di lesione), quegli atti, se fossero stati animati da intenzione omicida non avrebbero potuto inoltrarsi verso l’evento letale, approssimarsi vieppiù ad esso, precorrerlo vieppiù?
Donde è tratta (materialmente tecnicamente logicamente) l’illazione, che essi non avrebbero potuto essere più e altri?
Per ciò a quale stregua e su quale base il tentativo non sarebbe stato incompiuto?
E se incompiuto, perché non sarebbe stato volontariamente desistito?
5.2 D’altra parte, se la desistenza è circostanza di esclusione della pena da affermarsi anche se dubbia, se solo probabile o possibile ex art. 530.3 cpp,, come ha potuto la sentenza escluderla?
5.3 E comunque, le “azioni non si furono pienamente concretizzate negli effetti…. e non furono incapaci di provocare il decesso della donna”, anzichennò (come con motivazione contraddittoria delle risultanze la sentenza sostiene)?
E non mostrarono per ciò l’idoneità degli atti componenti esse a cagionare la morte (atti quindi pienamente passibili di desistenza)?
Pietro Diaz

Imputazione della fattispecie astratta anziché concreta (della legge incriminatrice anziché del fatto), imputazione eteronoma (la formulerebbe anche la querela) non autonoma (la formula solo l’atto di imputazione, appunto), imputazione diffusa (in qualunque atto del processo), autoimputazione (se la formuli l’accusato leggendo gli atti del processo): lo stato della accusa penale nella giurisprudenza italiana, la condizione dell’accusato in balia d’essa.

L’imputazione (nella sentenza).

Delitto di cui all’art. 612 bis commi 1 e 2 cod. pen. per avere con condotte reiterate, minacciato e molestato Caia in modo da cagionarle un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, ovvero, ingenerando un fondato timore per l’incolumità propria, costringendola altresì a modificare le abitudini di vita. Ciò in, quanto, con reiterate condotte, a seguito della decisione della Caia di interrompere la relazione sentimentale con conseguente dichiarazione giudiziale di separazione e poi di divorzio, l’indagato iniziava una continua attività di appostamento e pedinamento della persona offesa sia nei pressi dell’abitazione nonché pedinandola ed osservandola ovunque si recasse, con modalità sempre più intense ed aggressive, cagionava alla persona offesa un perdurante stato d’ansia e di paura, ingenerando in lei un fondato timore per la propria incolumità e costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita, tanto che la stessa non usciva più di casa, se non accompagnata da persone dì fiducia.
In particolare l’indagato giungeva ad installare un rilevatore di posizione GPS sotto l’autoveicolo della persona offesa al fine di monitorarne continuamente la posizione e poterla seguire ovunque si recasse, attività che si interrompeva solamente quando tale dispositivo si distaccava dal veicolo permettendo di ricondurne l’uso allo stesso indagato, in quanto risultava che il segnale da esso trasmesso venisse indirizzato a schede sim intestate all’indagato stesso.
Con la circostanza aggravante ex art. 612 bis comma 2 cod. pen. di avere commesso ii fatto nei confronti di persona alla quale era stata legata da una relazione affettiva e da convivenza.
In Terra dei Frati da data successiva e prossima ai …..(data della separazione giudiziale) al ….. (data di esecuzione dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati da persona offesa) e fino al……….”
Ndr.: Si segnala fin d’ora che l’ultimo periodo della esposta imputazione giunge ad essa dopo sua modificazione da PM in corso di dibattimento.
In origine l’imputazione chiudeva il periodo precedente così: accertato in data …….in Terra dei Frati e tuttora permanente”.

Il vano tentativo, della imputazione, di esposizione della fattispecie concreta.

1. Il primo periodo (della imputazione) è riproduttivo (sostanzialmente) dei termini della fattispecie astratta (art 612 bis cp) e pare fare da prologo alla imminente imputazione. Se e perché tale, potrebbe essersi esentato dal dovere di datare e locare le condotte e l’evento del reato (quelli cui si riferisce).
1.1 Il secondo periodo avvia la specificazione del precedente, contestualizzandolo ad altri fatti (la separazione dei coniugi e simili) e descrivendo le condotte in termini di pedinamenti appostamenti osservazioni; ma descrivendo gli eventi similmente a quanto fatto nel primo periodo.
Già in tale specificazione, non avrebbe potuto esentarsi dal dovere di datare e locare le condotte e gli eventi.
Tuttavia non lo fa. Tanto meno descrive le specie, delle condotte e degli eventi se non per generi.
Per ciò può dirsi che la specificazione del contenuto del primo periodo non basti all’uscita dalla (esposizione della) fattispecie astratta, ad esprimere la fattispecie concreta, che, indeterminata narrativamente, nei modi delle condotte e degli eventi, lo è perfino nei tempi e nei luoghi relativi.
1.2 Il terzo periodo avvia la “particolar(izzazion)e” dei due (se non tre) precedenti, indicando lo strumento (GPS), e la relativa istallazione, che sarebbe stato usato per le condotte del secondo periodo, e per il cagionamento degli eventi (assunti come) conseguenti. E benché non potrebbe esonerarsi dal dovere di datare (se non anche locare) l’adozione e l’istallazione dello strumento – così (almeno) indirettamente datando e locando le condotte or dette e ( almeno) indirettamente gli eventi – , tuttavia non lo fa.
2. dunque è omessa datazione e locazione dei fatti, sia come eventi sia come condotte (se fossero omissibili -non lo sono, vd dopo- date e luoghi di queste non lo sarebbero di quelli).
2.1. L’ultimo periodo espone la circostanza aggravante del fatto, perché commesso “nei confronti di persona alla quale era stata legata da una relazione affettiva e da convivenza”: con ciò retrodatando il fatto a tempo precedente il matrimonio, l’assunzione della qualità di coniuge (che pure avrebbe parimenti aggravato la commissione del fatto) e per ciò, poiché la qualità è supposta nel secondo periodo “…con conseguente dichiarazione dei separazione giudiziale e di divorzio”, vieppiù oscurando tempi (e luoghi) dei fatti.
2.2. L’imputazione (nella edizione originaria) si chiude indicando tempo e luogo dell’accertamento del fatto: i quali ovviamente nemmeno potrebbero proporsi di avere che fare con il tempo ed il luogo dei fatti. E quindi nulla dicono di questi.
2.3. I quali per ciò, insieme ai modi, sono completamente assenti.
3. Onde, in forza dell’organismo (artt. 335, 415 bis, 405, 417, 429 cpp in specie) regolativo della esposizione della fattispecie concreta, cioè della concrezione storiografica individualizzante della fattispecie astratta, dei suoi primari referenti della datazione locazione (e modazione) del fatto:
veicolanti la posizione dell’oggetto del processo per la complessiva attività (propulsiva propositiva queritiva e realizzativa) delle parti e del giudice, e per l’attività cognitiva di questo (sia preliminare -artt 425, 429 cpp- che postliminare -artt 484 ss cpp), la difesa eccepì (nella prima udienza del processo), coinvolgendo anche l’ordinanza di rigetto della eccezione emessa dal giudice della udienza preliminare (vdla in fdib), coinvolgendo per dipendenza da essa, e in sé, il decreto di rinvio a giudizio del predetto, coinvolgendo comunque l’imputazione al cospetto di quell’organismo normativo, la indeterminatezza (non relativa ma) assoluta della (almeno) datazione e locazione del fatto; e “dedusse” (rectiustrattandosi di nullità non relative – art 181 cpp – bensì “intermedie” e assolute) dicevasi:
– la nullità, per lesione del diritto della difesa ex art 178.1 c) cpp, del contenuto (temporolocomodale, precorritivo di quello della imputazione) dell’avviso ex art. 415 bis cpp; nullità trapassante nella (dipendente e consecutiva) richiesta di rinvio a giudizio ex art 417 cpp, nella ordinanza rigettante la deduzione, nel decreto che dispose il giudizio e negli atti preliminari del dibattimento;
– la nullità, per lesione del modo dell’esercizio della azione penale (supponente e postulante quell’organismo normativo), ex art 178.1 b) cpp, della richiesta di rinvio a giudizio; nullità trapassante nella ordinanza rigettante la deduzione, nel decreto che dispose il giudizio, negli atti preliminari del dibattimento;
– la nullità (“speciale” ma in effetti ricalcante tutte le ragioni, ed il valore, della generale) del decreto che dispose il giudizio ex art 429.1. c), 2 cpp (imponente “forma chiara e precisa” alla “enunciazione del fatto”), passante agli atti preliminari del dibattimento.

