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ALBERTO CRESPI IN CARCERE

Regista di film in difesa di detenuti derelitti relegati reietti sventurati sciagurati azzerati – “Spes contra spem” (il suo titolo più noto), significante (paolinamente e, poi, pannellianamente): essi siano, piuttosto che abbiano, speranza-, è stato interrato (vivo) ad Opera (Milano), in esecuzione di pena di oltre sei anni di reclusione.
Condannato da Cassazione penale – da “giudice di legittimità”, guardiano della applicazione (propria e altrui) delle leggi della repubblica-, per reato di “concorso esterno in associazione di tipo mafioso” (avrebbe procurato voti politici ad uno sconosciuto mobilitando sconosciuti!).
Non (nemmeno!) un “reato associativo”- formato (esclusivamente!) di insiemi di persone, di persone associate che pensano malaffari, un reato di pensiero malo collettivo (!)- , ma un “reato di contiguità”, all’or detto, secondo neologismo che ha tentato di camuffare l’aborto logico (della contraddizione in termini) del “concorso esterno” di una persona ad un reato.
Ha cioè tentato di dissimulare il collasso della mente compositiva, che la regola (millenaria) del concorso di persone nel reato – le quali, commettendolo, non potrebbero che farlo dal di dentro, non dal di fuori (in corcorso interno, mai esterno!-, mai avrebbe (neppure) ipotizzato, Condannato da Cassazione, quindi, Crespi, per un reato non solo nominalmente assurdo (oltre che, fattualmente, pericolosamente aperto a qualunque scorribanda identificatoria, e, pertanto, inquisitoria), ma inesistente; e per conseguenza, condannato ad una pena inesistente (poiché, se non c’e reato non c’è pena, sua inseparabile appendice), nella legge penale vigente!.
Condannato perciò fuori, contro, senza, la legge, quindi, in (mortale) affronto al “principio di legalità del reato e della pena” (art 1 codice penale: se chiunque o qualcuno del popolo debba penare per reato, lo stabilisce il Popolo, in Parlamento con propria legge, non altri, non Cassazione con propria sentenza !).
Condannato quindi illegalmente, dinanzi alla legge comune, e, di più, alla legge costituzionale. La quale ultima, (anche) per impedire alla prima (che potè farlo nell’ “Era Fascista”) di annullare (perchè di pari forza e grado) il principio in art 1. cit., , la sollevò (1948) al proprio rango, imponendole irrevocabilmente di vietare, a chiunque, di punire per reato senza che una legge lo prevedesse.
Condannato quindi, Crespi, con illegalità non solo comune ma anche costituzionale, a supremo spregio della norma fondamentale della repubblica!
Ma la vicissitudine sua, e del diritto (e della scienza) penale, e dello “Stato di diritto” è ben lungi dal finire qui.
Cassazione (oramaI) condanna per “concorso esterno” a “reato associativo” dall’anno 1994 (circa) –d’altronde, che il reato non esista se non nei suoi Massimari (a malgrado delle sedute medianiche -evocative- tenute da legulei facinorosi), lo ha detto a chiare lettere la CEDU (corte europea diritti uomo) che ha disposto riabilitazioni e risarcimenti di condannati per “fatti” (di “concorso esterno”) precedenti il 1994, poiché non previsti (non solo dalla legge ma nemmeno) dalla giurisprudenza italiana prima di quell’anno!-.
Sono quindi centinaia (se non migliaia) gli innocenti, intangibili, inviolabili per legge, tuttavia interrati nelle carceri, avulsi dai contesti esistenziali e sociali, espulsi dalla convivenza civile, disfatti, annichiliti.
E con loro i vicini, congiunti o no.
E son 26 anni che le istituzioni contigue (Militari o di Polizia o di Media) vi partecipano; che altre istituzioni guardano a ciò insensibili.
E che una istituzione sopratutte, dovendo vietarlo, lo permette. Il Parlamento, facitore del diritto, custode d’esso (mallevadore della separazione dei Poteri: Cassazione legislatrice?! ), il quale, ben conscio della sottomissione di sé medesimo al “principio di legalità penale” – quando voglia punire reati, deve farlo con legge -, conscio quindi della irrinunciabilità che alcuno punisca se non per legge, non potrebbe ammettere che alcuno (financo, come Cassazione, assolutamente privo del potere di legiferare), si ribelli al principio, lo sovverta, e facendo legge e giustizia da sé, imperversi nell’ordinamento giuridico nazionale.
Al suddetto Parlamento, peraltro, basterebbe poco per vietarlo:
l’emissione di due righe di “legge di interpretazione autentica” che (all’incirca) suoni: il reato associativo non puoi fertilizzarlo col reato concorsuale; gli articoli 110 e 416 bis cp (a altri simili), oggi connubenti, divorzino!.
Ma se continuerà nell’inerzia, dovrà confessare che la sovranità non appartiene al popolo e per esso al Parlamento, essa appartiene a Cassazione…
pietro diaz

Risposta ad una domanda, giornalistica, sul ruolo della “presunzione di non colpevolezza” (art 27 costituzione) nella durata del processo penale

Esso dipende dall’uso che della presunzione sia fatto.

1. Se essa  regola la valutazione della prova sia di accusa che di difesa, e comporta che la prima,  ad esempio una informazione testimoniale o una testimonianza (quale che ne sia la fonte)-,  sia dubbia se non verificata;  e comporta che la seconda, ad esempio la dichiarazione dell’accusato, sia indubbia anche se non verificata, allora:

1.1 la fase  delle indagini (preliminari) potrebbe  andare rapidamente ad archiviazioni o a proscioglimenti, quando contenga la prima  con o senza la seconda (e ovviamente quando non abbia nemmeno la prima).

1.1 D’altronde, potrebbe andarvi,  ad archiviazioni  o proscioglimenti,  senza dispersione degli interessi  accusatori, perché, quella fase,  potrebbe essere riavviata quando lo stato della prova di accusa cambiasse.

1.2 Nella stessa fase – ove per lo più (in prassi)  sono assunte le decisioni sulla liberta personale dell’accusato (fortemente incidenti, perché aggravanti, sui tempi del processo)-,  influirebbero assai la prova di accusa e di difesa regolate dalla “presunzione” come detto (sub 1).
Essa deflazionerebbe  l’applicazione delle “misure cautelari” e ridurrebbe quella della pena senza “condanna definitiva” (art 27 cost), applicazione che, pochi lo negano, innesca la collisione più stridente con la  presunzione in discorso.

2. E quanto alla  fase dei giudizi, essa  potrebbe avviarsi rapidamente ad assoluzioni  alle  suesposte condizioni, della prova di accusa e di difesa.
Tanto più che la presunzione  è, lì,  rafforzata dalla regola che ogni prova di accusa è dubbia se non sia andata “al di là di  ogni  ragionevole dubbio” (al di là dove  l’accusato “risult(i )colpevole” e sia perciò condannabile: art 533.1 cpp).

