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Il Post 4 marzo 2024 SUL DIRITTO DI CRONACA


I giornalisti di Domani sono accusati di accesso abusivo e rivelazione di segreto anche se la Costituzione e le leggi italiane garantiscono a giornali e giornalisti la possibilità di pubblicare qualsiasi informazione nell’esercizio del diritto di cronaca, purché questa sia di interesse pubblico e presentata entro certi limiti di pertinenza della notizia e continenza formale (in relazione al modo in cui viene scritta). Il direttore di Domani, Emiliano Fittipaldi, ha scritto che i suoi giornalisti sono tutti indagati per «una sola cosa: aver fatto bene il proprio lavoro, che è quello di trovare buone fonti, ottenere notizie segrete sui potenti di pubblico interesse, verificarle e infine pubblicarle”.


Quindi l’esercizio del diritto di cronaca potrebbe essere  impunemente distruttivo di ogni altro diritto  (personale patrimoniale morale sociale penale…) ?
Quindi, la scriminante tipica del delitto di diffamazione e dell’illecito di ingiuria sarebbe divenuta scriminante generale di qualunque altro illecito?
Quindi il titolare del diritto di cronaca avrebbe supremazia sul titolare di ogni altro diritto? Anzi avrebbe sovranità., essendo l’immunità assoluta alle reazioni giuridiche per i propri comportamenti,  carattere,  appunto,  della sovranità?
Quindi ii diritto di cronaca quale funzione della liberta’ di stampa affrancata dalla  dittatura fascista,  sarebbe divenuto funzione di una dittatura fascista sopra ogni altra libertà?

ANARCHIA DEI SOGGETTI DELLE FUNZIONI E DELLE ATTIVITA’ DI UN INCIDENTE PROBATORIO

Da un atto di appello.  

 1. Per art. 498.3 , l’esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti.  Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio ….di un esperto in psicologia infantile.

1.1 Il che implica che l’esame spetta alle parti, ma che è attuato dal presidente. Che il presidente non ha potere di esame ma solo di mediazione di questo. Il che solo la sequenza rispetta , malgrado tutto, la terzietà e l’imparzialità ( e la dispositività a favore delle parti) del giudice nella formazione della prova testimoniale.

1.2 E implica, nella sua prima parte,  che la disposizione (attinente il nucleo della formazione della prova testimoniale, in specie è stata pesantemente trasgredita (è’ sufficiente uno sguardo panoramico al verbale dell’incidente probatorio per constatarlo) .
1.3   Nella seconda parte, peraltro, quella concernente l’ausiliario del presidente , implica che, questi, non ha potere di esame e nemmeno di mediazione d’esso. Implica che il presidente non può farsi sostituire,  nel (la mediazione del) l’esame. Anzi,  che deve impedirgli di fare esame.
1.4 E implica che la disposizione  (attinente il nucleo della formazione della prova  testimoniale), in specie è stata pesantemente trasgredita (è’ sufficiente uno sguardo panoramico al verbale dell’incidente probatorio per constatarlo).. 

2. Per art. 499.2. 3. 6 cpp, nel corso dell’esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte. Nell’esame …sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte. Durante l’esame è garantita la genuinità delle risposte.  
2.1.   E  per art. 188 cpp , nella formazione della prova dichiarativa,non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata,  metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o  ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti.
2.2  Il che  implica  che la disposizione (attinente il nucleo della formazione della prova testimoniale), in specie è stata pesantemente trasgredita (è’ sufficiente uno sguardo panoramico al verbale dell’incidente probatorio per constatarlo).
3. Per art. 506 2. Cpp  il  giudice, dopo l’esame e il controesame, può rivolgere domande ai testimoni. …

3.1 Orbene, notato che , per quanto sub A. il giudice è stato esaminatore autonomo (e che è stato anche controesaminatore) va rilevato che non ha potuto essere riesaminatore.

3.2 Va cioè rilevato che l’intero procedimento di formazione della prova, siccome legalizzato, è manifestamente aberrato .
3.3 Fino al punto da render apocrifa, non autentica, la dichiarazione testimoniale, perché da altri, sia pure per interpretazione e per traduzione della sua, composta. 
Conclusione
4.Si chiede che sia rilevato e dichiarato, con riforma assolutoria, della sentenza, perché il fatto (non è previsto dalla legge come reato o) non costituisce reato (se fossero ritenuti sussistenti i “rapporti sessuali”: sent. P. 3) .   


5. Ora, le regole di formazione della prova recano in sé il divieto di violarle. La violazione delle regole comporta la produzione di prove vietate , e, quindi, la violazione di divieti di prova .
5.1 Per cui , è del tutto incomprensibile, e fallace, l’assunto magistratuale  che differenzia, nella applicazione della sanzione della inutilizzabilità ex art 191 cpp, tra prove vietate all’inizio  e prove vietate al seguito; per l’identità del valore funzionale dei due divieti, la disparità della veduta e del trattamento andrebbero portati davanti la Corte Costituzionale  per irragionevolezza. Ma se non lo fosse, l’assunto, incomprensibile e fallace:

5.2 manifestamente fallito il procedimento di formazione della prova , per quanto sub C. 1.1 , e clamorosamente fallito per conseguenza il risultato della prova, , appare inaccettabile l’asserto , in sentenza, per cui  “le risultanze agli atti depongono per la penale responsabilità dell’imputato” (pa.2) . 
Conclusione
6 . Si chiede che sia rilevato e dichiarato, con riforma assolutoria, della sentenza, perché il fatto (non è previsto dalla legge come reato o) non costituisce reato (se fossero ritenuti sussistenti i “rapporti sessuali”: sent. P. 3) .   

Peraltro , a proposito:
7. Dato l’incidente probatorio per assunzione della testimonianza della po.,   che assumendo  forma dibattimentale, subordina alle contestazioni (artt. 500 e 503 cpp) l’accesso e l’appartenenza, ad esso, delle precedenti dichiarazioni dell’assunto:
7.1 . Ha mancato la prova impiegabile, la sentenza,  che ha adottato a fondamento probatorio (esclusivamente) la sommaria informazione testimoniale, ex art 351 cpp , della p.o..
7.1 Ciò sino alla conseguenza, estrema, della mancanza di (sua) motivazione, grafica, rilevante ex art. 125.3 cpp. 
Conclusione
8.Si chiede che sia dichiarato, e annullata la sentenza.

L’imputazione: scomparizione nella parte argomentativa e deliberativa della sentenza , riapparizione nella parte dispositiva!


“delitto di cui agli artt 81 cpv , 609 bis commi 1 e 2 , n 1, per avere costretto, mediante violenza, in tempi diversi e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, … E… ( nato a    il    ) affetto da microcefalia con diagnosi “ Disturbi Specifico dell’Apprendimento ( DSA)”,  a subire atti sessuali. Atti consistiti nel costringere la persona offesa a subire rapporti sessuali di natura orale e anale.

Commesso in …, tra Luglio e Settembre …”


Da un atto di appello

Il fatto enunciato dalla sentenza,  contro l’imputazione


1. Quanto al requisito della sentenza (art. 546 cpp) consistente nella “concisa esposi

zione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata” , “con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono alla imputazione e alla loro qualificazione giuridica “(art. 546. 1 e) n 1 cit. ),  l’unica attività  della sentenza la si rinviene  all’ultima pagina , dove “l’imputato…non ha esitato a profittarsi sessualmente di un disabile , per soddisfare turpi ed esecrabili desideri, causando nello stesso  profondo e grave stato di stress , anche in considerazione della giovane età e dell’avvenuto ripetersi degli episodi”.
2. Dove, il profittarsi sessualmente di un “disabile”,implicando il consenso o il non dissenso (naturalistici e giuridici, perchè ultrasedicenne, sebbene minorenne, e perchè avente diritto alla sessualità, seppure non abusata, “il disabile” [vd,  sulla qualificazione,  altrove] , del soggetto, sul  “profitta(mento)”, implicando condivisione del suo oggetto, interazione sessuale, bilateralità della realizzazione del sesso:
nulla ha a che vedere con la azione sessuale unilaterale,  non consentita o dissentita,  incondivisa, attuata con  violenza costrittiva del subimento (secondo imputazione) di “atti sessuali”, assoggettato  l’altro, di cui alla imputazione .
3.Ciò, ovviamente, se la terminologia della legge ha un senso e un valore giuridicamente cogenti, se essa descrive differenzia e (così) istituisce i fatti penali – se il reato de quo non è di lesione ma di modalità di lesione, se è reato a condotta non libera ma vincolata (oltre che ad evento , di subimento o di compimento, di atti sessuali, non libero ma vincolato-,  tipici;
3.1 e se essa,  come tale,  dirige l’esercizio della giurisdizione il cui ruolo,  oltre quello di dichiararla sia  quello di ricalcarla fedelmente, inscindibilmente (  senza parafrasi o perifrasi o circonlocuzioni), con immancabile  attinenza linguistica e lessicale ad essa.
3.2 Ebbene,  se  ciò è metodologicamente interpretativamente (epistemologicamente)  presupposto, allora:
3.4  la composizione del requisito sub 1, nella sentenza appellata,  conduce ad attività sessuale consentita o non dissentita, bilaterale, condivisa, non esclusiva dell’agente, del tutto irriferibile a quella in imputazione –  unilaterale costrittiva assoggettativa- , neppure allusiva d ‘essa . L’attività sessuale  di cui al comma 2 n. 1 dell’art. 609 bis cp, indotta mediante “abuso della condizione di inferiorità fisica o psichica” del partner. 

La conseguenza : error in procedendo

3.5 Segue che la sentenza è clamorosamente fuoriuscita dalla cornice fattuale e giuridica della imputazione, che ha ristrutturato  il fatto di questa.
3.5.1 E che avendolo fatto senza la mediazione del pubblico ministero  non impiegante  l’art. 423 cpp, ha invalidato sé stessa per inosservanza dell’art. 521 comma 2 cpp, comportante la nullità di cui all’art 522 cpp, da rilevarsi e dichiararsi ex art. 604cpp.
Ciò che si chiede sia fatto, mediante annullamento della sentenza appellata.