3.1 L’ordinanza (vdla in verbale in fdib) risponde:
ad analoghe considerazioni (decisione di rigetto ndr) deve pervenirsi anche in ordine all’eccepita genericità del capo di imputazione, posto che nel solco di un consolidato indirizzo interpretativo si veda ex (inc.) Cassazione, sezione V numero 10033 del 19 gennaio 2017, ai fini della completezza dell’imputazione è sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa, sicché è legittimo il ricorso al rinvio agli atti del fascicolo processuale purché si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall’imputato; considerato che applicando tali principi al caso di specie dalle querele utilizzabili ai fini della risoluzione delle sollevate eccezioni pienamente conoscibili dall’imputato, che i singoli episodi siano descritti analiticamente nelle loro coordinate spaziali temporali e modali tali da non pregiudicare il diritto di difesa; sottolineato inoltre che la locuzione tuttora permanente faccia riferimento agli ultimi episodi contestati e indicati a integrazione di querela sporta dalla persona offesa; non potendosi ipotizzare la forma permanente per un reato come quello contestato necessariamente abituale; evidenziato infine che la contestazione di un reato in forma permanente piuttosto che abituale non possa determinare alcuna nullità in ragione del principio di tassatività; ex art. 177 rigetta tutte le eccezione e dispone procedersi oltre (la distribuzione in capoversi dei periodi è fatta da questo scrivente per agevolare la propria argomentazione).

Orbene:
la soppressione della imputazione quale atto autonomo del processo, insieme all’oggetto del processo quale luogo di intersezione di tutte le attività processuali.

4. se al primo periodo (della ordinanza) basta che “il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa”, cioè se esso reputa che la contestazione della accusa, la enunciazione del fatto (del sopra richiamato organismo) sia funzionale esclusivamente all’esercizio della difesa; e per ciò che esso non sia funzionale (o è irrilevante che lo sia) né all’esercizio della accusa né a quello del giudizio (dal giudice): è espulso, dall’insieme degli atti giuridici di contesto, l’imputazione, la sua autonomia concettuale funzionale e normativa, le prerogative che la hanno posta alla base, storica e culturale, del processo accusatorio (e, in parte, del processo tardoinquisitorio), l’essere l’organo che promuove l’azione penale, dal quale effluiscono (e si giustificano) le attività delle parti e del giudici, al quale affluiscono i risultati d’esse, per poi divenire l’oggetto (complesso) della deliberazione finale (oltre che delle decisioni intermedie e iniziali: basti pensare alle attività di introduzione e di ammissione delle prove secondo in criteri (di non irrilevanza delle prove, di pertinenza al contenuto della imputazione) in art 190 cpp, non sperimentabili se non alla stregua della imputazione. Espulso quest’atto sono espulsi oggetto e soggetti (interagenti esso) della cognizione.

La disidentificazione della imputazione e la sua immedesimazione in ogni atto del processo, fosse pure geneticamente extraprocessuale (querela)

4.1 d’altronde il secondo periodo (della ordinanza) concepisce ed evoca una imputazione per relationem ad altri atti, con ciò apertamente ri(n)negandola perché le preferisce altri atti, perfino “non atti”, documenti (originariamente) non giudiziari, le querele, per giunta derivabili da chiunque, unilaterali discrezionali liberi (concettualmente); col limite che siano “conoscibili dall’imputato”…, subito accidentato dal fatto che non sono conoscibili dal giudice dibattimentale (art 511 cpp), che quindi non potrebbe conoscere l’imputazione surrogata, da lui perciò inconoscibile e sconosciuta, pur se organo (ineliminabile) di efflusso e afflusso della sua attività cognitiva e decisoria.

La autoimputazione

Inconoscibile dal giudice, conoscibile dall’imputato (secondo la condizione posta dalla ordinanza in parola, e dalla massima che richiama), il quale per ciò dovrebbe enuclearla, lui non altri (e nemmeno in contraddittorio con altri), fattualmente e giuridicamente, e poi contestarsela. Anzi, poiché l’imputazione esercita l’azione penale (art 405 cpp): esercitando lui, non altri (benché monopolista: art 112 cost) l’azione penale. E poiché l’imputazione enuncia la fattispecie concreta alla stregua della fattispecie astratta (principio di legalità) calzante al caso: individuando lui la fattispecie astratta, compiendo lui la sussunzione imputatoria ??!!
4.2 peraltro, se condizione della (autoformulazione della) “imputazione”per relationem sarebbe “che i singoli episodi siano descritti analiticamente nelle loro coordinate spaziali temporali e modali tali da non pregiudicare il diritto di difesa”, quando si andasse a vedere le querele (due) in processo, oltre tre o quattro “singoli episodi” “coordinati” (della seconda querela) ogni altra evocazione fattuale è (completamente) scoordinata.
Per di più, è completamente irriconducibile a (le solo categorie de) gli episodi evocati nella imputazione (autentica ed esclusiva:pedinamenti appostamenti osservazioni stricto sensu): insomma con essa la autoimputazione non riuscirebbe.