2.1 E anzi, se a quelle condizioni “risult(i)” che il fatto non sussiste,  che l’accusato non  lo ha commesso,  che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato,  la fase dovrebbe pronunciare immediata assoluzione,   per  l’acceleratore  in art. 129.1 cpp .

3. Altrettanto (sub 1 ss.) potrebbe dirsi per qualsiasi altra prova di accusa non verificata:
ad esempio un “corpo del reato” (sostanza attiva, arma efficiente, dubbiamente tali se non verificate);
o (ad esempio) una “cosa pertinente al  reato” (impronta digitale o genetica dubbiamente attribuibili se non verificate). 

4. Peraltro, eccettuati i casi  dei giudizi che assolvano perchè il fatto non sussiste o perchè l’accusato non lo ha commesso, ogni altra assoluzione non intacca gli interessi giuridici delle persone offese che fossero costituite parte civile (a parte che un numero sempre più  esteso di reati, oggi,  è “senza vittime”, non ha persone offese né private né pubbliche!).
E anzi, quando non siano costituite parte civile,  nemmeno le assoluzioni su specificate intaccano  i loro  interessi. Esse sono completamente libere di chiederne tutela  giudiziaria.

4.1 Va peraltro rimarcato, in proposito, che le richieste  di pene esemplari  avanzate (anche mediaticamente) dalla  parti suddette, sono giuridicamente illegittime, perché esse,  nel processo penale,  possono avere ad oggetto esclusivamente diritti,  privati,  a risarcimenti del  danno o a “restituzioni” (ripristini delle situazioni antecedenti i reati). 

 E’ superfluo  notare che  archiviazioni o proscioglimenti della fase delle indagini nemmeno sfiorano  la tutela dei diritti or detti, del tutto illimitata.  


E tuttavia

5. Nella prassi,  la regola della presunzione di non colpevolezza  è inoperante. Tanto che è pensabile  operi la presunzione inversa.

Se ne ha conferma in taluni processi, ad esempio di  usura (che hanno dato avvio alla domanda nel titolo),  dove nemmeno la completa e manifesta frana,  a dibattimento,  della prova di accusa (Il mendacio del denunciante usura è diffusissimo, egli,  debitore inadempiente,  cerca riparo  in esso, anche nella  prospettiva di  lucrare i benefici  economici della “vittime dell’usura”),  spinge il giudice alla immediata pronuncia assolutoria.

E quando ciò, come spesso accade,  porta il reato oltre i termini della prescrizione, il giudice, nondimeno,  la preferisce, alla pur concorrente pronuncia assolutoria, che egli potrebbe, e dovrebbe,   emettere,  per art 129.2 cit.

pietro diaz

TAIANI ed il “vincolo di mandato”.

Con solito piglio militaresco:

…porre “vincolo di mandato” , all’eletto con un partito, che ne impedisca l’esodo… .

Ecolalia (reiterazione compulsiva di detti), scrosciante particolarmente dall’avvento del Grillo, timoroso ( et pour cause) di vie di uscita laterali dalla sua compagine.

Quindi: art 67 della Costituzione (esplicitamente evocato) e pretesa di sua riforma.

Ma la locuzione, concettualmente stravolta dai due suddetti (e da innumeri “pari”), ha poco a che fare con quanto ne prospettino.

Giacchè, tecnicissima per il po’ po’ di giuristi (reali) che la scrissero:
conferito il mandato, dall’ elettore all’eletto, ad agire politicamente in parlamento, non gli fu posto vincolo di contenuto, che fu tenuto libero e discrezionale, nei mezzi e nei fini, (ovviamente) presunti coerenti alle attese dell’elettore.
Né, ove incoerenti, fu previsto “richiamo” (revoca del mandato) dell’eletto, salva la sanzione, elettorale, alla scadenza, del mancato rinnovo.

Quindi assenza di (”senza”: art 67 cit) vincolo (di contenuti) dell’ azione del mandatario. Nulla a che vedere con la libertà (o l’arbitrio) del “cambio di casacca”, col transito da un partito ad altro.

Che riguarda altro rapporto.

Non quello tra elettore ed eletto (che di fatti, “cambiando casacca”, resta parlamentare), ma quello tra associazione (partito) candidante, e associato (anche occasionalmente); comunque, tra organismo candidante e (in ogni modo) candidato (l’”indipendente”, ad esempio).

Che è rapporto di candidatura, con le sue (eventuali) regole, anche giuridiche anche obbligatorie, la cui inosservanza potrebbe arrecare sanzioni.
Mai, tuttavia, tangenti il mandato politico, scorrente esclusivamente nel rapporto elettorato eletto.

E se, per sanzionare il “cambio di casacca”, si operasse sull’art 67 ( imponendo vincolo contenutistico alla azione dell’eletto), si uscirebbe dalla (quasi) totalità delle “democrazie rappresentative”, si entrerebbe nella sfera delle democrazie illiberali o autoritarie, al meno peggio, delle policrazie.

pietro diaz

EPIDEMIA COLPOSA?

Recita l’articolo 438 cod pen :
Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo.
Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte (oggi l’ergastolo).
Recita d’altronde l’art 452 cod pen:
Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:
1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;
2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo;

  1. E quando uno stesso fatto (di reato) è punito sia per dolo che per colpa, esso è identico nella materialità, cambia solo nella “normatività” – perché il secondo aggiunge, al comando del primo, un’altro, una regola “cautelare” del comportamento ( posta in parametri di diligenza prudenza perizia o di conformità a leggi regolamenti ordini o discipline: art 43.3 cod pen)-:
    allora il fatto colposo va interpretato, nella materialità, al modo del fatto doloso, alla stregua degli elementi che lo enunciano.
  2. Ora, questi dicono che è reato il cagionamento di una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni.
    Quindi dicono che, del reato, ne è “evento” l’epidemia, ne è “azione” il suo cagionamento, ne sono “mezzo” germi patogeni, ne sono “modo” la loro diffusione.
    Ed è ovvio che la mancanza (anche solo d’uno) degli elementi, o la mancanza della connessione causale (transitiva genitiva…), d’essi, esclude il reato.
    2.1 E’ ovvio nell’epidemia dolosa e colposa, con l’unica differenza (ripetendo con altre parole quanto sub 1), che la determinazione dell’evento avvenga (oltre che materialmente ) anche (normativamente) “a causa di… per” (art 43.3 cit.) inosservanza delle regole cautelari (c.d generiche e specifiche) sopra indicate.