D’altro canto, sulla motivazione4.  Se nella integrazione del (sub)requisito della sentenza ex art 546 cit,  l’”indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati” (nelle  due pagine precedenti quella sub 1 della sentenza appellata)  fosse coerente al (l’esito  ricostruttivo del) fatto sub 3.4 , essa sarebbe incoerente al fatto di cui al dispositivo, corrispondente a quello in imputazione. 4.1 Se,  invece,  fosse coerente a questo, sarebbe incoerente a quello sub 3.4. .
pertanto
4.2 in entrambi i casi la sentenza, che con quella  indicazione ha dipanato la propria motivazione,   sarebbe mancante  di questa, invalida  ex art 125.co 3 cpp (peraltro, espressamente richiamato  e riaffermato dall’art. 546.3 cpp ).
Conclusione
Invalidità che si chiede sia rilevata e dichiarata , mediante annullamento della sentenza appellata. 
 Comunque
5. Nel caso in cui il corredo probatorio fosse ritenuto coerente all’apparato conclusivo della sentenza, ciò non frustrerebbe la critica d’ esso, sia per la esposizione dei risultati della prova, sia per la loro valutazione.

Difatti
5.1 La esposizione dei risultati della prova (art. 546 1 e) cpp)   è nettamente incompleta (omissis)

5.2 La valutazione della prova, la inerente criteriologia, limitata l’esposizione, come fu, al meccanico resoconto di taluni risultati di taluni mezzi di prova,  è totalmente  mancata….
5.3 Segue che la sentenza ha omesso i risultati di prova  (art 546.2 e) cpp); 
5.3.1  ha quindi omesso l’assunzione e la valutazione d’esse (art 581 co. 1 b) cpp) o ne ha errato la valutazione (ivi). 
Conclusione
5.3.2
Onde in essa, la prova diretta, se non fosse mancante, sarebbe insufficiente o contraddittoria , in violazione della regola di giudizio, assolutorio, in art.. 530.2 cpp
Si chiede che, in riforma assolutoria della sentenza, sia dichiarato.  

Verbalizzazione a piacere della informazione ex art 351 cpp?

Da un appello penale avverso sentenza in giudizio abbreviato

Carenza della verbalizzazione della informazione ex art. 351 cpp.. incertezza del contenuto di questa, inattendibilità (se non inutilizzabilità) di questa.
1. La polizia giudiziaria redige verbale delle informazioni assunte a norma dell’articolo 351 cpp (art. 357 .2 c) cpp.;
1.1 il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e con le modalità previste dall’art. 373 cpp (art. 357.3 cpp);
1.2l’art. 373.2 cpp prevede che il verbale sia redatto secondo le,modalità previste dal titolo III del libro II cpp;
1.3 le quali prevedono che il verbale sia redatto in forma integrale (art. 134.2, 357 cpp).
1.4 e che, se il verbale sia redatto in forma riassuntiva, è effettuata anche la riproduzione fonografica (anzi, oggi, col D.L.vo 150/2022: quando la redazione integrale sia ritenuta insufficiente, alla documentazione dell’atto si procede altresì mediante riproduzione audiovisiva o fonografica: arrt- 134 .3 cpp: vedi osservazione seguente in tema di legge posteriore);
1.5 anzi, oggi, col D.L.vo 150/2022, le dichiarazioni della persona minorenne….sono documentate integralmente, a pena di u inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica (art. 373 2 quater cpp);
1.6 di rinforzo, col D.L.vo 150/2022, quando l’indagine riguardi il reato di cui all’art. 609 bis cp, alla documentazione delle informazioni di cui all’art 351 cpp si procede altresì mediante riproduzione fonografica a mezzo di strumenti tecnici idonei(art.. 357 3 bis, art 407. 2 lettera a) 7 bis cpp;
1.7. e, in tesi inapplicabili le disposizioni ora richiamate a dichiarazioni anteriori ad esse, esse, comunque, suggeriscono la debolezza epistemica delle dichiarazioni raccolte senza dette modalità (ciò valga per quanto sub 1.4, 1.5, 1.6 in fine).

Inutilizzabilità o inconsistenza della (avvenuta) verbalizzazione della informazione ex art 351.cpp
2.Fu fatta , in specie, verbalizzazione riassuntiva o integrale, sia pure manuale, della informazione della p.o.?
2.1 Se per verbalizzazione della dichiarazione si intenda la esposizione e la riproduzione di questa, come tale, , dal verbalizzante, nella chiara distinzione, d’essa, dalla sua interlocuzione (mediante domande, inviti, avvertimenti indicazioni, o altro), la verbalizzazione avvenne (nei limiti sopra denunciati!), apparendo la distinzione suddetta nell’alternarsi degli interlocutori (e delle interlocuzioni);
2.2 ma se per verbalizzazione della dichiarazione si intenda, inoltre, la distinzione del lessico degli interlocutori e, comunque, la rappresentazione distinta di quello del dichiarante, allora la verbalizzazione non avvenne, perchè il lessico degli interlocutori è unico omogeneo, omologo, omomorfo. E poiché è impensabile che, esso, sia riferibile al dichiarante, poichè è riferibile al verbalizzante:
2.3 allora la verbalizzazione fu riassuntiva (ad opera del secondo). Fu, quindi, interpretativa del senso logico della dichiarazione. In concreto, fu totalmente interpretativa, stante la (grave) disfasia del dichiarante, come risultante in atti;
2.4 Insomma, essa fu l’esatto opposto della verbalizzazione di una dichiarazione, come normata (anche) dagli articoli 136, 140 cpp. Fu l’opposto di quanto imposto, contrario, quindi, al divieto di discostarsene, quale presidio sia formale che epistemico del “risultato della prova” (ex multis) in art. 192. 1 cpp; quale divieto probatorio ex art. art. ,438 6 bis cpp:
la cui violazione è rilevabile (oltre che nel giudizio abbreviato anche) in ogni stato e grado del procedimento , ex art. 191. 2 cpp. .
3. Quindi, mentre non si dubita che al verbalizzante siano stati forniti spunti dal dichiarante (anche se si non è escludibile che, essi, siano stati tematicamente stimolati o suscitati dal verbalizzante), è nella stessa misura indubitabile che, se non fosse stata attuata formazione della dichiarazione, certo ne sarebbe stata attuata composizione.
4. Dunque, per le fattezze dell’estrinseco e dell’intrinseco, della dichiarazione, sopra esposte, l’informazione va ritenuta inutilizzabile;
4.1 o, altrimenti, inconsistente ( dell’ontico e del deontico di cui dovrebbe consistere);
4.2 o , comunque, svettante al grado massimo di fragilità epistemica, di insidiosità probatoria.
5. Eppure su essa è basata la sentenza….

Inutilizzabilità o inconsistenza della (avvenuta) verbalizzazione della informazione ex art 351.cpp
2.Fu fatta , in specie, verbalizzazione riassuntiva o integrale, sia pure manuale, della informazione della p.o.?
2.1 Se per verbalizzazione della dichiarazione si intenda la esposizione e la riproduzione di questa, come tale, , dal verbalizzante, nella chiara distinzione, d’essa, dalla sua interlocuzione (mediante domande, inviti, avvertimenti indicazioni, o altro), la verbalizzazione avvenne (nei limiti sopra denunciati!), apparendo la distinzione suddetta nell’alternarsi degli interlocutori (e delle interlocuzioni);
2.2 ma se per verbalizzazione della dichiarazione si intenda, inoltre, la distinzione del lessico degli interlocutori e, comunque, la rappresentazione distinta di quello del dichiarante, allora la verbalizzazione non avvenne, perchè il lessico degli interlocutori è unico omogeneo, omologo, omomorfo. E poiché è impensabile che, esso, sia riferibile al dichiarante, poichè è riferibile al verbalizzante:
2.3 allora la verbalizzazione fu riassuntiva (ad opera del secondo). Fu, quindi, interpretativa del senso logico della dichiarazione. In concreto, fu totalmente interpretativa, stante la (grave) disfasia del dichiarante, come risultante in atti;
2.4 Insomma, essa fu l’esatto opposto della verbalizzazione di una dichiarazione, come normata (anche) dagli articoli 136, 140 cpp. Fu l’opposto di quanto imposto, contrario, quindi, al divieto di discostarsene, quale presidio sia formale che epistemico del “risultato della prova” (ex multis) in art. 192. 1 cpp; quale divieto probatorio ex art. art. ,438 6 bis cpp:
la cui violazione è rilevabile (oltre che nel giudizio abbreviato anche) in ogni stato e grado del procedimento , ex art. 191. 2 cpp. .
3. Quindi, mentre non si dubita che al verbalizzante siano stati forniti spunti dal dichiarante (anche se si non è escludibile che, essi, siano stati tematicamente stimolati o suscitati dal verbalizzante), è nella stessa misura indubitabile che, se non fosse stata attuata formazione della dichiarazione, certo ne sarebbe stata attuata composizione.
4. Dunque, per le fattezze dell’estrinseco e dell’intrinseco, della dichiarazione, sopra esposte, l’informazione va ritenuta inutilizzabile;
4.1 o, altrimenti, inconsistente ( dell’ontico e del deontico di cui dovrebbe consistere);
4.2 o , comunque, svettante al grado massimo di fragilità epistemica, di insidiosità probatoria.
5. Eppure su essa è basata la sentenza….

Annullamento di un decreto di sequestro preventivo “in relazione ad aspetti meramente procedurali” : ripetibilità del decreto ( e della sua richiesta da PM: Cass.Pen. 28.06.2022 n. 24937!).

Da una richiesta di riesame ex art 324 cpp

L’annullamento del decreto ex art 321 cpp fu disposto per(chè) “il provvedimento appare privo di autonoma valutazione relativamente agli indizi integranti il fumus dei reati oggetto dei capi di provvisoria incolpazione di cui ai nn. 1), 2), 3) e 4)”;

Orbene
1. L’annullamento suppone l’invalidità di un atto, questa suppone difformità d’esso dalla regola legale di formazione; questa, a sua volta, suppone la tutela di un interesse in concreto mancata; la mancata tutela suppone la lesione dell’interesse:

1.1 ergo non c’è annullamento che non decida nel merito della lesione, che abbia consistenza “meramente procedurale” (terminologia massimata, per differenziare l’atto ripetibile dall’atto irripetibile; terminologia che, tuttavia, non ritiene di dovere distinguere tra annullamento, di un atto e [declaratoria di] inammissibilità, d’esso: vd.. Cass. nel titolo]. Mentre ritiene di potere distinguere, con essa, tra apprezzamento di merito non effettuato ed effettuato!). .

1.2 Tanto meno, ha (né potrebbe avere) consistenza “meramente procedurale” quando ne sia prevista impugnazione (in specie, ex art 311 cpp). Perché la previsione della impugnazione suppone il costo giuridico dell’annullamento e, ritenutane l’opportunità, conferisce la facoltà della sua rimozione.
1.3 Il che implica, a sua volta, che data la possibilità della rimozione mediante impugnazione, solo a questa riuscirebbe quella. Cioè, non è possibile la rimozione dell’atto in altro modo. Tanto meno mediante sua ripetizione. Che, si noti, non è rinnovazione, dell’atto (la quale, peraltro, è collocata in altro quadrante rispetto a quello di specie, Il quadrante degli annullamenti degli atti giuridici processuali  ove agisce la disposizione in art. 185 cpp, in cui la rinnovazione è imposta e guidata dall’annullatore; Disposizione che, non estendibile al caso di specie neppure analogicamente, tanto più preclude la ripetizione dell’atto!). Rinnovazione che suppone innovazione delle condizioni del precedente, e rinnovazione delle opportunità od esigenze della sua riproposizione dell’atto, nel mondo del diritto.