Conclusione

4.3 dunque l’ordinanza è illegittima, avversando l’istituto giuridico della imputazione e comunque disconoscendolo, rimpiazzandolo con atti (qualunque) del procedimento, finanche postulando autoimputazione (abbattuto il monopolio pubblicoministeriale dell’esercizio della azione penale).
Illegittima inoltre perché intrisa delle invalidità, sub 1 ss, affettanti l’atto che dichiara valido (oltre che affetta, nella motivazione, da illogicità giuridica).
4.3.1. Se ne chiede la riforma, con annullamento degli atti del processo (tutti) dipendenti da, e consecutivi a, essa (fino alla sentenza).

Permanenza (del reato) policrona

4.4 Quanto all’ultimo periodo: sottolineato inoltre che la locuzione tuttora permanente faccia riferimento agli ultimi episodi contestati e indicati a integrazione di querela sporta dalla persona offesa; non potendosi ipotizzare la forma permanente per un reato come quello contestato necessariamente abituale; evidenziato infine che la contestazione di un reato in forma permanente piuttosto che abituale non possa determinare alcuna nullità in ragione del principio di tassatività; ex art. 177 rigetta tutte le eccezione e dispone procedersi oltre.

Ora:
mentre sarà discussa più avanti la natura del reato, si evidenzia che l’eccezione non attenne (se non incidentalmente) la natura del reato, bensì la sua datazione (e locazione) che mancando totalmente rispetto al fatto (del quale l’imputazione indicava il tempo dell’accertamento, non della commissione), era presente in vece rispetto alla sua permanenza, ma, da un lato, in modo inafferrabile, datandosi rispetto “alla attualità”, ogni giorno quindi il processo fosse trattato, da altro in modo contraddittorio, alla datazione della permanenza) che ne faceva l’atto ex art 415 bis cpp e che ne faceva, diversamente l’atto ex art 429 cpp: onde tra atti del processo nello stesso momento datavano diversamente (quanto a permanenza) il reato: con aggravio della indeterminatezza temporale eccepita (e di cui sopra). Il riferimento al reato abituale fu fatto per dire che, quel tipo di reato (così figurato correntemente) era stato temporizzato come se fosse permanente: ma pur se fosse stato reato permanente, anche la sua datazione sarebbe mancata, mancando la data della sua realizzazione, cioè dell’avvio dello stato di consumazione, della permanenza. Non fu affatto eccepita, quindi, la nullità di alcunché per essere stato qualificato permanente un reato abituale: nullità in effetti inesistente, indeducibile in mancanza della previsione e, ex art 177 (richiamato dalla ordinanza).
4.4.1 La quale quindi ha completamente mancato la motivazione in punto, con seguente sua nullità già per ciò, indipendente dalla nullità derivatale dallo stato temporolocale della imputazione. Si chiede che siano dichiarate.

A.2 Gli effetti della l’imputazione diffusa in qualunque atto del procedimento, perfino quello inconoscibile, inattingibile istruttoriamente, dal giudice.

1. La deliberata, dalla ordinanza, ipostasi della imputazione nella completa indeterminatezza, e il suo discioglimento negli atti del procedimento quali le querele, ha prodotto i suoi effetti: ha permesso l’uso (accusatorio) dei loro contenuti quali contenuti della imputazione. Pur se, per di più, fossero in contrasto con l’(embrione di) imputazione generato dal titolare della azione penale. L’oggetto della cognizione della istruzione della decisione processuali, l’imputazione, disseminato nella congerie degli atti, è stato liberato, rimesso alla discrezione ricognitiva del giudicante, ad ogni sua determinazione.
Pietro Diaz

Da un ricorso in Cassazione penale per violazione di legge ex art. 325 c.p.p. …..

Da un ricorso in Cassazione penale per violazione di legge ex art. 325 c.p.p. avverso ordinanza di un Tribunale che, richiesto di riesame di sequestro preventivo ex art 321 cpp, rigetta, reputando che il reato presupposto può anche mancare, sia nella fattispecie concreta che in quella astratta…..

Fatto

A.

1. addì ….l’Ufficio Finanziario iniziava una verifica fiscale nei confronti della società …… “al fine di controllare l’adempimento delle disposizioni contemplate dalla normativa tributaria”;
1.1. addì …..il p.m. chiedeva sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p, in indagine per reato di cui agli artt. 81 cpv c.p. 4 d.lvo 10.03.2000 n. 74 per avere in qualità di legale rappresentante e socio accomandatario della società G, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte, indicato nelle dichiarazioni annuali per l’anno 2015 elementi attivi di ammontare inferiore al reale per un importo di Irpef parti a……e di iva pari a …… In …..i al giugno 2016;

B.

1.2 il decreto del gip asseriva: “letti gli atti del procedimento; premesso in linea di principio che i requisiti richiesti dall’art. 321 primo comma c.p.p. a fini dell’emissione del decreto di sequestro preventivo sono il fumus commissi delicti e il periculum in mora; considerato che nella fattispecie: sussiste, innanzi tutto, il fumus commissi delicti – da intendersi quale astratta sussumibilità del fatto in una determinata ipotesi criminosa e non come concreta fondatezza dell’accusa – è sufficiente rimandare a quanto risulta dalla comunicazione notizia di reato prot……… redatta dai militari della Guardia d Finanza, Nucleo di Polizia Tributari….. , nonché dai relativi allegati, atti da intendere qui integralmente trascritti siccome costituenti motivazione per relationem del presente provvedimento. In particolare, dalla suddetta informativa, infatti, risulta che in relazione al periodo di imposta in contestazione (anno 2015) l’indagato …..abbia omesso di dichiarare ricavi per € ….., omettendo di versare l’IVA dovuta nella misura di ……..E proprio a seguito della rideterminazione del reddito di cui sopra, l’indagato non ha corrisposto anche la relativa IRPEF per un importo pari a ……… come evidenziato nell’imputazione provvisoria e, ancora, come si legge alle pagg. 3-4 della summenzionata comunicazione notizia di reato. Allo stato degli atti non sono state allegate e fornite giustificazioni circa le diversità reddituali contestate, determinando così la legittimità e correttezza del maggior reddito contestato”;
1.3 ndr: come risulta nelle parti evidenziate in “grassetto” dal ricorrente, l’accusa è formalizzata in delitto di “dichiarazione infedele” ex art 4 sopra citato.