Ebbene

  1. Il profilo materiale della azione del cagionamento mediante diffusione di germi patogeni, è intuitivo.
    E comunque è prefigurato già nella lavorazione del Codice, dal Guardasigilli A. Rocco :
    “Si è riconosciuta la necessità di prevederlo nel Codice, in rapporto alla enorme importanza che ormai ha acquistato la possibilità di venire in possesso di germi, capaci di cagionare una epidemia e di diffonderli”.
    Esso evidenzia possesso, di germi – non nel senso della incorporazione (dell’essere, il reo, “posseduto”, da germi), ma- nel senso civilistico della detenzione, di germi, che passi alla loro diffusione verso la epidemizzazione.
    3.1 Il contrario di quanto vorrebbe taluna Cassazione, inadempiente alla lettera alla logica e alla storia della legge, vogliosa della sua espansione in cerca di maggiore punibilità.
    Anche perché, fosse come pretende, dato che la diffusione del germe, il contagio, va da persona a persona (vd infra), pare arduo ritenere la condotta del primo responsabile di quella dell’ultimo (della popolazione progressivamente contagiantesi), scandente l’evento di epidemia.
    E sia per dolo, ovviamente, che per colpa (giacchè estraneo, quell’evento, ad ogni prevedibilità e prevenibilità dal primo).
    E tanto più perchè la catena causale seguente la condotta del primo sarebbe da sola sufficiente a determinare l’evento, escluderebbe, cioè, il rapporto causale tra quella e questo (art 41.2 cp).
    Il che non esclude, ovviamente, che l’autore del fatto possa (con dolo o per colpa) diffondere germi manovrando (per azione o per omissione), persone infette.
    3.2 Intuibili (esperienzialmente) sono anche i germi patogeni (mezzo della azione, oggetto della diffusione), microrganismi capaci di innescare malattia infettiva.
    E comunque, secondo lo ISS (Istituto Superiore Sanità): “patologia causata da agenti microbici che entrano in contatto con un individuo si riproducono e causano una alterazione funzionale” (non sempre ravvisabile, invero, questa, ad esempio, negli innumerabili “positivi sintomatici” al Covid, tanto meno negli “asintomatici”).
    3.3 Così come è intuibile la “diffusione” (potenzialmente) epidemica. Quella che determini una propagazione rapida per un numero significativo di persone.
    3.4 Ed è intuibile anche l’epidemia.
    Che, spiega ISS (anche per esclusione):
    “in base alla suscettibilita della popolazione e alla circolazione del germe, [è] una malattia infettiva [che] può manifestarsi in una popolazione in forma epidemica endemica o sporadica”.
    Ove è palese che, essa, è esclusa nella terza forma e nella seconda (che suppone una malattia permanente, stabilita nella popolazione) .
    3.4 Mentre non è subito intuibile ( anche perché è stato oscurato dalle dissertazioni correnti), la potenza della patogenesi del germe la cui diffusione sia epidemizzante.
    Perché è da commisurare, attentamente, alla “deriva(bilità)” (art. 438.2 co pen), dalla epidemia, della “morte di più persone” (non una ma più persone!).
    Cioè, alla sua letalità.
    Ed è da commisurare alla potenza delle pene (che manifestamente la significano); come visto in avvio:
    l’ergastolo, quando l’epidemia dolosa non induca le morti.
    La pena di morte (poi nel 1944 tramutata in ergastolo) quando le induca.
    La reclusione fino a dodici anni quando l’epidemia colposa induca le morti; o fino a cinque anni quando non le induca.
    Potenza, delle pene, implicativa di grandezze di offesa (del bene giuridico della “incolumità pubblica”: Libro II Titolo VI cod pen) cagionativa (almeno) di alterazioni funzionali (vd sopra sub 3.2), quando non induca le morti (che d’altronde, e ciò accresce quelle grandezze, sono ascritte oggettivamente, debbono essere non volute, nella epidemia dolosa- giacchè, se fossero volute, erigerebbero reato di Strage ex art 422cod pen-).
    3.5 Morti, d’altronde, che, se supposte derivate da un germe (ad esempio il Sars-CoV-2, che, invero, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’OMS, esibirebbe una letalità complessivaintorno al 2,08%: valore inferiore al 9,6% osservato per il SARS-CoV, coronavirus che si è diffuso da novembre 2002 a luglio 2003 in 30 paesi/regioni infettando 8.098 persone e uccidendone 774; e decisamente inferiore al 34,4% registrato per il MERS-CoV, altro coronavirus che si è diffuso in 27 paesi/regioni da settembre 2012 a settembre 2019, infettando 2.494 persone e uccidendone 858): dovrebbero esserlo secondo l’etiologia penale per la quale, o il rapporto causale (concreto) vanta un modello astratto (ricavato dal fatto che sempre, o quasi sempre, il germe è letale), o non è affermabile.
    E se supposte, le morti, derivate da altri fattori (preesistenti simultanei sopravvenuti) coesistenti con un germe, o, questo, esclude la “sufficienza” (art.41.2 cod pen), di quelli, alla derivazione delle morti, è cioè (con)causale (è causale il fattore che contenga l’evento e, sollecitato, lo espella; causale, in specie, è il germe letale secondo il modello).
    Oppure è fenomenico, non ne responsabilizza il diffusore.
    3.5.1 Sebbene implicito, è opportuno ribadire che il suesposto excursus causale materiale è comune all’epidemia dolosa e colposa, differenziandosi, rispetto a questa, solo (come cennato) per l’aggiunta della inosservanza di una regola cautelare, selezionante gli estremi della causalità rilevante, particolarmente, il rapporto tra l’azione e l’evento (i quali non potrebbero non essere quelli che la regola cautelare ha previsto e si è proposta di evitare).
  2. Poichè si è cennato sopra all’epidemia da Covid, non è inopportuno vedere come ne illustri la diffusione lo ISS. “Secondo l’OMS la trasmissione delle infezioni da coronavirus, incluso il SARS – CoV-2. avviene attraverso contatti ravvicinati tra persona e persona per esposizione delle mucose buccali o nasali o delle congiuntive di un soggetto suscettibile a goccioline contenenti il virus emesse con la tosse, gli starnuti il respirare e il parlare di un soggetto infetto. Il virus può anche essere trasmesso per contatto indiretto come ad esempio attraverso le mani contaminate che toccano bocca, naso, occhi, ovvero con oggetto e/o superfici posti nelle immediate vicinanze di persone infette che siano contaminate da secrezioni (es. saliva, secrezioni nasali, espettorato). I dati disponibili portano ad escludere la trasmissione per via aerea, a parte situazioni molto specifiche, di interesse ospedaliero (formazione di aerosol durante manovre di intubazione, tracheotomia, ventilazione forzata).”
    Dove, quindi, distanza interpersonale ed igiene delle parti anatomiche esposte al contatto di corpi contaminati da escreti infetti, parrebbero sufficienti alla prevenzione (attiva e passiva) della infezione.
    La esclusione della trasmissione per via aerea della infezione, d’altronde, influisce sul “RO”, il parametro della malattia infettiva (esordiente), il numero di riproduzione di base, “il numero medio di infezioni secondarie, prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile, cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente”. Chiarisce lo ISS che “RO è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata della infettivita’”).
    Influisce, si diceva, perché germi aerotrasportati avranno un potenziale epidemico ben più elevato di altri trasferiti per contatto.
    Dunque
  3. rispondendo all’interrogativo del titolo (in relazione alla epidemia “evento del reato”):
    Se è infettabile e poi epidemizzabile una popolazione “suscettibile” (cioè non infetta), non è epidemizzabile una popolazione epidemizzata (tanto meno pandemizzata).
    Quindi, ipotizzare (così come paiono inclini a fare taluni inquirenti), epidemie dolose o colpose in territori endemizzatiati, è ardito, temerario, sia sostanzialmente che probatoriamente.
    Di fatti:come pensare e provare, e anzitutto individuare, l’evento della azione particolare se esso, addirittura massificato, le preesiste?
    E, reciprocamente, come pensare e provare, e anzitutto individuare, l’azione, causale rispetto al proprio evento?
    5.1 E’ chiaro che per pensare, e provare, azione ed evento epidemizzaanti, in epidemia (o pandemia), è necessario che la diffusione del germe inneschi un distinguibile focolaio di infezione, cagionativo per estensione di distinguibile epidemia, in popolazione (ISS sopra) “ completamente suscettibile, cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente”.
    Un esempio potrebbe rinvenirsi nella realtà carceraria: 77 su 190 (circa) istituti sono stati invasi da Covid, con distinguibile (azione)focolaio, cagionante, diffondendosi, distinguibile (evento) di epidemia, su “popolazione suscettibile”.
    5.2 In mancanza di tale condizione, la “alterazione funzionale” dell’infettato, dolosa e colposa, va (rispettivamente) in artt. 583, 590 cod, pen. La morte dell’infettato, dolosa e colposa, va (rispettivamente) in artt. 575, 589 cod pen.
  4. Alcuni organi di Polizia hanno minacciato di accusare di “epidemia colposa” chi trasgredisse “il divieto assoluto [in art 4.6 DL 25 marzo 2020 n 19 ndr] di allontanarsi da propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”.
    In realtà, il trasgressore è accusabile di contravvenzione, punibile , ex art 260 RD 1265,1934 (Testo unico delle leggi sanitarie),
    Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a 800.000.
    pietro diaz