1.4 D’altronde, quando l’annullamento si cali in un sistema, di tutela dell’interesse deciso, che ne preveda l’impugnazione, la tassatività della previsione di questa ne implica la necessità, ad evitare il consolidamento dello stato dell’interesse, leso o illeso.

Comunque, in specie:

2. l’annullamento per difetto di motivazione (autonoma) sul fumus e sul periculum, esclude (necessariamente) la sussistenza dell’uno e dell’altro, se la motivazione è funzione e referente della loro sussistenza, entro un ordine di esistenza formale dei fatti del processo (del quale è specchio l’art. 606 co. 1 e) c.p.p., dove fatto e motivazione sono indistinguibili, insieme al giudizio sull’uno e sull’altra).

2.1 Dunque, ha svolto apprezzamento di merito l’annullamento de quo, proprio quello che, salva l’impugnazione, induce preclusione della ripetizione dell’atto, per quanto sub 1.1 (in parentesi, prima parte).

Rinnovazione o ripetizione dell’atto?

3. D’altronde, quando la reiterazione dell’atto annullato controverta della decisione di annullamento, tocchi le ragioni di questo passando (surettiziamente) per quelle prospettate dalla difesa[1], c’è impugnazione. un vero e proprio atto di impugnazione seppure formalmente vizioso (perché fuori termine e fuori luogo).

3.1 E quando ciò accada, mentre si avverte il vizio, si avverte l’impugnabilità della decisione e la rinuncia tacita ad essa.

3.2 E, insieme ad esse, l’evidenza che, l’atto, non innova nel precedente.

4. D’altronde, nulla di innovativo, se non la disputa suddetta sulla decisione originaria, è addotto dal decreto di sequestro né da richiesta di pm ( cfr. richiesta del p.m. 1.1.3 – “del tutto infondate le argomentazioni porte dalla difesa in sede di riesame che si sono limitate a prospettare una differente ricostruzione dell’accaduto senza portar alcun elemento concreto che contrastasse il chiaro quadro processuale in relazione a tutti i capo di incolpazione provvisoria”);

4.1 I quali, perciò, han ripetuto il proprio atto. E ciò mostra la ragione della rinuncia alla impugnazione: sarebbe stata dichiarata inammissibile o rigettata!

5. La ripetizione dei due atti è inammissibile, sia perché non prevista come alternativa alla impugnazione, anzi, perchè esclusa da questa, sia perché attuante bis in idem del deciso – ammessa la ripetibilità dell’atto, il minimo che essa postuli è che, esso, innovi nel precedente, che esso sia rinnovazione: vd sub 1.3-.

5.1 D’altronde, legandosi, l’annullamento dicente che non era motivato fumus né periculum (dicente quindi che non vi erano fumuspericulum!) al decreto residuo, la reiterazione, e la richiesta relativa, non avrebbero potuto non innovare in esso, nelle sue condizioni, per rendersi ammissibile e giudicabile.

5.3 Anzi, nella mancata innovazione della richiesta del Pm, nella sua ripetizione il gip avrebbe dovuto ravvisarvi l’ inammissibilità, perché incorporava le ragioni dell’annullamento.

6. Questa inammissibilità si chiede sia rilevata dal Tribunale, quale ragione della propria declaratoria di inammissibilità del decreto di sequestro, o dell’annullamento d’esso per violazione del divieto del bis in idem: . Pen. Sez V

6.1 In altre parole Il GIP avrebbe dovuto rifiutare giurisdizione alla domanda del Pm, perché ripetitiva di quella la cui prospettazione era stata annullata dal Riesame, la cui decisione non era stata impugnata.

6.2 Essendo Egli, d’altronde, privato della giurisdizione sia dalla mancata impugnazione, dal PM, della decisione sul suo primo decreto, sia dalla ripetitività della domanda.


[1]          – “fuorviante si palesa il riferimento difensivo al c.d. appalto “labour intensive“, in cui l’appaltatore privo di mezzi, utilizza solo il fattore lavoro, in quanto la valutazione del fumus boni iuris in ordine all’esistenza nella specie di un appalto non genuino emerge con nettezza non dalla isolata considerazione di un singolo elemento, ma dalla valutazione globale di tutti gli indici fondamentali di cui sopra integranti le caratteristiche proprie del contratto di appalto, indebitamente utilizzato nel caso in esame, come detto, per dissimulare l’interposizione illegale di manodopera a fini di indebita detrazione dell’ IVA”;

              – “le ulteriori deduzioni della difesa non paiono meritevoli di accoglimento, essendo stato verificato, con riguardo alle dichiarazioni della parte a carte 30, relative alle “varianti citate nel contratto di appalto” (a6) a proposito dell’avvenuta determinazione del corrispettivo che dimostrerebbe, stando al suo dire, l’asserita inesistenza del rischio di impresa in capo al committente, che, in realtà, esso corrispettivo, sulla base dell’esame dei prospetti riepilogativi, era riconosciuto per la fornitura di manodopera e determinato in concreto sulla base delle ore lavorate e della paga oraria di ogni singolo dipendente somministrato e non con riferimento alla realizzazione del servizio e dopo il suo espletamento, come avviene, invece, nel caso dell’appalto genuino

              – “l’avvenuto rilascio delle certificazioni attestanti l’ammontare delle somme corrisposte e delle trattenute operate ai sostituti dell’anno precedente può essere provato – contrariamente a quanto eccepito dall’indagato – anche soltanto alla stregua del Modello 770 qualora questo, come nella specie, contenga il riferimento alle certificazioni predette”;

Tizio , accusato di reato ex art . 73.5 dpr 309/90, è giudicato “p.q.m. Visto l’art. 131 bis cp, 530 c.p.p. assolve ……..dal reato al medesimo ascritto perchè non punibile per particolare tenuità del fatto. Visto l’art. 323 c.p.p. ordina la restituzione del bilancino a….. Visti gli artt. 240 c.p., 85 e 87 dpr 309/90 ordina la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Motivazione contestuale”.

1. appellata la sentenza, PG presenta  conclusioni scritte (numeratura sottolineatura e grassetto dello scrivente):


1.1.“Visti gli atti del procedimento di appello sopraindicato a carico di ********* condannato in primo grado per il reato ex artt. 73 comma 5 DPR 309/90 , si formulano le seguenti osservazioni e conclusioni.

1.2 Preliminarmente, si sollevano dubbi sulla costituzionalità della disposizione dell’art. 593 comma 2 c.p., nel punto in cui ammette l’impugnabilità delle sentenze di assoluzione. Invero, la disposizione è totalmente eccentrica rispetto a quella del comma 1 e 3: il primo comma stabilisce il principio per cui l’imputato può impugnare contro le sentenze di condanna, mentre i terzo pone eccezione alla regola, limitando l’impugnazione di alcuni tipi di condanne.

Il secondo comma invece ammette l’impugnazione di una pronuncia assolutoria che non ha nessuna possibilità di arrecare pregiudizio all’imputato, a differenza di quelle di cui al comma 3!!

1.3 Se non è possibile pervenire a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione delle sentenze ex art. 131 bis c.p. in via interpretativa, si rappresenta l’opportunità di sollevare la questione di costituzionalità per il difetto di ragionevolezza.

Nel merito, le questioni poste dall’appello sono solamente infondate. La destinazione allo spaccio è comprovata dal possesso degli strumenti tipici di chi la droga la vende e non la consuma e basta, Pur non condividendo i motivi di appello, si ritiene che il reato per cui si procede sia prescritto (11/2/2014).

1.4 Conseguentemente, in subordine alla dichiarazione di inammissibilità, si chiede in riforma della sentenza di I^ grado, una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito prescrizione”;

Orbene

Sugli  enunciati del PM

2. sub 1.1.: 
se la sentenza, come scrive, è di “condanna”: Egli ha forse eccepito  “il difetto di ragionevolezza” della sua appellabilità? Tuttavia si ammette che  potrebbe essere caduto in  lapsus calami, giacchè la sentenza, manifestamente,  “assolve” l’imputato

3.sub1.2: :
il verbo impugnare è generico e, quindi, inconferente al discorso:  se impugnano le sentenze tanto l’ Appello quanto il  Ricorso per Cassazione.
Esso, perciò, nell’uso concreto del PM, avrebbe dovuto distinguere.
3.1 Anzitutto  perché la ricorribilità per Cassazione della sentenza inappellabile ne implicherebbe (comunque) l’impugnabilità. Così come farebbe l’appellabilità, della sentenza – che godrebbe di impugnabilità doppia-.
E ciò pare sfuggire, anzi non avvenire, nel discorso  del PM.

3.2 Poi,  perché l’uso aspecifico  del verbo impugnare,  ha oscurato  i termini della questione del “difetto di ragionevolezza” (se questo fosse, e non è: vd tra poco) .
3.3 Perchè è pensabile  che sia la limitazione della impugnabilità (non la sua esclusione!) a dare ragionevolezza alle differenze (irragionevoli per il PM).
Essa (limitazione) potrebbe accompagnare differenze tra impatti, delle sentenze,  nella sfera giuridica penale o extrapenale dell’interessato:
 a) appellabili e ricorribili le sentenze assolutorie ad impatto nella sfera giuridica extrapenale dell’interessato;solo ricorribili altre; .
b) appellabili e ricorribili talune sentenze condannatorie;  ricorribili altre,  in proporzione alla misura  dell’impatto nella sfera giuridica penale ed extrapenale.   .
3.4 In altre parole, il vizio del discorso del PM sta nell’ignorare che le assoluzioni appellabili sono dannose extrapenalmente -in civile amministrativo e altrove ( facendovi stato o similmente);  più dannose , nella sfera guridica complessiva, delle condanne inappellabili – peraltro , non inimpugnabili, perché ricorribili per Cassazione-.
3. A riprova,
  la sentenza di assoluzione, ex art 131 bis cp,   per lieve entità del fatto – supponente che il fatto sussista, che l’imputato lo abbia commesso, che esso sia antigiuridico sebbene non punibile; e che, quindi, a pieno titolo affluisce alla serie delle sentenze di assoluzione appellabili ( perché non dichiaranti insussistenza  o non commissione del fatto)-:  
–  è annotata nel casellario giudiziale ex art 3 d.p.r. 14 novembre 2002 n. 313 a mente del quale sono iscritti: “f) i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale;

– la sentenza ex art 131 bis c.p. permane nel casellario ex art 5 d.p.r. 14 novembre 2002 n. 313 per dieci anni dalla pronuncia: “d-bis) ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, trascorsi dieci anni dalla pronuncia;”;

– l’assoluzione per lieve entità del caso di specie è ammessa ex art 131 bis, 3 c, c.p. “L’offesa non può essere altresì ritenuta di particolare tenuità quando si procede…per i delitti consumati o tentati previsti…dall’art. 73 d.p.r. 309/90 salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo” e l’imputato può sempre appellare detta sentenze in regime di divieto di reformatio in pejus.