Tanto che:

C.

2. la difesa proponeva riesame deducendo (oltre altro) che:
Il decreto d’altronde è manifestamente infondato (se il fatto fosse stato esposto, preesposto mentalmente dal decidente, il decreto non sarebbe stato emesso).
Invero.
2.1 la ricognizione tributaria si apre a novembre 2015 e si chiude a giugno 2016. La dichiarazione fiscale era inesistente (anche perchè i termini per la presentazione delle dichiarazioni erano lontani).
2.1.1 come ha potuto assumersene la infedeltà? La risposta non la dà il decreto, e nemmeno la c.n.r., che anzi, nel suo mutismo, provoca la domanda;
2.1.2. per ciò come ha potuto dirsi reato (e suo corpo quale mezzo di sua commissione, oltre che prodotto dell’uso del mezzo: art 253 c.p.p.)? (come ha potuto ndr) Ritenersi profitto del reato, suo effetto, in assenza di sua causa?

Peraltro:

3. insussistente la dichiarazione, il reato inerente (anche a livello di fumus, salva la fumisteria): come ha potuto anteciparsi la sanzione (della confisca, tale è ritenuta quella di specie)? Anticiparsi una sanzione requisente il profitto (fiscale), questo mancante, mancando il reato?
Anticiparsi una sanzione, per giunta, nemmeno “diretta” sul patrimonio del profittante, pur persona giuridica, ma diretta su patrimonio altrui, del suo amministratore (vd. l’oggetto del sequestro, nel decreto medesimo)?
Una sanzione per giunta definita “per equivalente” quando a rigore, data la confusione dei profittatori e del profitto, sarebbe stata diretta?
Per giunta, diretta o per equivalente, una sanzione su patrimonio dell’amministratore, senza che neppure per fumus risultasse la dissimulatività, di costui, dalla “persona giuridica” da lui strumentalmente e fittiziamente costituita?

E ancora:

4. insussistente la dichiarazione, come ha potuto constatarsene e affermarsene la infedeltà, alla situazione imponibile?
Come ha potuto misurarsi questa in assenza di, e prima di, quella (non “omessa”)?

E inoltre:

5. non essendo misurabile la situazione imponibile come ha potuto determinarsi il superamento delle soglie in art 4 DLgs 74/2000, e ritenersi, in conseguenza, che il fatto corrispondesse alla norma?
Dunque il decreto è manifestamente infondato, in fatto e in diritto: si chiede che sia revocato.

D.

6. il Tribunale del Riesame riteneva: “priva di fondamento, l’eccezione della difesa che ritiene insussistente il delitto di assenza di dichiarazione, per essersi l’attività investigativa conclusa il 06.06.16, anteriormente alla data di presentazione, poiché viceversa, la predetta attività istruttoria è proseguita ulteriormente, concludendosi in data 08.02.2017. E’ proprio all’esito complessivo delle indagini che si è giunti alla formulazione dell’imputazione provvisoria trascritta nel gravato decreto”;

Diritto

I. Violazione di legge rilevante ex art. 325 cpp, in relazione alla legge penale in art 4 d.l.gs74/2000.

1. la legge in epigrafe incrimina la “dichiarazione infedele”. Questa d’altronde è stata supposta nel decreto di sequestro, nella impugnazione d’esso, é stata supposta in ogni atto del procedimento (vd in Fatto): sorto ed evoluto sulla scorta d’essa (il processo penale, anzitutto quello preliminare, nasce ed evolve da una notizia di reato, il cui contenuto funge da accusa prima della imputazione).
2. il fatto del reato, peraltro, è parso insussistente: nella motivazione del decreto di sequestro, negli atti di indagine di p.g., cui esso per relazione (indebita per le ragioni richiamate nell’atto di sua impugnazione : sub 1.d’esso) ha reputato di poter attingere.
In ogni parte del procedimento.
Nella ordinanza (qui ricorsa), la quale peraltro, a differenza del decreto, neppure menziona il fatto di reato (di dichiarazione infedele: menziona soltanto una “imputazione provvisoria”, che non è fatto ma “imputazione”, la quale peraltro è inconfigurabile come tale, nella fase procedimentale delle indagini preliminari); vi allude sofisticamente, “correggendo” una allegazione difensiva (come se, o dando ad intendere che, la correzione porti al fatto di reato): “priva di fondamento, l’eccezione della difesa che ritiene insussistente il delitto di assenza di dichiarazione, per essersi l’attività investigativa conclusa il 06.06.16, anteriormente alla data di presentazione, poiché viceversa, la predetta attività istruttoria è proseguita ulteriormente, concludendosi in data 08.02.2017. E’ proprio all’esito complessivo delle indagini che si è giunti alla formulazione dell’imputazione provvisoria trascritta nel gravato decreto”;
2.1 fatto di reato, dunque, inesistente anche lì, incontrovertibilmente.
Laddove avrebbe dovuto esistere a legittimazione (liceizzazione), dell’avvio del procedimento, della sua evoluzione in concussione di un bene patrimoniale, in (grave) menomazione della libertà relativa.
2.1.1 Non potendo non esistere secondo la imposizione veniente dalla legge incriminatrice, postulante (anche per la sua efficacia sanzionatoria) l’esistenza del suo oggetto;
3. orbene questa legge è stata applicata ad un caso non concernente il suo oggetto, privo di questo. In violazione della sua volontà, della sua forma.

II. Violazione di legge rilevante ex art 325 c.p.p., in relazione alla legge processuale ex art 125.3 c.p.p. (imponente la motivazione dei decreti e delle ordinanze sotto pena di nullità).