TRUMP E LA SUA IDEA DI LEGALITA’

Da Linkiesta
Donald Trump ai giornalisti:
«Se contiamo i voti legali ho vinto. Stanno cercando rubare il risultato delle elezioni non possiamo permetterlo» «Il nostro obiettivo è proteggere l’integrità delle elezioni, non permetteremo alla corruzione di rubare un’elezione così importante. Non c’è stata un’onda blu, come previsto, invece c’è stata un’onda rossa. Abbiamo già vinto in modo decisivo in molti stati critici, comprese vittorie decisive in stati critici tra cui Florida, Indiana e Iowa. È incredibile come le votazioni per posta siano così unilaterali (a favore dei democratici). Biden può dire di aver vinto in uno Stato, io posso dire di aver vinto in un altro, ma alla fine ho la sensazione che l’ultima parola spetterà ai giudici».
PERTANTO
Sarebbero legali i voti che lo eleggono, illegali i voti che non lo eleggono…Legale la sua vittoria, illegale la sua sconfitta…
Anzi sarebbero rubati, rubati e corrotti, i voti che lo sconfiggono, lecitamente avuti quelli per i quali vince…
E sarebbero tali, legali illegali (rubati corrotti), i voti del medesimo flusso elettorale uscente dal medesimo elettorato, nel momento stesso in cui scorre, secondo che lo eleggano o non lo eleggano…
E quindi sarebbe legale o illegale (ladra e corrotta) la volontà popolare che li ha espressi, secondo che lo elegga o non lo elegga…
E l’”integrità delle elezioni”, da essa risultante, dipenderebbe dalla sua elezione.
Che se mancasse, l’ultima parola non spetterebbe alla volontà popolare ma ai giudici (l’ultimo d’essi da lui nominato nell’imminenza delle elezioni, forse aspettando consenso alla sua “legalità”!)…
D’altronde, non potrebbe non essere illegale il flusso elettorale (che non lo eleggesse) seguito al canto della vittoria da lui levato nella prima notte elettorale…
PURTUTTAVIA
E’ grandiosa la lezione trumpiana sull’origine la ragione l’interesse sottostante, della legalità.
Che ha origine e ragione nella rappresentazione di un interesse di parte (nel caso Trump delirantemente personale) socialmente organizzato, e nella sua difesa con la forza della legge e delle forze dell’ordine al suo fianco.
Ed è altrettanto grande la lezione sull’ origine la ragione l’interesse (sottostante) della illegalità.
I quali si identificano nell’inverso degli altri.
Soltanto, ne è tragica l’interazione.
Perché la prima consegue tale potenza che si appropria di Giustizia, dalla cui altezza nomina la seconda Ingiustizia, che domina anche fino all’ annientamento.

pietro diaz

O meglio, che pretenderebbero ad averla nei decreti legge “autorizzativi” d’essi – un ’aberrazione giuridica istituzionale e politica di proporzioni non inferiori a quella della autorizzazione dei dpcm dai decreti legge (su questa vd, per quanto qui non detto, volendo,http://www.giustiziarepubblicana.org/?s=provvedimenti+governativi….).
In pratica, il decreto legge allestirebbe la sanzione (amministrativa), ma non la posporrebbe ad un precetto (benchè nella teoria giuridica della “fattispecie precettiva”, “protasi e apodosi” – alias precetto e sanzione- siano inseparabili e in sequenza!).
La anteporrebbe ad esso, e non ad un precetto coesistente e contemporaneo (pur non in sequenza, ma dalla sanzione intercettabile ), ma futuro, di là da venire, ignoto ad essa (e, il più delle volte, perfino al precettore!).
Ciò che, invero, non è fenomeno del tutto sconosciuto dall’ordinamento, che contiene la (pur discussa) “norma in bianco” (nel precetto); dove la sanzione attende che il precetto sorga, per servirlo.
Ma è fenomeno, questo, molto particolare, perché raffigura attese, dalla sanzione, di provvedimenti accidentali e individuali (vd ad esempio l’art 650 del codice penale).
Laddove i dpcm sono “provvedimenti” sistemici e generali (seppure temporanei).
Inoltre, le sanzioni delle norme in bianco attendono provvedimenti (per lo più ) non tangenti diritti soggettivi (a tutela ordinaria o costituzionale), Laddove i dpcm proprio questi eleggono ad oggetto!
Cosicchè, potrebbe dirsi che il fenomeno (in parola), in definitiva, era ignoto all’ordinamento, fino all’avvento di Conte, con i suoi dpcm puntati a regolare (non la nazione ma, direttamente) la popolazione, a disciplinarne la vita e perfino l’esistenza.
“Provvedimenti” autorizzati e sanzionati da sé medesimo, nell’occasione mimetizzato dai suoi ministri raccolti in Consiglio!

Ma comunque.

Perché l’aberrazione è macroscopica?