Pertanto
3.5  Sono proprio appellabilità di alcune  assoluzioni,  inappellabilità e tuttavia ricorribilità di alcune condanne, sono proprio le rispettive e complessive ragioni (sopra esposte), da impiegarsi  per accertare ragionevolezza o irragionevolezza del loro collettivo trattamento. 
Non  è il solo confronto  di assoluzioni e condanne rispetto alla “impugnazione” , come vorrebbe il PM.  

4. sub 1.3: 
Quindi, se   infondata pare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal PM,  inaccettabile appare la sua proposta di evitarla per via di “interpretazione” dell’art. 593 cpp. Interpretazione che,   in effetti e manifestamente, rifà’   l’art. 593.2 cpp. .
5. Sub 1.4:
Tanto più quando, per tale via,  Egli pretende declaratoria di inammissibilità dell’appello di specie, sebbene l’inammissibilità (processuale) rinvii a previsioni espresse e casistiche,(per tutti:  art. 606. 1 c) cpp).

Pietro Diaz con Maria Carla Sunch

Appello in materia diAtti osceni in luoghi abitualmente frequentati da minori, testimonianze della persona offesa, individuazioni fotografiche di persona, logiche del giudice, modificazioni indebite del fatto in imputazione, inosservanza delle nozioni giuridiche di prova mancante, prova insufficiente, prova contraddittoria, prova oltre ogni ragionevole dubbio. Et cetera…

 Appello avverso sentenza Tribunale Penale di…, con la quale  M,  imputato di imputato del delitto ex artt. 81 cpv 527 c.p. perchè “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso compiva atti osceni in luogo pubblico; nello specifico il predetto in tre occasioni si recava presso la spiaggia della… nella pineta di ….. (luogo abitualmente frequentato da minori) e si masturbava in prossimità dell’asciugamano di V  e T  ragazze minorenni che da giorni frequentavano il suddetto arenile. Fatto commesso in… dal… al …. 2019”, era condannato :

P.Q.M. Visti gli articoli rubricati, 81 c.p., 533 e 535 c.p.p. dichiara M colpevole dei reati a lui ascritti, avvinti dal vincolo della continuazione e lo condanna alla pena di 6 mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visti gli artt. 538 e ss. condanna M al risarcimento del danno in favore delle Parti Civili costituite rimettendole davanti al competente giudice civile per la sua esatta liquidazione ed assegnando in loro favore una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari a 1.000,00 euro ciascuna. Visto l’art 541 c.p.p., condanna M alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla Parte Civile, liquidando le spese medesime in € 1.355,33 ciascuna oltre spese generali (15%), iva e cpa. Visto l’art. 544 c.p.p. indica in 90 giorni il termine per il deposito della motivazione.

Si impugnano i capi e i punti della sentenza di cui in appresso, per le ragioni in fatto e in diritto e i motivi lì indicati.

Parte Motiva della sentenza

A.1.P 6. “tre ragazze nell’estate del 2019”. Diversificazione del tempo del fatto. Affermazione del fatto non imputato. Nullità della sentenza ex art 522 c.p.p., che si chiede sia dichiarata.
1. La sentenza salta a piè pari la cronologia dei fatti esposta dalla imputazione. Ne applica un’altra per stagioni, non per mesi settimane giorni. Quindi, oltre a non porre sé stessa in grado di asserire storicamente i fatti, distoglie i fatti dal tempo che pure avevano. E, diversificandoli nella dimensione temporale,. li diversifica anche in quella spaziale, se lo spazio muta insieme al tempo, se lo spazio di un tempo non è quello stesso di un altro tempo.

Ma senza eccedere in obiezione, diversificati che fossero, i fatti , non potrebbero essere da essa giudicati, senza mediazione del pubblico ministero, la quale, mancata prima della camera di consiglio, ex artt. 516 ss c.p.p., deve essere ricercata dal giudice ex art 521.2 c.p.p..

2. Ma perché la sentenza temporizza per stagioni? Mancanza o insufficienza o contraddittorietà della prova ex art 530.2 c.p.p., ignorate dalla sentenza. Totale fraintendimento della prova per condannare ex art 533 c.p.p. Violazione delle disposizioni or dette. Violazione della gnoseologia della prova d’accusa e di difesa ex art 546.1 e) cpp. Che si chiede siano dichiarati a sostegno della riforma assolutoria della sentenza.

2.1 Temporizza per stagioni perché la temporizzazione , dei fatti, della imputazione, per giorni di un mese (di un anno) precisi, è travolta dalle testimonianze dibattimentali delle po, eversive delle sit antecedenti.
La sentenza lo sa, e lo dice “Tre ragazze nell’estate del 2019, assistettero alle masturbazioni di M che si era posizionato sulla spiaggia della “Conchiglia” a pochi metri da loro (cfr. V, T e B):

a p 3: Per V, almeno due degli episodi si sarebbero verificati ad agosto, contrariamente alla imputazione. Inoltre, in nota 1, p 3: il numero degli episodi va da tre a quattro poi di nuovo a tre, ancora contrariamente alla imputazione.

a p. 4 in note 2 e 3, appare la inidoneità della testimone T alla collocazione temporale neppure approssimata dei fatti, contrariamente alla imputazione.

a p 5: la testimone B, è incapace di collocare temporalmente i fatti, contrariamente alla imputazione, e li colloca nell’estate del 2019 di pomeriggio.

2.2 La sentenza lo sa, lo dice, ma non ne trae le debite inferenze, in termini di mancanza della prova del (tempo del) fatto, o almeno della sua insufficienza . Né trae inferenza, in termini di contraddittorietà della prova, di ciascuna prova al proprio interno (per il divario tra sit e testimonianza: vd verbale dibattimentale, controesame difesa, udienza del 06.05.22 V e T e del 11.11.22 B): delle prove testimoniali tra loro (vd incrocio deposizioni dibattimentali delle testimoni suddette), ad esempio del quale: a p 5 la testimone B, peraltro incapace di collocare temporalmente i fatti in modo conforme alla imputazione, come detto, descriva condotte dell’uomo totalmente difformi da quelle descritte alle altre ragazze (egli le seguirebbe masturbandosi ed ogni loro tentativo di allontanarsi sarebbe stato vano. B. dica che in quell’atteggiamento sarebbe stato fotografato dalle ragazze, laddove la foto prodotta da queste, in atti, rappresenti un uomo sdraiato sulla schiena, statico, le gambe ripiegate sulle ginocchia, occhiali da sole e foglio tra le mani). Ebbene, malgrado tutto ciò, il giudice non rileva la macroscopica contraddittorietà di questa testimonianza alle altre, la contraddittorietà di questa testimonianza alla risultanza fotografica; il giudice non rileva che la testimonianza confuta le altre; non rileva, insomma, la contraddittorietà della prova e quindi la sua inadeguatezza a sostenere condanna.

2.3 Cioè, la sentenza, non solo omette di indicare i risultati di prova (art 546 1 e) c.p.p.), ma omette di valutarli alla luce delle regole di loro identificazione in art 530.2, 533 c.p.p. (prova mancante, insufficiente, contraddittoria, prova di condanna al di qua di ogni ragionevole dubbio ex art 533 c.p.p.). Ma omette anche di attivare la benché minima logica probatoria (se non nella misura e col mezzo di cui tra poco: D).

2.4 Ed è per levarsi da tale impiccio che la sentenza temporizza per stagioni. Perché il non farlo non porterebbe ad altro che alla assoluzione dell’imputato per insussistenza dei fatti.

3. Ma la sentenza (p. 5) allestisce il suo deus ex machina, il suo artificio. Il materiale glie lo offre l’appuntato D . Uno (sedicente) vagante alla ricerca di un maniaco descrittogli da soggetti inidentificati ed inidentificabili – sebbene, taluni, appartenenti alla stazione dei cc nella quale egli opererebbe. Uno il cui dire, non declinante la fonte del suo contenuto, non è utilizzabile ex art 203 c.p.p., Uno che, quindi, non riferendo chi gli abbia descritto il maniaco, già per tale ragione processuale non può dire di avere identificato il corrispondente, , nel transitante per la sua stessa strada (a parte che non potrebbe dirlo per altra causa. Perché, sebbene incalzato dal controesame difensivo, della descrizione avuta non ha saputo fornire gli elementi se non di genere. Per conseguenza , non fu, né avrebbe potuto essere, atto a ricondurre alcuno, l’uomo che si trovò davanti, ad una figura imprecisamente posseduta).

L’appuntato fornisce alla sentenza anche un giorno preciso, della sua attività, il 2 agosto 2019, E poiché questo giorno precede i (peraltro non precisati) giorni di agosto dei fatti secondo V ma anche B (vd sub 2.2) , allora i fatti non potrebbero essere avvenuti che precedentemente.

3.1 Ora, a parte che nel giorno due agosto secondo imputazione, sit e testimonianze dibattimentali, non accadrebbe alcuno dei fatti contestati. E a parte che questa indicazione temporale non sarebbe che una delle innumerevoli indicazioni temporali fuoriuscite dal testimoniale del processo, e che, quindi, non si comprende perché essa potrebbe rettificare queste e non viceversa (la rettificazione non potrebbe che essere reciproca), E a parte che la rettificabilità reciproca comporta conflitto tra i differenti termini , comporta contraddizione e, quando questa sia, opera immediatamente la regola di giudizio della prova contraddittoria ex art 530.2 cpp ( e starebbe al di qua di ogni ragionevole dubbio la prova della condanna ex art 533 cpp). E, quando essa sia, il giudice non ha il potere logico di risolverla se non uscendo dal rapporto tra i termini, rinvenendo sostitutivi o aggiunzioni. Insomma, non ha il potere di uscire “preferendo” uno di essi.

A parte tutto ciò.