1. come sopra rilevato, l’ordinanza, decidente sul reato sopra indicato, non ne motiva (neppure minimamente) la sussistenza.
Peraltro la sussistenza del reato non era stata motivata, direttamente o indirettamente (per relazione ad atti di p.g.!!!) nemmeno dal decreto;
1.1 il vizio della motivazione era stato impugnato davanti il tribunale. L’ordinanza, da un lato, non annullando né riformando il decreto, ha assimilato quel vizio (che all’interno d’essa esplica i suoi effetti invalidanti); da altro lato, reitera da sé il medesimo vizio, mancando appunto (totalmente) la motivazione della sussistenza della fattispecie concreta postulata dalla fattispecie astratta. Se non, addirittura:

III. Violazione di legge rilevante ex art 325 c.p.p., in relazione alla legge penale in art 4 d.l.gs74/2000; stavolta:

1. (se non addirittura, si diceva) l’ordinanza del tribunale non avesse ritenuto che la fattispecie astratta, la legge incriminatrice della “dichiarazione infedele”, possa non contenere questa. O che essa possa sussumere una fattispecie concreta mancante della “dichiarazione infedele”.
Se lo avesse fatto, avrebbe esercitato potere legislativo!

II bis Ritornando al vizio sub II:

1. l’ordinanza ignora (platealmente) le deduzioni difensive sub C. 3, 4, 5 (qui richiamato).
E se la motivazione della decisione giudiziaria si estrania dalla dialettica delle parti col giudice, dal contraddittorio della collettività processuale, se essa cioè, autistica (e autocratica), non dà conto della decisione alla collettività suddetta e a quella esterna, ovviamente (funzionalmente oltre che formalmente) manca.
1..1 Non dovendo secondo la legge processuale in art 125.3 cit.., che quindi viola.

IIII Conclusioni:

per i motivi indicati si chiede l’annullamento della ordinanza (che non fosse riformata).

Con Maria Carla Sunch
Pietro Diaz

 

Sulla falsità ideologica ex art 479 cp mediante “attestazione implicita” e sul concorso dell’abuso d’ufficio ex art 323 cp a quella: in una accusa formulata da PM in avviso ex art 415 bis cpp.