Nello Statuto dell’illecito amministrativo (L. 689/ 81) siede una disposizione, la prima, rubricata “Principio di legalità”, la quale proclama che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Ed aggiunge che “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
Da cui si desume (anche per solenne declamazione della rubrica):
1Che la madre dell’illecito amministrativo é la legge, l’ atto parlamentare avente forma valore e forza di legge; inconfondibile insostituibile infungibile (perché assegnatario di materia ad esso assolutamente riservata) da ogni altro atto normativo, pur se dotato di forza di legge ( il decreto legge e il decreto legislativo, che la riserva assoluta comunque relativizzerebbe).
Ciò checchè se ne sia detto dagli (innumerabili) complici della attività legiferativa del Governo in vece (non solo tecnica ma sociopolitica e istituzionale ) del Parlamento; o dai tolleranti essa (ultimo il Prof. Flick in una recente propalazione a mezzo stampa, che non avrebbe a ridire sul decreto legge, l’erede del Regio Decreto del 1926, già ignoto al coevo Statuto “Albertino”, con il quale il governo Mussolini si arrogherà il potere legislativo!).
2.Che la legge madre plasma l’illecito nella sanzione (comma 1 dell’art. 1). Ma anche nel precetto (comma 2 dello stesso), nei “casi” e “tempi” (della sua efficacia).
3 La illegittimità (costituzionale) dei decreti legge (n.n. 19, 33, 2020) che hanno ammannito sanzioni amministrative: senza che ne avessero il potere normativo, riservato alla legge. Senza nemmeno averle accoppiate a precetti.
E avendo, per di più, affidato la formazione di questi ad atti amministrativi del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm). Quando non a ministri (ordinanze). Quando non ( sia pure in chiave modulatoria) a Presidenti di Regione o di Province (autonome) o a Sindaci!
Per giunta, mettendo in croce i destinatari dei precetti e della sanzione, tuttavia inespressa!.
Questione assai insidiosa.
Perché lo statuto (ovviamente autonomo da ogni altro, anche da quello penale) dell’illecito amministrativo, quanto a rilevanza esimente della ignoranza di ( o dell’errore su) esso, ha una disposizione, in art 3, per la quale “nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa”. Disposizione che, mentre dà rilievo all’errore sul fatto, non ne da all’errore sulla legge (dà quindi rilievo, è da supporre, all’errore di fatto non di diritto).
Per di più, sembra dare rilievo alla sua parte precettiva (che descrive il fatto), non a quella sanzionatoria.
E comunque, la diposizione pare indifferente sia alla scusabilità che alla inescusablità dell’errore.
Pare interessata solo alla sua indipendenza da “colpa”.
Che, quindi. potrebbe essere anche lieve, anche lievissima. E, sebbene tale, non esimere da sanzione.
Realtà assai insidiosa, come si vede.
pietro diaz

DAVIGO DE JURE…

1. Il giorno venti ottobre entrante Davigo decadrà dalla funzione di magistrato ordinario, per pensionamento.
Come magistrato (come “togato”) fu eletto membro del Consiglio Superiore della Magistratura, per un periodo di quattro anni non ancora compiuti.
Per ciò, venuto meno il requisito di “togato”, come potrebbe rimanere al Consiglio?
Che vi farebbe, non potendo esplicarvi la funzione relativa?
Dovrebbe uscirne.
Eppure il suddetto , ha obiettato che, al Consiglio, sarebbe avvinto dalla durata della carica, non esaurita come detto.
Ma se così fosse
1.1 La durata della carica del consigliere che abbia perso il requisito funzionale sarebbe quella del Consiglio!
La perdita del requisito della durata del consigliere sarebbe assorbita da quella del Consiglio!
Di conseguenza, la durata della carica sarebbe fine a sé stessa, anziché alla esplicazione della funzione di “togato”!
Tutto ciò è impensabile!
2. Smarritosi nei meandri delle elucubrazioni, verosimilmente avvedutosi della loro inefficienza, ha ripiegato nel seguente ragionamento:
cessata la funzione di “togato”, non potrebbe restargli la funzione di (membro)” laico” del Consiglio?
E ha preteso di rimanervi come tale!
Senonchè, ciò non ridurrebbe il numero dei “togati” (bloccata la successione a lui del primo dei non eletti)?
E, ad un tempo, non aumenterebbe il numero dei “laici”?
O, succeduto che fosse, a lui, un togato, ciò non aumenterebbe il numero complessivo dei membri del Consiglio?
Ed inoltre, non diverrebbe membro laico sebbene non eletto come tale? Sebbene, anzi, eletto come togato?
UN VERO PASTICCIO!
Parrebbe averlo notato anche l’Avvocatura dello Stato, il cui parere, richiesto dal Consiglio, è stato segretato e sarà reso noto lunedì questo. entrante.
pietro diaz



MA I CARABINIERI IN PIACENZA, (SE) RESPONSABILI GIURIDICAMENTE, LO SAREBBERO ANCHE ISTITUZIONALMENTE?