3.2 Che l’indicazione dell’appuntato possa basare il ragionamento condannatorio della sentenza, presuppone che l’uomo avvistato e fotografato il 2 agosto, M, fosse l’uomo degli “atti osceni”. Presuppone quindi che l’oggetto della prova accusatoria , chi fosse l’autore di quegli atti, sia il soggetto della prova, il suo mezzo! Il che è metodologicamente assurdo, perché equivale a presunzione assoluta di colpevolezza (salva prova contraria), che esonera da ogni prova accusatoria, persino dalla sua introduzione cognizione valutazione.

La presunzione che, senza nemmeno avvertirla, forse, ha praticato la sentenza in esame, che di fatti ha soppresso la prova testimoniale, dando ad essa il contenuto del veicolo della presunzione, il fotogramma di M. abbordato da un carabiniere il due agosto 2019.
4. Per cui la sentenza nemmeno si avvede della totale inidoneità, anzi della eversività metodologica, del mezzo di prova datogli dal carabiniere alla identificazione dell’autore dei fatti. Non si avvede della completa illogicità del procedere, della totale irrilevanza e inconferenza d quel mezzo di prova. Insomma non si avvede che ha dato per dimostrato quel che era da dimostrare.

B. L’individuazione dell’uomo sulla spiaggia. Mancanza o insufficienza o contraddittorietà della prova ex art 530.2 cpp, ignorate dalla sentenza. Totale fraintendimento della prova per condannare ex art 533 cpp. Violazione delle disposizioni or dette. Violazione della gnoseologia della prova d’accusa e di difesa ex art 546.1 e) cpp. Violazione della forma della prova, dei principii di tipicità e di tassatività relativi. Violazione della forma della prova atipica. Violazione della logica comune e giuridica della prova. Che si chiede siano dichiarati a sostegno della riforma assolutoria della sentenza.

1. A p6 della sentenza , le ragazze “riconobbero” l’imputato “con appagante certezza”.
E tuttavia, la immagine oggetto della individuazione non aveva alcuna corrispondenza all’immagine oggetto della fotografia scattata dalle individuatrici (per le ragioni di cui sub 2.2).

1.1 E l’incorrispondenza non avrebbe potuto indurre che il mero possibilismo dell’esito della individuazione.

1.2 E se, a P. 6, si rileva che le ragazze dichiararono di avere osservato sei fotografie e la pg attestò che gliene furono mostrate 8, ciò aumenta il possibilismo del riconoscimento, piuttosto che ridurlo.
1.3 E se si rileva che, trattandosi di atto di indagine informale, non è previsto “un numero minimo di persone”, la sentenza si discosta dal caso di specie, nel quale non erano esibite persone ma immagini fotografiche di persone. Con incremento già per ciò del possibilismo dell’esito della individuazione, per la incomparabilità dell’oggetto della individuazione all’oggetto della visione originaria.

2. E se “una donna” sarebbe il soggetto individuato, in tutte le dichiarazioni e ciò, per la sentenza, sarebbe un “refuso” dei conducenti l’atto:

2.1 intanto quel sostantivo, “una donna” fu oggetto di verbalizzazione. Oggetto mal trascritto? Perché non anche mal recepito? Perché non anche male espresso? Ripetutamente tuttavia!

2.2 E se tutte le precedenti ipotesi sono formulabili, la conclusione del giudice per un refuso grafico dei verbalizzanti, è almeno affrettata.

E se tutte le ipotesi sono formulabili, diviene dubitabile l’intero contenuto della verbalizzazione e l’intero procedimento dell’atto, a loro volta passibili di ogni genere!

Con seguente inattendibilità dell’esito della individuazione.

3. E allorché, P7, il giudice esclude l’influsso condizionante della precedente visione della fotografia (scattata dalle individuatrici), sostenendo che essa avrebbe agevolato il “riconoscimento”, non si avvede, da un lato, che gli estremi di questo eran dati dal soggetto visto in spiaggia e il soggetto della foto individuata. Da altro lato, che vi era tale diversità tra l soggetto della fotografia scattata dalle individuatrici – a corpo intero disteso, gambe raccolte, volto poco visibile e con gli occhiali- ed il soggetto della foto tessera – esclusivamente di faccia, di profilo, senza occhiali in bianco e nero -, tale diversità, si diceva, da potersi se non doversi ipotizzare che l’identificazione sia stata del tutto casuale.

3.1 A parte il rilievo che tutte le individuatrici negarono di avere visto fotografie dei rappresentati prima dell’atto. A parte quindi l’addebitabilità del mendacio a stregua del suddetto rilievo della sentenza stessa.

4. D’altro canto, l’assenza del difensore non ha permesso la identificazione di tutti gli elementi circostanziali della individuazione, le condizioni soggettive e oggettive della ostensione (delle fotografie) e della visione, le reazioni mimiche e verbali alla visione, sia delle individuatrici sia degli operatori.

Assenza del difensore nemmeno compensata dalla riproduzione fonografica o videografica dell’atto. Mancate.
Insomma, nulla garantisce, che gli esiti della individuazione ed il suo procedimento, siano stati quelli di cui a verbale. Onde, il giudizio probatorio avrebbe dovuto essere ben più congetturale e cauto di quello espresso dalla sentenza.

5. Quando, poi, la sentenza (P7) afferma che la forza probatoria non discende dalle modalità formali del “riconoscimento” ma dal valore della dichiarazione confermativa, avvenuta con la deposizione testimoniale, non vede che:

o discioglie il “riconoscimento” nella testimonianza, e, quindi, non potrebbe usarlo;
o, discioltolo nella testimonianza, questa avrebbe ad oggetto un atto del processo e non un fatto (d’altronde, la sentenza stessa rileva che, “nel caso di specie, sentite a dibattimento, le testimoni hanno… conferma(to) l’esito dell’atto di ricerca della prova compito in fase di indagini preliminari”. Parla proprio di conferma dell’atto!).

5.1 E, comunque, avrebbe ad oggetto un fatto proprio e interiore (lo ho riconosciuto!), inammissibile come tale, inammissibile comunque perchè fatto interiore psichico inverificabile all’esterno, insuscettibile di contraddittorio, interamente rimesso al convincimento del testimone!

6. Quanto poi alla “prova atipica”, come ciò sia sostenibile se l’individuazione è tipicamente mezzo di ricerca della prova, non è spiegato!

A parte che la evocazione di una prova atipica, checché se ne dica, contrasta apertamente il principio di tassatività della prova in art 187 c.p.p., ed il principio per cui la prova atipica va promossa preformata ed eseguita nel contraddittorio delle parti ex art 189 c.p.p. (quindi ogni contrario asserto è totalmente abusivo perchè estraneo al potere di interpretazione e comunque, contravventore dei suoi limiti).

7. La Individuazione fotografica della persona garantirebbe più della individuazione della persona, perchè costringerebbe l’individuatore ad un sforzo di memoria maggiore che nella individuazione di persona!

Ma è proprio questo sforzo che mostra la inferiorità probatoria della prima rispetto alla seconda, quando, ovviamente, la visione originaria abbia avuto ad oggetto una persona e non una fotografia.
Ciò sia perchè la fotografia è un surrogato della persona – e, quindi, distanzia l’individuatore dalla visione originaria assai più che se compisse una individuazione di persona. Sia perchè quando, come in specie, la surrogazione aumenti ove la foto riproduca solo parte della persona, parte minima come in specie, aumenta la distanza tra l’oggetto originariamente visto e l’oggetto della individuazione, con decremento proporzionale del valore probatorio della individuazione .
8. La percezione visiva sarebbe, per sentenza, una specie del più generale concetto di dichiarazione!
Pur essendo l’oggetto della dichiarazione? La sentenza confonde il mezzo col suo prodotto?
La dichiarazione non riproduce altro che la percezione visiva senza mai immedesimarsi in essa, senza mai sussumerla a sé!

9. Quanto poi al passaggio, del “riconoscimento fotografico” da mezzo di individuazione della persona a prova atipica (vd sub 6)e poi a prova tout court quando sia confermata a dibattimento:

dato che confermata è la individuazione, dato che non smentita è questa, dato che è confermato una atto del processo, che non smentito è questo:

è del tutto inspiegabile come ciò possa aggiungere il benché minimo valore alla individuazione, inspiegabile come, addirittura, possa trasformarla in prova (se non per pensiero mistico, spiritualistico).

B.1 Ma più radicalmente, sul tema precedente della individuazione. Violazione delle norme processuali inerenti (di cui infra) mancata rilevazione della nullità dell’atto, seguente nullificazione degli atti consecutivi e dipendenti.

Per la sentenza la “individuazione è attività informale che non prevede il compimento degli adempimenti previsti dall’art. 213 c.p.p. ” e “Pertanto non possono pretendersi per la individuazione le stesse garanzie previste per la ricognizione seppur per prassi, il mezzo di ricerca della prova viene effettuato mediante sottoposizione all’individuatore di più immagini, modalità che garantisce l’imputato (sic) in una maniera superiore a quella prevista dalla legge (che non richiede alcuna formalità) perchè pone in maggiore difficoltà colui che deve riconoscere l’indagato, costringendolo ad uno sforza visivo e mnemonico più arduo.”

Si è obiettato sub B ad alcuni dei rilievi ora esposti.

1. l’individuazione, irritualmente maneggiata, dal PM, a dibattimento a simulare una ricognizione, ha tuttavia esclusivamente riprodotto l’anteatto, sia pure con la variante della qualità dell’individuatore, ora testimone. Il quale, tuttavia, come sopra cennato, non testimonia sul contenuto d’essa, perché derivante da un apprezzamento, incompatibile alla testimonianza. E poiché non è nemmeno individuatore, ma è confermatore della precedente individuazione, resta l’omessa partecipazione, a questa, del difensore dell’accusato, e di questo stesso, che non permette l’uso probatorio d’essa, anche a causa della preclusione in art. 111 IV Cost.. Preclusione formale, o, comunque, sostanziale, perché ignorandosi totalmente, oltre quanto detto a verbale, come l’individuazione si sia svolta, come sopra cennato non può accreditarsene l’effetto (a parte l’inoltrepassamento del non ragionevole dubbio –art. 533 c.p.p.- , segnalato dalle percentuali della individuazione).
Ma comunque:

1.1 non vale l’argomentazione della sentenza secondo cui: “In ogni caso anche a voler ritenere che il Massarotto avesse già assunto la veste di indagato, si osserva che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 265 del 1991 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 364 c.p.p. nella parte in cui non prevede tra gli atti di indagine con diritto di assistenza del difensore anche gli atti di individuazione coinvolgenti gli indagati, per il motivo che la mancanza di tale presenza non comporta la violazione del diritto di difesa”;

di fatti

1.2 il dettato normativo di riferimento (art 364 cpp) prevede la partecipazione del difensore all’atto di individuazione del pubblico ministero, diretto o delegato.