1. M. è incolpata di avere partecipato alla formazione della deliberazione di Giunta n. ., ed a connesso atto abusivo dell’ufficio, in qualità di “Assessore” del Comune di……
1.1 Partecipava alla deliberazione suddetta avente ad oggetto “Programma di Sviluppo Rurale……..– Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale –BANDO PUBBLICO PER L’AMMISSIONE AI FINANZIAMENTI AZIONE 3– Conservazione e recupero degli elementi architettonici tipici del paesaggio rurale……..– APPROVAZIONE PROGETTO DEFINITIVO – ESECUTIVO -€.84.700,00 -” e “approvare il progetto definito-esecutivo relativo al Programma di Sviluppo Rurale – Di dare atto che la spesa complessiva di €. 84.700,00 trova(va) copertura con i fondi assegnati a questo Comune ed iscritti nel bilancio al Titolo……..– 3) Di dichiarare la presente, con successiva ed unanime votazione, immediatamente eseguibile ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.lgs 18/8/2000 n° 267 stante l’urgenza di consentirne l’operatività.
1.2 E, rispetto a siffatto oggetto della deliberazione, è incolpata ( oltre che del reato ex art 323 cp, di cui dopo), di avere, in concorso con altri, ex art 479 cp, “…formato un atto pubblico nell’esercizio delle relative funzioni e attestato falsamente fatti dei quali l’atto stesso era destinato a provare la verità. Ciò in quanto, con l’adozione della delibera n……., quali componenti della giunta comunale, approvavano il progetto definitivo dei lavori di manutenzione straordinaria nella locale strada di …..……..Con tale delibera implicitamente attestavano falsamente l’esistenza del progetto definitivo-esecutivo e il relativo deposito presso gli uffici del Comune da parte di P, alla quale erano stati affidati, nell’ambito di tale stessa procedura, gli incarichi di progettazione, direzione e contabilità dei lavori e adempimenti in materia di sicurezza del cantiere, con determinazione n……, nonostante, a quella data, lo stesso progetto non fosse ancora pervenuto agli Uffici Comunali. In……..
È da notare fin d’ora che, fra l’oggetto della deliberazione (sub 1.1.) e l’oggetto della “falsa attestazione” (sub 1.2) manca ogni corrispondenza formale, tanto che, questa ed il suo oggetto sono delineati come impliciti. Sarà discusso più avanti se la falsificazione ideologica di un fatto (o di un atto) possa essere implicita, col suo oggetto.
Ma adesso:
2. ex art. 2699 cc, “il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato“; e che, ex art. 2700 c.c., “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti“:
è l’atto pubblico categorialmente probatorio erga omnes.
Di fatti, quando ricalchi (oggettivamente soggettivamente contestualisticamente funzionalmente) il procedimento formativo suddetto, è prova legale. Tale (comunque e sempre) per destinazione (del potere dell’autore e dell’atto): è scolastico l’assunto per cui secondo l’ordinamento giuridico l’attestazione fa prova legale di fatti o atti giuridici in quanto redatto, con le prescritte formalità, da un funzionario pubblico o da un privato che esercita una funzione pubblica, al quale l’ordinamento ha attribuito la relativa potestà.
2.1 ebbene precisamente esso, non altro, è l’atto richiamato dall’’ art 479 cp, in accusa. Esso, non altro, va cercato e rinvenuto (accusatoriamente), nel genere di attività e/o di atto sub 1.1 :
l’assunto vale ovviamente in concreto, alla stregua della accusa, non in astratto o in genere, giacchè, qui, la nozione penalistica di atto pubblico probatorio può anche differenziare quella civilistica e penalistica appena detta (in art 479 cit.), sia dal lato soggettivo, perché dell’atto potrebbe essere autore, oltre il pubblico ufficiale, anche il pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio (sempre con le prescritte formalità, la stessa destinazione probatoria, lo stesso per uno scopo di diritto pubblico inerente la propria funzione o il proprio servizio): art 493 cp. Sia dal lato oggettivo, perché funzione e servizio plasmano a loro modo valore e scopo dell’atto: al punto che esso, ad esempio, potrebbe non essere fidefacente al modo sub 2 (vd l’indicazione in art 476.1.2 cp). La nozione penalistica in questione comprende dunque gli atti pubblici probatori di cui agli artt. 2699 2700 cc, e quelli, differenti soggettivamente e oggettivamente al modo detto, da essi.
2.2 va ora specificato che tutti e solo gli atti indicati sono “attestativi”, formalmente ed espressamente (e per destinazione d’atto e di autore), cognitivi accertativi e assertivi del vero, di un fatto o di un atto, veritativi di questi. Penalisticamente si rinvengono negli artt 478.3, (479), 480, 481, 483, 491 bis, 495, 495 bis cp, (con pari denominazione ma con differenti oggetti e differenti ambiti funzionali sono rinvenibili in altre aree dell’ordinamento, qui non rilevano).
Orbene:
3. l’ atto pubblico 29 9 14 è costituito da una “deliberazione” della PA esercente attività (funzionalmente e con natura) di amministrazione, la quale, nel suo moto, innova il mondo fattuale e giuridico amministrandolo appunto, non provandolo e per ciò probatoriamente non attestandolo. Pur se le sue premesse o i suoi presupposti, fattuali e giuridici, potessero o dovessero essere veri. Quell’atto, pubblico e di pubblici ufficiali in (e per) esso, è segmento della attività amministrativa dell’interesse pubblico competente all’organo che li assembra (la Giunta Comunale in specie); e coerente gli è la destinazione, a scopo rigorosamente amministrativo, tutt’altro che probatoria (eccetto quella, riflessiva, di provare se stesso).
Atto deliberativo (decisorio e prescrittivo o propulsivo), non è quindi attestativo. Non è (risolutivamente quindi) nemmeno lessicalmente (tanto meno concettualmente e funzionalmente) riconducibile alla categoria degli atti attestativi (civili o penali ) sopra visti (che innovano il mondo fattuale e giuridico esclusivamente dando prova di un fatto o di un atto, dichiarandoli pubblicamente certi, veri, ad opera di un organo appositamente preposto a farlo). Per ciò non avrebbe potuto né dovuto essere condotto ad una accusa penale che fosse al seguito, oltre che delle regola tecniche di dettaglio, del principio di legalità, e di riserva di legge.
Insomma manca ogni corrispondenza strutturale e funzionale oggettiva e soggettiva e contestuale fra questo atto, deliberativo, e quello attestativo (malgrado la contraria pretesa del PM).
4. In concreto comunque:
la deliberazione impresse ulteriore corso alla attività amministrativa dell’Ente assumendo premesse fattuali e giuridiche allegandole indicandole, esponendole, presupponendole (“visto”), mai attestandole nel senso proprio sopra illustrato. Anche perché la prova del loro contenuto era data dai referenti esse, estranei all’atto e all’attore deliberativo, intranei alla attività di sua istruzione – unica attestazione appartenente all’atto di deliberazione (ma non ad esso, essendo autonomo) ha avuto ad oggetto l’affissione all’albo pretorio d’essa (ed è stata fatta dal segretario comunale).
Altrettanto è il rapporto logico e funzionale fra la deliberazione ed il particolare elemento, premesso, dato dall’esistenza del progetto definitivo-esecutivo e il relativo deposito presso gli uffici del Comune da parte di P.…….
Esso è portato da attività allegativa indicativa probativa altrui, e quale suo prodotto è assunto dalla deliberazione. La quale, ripetesi, nulla attesta, visibilmente, d’esso.
Ciò è tanto vero, sopra cennavasi, che PM è costretto ad evocarne attestazione implicita ( peraltro, nemmeno essa rintracciabile, se, premettere, non implica attestazione di quanto premesso, se mai supposizione se non ipotizzazione: nemmeno quando il premettere suonasse “visto”, o equivalente, giacchè la visione non è attestazione).
Ma non (può) esiste(re) nell’ordinamento un atto attestativo implicito o implicitamente attestativo. Giacchè esso è atto giuridico, come tale necessariamente formale, espresso esplicito. Poi è atto solenne (della solennità in art 2699 s. cit; ma anche in articoli sub 2.2 citt), perchè postulando un soggetto in posizione e funzione (esclusivamente e finalisticamenrte) attestatorie, percepibili visibili e assumibili come tali, insieme al loro prodotto (attestare origina dal “testa a testa”, dell’assertore e dello spettatore, come dal testare- testimoniare, del teste, che a sua volta solennizzava il suo dire ponendosi le mani in data parte del corpo, etc.). Tanto che l’attestazione implicita è una contraddizione in termini, e relative immagini, giacchè la sua inesplicitazione, inespressione, è mancanza di forma, cioè di consistenza (nel mondo dei segni), di atto (quod actum sit, visibile necesse est) in definitiva. Nessuno attesterebbe nulla se non agisse appositamente esclusivamente e manifestamente. E competentemente (per competenza funzionale specifica assegnatagli dalla legge (civile penale amministrativa etc.): talchè “l’attestazione” che non scaturisse dalla competenza dell’”attestatore”, se falsa, non sortirebbe la falsità in art.479 cit o altrove.
4.1. dunque il fatto non è previsto dalla legge come reato, prima ancora che essere insussistente.
5. e comunque, l’accusa avrebbe dovuto cogliere la fattispecie più consona alla sua (pur) giuridicamente sviata logica: quella di falsa attestazione sul contenuto di atti, in art 478.3 cit.,: se la falsità è commessa …in un attestato sul contenuto di atti pubblici o privati la pena è della reclusione da uno a tre anni .
Di fatti la Giunta “attestante” quanto sub 4 primo cpv, “attestava” sul contenuto di atti pubblici e/o privati, e su questi. Non attestava cioè quanto della realtà extradocumentale apprendesse de visu aut auditu (art 479 cit.), falsificando l’atto formato direttamente, per ciò ideologicamente, e così trasmettendolo al pubblico. Ma falsificava, per ciò materialmente, quanto posto in atti da altri, il contenuto di altro atto, la realtà documentale, e così trasmettendolo al pubblico.
5.1 quindi il fatto, se mai, sarebbe stato dalle legge previsto come altro reato.
D’altro canto:
6. così previsto, con quella pena edittale (vd sopra), la intercettazione telefonica (o ambientale…), come sarebbe stata inammissibile, ex art 266 cpp (ad occhio di giudice autorizzante e di PM richiedente…si tralascia qui l’osservazione di altri vizii della decretazione in materia, causa di inutilizzabilità, eccetto uno: fu intercettazione “preventiva”, perché avviata prima della notizia di reato, enucleante anziché probante questa…), così sarebbe stata inutilizzabile, ex art 268 cpp:
e da essa non sarebbe stato estrapolabile quanto elucubrò, accusatoriamente, la cnr (vd dopo).
Onde allo stato è totalmente inaffermabile la falsità dell’elemento sopra indicato: sia contro i conversanti (presenti in Giunta), sia, tanto più, contro altri, totalmente ignari o comunque da presumersi tali.
6.1 a parte che l’intercettazione sarebbe stata inutilizzabile (lo è stata tacitamente nella determinazione di PM ex art 415 bis 1: cpp) perché non trascritta ex art. 268.6.7.8 cpp (avrebbe dovuto esserlo prima di quella determinazione, a pena di nullità ex art 178.1 c) cpp: senza rinuncia alla eccezione, si chiede che lo sia ex 1 art. 415 biss.3 cit..
E comunque
6.2 tornando alla falsità in parola, se nella cnr si narra che tra P ed S (Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di..) sarebbe stato concordato l’invio, dalla prima, di una fittizia lettera di trasmissione del progetto definitivo/esecutivo, la quale sarebbe stata messa agli atti dal tecnico e successivamente corredata dal resto della documentazione occorrente (cfr, pag.):
sta in fatto che, in allegato n. 19 del presente fascicolo si rileva una comunicazione di P del ……indirizzata al Sindaco del Comune di ……ma anche al Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale (S ), avente per oggetto “Progetto definitivo – esecutivo per i lavori di rifacimento di un muro a secco su due lati di una strada che va verso la……..”, contenente un elenco di allegati con un timbro recante “Pervenuta il Prot. N..
6.3 e comunque della falsità in parola nulla che induca a ritenerne la percezione la rappresentazione, neppure il sospetto, in M è rinvenibile nel processo: che, si noti, attribuisce reati a dolo generico e specifico, del fatto in ogni sua componente, molto intenso, e la cui supponibilità in capo al totalmente estraneo al compendio probatorio accusatorio (le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni), è assai problematica, la supposizione irraggiungibile (la giurisprudenza traduce che in tema in tema di falsità documentali, ai fini dell’integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in “re ipsa”, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo: sez. 3 n. 30862 del 14/05/2015, Rv. 264328).
Non è inopportuno evidenziare, al fine della determinazione del grado di cognizione del merito della deliberazione de qua e dell’atto d’ufficio or detto, che, la predetta, ricopriva la carica di “Assessore ai…..” presso il Comune di. Tutt’altra competenza rispetto a quella della materia.
D’altronde, va posta in risalto la peculiarita dell’oggetto del dolo in specie, l’”attestazione implicita” di una realtà documentale inesistente o incompleta, che dal lato della condotta come da quello del suo oggetto e dell’evento, sarebbe afferrabile, raggiungibile, solo da dolo implicito: in re ipsa, ut supra inammissibile.
7. Quanto al reato di abuso d’ufficio ex art 323 cp, M è accusata di avere, in concorso  con altri nelle rispettive qualità di….”nello svolgimento delle relative funzioni procurato a P..un vantaggio ingiusto, in ottemperanza dell’accordo concluso tra Pe e S (di cui ai capi…)consistito in una remunerazione per complessivi euro 7000.
Orbene:
– l’ingiustizia (quale contrarietà a norme giuridiche ed economiche) del vantaggio, e questo stesso, non si vede come siano stati colti, nella retribuzione congrua di una prestazione lavorativa professionale, compiuta o compienda.
Quindi manca un elemento del reato.
-se il mezzo della commissione dell’abuso è dato dalla “ottemperanza all’accordo…”, non da altro. Per ciò non è dato da “violazione di norme di legge o di regolamento…,, pretesa dall’art 323 cit.:
manca un altro elemento del reato (a proposito dell’elemento di fattispecie ora indicato, della violazione di norme di legge, neppure pare che, l’accusa, lo abbia ricondotto alla violazione ex art 479 cp; d’altronde esattamente intuendo che, questa specie di legge, non corrisponde affatto a quella in art 323 cit., sia perché, se così non fosse, ogni reato del p.u o del i.p.s. integrerebbe il reato di abuso d’ufficio. Cioè, questo sarebbe in perenne concorso formale con quello. Assurdo. Sia perchè sarebbe antitetico alla nozione e la funzione della legge, o del regolamento, richiamati art 323 cit. quali norme della funzione e/o del servizio amministrativi: norme di azione lecita, non illecita, della PA.
Mancano quindi tutti gli elementi del reato (il riferimento alle ”rispettive qualità”, di Sindaco etc.. è totalmente inconferente, perché nella falsità in atti o nell’abuso d’ufficio de quibus è la qualità funzionale o serviziale che rileva):
perciò il fatto non sussiste.
E comunque:
7.1. poichè l’elemento integrativo della accusa di abuso d’ufficio, della totalità degli elementi della fattispecie di reato, come si è visto mancanti o irrilevanti, sarebbe dato dal “vantaggio ingiusto”:
non può essere tralasciato che, vantaggio o danno, sono elementi impliciti costanti, intuitivamente, del reato di falsità in atti, pur essendo rimasti alla stadio economico, non giuridico, pur non essendo stati formalizzati. E’ quindi verosimile che PM abbia voluto formalizzare il vantaggio, renderlo giuridico, applicandolo all’art. 323 cit. avrebbe violato, gravemente, sia la fattispecie del falso ideologico (o materiale sopra indicata), addizionandola ab externo, sia quella dell’abuso di ufficio, detraendola ab interno, sia entrambe in combinato disposto, componendo esse un ibrido del tutto alieno alla legge penale.
Pietro Diaz