1. La domanda sul che fare “perché non riaccadano” i (mis)fatti della Caserma di Piacenza è divenuta popolare, anche a (opportuno) contenimento delle declamazioni di principio ( ad impronta fideistica, anziché strategica o pragmatica ): “io sto… io non sto.., con i Carabinieri”; etcetera. Mentre non è divenuta politica, né, tanto meno, istituzionale (delle istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte, o di quelle massime, riassuntive ). Il che mostra, detto incidentalmente, sensibilità popolare, anziché politica o istituzionale, agli affari sociali del rango di “affari di Stato” . E bisogno solo popolare di soluzioni. 2. La risposta alla domanda è tuttavia tenuta alla superficie di ciò che la ha suscitata, al mero manifestatosi, nella Caserma di Piacenza. Al più, al “ rivelatosi”. E perciò sciorina soluzioni del fenomeno, non delle cause: maggiore vigilanza interna, maggiore “ trasparenza”, “ immatricolazione” di ogni carabiniere sul campo perché sia eventualmente individuabile e denunciabile. E via congetturando se non fantasticando sul che fare, già metodologicamente. 2.1 Quindi va alla mente di pochi che essendo, l’accaduto, espressione di un potere (dell’uomo sull’uomo!) e del suo esercizio, alla domanda non c’è risposta ( plausibile strategicamente o pragmaticamente), che non parta dall’ essenza, del potere, dalla sua influenza sul titolare, dai fattori che lo compongano, dalla misura del loro effetto. 3. Ora, se l’essenza di un potere è quella (appunto) di potere alcunché, esso fa quel che gli è dato di fare. Se gli è dato di incriminare immobilizzare fermare arrestare, esseri umani, di perquisire e di sequestrare quanto abbiano, lo fa.E se gli è dato di delinquere formalmente (perché impunemente), con “agenti sotto copertura” (se non “provocatori” di reato) a scoprire rei (riassuntiva delle precedenti: L. 9 gennaio 2019, n. 3: “spazzacorrotti”), lo fa.
3.1 Ma se gli è dato di fare, gli è anche dato di strafare (ad esempio, che l’agente arrestatore si faccia sequestratore di persone; che quello “coperto” a scoprire spacciatori di droga (o di armi etc.) si faccia spacciatore…). Certo, oltrepassando limiti legali vocati al contenimento. Tuttavia, se il potere è diffuso (non c’e aggregato urbano che, per quanto minuto, non contenga caserme quanto parrocchie!), tanto da divenire individuale, personale, (e quindi) autoreferenziale, è illusorio ( e illusionistico) supporre che non ecceda.
Tanto più quando, il potere di matrice istituzionale generi potere extrastraistuzionale, sociale, sorretto a sua volta da ingordigie e cupidigie (vd i bagordi e le mostre di opulenze dentro e fuori la caserma, le lussurie delle sottomissioni d’esseri umani, le ebbrezze degli spacci di droghe e dei loro ricavi. Promananti, a loro volta, da deficit scolastici, culturali, da condizioni subculturali, tuttavia neanche lontanamente considerabili, tanto meno emendabili, all’atto delle investiture).
4.1 E l’insieme monta esponenzialmente, quando la diffusione soggettiva del potere sia abbinata a quella oggettiva, condizionale.
Quando, cioè, il potere di polizia giudiziaria ( di immobilizzazione di fermo di arresto, di delinquenza “sotto copertura” ….), anziché circoscritto ai casi di omicidio (di rapina di sequestro di persona, di stupro etc), materiali e offensivi quanto sporadici (e la cui entità, perciò, potrebbe tollerare il rischio dell’eccesso dal potere), sia esteso allo sconfinato “traffico della droga”.
Che ha la consistenza di un mercato nazionale e internazionale, anzi globale, perché animato da una incessante domanda di consumo, il quale inoltre, anche in quanto offensivo (se mai…) non d’altri che del consumatore, si convince della propria innocuità materiale, della propria innocenza giuridica, oltre che della intangibilità (liberale) della propria volontà. Al punto che, posta la richiesta, dai Comandi dei carabinieri (come da quelli di altre polizie giudiziarie!), di arresti (con promesse di “encomi solenni”!), non è impensabile che, la configurazione delle reità per droga sia stata finalizzata a realizzazioni pandemiche d’essi (e, ovviamente, al corrispondente incremento del potere dell’uomo sull’uomo).
5. In tale orizzonte, quella prole di popolo basso riscattantesi socialmente (talora solo ) indossando una divisa militare, è responsabile dell’eccesso dal suo potere? O lo è questo (stesso)? Questo ed il suo artefice sociopolitico e giuridico, l’istituzione, creativa e assegnativa d’esso benché non ritraibile dall’eccesso ?
6. A ben vedere, quindi, la questione basale, non superficiale, è quella del Potere. Della sua escogitazione dimensione assegnazione giuspolitiche, e delle conseguenze. Anche perché, naturalmente generativo di sudditanze, è in rapporto a queste che si agitano le lotte per l’acquisizione di prerogative giuridiche che ne riscattino il popolo: i “diritti soggettivi”, personali e reali, sostanziali processuali e così via.
6.1 In materia la vicenda piacentina è particolarmente istruttiva.Gli arresti di polizia, mentre eludono la “riserva di giurisdizione” (perché l’evoluzione storica dei doveri- e relativi diritti- di “habeas corpus” ha voluto che ad arrestare fosse il giudice), fanno irruzione nella presunzione di innocenza (in verità, insieme agli arresti del giudice) e la devastano. Lo hanno fatto tanto compulsivamente da divenire endemici: i carabinieri della caserma in parola arrestavano illegalmente tanto quanto “legalmente”.
6.2 Ebbene, ciò non sarebbe accaduto se la Costituzione, che lo ha permesso, lo avesse vietato. Certo, lo ha permesso in via di eccezione, “in casi straordinari di necessità di urgenza indicati tassativamente dalla legge ” (art 13). Ma, insufficientemente “antifascista, dismessa la capacità politica di prevedere – pur bastando una semplice riflessione storica sul potere di polizia (che è potere militare, particolarmente quello dei carabinieri, oggi “Forza armata e forza militare di polizia a competenza generale” !), che l’eccezionale sarebbe divenuto regolare (regolare potere di angariare e di angosciare i sudditi).
7. D’altronde, altrettale dismissione di capacità politica di previsione ha indotto la Costituzione a permettere anziché vietare la decretazione governativa nei “casi straordinari di necessità e di urgenza” (art 77). E a far sì che, questo potere eccezionale, conducesse il decretante a destituire il Parlamento dalla sovranità legislativa.
8. In entrambi i casi, sostanzialmente avvicinandosi al suicidio (non solo politico) , insieme al suo popolo.
pietro diaz

IL 29 GIUGNO PROSSIMO ANDRA’ IN AULA PARLAMENTARE IL DDL POPOLARE SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE PM GIUDICI: DAVIGO, IL “GIUDICE” INSEPARABILE DAL PUBBLICO MINISTERO (ANCHE NELLA VERSIONE PIU TRUCE..)

Il Riformista 29 maggio ’20 riporta:

Il ‘manifesto’ del magistrato

La giustizia secondo Davigo: “L’errore italiano è dire aspettiamo le sentenze”

“L’errore italiano è stato quello di dire sempre: “Aspettiamo le sentenze”. Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo”. Sono le parole del magistrato Piercamillo Davigo, ospite giovedì sera della trasmissione di La7 Piazzapulita, che hanno alzato un vero e proprio polverone.

Il membro del Csm conferma così la sua nota visione della giustizia. Per ribadire il concetto Davigo, che si è confrontato con Gian Domenico Caiazza, il presidente dell’Unione delle Camere penali, ha fatto due esempi. “Se io invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, per invitarlo a cena non sono costretto ad aspettare la sentenza della Cassazione. Smetto subito di invitarlo a cena”, ha detto il magistrato.

Ma non solo. Davigo fa un secondo esempio ancor più grave: “Se il mio vicino di casa è stato condannato solo in primo grado per pedofilia, io in omaggio della presunzione di innocenza gli affido mia figlia di sei anni affinché l’accompagni a scuola? No, perché la giustizia è una virtù cardinale, ma anche la prudenza è una virtù cardinale. Il punto è: se l’opinione pubblica e soprattutto la politica decidesse autonomamente, non ci sarebbe tutta questa tensione sulla magistratura”.

1. Quest’ultima, ma non nuova effusione verbale dell’”informatore” penale  che poco informati conduttori televisivi continuano a rifilare al popolo – Floris “Di Martedi”, Formigli di giovedì (“Piazza Pulita”)-, conferma che il suddetto, sebbene consigliere togato del csm e fino a ieri presidente della seconda ( seconda!) sezione penale della corte di Cassazione, a malgrado quindi di un pluriennale contatto col diritto, non ha conseguito la capacità, o ha represso o gettato la volontà, di distinguere tra l’esperienza domestica, sua e dei suoi simili, del reo flagrante o destinatario di prima condanna, e l’esperienza giudiziaria d’essi.