1.3 la norma de qua è stata modificata con d. lgs 15 settembre 2016 n. 184, per cui la sentenza cennata, impiegata dal giudice, non può più escludere, dall’individuazione, il contraddittorio difensivo.

1.4. all’atto individuativo che ha condotto al “verbale di individuazione di persona mediante ricognizione fotografica”, delegato alla PG dal PM, il difensore aveva diritto a parteciparvi ex artt. 361, 364 1 , 370.2 cpp. E’ conseguita nullità d’esso ex art 178, lett c.) c.p.p., (invano) dedotta nell’udienza preliminare, già riproposta in dibattimento, e che si reitera.

C. Sul “principio di masturbazione”: fatto diverso, violazione della regola in art 521 c.p.p..

Sentenza p 9La Difesa ha sottolineato energicamente che le testimoni abbiano dichiarato di aver assistito ad un principio di masturbazione e non al totale compimento di atti onanistici. Secondo questo Giudice, non vi è differenza tra un principio di masturbazione e una masturbazione completa ai fini della configurabilità del reato in punto di tipicità della condotta”;
1. Che l’”inizio” (non “principio”: vd testimonianze) di masturbazione sia masturbazione è contraddittorio in termini (lo ammette implicitamente la sentenza, allorché eguaglia i termini “ai fini della configurabilità del reato in punto di tipicità della condotta”).

Se non lo fosse, per essere ricondotto a masturbazione, avrebbe necessità di descrizione.
L’inizio della masturbazione non è stato descritto nei suoi contenuti da alcuna delle testimoni. Quindi, solo per intuizione, non per concreta constatazione, esso potrebbe essere stato ricondotto alla masturbazione.

Cioè, solo per sensazione inscindibile da apprezzamento , inammissibile alla testimonianza.

2. L’inizio di masturbazione, comunque, dalla sentenza (in termini di principio) reputato equivalente a masturbazione, , non è comunque omonimo né sinonimo di questa, che in quanto tale e non in quanto inizio (o “principio”) è in imputazione. Quindi, il giudice, anche “ai fini della configurabilità del reato in punto di tipicità della condotta” (vd sopra), non avrebbe potuto sentenziarlo senza la mediazione del PM (antecedente o successiva ex artt 516 ss,, 521.2 cpp.)- d’altronde, nel brano seguente la sentenza implica la diversità del fatto: “L’art. 527 c.p. sanziona infatti atti osceni, realizzati in spregio del pudore, concetto che include il buon costume sessuale quale complesso di vita conformi alla civile convivenza nel campo della sessualità. Ora, secondo questo Giudice, denudare gli organi genitali ed iniziare un’attività di masturbazione integra il reato nella sua componente oggettiva. La libertà di costume odierna per quanto interpretata fino al limite estremo di una sua interpretazione estensiva, non include ancora la possibilità di una totale nudità del corpo umano (ed infatti i luoghi in cui possono scoprirsi le pudenda sono predeterminati dalle norme in materia e tassativi) né tantomeno la manifestazione di atti di autoerotismo”-.
O erronea valutazione della prova, sul fatto e sulla sua volontà finalistica.
2.1 D’altronde,, mancata la descrizione dell’inizio di masturbazione, la sentenza non aveva materia bastante a stabilire se fosse atto erotico , più specificamente, se fosse atto di autoerotismo (come essa, in nota a p. 9, lo definisce).

2.2 Tanto più se considerato quanto la sentenza stessa rileva e sconta fattualmente (p 2) , per cui l’uomo celava la masturbazione (l’inizio della), quindi inibiva la sua percezione e identificazione come atto erotico! Aggiungasi che, questi due ultimi eventi, erano incondivisi dalle testimoni, che evitano di osservare “TESTE V – Cercavamo di far finta di niente, magari giocando a carte e coso, capitava che il nostro sguardo si incrociava, quindi lui rimaneva fermo, magari per non essere osser… cioè, visto, non so, però quando i nostri sguardi si incrociavano smetteva. Poi ci rigi… AVV. – Sì. TESTE V – Rigiravamo di nuovo la faccia e continuava con…”;

2.3 rilievo portante a dubitare della oscenità dell’atto, come della sua direzione alla oscenità. E, quindi, portante a dubitare non solo della sussistenza dell’atto ma anche della intenzione di compierlo quale atto osceno.

2.4 Per cui la annessione, in sentenza, al gesto, del dolo (peraltro) “eventuale” appare problematica., al di qua di ogni ragionevole dubbio ex artt, 533.1 cpp (comunque , appare prova mancante o insufficiente o contraddittoria ex art 530.2 cpp).

Unicità dell’atto?

Peraltro. Se:

3 la condotta, in tutte le testimonianze (eccetto quella di B che sovverte ogni altra e l’imputazione stessa , vd sopra)  è descritta quale inizio non evoluto (conclusosi in un atto);

3.1 la pluralità degli atti è pretesa dalla norma (che narra di “atti”);

3.2 allora, proprio “ai fini della configurabilità del reato in punto di tipicità della condotta” mancherebbe la misura della oscenità;

3.4 la cui pregnanza, anche in rapporto all’indecente (altrove sanzionato) che ne è parte, non pare raggiunta;

Conclusione

3.5 con seguenti: a) insussistenza del fatto (perchè non osceno o, se osceno in sè, non pubblico perché celato); b) o incostituenza del fatto come reato, poiché, per l’ultima ragione in parentesi, non voluto; si chiede che in riforma della sentenza , ciò sia dichiarato;

C 1. Sul particolare luogo, elemento costitutivo del fatto di reato e del suo disvalore. Diversificazione del fatto senza mediazione del pm (art 521.2, 522 cpp). Omessa ed erronea valutazione della prova ex art 581.1 b). cpp . Inosservanza della legge penale ex art 527.2 cp. .

Che si chiede siano dichiarati (il secondo ed il terzo vizio come base per riforma della sentenza mediante assoluzione perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato).

1. in sentenza p. 10: La sanzione prevista dall’art 527 cp. è di natura penale (comma 2) quando l’atto osceno è compiuto presso luoghi abitualmente frequentati da minori con il pericolo che essi vi assistano. Una spiaggia nei mesi estivi è luogo abitualmente frequentato da minori come sostenuto dalle testimoni e dalla presenza, in una delle occasioni, di una minore (A B)”;

1.1 ora, a parte che la minore indicata dal Giudice non corrisponde a quella indicata nel capo di imputazione, e già ciò diversifica il fatto ex art 516 cpp, con le conseguenze ex art 521 e 522 cpp, che si chiede sia dichiarato;

1.2 e a parte che la minore di cui all’art 527 cp non è la minore che fosse accidentalmente offesa dal reato, ma colei che vi assiste quale uno dei minori stabilmente frequentanti un luogo ad essi dedicato (altro elemento ignorato dalla sentenza);

1.3 luogo che, d’altronde, non è “la spiaggia”, come la sentenza vorrebbe – non solo perché le pp.oo. indicarono altro quale luogo dell’incontro con l’importuno, ma- perché luogo comune a tutti, anziché a minori (la presenza dei quali è , pertanto., accidentale);

a parte ciò

1.4 se “Per la sussistenza del reato, occorre inoltre accertare che dal fatto derivi il pericolo che i minori assistano a detti atti; essendo elemento espresso di fattispecie, il pericolo deve essere oggetto di una puntuale verifica in sede giudiziale; il giudice, pertanto, deve appurare, al momento del fatto, l’effettiva presenza di minori in uno dei luoghi indicati dalla norma, a nulla rilevando che poi concretamente uno o più minori abbiano effettivamente assistito al compimento di detti atti, essendo sufficiente il pericolo che ciò potesse accadere. In altri termini, nella base del giudizio di pericolo occorre considerare la presenza di due o più minori, mancando la quale è escluso il pericolo che i minori possano assistere alla realizzazione, da parte dell’agente, di atti osceni (nel caso di specie la Corte territoriale aveva rigettato l’appello, non avendo applicato correttamente il principio sopra richiamato, in quanto avrebbe dovuto accertare se nel giardino pubblico, in prossimità del quale sono stati commessi gli atti osceni, fossero presenti giochi o altre attività ludiche per bambini: circostanza che la Corte territoriale non ha verificato nel caso concreto, essendosi limitata ad affermarne l’esistenza in maniera apodittica, richiamando una massima di esperienza che (“è notorio che nei parchi pubblici sono di norma sono presenti anche giochi per bambini”) che non ha valore assoluto.) (Cass. Pen., Sez. III, 20 settembre 2019 – 24 ottobre 2019, sent. n. 43542);

1.5 se quella è l’esegesi, non pare che le si adegui l’assunto, in sentenza p. 10, “Trattandosi di reato di pericolo, la tutela del bene giuridico è “anticipata” e, pertanto, è sufficiente la possibilità che i minori assistano ad un atto osceno e che non che siano effettivamente presenti”(!).
Di fatti, detta possibilità e totalmente astratta dalla particolarità dei luoghi selezionati dalla disposizione, non è tratta da essi, con seguente inosservanza d’essa ( si tralascia la illinearità della frase “è sufficiente la possibilità che i minori assistano…e che non che siano effettivamente presenti”).
In ogni caso,

I luoghi della previsione legale, oltre la interpretazione giurisprudenziale, nella interpretazione comune, non possono certo ricondursi a luoghi appartati appositamente ricercati anche in ragione dei giorni e delle ore, dalle testimoni, escludenti espressamente – quanto assolutamente – la presenza abitale di minori.

2. Quindi, se la fattispecie fosse di pericolo (peraltro, concreto) questo avrebbe ad oggetto la percezione del gesto da parte del minore, non certo, il luogo abitualmente da lui frequentato, che è elemento costitutivo della fattispecie.

3. E che inoltre è oggetto del dolo.

Per cui, se il luogo concreto come luogo abitualmente frequentato da minori non fosse stato rappresentato e attivato dall’autore dell’atto, mancherebbe il dolo di questo ( il tema non è nemmeno sfiorato dalla sentenza),

4. al più, per conseguenza, gli atti sarebbero risultati osceni per colpa (se non fosse esclusa l’oscenità per equivocità delle manovre sul pene, che potrebbero avere avuto causa e fine non erotici -massaggiamento, grattamento, ispezione…). In tale senso la sentenza avrebbe dovuto comporre il suo dispositivo.

5. Onde il fatto sarebbe illecito amministrativo ex art. 527.3 cp. Si chiede che, in riforma della sentenza, sia dichiarato.

D. Mancata degradazione del fatto ad illecito amministrativo:

1. Tutto quanto sub C 1 osservato, avrebbe dovuto condurre la sentenza a ritenere l’illecito non penale ma amministrativo (art. 527.1 cp).