Su uno dei sempre più numerosi segni, e non dei maggiori, dello straripamento del potere della magistratura sulla avvocatura, passando per la procedura…

di Pietro Diaz

Consiglio di Disciplina

Distretto della….. 

c/o Palazzo di Giustizia

 

DEDUZIONI

ex art. 50, l. n. 247/2012

 

Oggetto: Consiglio dell’Ordine Forense di …..Prot. n….., deduzioni ex art. 50, l. n. 247/2012, 

 

Addì…….2016 è pervenuta la comunicazione ex art. 50 l.n. 247/2012, del  Consiglio dell’Ordine Forense di….., contenente  il verbale dell’udienza nel Tribunale di ……trasmessogli addì 2016 mediante pec della Cancelleria del Tribunale di ……, e ipotizzante un addebito disciplinare.

Il verbale attiene un processo penale il cui accusato è difeso dallo scrivente. Il processo è incardinato presso il Tribunale di…..,  la prima udienza si è tenuta addì…..2016. Trattandosi di una sede assai distante da quella dello Studio, si è incaricato l’avv……, in ….., di svolgere funzioni di sostituto.

L’avv…… è intervenuto fin dalla fase delle indagini preliminari; addì ….2016 è stato incaricato del ritiro (doc. 1) e della trasmissione delle copie informali degli atti ex art. 415 bis c.p.p., ha adempiuto tale compito (doc. 2) ed è stato avvisato telefonicamente (di ciò che già sapeva fin dal primo contatto) che l’udienza si sarebbe tenuta addì…..2016 alle ore 09:00 presso quel  Tribunale. 