Incapacità o nolontà di distinguere che, se nella prima esperienza è (giuridicamente) permesso supporre reo il soggetto, nella seconda, all’opposto, è vietato.

Lo è, in questa, per obbligare l’accusatore a dare la prova della reità, così da liberare l’accusato dalla prova del contrario ( a meno che quella sia stata data).

E ciò a sostegno di un “minimo etico”, tra chi sia (istituzionalmente) dotato del potere di accusare di reità, cioè di quanto potrebbe scomunicare (estromettere dalla comunione sociale) e relegare il reo, e chi non possa che sottostargli.

Al quale perciò, compensativamente (equitativamente), è dato il diritto (assoluto, perché di Ordine Pubblico) che ne sia provata la ragione – ed invero, anche il diritto a non essere relegato prima che quella sia definitivamente provata, almeno secondo la Costituzione in art 27, norma superiore pur se oltraggiata da (ab)norme inferiori.

Il tutto sotto principii e regole metodologici, di ricognizione e di cognizione del fatto a giudizio e della sua relazione all’accusato, ineludibili a pena di fallimento epistemico (che cerca e pone le condizioni del vero) del processo (veridico e veritativo) , che nulla hanno a che vedere – perché elevati dalla pubblicità degli interessi che curano- con le regole empiriche, domestiche, di ricognizione e di cognizione delle reità, delle quali si avvale, e che teorizza e propaganda, il suddetto.

Il quale comunque, sia che non abbia acquisito la capacità, sia che abbia represso o gettato la volontà, di distinguere le due esperienze, è indirizzato non solo a dissolvere la consistenza giuridica (e costituzionale) della seconda (presuntiva della non colpevolezza dell’accusato fino a condanna definitiva), a ridurla a consistenza empirica che il potere accusatorio e (condannatorio) più agevolmente gestisca, ma anche a strozzarne la funzione sociale educativa, dell’esperienza domestica, a dubitare delle flagranze delle sue reità, perché nella realtà, immancabilmente, l’inapparente è infinitamente più esteso dell’apparente.

2. Ma se questo è il suo stato, se non distingue tra esperienza privata ed esperienza giudiziaria, se perciò non distingue né il soggetto esperiente né l’oggetto esperito, egli non giusdice, non percepisce né dichiara il diritto, è improduttivo di giurisdizione.

Non è giudice.

Sebbene lo rivendichi (sempre da Formigli: “ sono stato più giudice che pubblico ministero”).

Forse nel tempo e nella forma, non nella sostanza.

Anzitutto perché ideazione e visione, sue, sono immutabilmente accusatorie e condannatorie.

E tali non possono essere, ontodeontologicamente (che attiene a ciò che è e a ciò che deve essere), funzionalmente, quelle del giudice, il quale dovendo dichiarare tutto il diritto, anche quello difensivo e assolutorio, non può che collocarsi al di sopra delle sue opposte istanze, per poterne accertare e dichiarare le condizioni delle une e delle altre. E, perciò, il suo eloquio extraprocessuale (eventualmente mediatico) non può calcare né le une né le altre, affinché gli sia possibile processualmente calcare o le une o le altre.

Poi perchè, manifestamente, ideazione e visione, nel predetto, non sono atti solo mentali ma anche sentimentali (affettivi, passionali), lo pervadono lo invadono e lo muovono.

Con immancabile rientro biologico che mai avrebbe potuto permettergli di esser giudice senz’esser pubblico ministero.

3. Cio’ che peraltro mostra naturalisticamente, e teorizza, l’impossibilità di fare di un pubblico ministero un giudice, l’illusorietà (e la falsificazione della possibilità) di avere questo separando la funzione da quello.

E mostra per conseguenza la necessità della diversificazione culturale dei due (la cultura è parte fisica, modificabile ma non eliminabile, della funzione dell’organo). Diversificazione che non potrebbe neanche incamminarsi se non separando (anzitutto e almeno) “le carriere” dei due.

A riprova, il suddetto pare talmente assuefatto alla inversione della presunzione di incolpevolezza nel suo contrario ( che è la negazione della giurisdizione processuale penale), da esordire da Formigli dicendo:

“L’errore italiano è dire aspettiamo le sentenze”.

Cioè, senza nemmeno avvertire, e dichiarare, che il diritto penale italiano è tra quelli, non solo in Europa ma nel mondo, che meno “ aspetta( no) le sentenze”, per far seguire al mino accenno di accusa scomunicazione e relegazione dell’accusato. Per di più con la squallida ipocrisia di appellarla “custodia cautelare”.

pietro diaz

CECCANTI ? UN PAESE AFFETTO DA DIPICIEMISMO, E STRESSATO DAI RIMEDI AD ESSO: LA “PARLAMENTARIZZAZIONE” AD ESEMPIO…,

1.  Il  rimedio lo elucubra  l’esponente di un partito governativo, il costituzionalista Ceccanti,  che,   cominciando a ruminare,  già dal dì  28 aprile 2020, che “Niente impedisce al Parlamento di trovare una soluzione per conciliare libertà di culto e tutela della salute”;  lamentando l’eccesso dei dpcm (emessi dal vertice  di un governo formato dal suo partito..!), sbozzato un primo “emendamento” :

 “art 2 Al comma 1, dopo il secondo periodo è inserito il seguente:
“Gli schemi di decreto di cui al presente comma sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di sette giorni, decorso il quale il decreto può essere comunque adottato”;


sbuca infine nel definitivo:
 
«Il Presidente del Consiglio o un ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi (sic) dalle stesse formulati, ove ciò non sia possibile, per (ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare), riferisce alle Camere ai sensi del comma 5, secondo periodo».

1.1 E dandone spiegazione informale ad alcuni colleghi:

“Ho predisposto un emendamento al decreto 19 che va in Aula giovedì per parlamentarizzare (sic)  i Dpcm.
Si tratta di una fonte (sic) che nel corso dell’emergenza ha finito per avere un rilievo sconosciuto in precedenza.
Entrando in una nuova fase appare opportuno regolarli  in modo diverso (sic): ferma la responsabilità piena del Governo sulla sua (sic) emanazione (sic), appare però opportuno introdurre un parere preventivo del Parlamento, obbligatorio anche se non vincolante, con un tempo certo di una settimana. In tal modo alcune criticità (sic) potrebbero essere prevenute dal Parlamento, senza che esso debba essere costretto ad intervenire ex post su (sic) altre fonti (sic). Una tecnica che in questo periodo ha consentito di risolvere alcune questioni (ndr quali?), ma che ha finito fatalmente per rendere molto più complesso e difficilmente comprensibile il sistema delle fonti (sic).
Il decreto 19, che era nato appunto, per riportare ordine nel sistema, darebbe così anche una soluzione stabile e ragionevole “ (sic) [ ndr: qui necessariamente si tralascia il commento di parole mezze frasi paralogismi paragiurismi paraconcettualismi …  (quelli contrassegnati). Se si avrà tempo e voglia lo si farà un’altra volta..].