Si chiede che, in riforma della sentenza, sia dichiarato.

E. Sul capo della  condanna civile;   sulla mancata declaratoria di tenuità del fatto ex art 131 bis cp e sulla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche:

1. se la condanna al pagamento di una provvisionale è emessa nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova (art 539.2 cpp); se , ad avviso della sentenza, quel “la prova può fondarsi, quanto al danno morale, su elementi di carattere presuntivo, avuto riguardo al titolo di reato e al turbamento psicologico che ordinariamente discende da condotte di oscena nudità imposta a terzi quali quelle accertate.”

1.1 se, cioè.   la decisione è stata assunta sulla scorta di “elementi di carattere presuntivo” . essa non aveva a disposizione una prova storica, empirica, perentoriamente richiamata nella indicata disposizione.
1.2 Onde si chiede riforma della condanna civile in punto (ove sopravvivesse la condanna penale). 

2. La sentenza neppure sfiora l’ipotesi della esclusione della punibilità (in concreto) per particolare tenuità del fatto.
Eppure, alla luce di quanto sub C, C1, E, per le modalità delle condotte e per l’esiguità del danno (anche civile ) e del pericolo,  l’offesa risultava di particolare tenuità  e il comportamento risultava non abituale (vd sub A, ove, per le ragioni lì  indicate, non è nemmeno possibile stabilire il numero degli incontri tra le accusatrici e l’accusato), ex  art. 131 bis cp). 

Onde si chiede che, in riforma della sentenza, sia applicata la causa di esclusione della punibilità.

3. Quanto all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, i più recenti indirizzi giurisprudenziali imponevano  l’obbligo di motivazione negativa, cfr.  Cassazione penale sez. IV, 01/02/2022, (ud. 01/02/2022, dep. 07/02/2022), n.4163, disatteso dal Giudice che neppure ha argomentato sulla sussistenza o assenza dei presupposti per la concessione;

3.1 ciò alla luce della misura oggettiva e soggettiva del fatto,  per la profilature sub A, C, C1, E, perfettamente atta ad originare “altre circostanze ex art 62 bis cp.

Circostanza della quale, perciò, si chiede l’applicazione. 

F. ,Tutto ciò premesso, si conclude affinchè:

– sia dichiarata la nullità della sentenza per violazioni, volta a volta a indicate, ex artt. 516, 521 e 522; o sia dichiarata la (indicata) nullità della individuazione e degli atti consecutivi e dipendenti , ex art 361, 364, 370, , 178.1 c) c.p.p., per le ragioni indicate nei relativi punti.

Se non fosse dichiarato, in riforma assolutoria della sentenza, che il fatto non è preveduto dalla legge come reato o che non sussiste o che non costituisce reato o che non è stato commesso dall’imputato, per le ragioni indicate nei relativi punti.

– in subordine:

-sia dichiarato, in riforma della sentenza che, il fatto, è illecito amministrativo (ex art. 527.1,3 cp) per le ragioni indicate nel relativo punto;

o che il fatto è illecito amministrativo ex art 726 cp, per le ragioni indicate nel relativo punto.

– o sia dichiarata la lieve entità del fatto ex art. 131 bis c.p., per le ragioni sub E.

– in ulteriore subordine, il fatto sia contenuto nella pena base, con applicazione delle circostanze attenuanti generiche, inapplicate, immotivatamente, nel caso di specie. Per le ragioni sub E.

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Pietro Diaz con Maria Carla Sunch

PROVA DIRETTA E CONTRARIA IN MATERIA DI CALUNNIA, LORO OGGETTI, ONERI, STANDARD. RISULTATI DI PROVA. TRAVISAMENTI FRAINTENDIMENTI AGGIRAMENTI INADEGUATEZZE DELLA GIURISPRUDENZA.

UN CASO Di CALUNNIA MEDIANTE INCOLPAZIONE DI MINACCIA

Da una memoria ex art 121 cpp a sostegno di un atto di appello

1.L’oggetto della prova diretta.
Se il fatto di calunnia (verbale) consiste della incolpazione di alcuno di un reato di cui egli sia “innocente”,  l’oggetto della prova diretta (accusatoria e condannatoria) è:

la insussistenza del fatto, oppure

la non commissione del fatto dall’incolpato,  oppure
la non costituzione di reato dal fatto (per le ragioni e  oggettive e soggettive che la formula implica),  oppure

l’accompagnamento del fatto da circostanze di esclusione della pena (oggettive o soggettive).
Mentre va esclusa, dall’oggetto in questione, la conformità del fatto incolpato ad una previsione di legge incriminatrice, giacchè in questo caso l’incolpazione innescherebbe un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto (art 49.2 cp). 

(ovviamente è oggetto della prova diretta anche) il mezzo della incolpazione, la denunzia, la querela, la richiesta, l’istanza, anche esso elemento costitutivo del (la condotta del ) reato.

2. L’oggetto della prova contraria diretta

Esso corrisponde a quello sopra esposto, invertito ovviamente (fatto sussiste, l’incolpato lo ha commesso, il fatto costituisce reato, il fatto non è stato accompagnato da circostanze oggettive o soggettive di esclusione della pena; l’incolpazione non è avvenuta mediante presentazione di denunzia,  querela,  richiesta, istanza.

3. Il grado della prova diretta in genere e   in specie

La prova diretta accusatoria è  condannatoria ex 533 cpp quando, in sé o per interazione della prova contraria,  ex art 530.1 cpp, non evidenzi  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria  sub 2;  o  non evidenzi, ex art. 530.2 cpp, che è mancante o è insufficiente o è contraddittoria rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto della prova diretta sub 1. E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione  basasse l’accusa di calunnia), è condannatoria solo se essa le escluda, giacchè negli altri due casi di prova diretta insufficiente o contraddittoria , varrebbe la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).
E secondo la terminologia in art 533 cpp novellato (art 5 L.46/2006), quando   evidenzi che, rispetto all’oggetto della prova diretta sub 1, sia andata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. In proposito va tuttavia notato che il grado, della prova diretta, risultante dalla dicitura della novella, in effetti è inferiore al grado segnato dalla prova diretta in art 530.2. nelle due ipotesi della prova insufficiente o contraddittoria. Giacchè questa potrebbe aversi anche nel dubbio irragionevole (“irragionevolezza” del dubbio è scientificità della insufficienza o della contraddittorietà della prova, quando la ragione scientifica sormonti la ragionevolezza comune o parascientifica, sono compatibili).

3.1  il grado della prova contraria in genere e in specie
La prova contraria difensiva è assolutoria ex art 530 cpp quando evidenzi ex art 530.1 cit  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (o che questa non è andata “al di là di ogni ragionevole dubbio” ex art 533 cpp,  rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto di questa sub 1..
 E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione  basasse l’accusa di calunnia), quando evidenzi ex art 530.1 cit  la relativa ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi sulla stessa l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (valendo la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).

4. L’onere della prova  diretta ed il suo oggetto in specie
Onerato della prova dell’oggetto sub 1,  e in particolare di quello sopra indicato,  è l’organo pubblico e quello privato dell’accusa. Quando l’onere non sia eseguito, opera la regola  di giudizio in art 530.2 cit. Quando sia eseguito, nel grado della  prova diretta oltre quello delle due ipotesi della sua insufficienza o contraddittorietà, o, almeno, nel grado “al di là di ogni ragionevole dubbio” in art 533 cpp, opera la regola di giudizio qui prevista.
Oggetto della prova diretta di specie era la insussistenza del fatto incolpato e che la incolpazione costituisce reato)::

Ciò premesso:

4.1 Nella specie hanno agito sia la prova diretta (di genere personale orale: testimoni) ad opera del suo onerato, sia la prova contraria (di genere personale orale; esame dell’imputato) ad opera del suo onerato, sia la prova “terza”, “del giudice” ad opera di una perizia che ha enucleato il contenuto di un documento sonoro rappresentativo degli elementi della situazione fattuale.

Premesso inoltre

4.2 Che la prova (personale orale)  testimoniale è rappresentativa (all’opposto  di quanto profilato in art 530.2 cit. rispetto alle  due ipotesi  sopra indicate della insufficienza e della contraddittorietà della prova) in modo certo,   “oltre ogni ragionevole dubbio”,  di ognuno dei profili dell’oggetto della prova diretta sopra esposto. Cioè essa immediatamente, senza necessità di mediazione logica, nel suo “risultato di prova” (artt 192.1, 546.1 e) cpp1), esprime il fatto di cui sia chiamata a dire. La prova testimoniale d’altronde è detta “storica” perchè istoria, raffigura “iconicamente” il suo oggetto. E in ciò differisce dalla prova “logica”, che porta all’oggetto, al  fatto di cui sia chiamata a dire, al proprio “risultato,  compiendo una  desunzione logica (art. 192.2 cpp) da una premessa minore   attraverso l’applicazione ad essa di una premessa maggiore. 
Tutto ciò premesso

5. Le prove dirette  testimoniali di specie:

5.1 D.  nelle pagine 19 e 20 del verbale di udienza (Vds. All. 1 l_pagg. 19 e 20 verbale udienza…), alla domanda del P.M. “Lei si ricorda queste frasi che le disse la B per chiederle di fare allontanare il signor A, c’era un tono minaccioso?’\  risponde: “Non ricordo”: alla domanda del P.M, “Ricorda se ha fatto riferimento ad armi?”,  risponde “Non me lo ricordo”, prosegue il P.M. “Cioè se il fatto che avesse armi in casa potesse essere collegato…” risponde “Non me lo ricordo perché c’era molto trambusto, molte persone che parlavano accavallare l’una all’altra”. chiede il P.M. “Non si ricorda che cosa gli ha detto o esclude che possa aver fatto riferimento ad armi?”, i risponde “‘Non mi ricordo cos’ha detto e neanche se abbia fatto riferimento ad armi“: il P.M. prosegue facendo presente al D quanto dallo stesso affermato in sede di sommarie informazioni “Le venne chiesto: Invitava il signor Ai ad andare vìa e chiedeva agli agenti di Polizia l’allontanamento delio stesso perché vi erano armi in casa? Lei risponde: Non  ricordo nulla dì tutto ciò e ripeto che la signora fin dalle prime fasi si era dimostrata collaborativa. Non ricorda cosa gli ha detto la signora o non ricorda che sì fosse parlato dì armi?”, il teste risponde ‘Non ricordo innanzitutto le frasi esatte della  signora B, ma anche questa storia delle armi non me la ricordo (osserva l’appellante: Sì tratta dì una. serie: di “non ricordo” pronunciati dal testimone D, ben sei….perciò: non è chiaro sulla  base  di quale logica, il primo giudice affermi che’ dalla stessa,, emerge che la frase incriminata non è stata pronunciata : pag. 6 sentenza, appellata).
Ora
Se il testimone non ricorda il fatto per cui è interpellato non ne dice. Se non ne dice non lo rappresenta. Se non lo rappresenta egli non esplica la funzione di (mezzo) di prova rappresentativa. Tale è il risultato (art 192.1 cit, art 546.1 e) cpp) completamente  negativo dell’attesa della   prova.  L’ascrizione al testimone di un risultato di prova inverso o diverso da quello emerso è manifestamente illogica, e illegittima perché travisa il risultato effettivo. (quel)La  prova è  mancante e innesca la regola di giudizio  art 530.2 cpp. ben opposta a quella in art 533 cpp.