Il giorno prima d’essa, peraltro, gli è stata inviata e-mail (doc. 3) riepilogante i dati del procedimento penale, il numero di cellulare a cui rivolgersi per ogni evenienza e due allegati: la dichiarazione di mancato accordo delle parti (doc. 4) e la nomina a sostituto processuale per l’udienza del……2016 (doc. 5). Poi si è appreso che, all’udienza, egli è mancato (subito interpellato ha spiegato che non aveva visto la e-mail, e che, nel medesimo giorno, era stato presso il Tribunale di…..).

D’altro canto

1. La dr.ssa ….., giudice presso quel Tribunale apparso nell’aula dell’udienza, non lo ha fatto per tenerla, poiché, ha detto, il processo era stato assegnato al G.O.T……. E di fatti la ha “rinviata” ad altra, che, tuttavia, ha solamente indicato, giacché, non essendo investita del processo, era priva di poteri (deliberatorii, istruttorii) ordinatorii, priva della facoltà di compiere alcun atto d’esso (alla categoria appartiene “il rinvio”); possedendo ella (con, e per, per ciò), qualità, non funzione, di giudice; equivalendo, in ciò che facesse, a funzionario dell’Ufficio che desse istruzioni, agli astanti, sulle attività future. 

1. 1 Peraltro, in tale qualità senza funzione, ha programmato, per la udienza successiva: 

-l’”apertura del dibattimento” – ma senza passare per gli “atti introduttivi” ( Libro VII, Titolo II, Capo II cpp), saltandoli – ; 

-la citazione, per la escussione, di 2 testi del PM – ma senza passare per le “richieste di prova” e per la loro ammissione (artt 493, 495 cpp), saltandole; 

1.2 ha controllato, prima, “la regolare costituzione delle parti” (art 484 cpp),  pur non potendo né dovendo dare inizio al dibattimento (ivi), pur non compiendo (e comunque mancando) “atti introduttivi” (compibili dal giudice d’esso): ciò, come se, in processo assente per assenza del giudice, le parti potessero “costituirsi”, e, ancor prima, “comparire”- (processo e parti mutuano reciprocamente la giuridicità formale propria e dei loro atti);

– ha, di conseguenza, dato causa alla inefficacia dei suoi “atti”, o perché saltuari (essi non progredirono da altri, indefettibili, li scavalcarono); o perché afunzionali (essi non derivarono dal funzionario); e dato causa alla invalidità, d’essi (la omissione dei loro antecedenti ha leso diritti, a questi, delle parti); 

1.3 infine, entro la stessa (sur)realtà giuridica: 

– constatando la mancata comparizione (ma vd quanto sub 1.2. ) del difensore, e l’assenza di deduzione di impedimento ( tuttavia esigibile solo da chi potesse “ comparire”: vd ancora quanto sub 1.2.);   

– delibando (tacitamente invero) che egli avrebbe mancato o ritardato o negl(etto) atti inerenti al mandato o alla nomina, (per) non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistitaex art. 26 ncdf (lunico verosimilmente pensato, non essendo manifestamente ravvisabili i casi di abbandono della difesa, rifiuto della difesa dufficio, violazione dei doveri di lealtà e di probità del difensore, nonché del divieto di cui allart . 106.4 bis cpp,   ex art 105.4 cpp: vd infra);

ne ha riferito all’Organo disciplinare (senza nemmeno declinarne il potere, non tanto, quello particolare, assente nel giudice senza funzione, ma quello generale, se il potere previsto dall’art 105.4 cpp, sorge da casi differenti da quelli in art 26 ncdf (come sopra visto); 

1.4 Visibilmente, in uno scenario pseudoprocessuale oggettivamente e soggettivamente simulativo, ma (verosimilmente) utile, informalmente, ad esonerare l’Ufficio dalla rinnovazione degli avvisi della udienza alle parti non comparse né costituite (ut supra, sub 1.2), da supporre assenti anziché   presenti (art 148.5 cpp).

2. E’ per ciò comprensibile che, ad una scenario meteorale  (si apre alle ore 10:02 e si chiude alle ore 10:07): 

– non possa appartenere (nemmeno) l’ipotesi, pur immancabile sulla terra, che, il difensore “non comparso”, viaggiando da ……(la dr.ssa ben lo sa, poiché è a verbale), possa essere in ritardo (sui tempi d’arrivo, non sull’atto della comparizione), possa comunque non versare in non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita (…….); possa perciò non permettere, se non vietare, di affermare il contrario, e di insinuarlo (nel senso veterogiudiziairio del termine) presso l’Organo disciplinare. 

E tanto meno possa appartenere, a quello scenario, che il difensore abbia tatticamente deliberato, d’intesa con l’assistito, di non comparire, esercitandone legittimamente la facoltà. E, forse ancor meno, che la distinzione concettuale, fra quell’esercizio e “l’abbandono” (così, sommariamente, la prassi sintetizza l’art 26 cit.), è stata colta ed affermata (e differenziata effettualmente) da altri giudici (Cass., sez. V, n. 21889 del 2010; Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, 13 giugno 2011, n. 12903).

Peraltro l’art 26 cit censura, del difensore di fiducia, l’inescusabile mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato, e solo del difensore di Ufficio il mancato adempimento a singole attività processuali, prescrivendogli, in caso di impedimento a comparire, di darne i congruo avviso alla autorità giudiziaria; così che la mancata attività (di partecipazione alla udienza) del difensore di fiducia, neppure pare inscrivibile nella violazione in art 26 cit.. E non ècerto causale che l’art 26, tipizzando i principi in artt 10, 11 e 12 del codice, sia collocato nel titolo II relativo al rapporto con il Cliente e con l’assistito, non nel titolo IV disciplinante le condotte doverose nel processo; ciò a marcare la rilevanza del rapporto interno, così che la mancata partecipazione del difensore di fiducia alla udienza parrebbe rilevare solo nel caso in cui essa integri abbandono di difesa (giacchè il fatto rilevante in vario modo, lo sarebbe anche disciplinarmente). Ed èescluso, in specie, che la condotta abbia violato i principi suddetti. 

E tanto meno, dicevasi, possa appartenere, a quello scenario, l’offesa, non solo economica, che sarebbe stata inferta al difensore (ed al difeso) che, illuso dal mancato preavviso che il processo non sarebbe mancato, fosse salito fin sotto le Alpi……, partito dall’isola del Mar…….;

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3. tale il fatto ed il diritto: 

4. si chiede archiviazione del procedimento

5. Si allega in copia:

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………………2016 

Con deferenza

Avv. ……