E manco a dirlo: 

1.2 “Via libera dell’Aula della Camera all’emendamento del Pd, riformulato su proposta del governo, che dispone la parlamentarizzazione dei dpcm. I voti favorevoli sono stati 260, i voti contrari 211 e 9 astenuti!”

E per di più


“Insoddisfatti parlamentari di Fdi che invece chiedevano che il parere del parlamento fosse vincolante (sic) : così “Lollobrigida” ….

Or bene, i dpcm

2. Se li si va a cercare tra le fonti del diritto (art 1 Preleggi”): non li si trova. 

2.1 Se li si va a cercare nella decretazione governativa avente forza di legge (decreti legislativi, decreti legge), o “forza” di  regolamento; o nella decretazione ministeriale o interministeriale avente quest’ultima forza (artt. 14 ss L. n. 400 1988), non li  si trova.
Si trovano vaghi “decreti” del presidente del Consiglio,  di ordinaria o di “alta” (talune nomine dirigenziali) amministrazione: dunque provvedimenti strettamente amministrativi.
Se li si va a  cercare nella  Costituzione, lì dove questa assegna al Governo capacità normative (artt. 76.ss,   92 ss), non li si trova (tanto che, vd sub 2, taluno ha cautamente ritenuto che,  essi,  abbiano “fonte” in  deleghe -a pcm- da decreti legge).

Mentre si trovano,  per contro, nella dipieciemiade (plenipotenziaria) Conte (e per il, vero, , ben deflatti,  in antecedenti prassi , che, anche per trarre spunto  nomativo dai vaghi “decreti” della legge 400,  non possono che mutuarne la sostanza, di atti amministrativi (seppure, perché generalizzanti, normativizzati, come ha “insinuato” un avvocato dello Stato).

Ebbene, immaginiamoli “parlamentarizzati”(Ceccanti, sopra).

3. L’accesso del parlamento  (con l’emissione obbligatoria di  parere….) ai dpcm (atti amministrativi) non dà a questi un che di legislativo?

E arduo non  rispondere  affermativamente. Giacchè: 

4. un organo  legislativo che integri (con parere obbligatorio) un atto amministrativo non potrebbe non trasmettergli qualcosa di sé: attore (anche parziale) e atto mescolano (anche solo in parte) le rispettive nature.

Ma il mescolamento, del legislativo nell’amministrativo (e viceversa), poiché concerne attività di organi  costituzionali  (parlamento e presidente del consiglio dei ministri) è  possibile solo  se costituzionalmente previsto.

Sia perchè attribuirebbe al parlamento una (nuova) funzione normativa (bisognosa di previsione tanto quanto la funzione non legislativa del parlamento: artt. 69, 70, 76, 90, 97 etc..).
Sia perché, forse anzitutto,  darebbe immunità,  da giurisdizione ordinaria o amministrativa  (artt. 24, 28, 103, 113 Cost.) a dpcm  (eventualmente) lesivi di interessi legittimi o diritti, e dannosi (o minacciosi di danno).

Ebbene:

oltre la contaminazione delle  nature delle due attività, ha voluto anche tale conseguenza il costituzionalista, che illustrando l’emendamento ha proferito (vd sopra) : “ferma la responsabilità piena del Governo sulla sua (del dpcm) emanazione….”?

4.1Tutto ciò non mostra l’inconciliabilità al sistema giuridico della “parlamentarizzazione”  degli atti amministrativi?

 

…………………………………………


Un  commentatore del brano su esposto ha voluto:  “solo sommessamente sottolineare che i DPCM adottati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte derivano semplicemente da quanto previsto dal DECRETO-LEGGE 23 febbraio 2020, n. 6 Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. (20G00020) (GU Serie Generale n.45 del 23-02-2020)note: Entrata in vigore del provvedimento: 23/02/2020
Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 5 marzo 2020, n. 13 (in G.U. 09/03/2020, n. 61).

Art. 3
Attuazione delle misure di contenimento

1. Le misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate, senza nuovi
o maggiori oneri per la finanza pubblica, con uno o piu’ decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della
salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa,
il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri
competenti per materia, nonche’ i Presidenti delle regioni
competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola
regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della
Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino
il territorio nazionale.”

Si è risposto:

“Toccato il nervo più scoperto…

La previsione del dl n 6 art 3, è stata usata:

1. per dire che i dpcm sono possibili giacchè previsti dal dl n 6 art. 3;

ma, come si è osservato (anche scrivendo di Ceccanti), i dpcm hanno origine in inveterata prassi;

2. per dire che i dpcm sono legittimi giacchè “delegati” dal dl. n 6 art 3;

ma si deve obiettare:

che, essendo il “decreto legge”, atto “provvediment(o)” (così art 77 cost. ) regolativo esclusivamente di ” casi straordinari di necessità e d’urgenza” (specifici irripetibili concreti attuali);

se (esclusivamente) ciò non facesse, evaderebbe dalla sua posizione e attribuzione costituzionali!

E certo non lo fa, demandando ai dpcm (art 3 cit.) la normazione concreta, futura e perfino incerta!

Per di più (clamorosamente) smentendo la necessità e l’urgenza del provvedere!

3. Pertanto il decreto, munito (straordinariamente: art 77) del solo potere di provvedere (con urgenza) ad un caso concreto (presente non futuro!), privo quindi di ogni altro potere, è privo (tanto più) del potere di conferire poteri, a sé o ad altri (al presidente del Consiglio con i suoi dpcm?)!

Se lo facesse, innoverebbe nelle fonti del diritto costituzionalmente previste, e lo farebbe surrettiziamente, aggirando la necessità di revisione della Costituzione ex art 138 cost. .

4. Ciò è talmente vero che (l’elucubrazione del) la “delega”, dal dl ai dpcm, simula ( senza arrossire!) lo schema del “decreto legislativo” (art 76 cost.), che certo il Governo ha il potere di emanare, ma per (prevista !) delega della legge (che determini “principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetto definito”…).

Simulazione tanto più aggirante, con innovazione indebita, le necessità di revisione della Costituzione ex art 138 cost..

5. Comunque, l’evocazione dell’art 3 dl n. 6 è assai feconda.

Perchè stimola il sospetto e l’ insinuazione:

Che la menzione ( o la “delega”) dei dpcm, miri alla conversione d’essi, “atti amministrativi” – impugnabili davanti le giurisdizioni ammnistrative od ordinarie per lesioni di interessi legittimi e di diritti -, in atti legislativi ( per derivazione dai deleganti), in norme del dl (!) – inoppugnabili davanti quelle giurisdizioni.

Che essa punti, quindi, alla deresponsabilizzazione giuridica del decretante. E alla irrisarcibilità dei “decretati”.

5.1 D’altronde, se si va a vedere (qui può solo cennarsi), ogni dl da’ (strategicamente) per “fatti salvi” i dpcm emessi sulla base del precedente…!.

6. Ma non è detto che il piano avrà successo…”

pietro diaz