5.2 F : ”Mi pare molto improbabile che ì’Ai possa aver udito simili frasi‘, anche perché quando la signora B è uscita, dalia sua casa è rimasta, all’interno del cortile, mentre l’Ai si trovava  in strada a molti metri di disianza’’.. A tal riguardo il F risponde “Perché mi era stato  chiesto se era possibile che l’Ai avesse sentito qualcosa? (Vds., All. ì’ 7_pagg. 8 e 9 verbale dì udienza db! …). Osserva l’appellante: Peraltro é lo stesso F ad affermare che 1’ A si trovava davanti all’ingresso del cortile della proprietà M — B” (Vds. All. 18_pag. 4 verbale di udienza….).
Ora
Il testimone non dice del fatto su cui è interpellato direttamente. Dunque  non esplica la funzione rappresentativa del  mezzo di prova che incarna.
Ne dice indirettamente, soffermandosi  sulla impossibilità (a suo avviso) che la minaccia potesse essere udita da A (impossibilità peraltro insussistente, per le ragioni di cui all’atto di appello), Ma se  il rilievo “acustico” ha logicamente, a premessa la minaccia, con quel rilievo, col  suo complessivo dire, il testimone non la esclude. Cioè non ne adduce  l’insussistenza.
Quindi, dell’insussistenza del fatto, se la prova non fosse in ipotesi  mancante, sarebbe insufficiente – e se non fosse mancante sarebbe inoltre contraddittoria a prova contraria- vd dopo- .
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cit..
5.2.1 Peraltro, disatteso in ipotesi quanto tratto dal rilievo precedente, cioè ritenuto che il testimone abbia escluso la minaccia, l’esclusione, poiché indiretta, da un lato sarebbe indebolita dal modo di compierla in sé (per implicazione). Da altro lo sarebbe dalle note di inattendibilità soggettiva del testimone, evidenziate nella sua inclinazione a favorire  (e sfavorire sull’opposto versante) contro i fatti. (Come osservato dall’appellante): “A tal riguardo dovrebbe raffrontarsi quanto sopra affermato con il tentativo del F di sminuire h gravità della condotta del figlio della B. Significativo a tal riguardo è il fatto che all’udienza del…, quando è stato sentito il F, non era ancora stata, trascritta la registrazione fonografica, da cui si sentono: in maniera distinta e assolutamente comprensibile le gravi parole proferite ad alta, voce – ovvero ad urla dal F M nei confronti dell’À. Il tentativo del F di edulcorare l’accaduto rispetto a. tale episodio; è significativo- dell’attendibilità dei teste, che, lo si ripete, non era a conoscenza, della sussistenza di una prova certa idonea a rappresentare i fatti come realmente avvenutL Se il F ha senza ombra dii dubbio, edulcorato, nel suo racconto in dibattimento, la. posizione del figlio della B, in base a quale logica si potrebbe invece escludere^ che il medesimo tentativo sia. stato posto in. essere anche in relazione al comportamento della B stessa?”
5.3 Dunque il risultato di prova dice e non dice dell’ insussistenza della minaccia. E’ ambiguo e tale condizione non è contestabile. Per ciò la prova,  ripetesi, se non fosse mancante sarebbe insufficiente.
Ma (ripetesi)  se il risultato non fosse ambiguo, se escludesse la minaccia, la sequenza espressiva d’esso sarebbe fortemente minata dai fattori, accertati, di inattendibiltà soggettiva del testimone. Oltre che, aggiungasi, minata internamente dalla sua composizione, fatta di apprezzamento personale (delle possibilità acustiche), proceduralmente inibito ex art 194. 3 cpp:
Onde la prova tornerebbe ad essere insufficiente. Con innesco della  regola di giudizio in art. 530.2 cpp..
5.3 L. Alla domanda della difesa “Ha sentito per caso o potuto apprezzare cosa riferisse l’’Ufficiale al dottor A?”,  risponde ‘‘Più che altro l’ufficiale Giudiziario gli diceva di allontanarsi e di andare via” (Vds. All. 23_pag. 8 verbale udienza….). Alla domanda della difesa ‘”Lei cosa ha percepito nella circostanza? Cioè qual era la sensazione che lei ha materialmente percepito?”, risponde “E beh, sicuramente come erano agitati qualcosa c’era”. La difesa prosegue’’Lo traduca in parole, ho capito che erano agitati” e L risponde “Non lo so, gli ha detto di andarsene che boh, non l o so” (Vds, All. 22).
Alla domanda della difesa “Anche la signora B diceva ai signor Ai dì andarsene?” il L risponde “Di non avvicinarsi, quindi sicuramente gli ha detto di andarsene via, spostati da qui prima che succeda danno insomma” (Vds. All, 24_pag. 9 verbale di udienza….).
Alla domanda dell’avvocato di parte civile “ci ha detto che non è in grado di dire chi sia stato a parlare di armi, quindi non è in grado neanche di escludere che sia stato l’A a parlare di armi?” il teste risponde “No, l’Ai era già spostato perché mi ha lasciato il posto’‘ (Vds. All. 25 jag. 15 verbale di udienza del 10 novembre 2014).
Ora
Anzitutto il testimone riferisce di tensioni e fermenti, del contesto e delle persone a varie e diverse ragioni lì presenti ed agenti, del tutto propizi,   poichè altamente conflittuali, a suscitare la minaccia in questione. Essi potrebbero assumersi quali robusti indizi d’essa. corroborati d’altronde da una circostanza verificata e assai eloquente. Presso B, nella sua abitazione, stavano armi formalmente detenute da suoi familiari, di fatto esclusivamente da lei ed a sua disposizione.
Persuasivi indizi d’essa, peraltro, decisamente confermati dalla testimonianza in esame, ad esplicito tenore della quale, come da interlocuzione fra domanda (della parte civile) e risposta (del predetto):
qualcuno ha parlato di armi, certamente, benchè il testimone non sia in grado di dire chi ma tendendo ad escludere A.
Cioè, mediante questa prova diretta (dedotta dall’accusa) si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia ( la conseguente insussistenza del reato di calunnia).
Ma se ciò, benchè indubitabile, fosse dubitato, la prova diretta sarebbe in ogni caso insufficiente  (a parte la sua contraddittorietà alla prova contraria: vd dopo) alla rappresentazione del fatto suo oggetto.
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cpp.
5.4 B Osserva l’appellante: “Sentita come testimone all’udienza…., da un lato, riferisce di avere detto quello cosa ci fa qui? ma se ne può anche andare da casa mìa, o te ne puoi anche andare, se ne può anche andare” (Vds. All. 14_pag. 5 verbale di udienza….), dall’altro, aña domanda del proprio avvocato se si fosse mai rivolta direttamente all’Ai” o ci avesse “in qualche modo parlato”, risponde assolutamente no, ho evitato di guardarlo71 (Vds. All, 15_pag. 8 verbale di udienza…..). Tale ultima affermazione da parte della B è evidentemente menzognera oltreché contraddittoria rispetto a quanto dalla stessa precedentemente affermato. Infatti dalla registrazione fonografica in atti e dalla sua trascrizione (Vds. All. 1) risulta pacificamente che la B si è rivolta direttamente all’ A contestando fortemente la sua presenza. Alla domanda del P.M. se lei (la B) sapesse il perché della presenza dell A durante il pignoramento, la B rispondeVeramente non ci faceva niente perché chi doveva fare il compito, cioè il Periti e le altre persone, penso che erano abbastanza, lui non ci faceva niente lì. al che sono stata meravigliata, cosa, ci faceva lui a casa mìa”.
5.4.1 dunque B per un verso è insofferente della presenza di A, per altro verso tenta di occultare l’insofferenza, perfino mentendo. Quando si ritenga da lei esclusa espressamente  la minaccia (non lo ritiene la sentenza (p.1) : “La B continuava dicendo di avere visto l’imputato…e che aveva detto, senza urlare, che se ne poteva andare dalla sua abitazione,, pur non ricordando con certezza le frasi pronunciate, e sentendo dire da qualcuno che lo stesso poteva assistere, negava…”), dovrebbe tuttavia ritenersi, essa, fortemente indiziata dalle affettività  della indicata situazione. Soprattutto alla stregua della caratterizzazione in senso fortemente causale (del proferimento della minaccia), fatta dal sentenza, onde:
A sul posto “rappresentava ai suoi occhi un comportamento irridente e provocatorio” (pag. 6 sentenza appellata). Per cui era  “del tutto comprensìbile e giustificata la sua (di B ndr)   richiesta volta all1 allontanamento dell’imputato” (pag. 6 sentenza appellata).
Causale se non atta probatoriamente ad imporre  la minaccia, certo atta a porre in dubbio la sua negazione. Atta quindi ad evidenziare l’insufficienza della prova diretta in punto, oltre che la sua contraddittorietà, sia agli elementi di fatto e  alle testimonianze sopra viste, che all’esame dell’imputato (di cui dopo),
Tanto più, come rilevato dall’appellante, alla luce della irresistibile spinta di B a tacere di avere minacciato, non solo a salvaguardia dell’esito del processo in corso, ma anche ad elusione di altro processo contro, per reato di minaccia.
E, anzi, è la  possibilità d’esso che impone di riscontrare la irritualità  della assunzione a testimone della predetta, per vizio  dell’origine. Di fatti:
querelata da A, non avrebbe potuto, B,  non essere processata, essendo l’azione penale obbligatoria, salva inazione ma per archiviazione demandata al giudice.
Cioè  B avrebbe potuto  essere  testimone solo dopo avere lasciato il suo processo (o perché definito nel merito o perché archiviato). Essere testimone, così,  sgusciando tra le  maglie, di ammissione della testimonianza, ex artt. 197, 197 bis cpp..
Irritualità, perché trasgressiva di divieto espresso,  certo producente oggi inutilizzabilità della sua testimonianza. Ma producente anche (alternativamente) sua nullità (tuttora rilevabile e dichiarabile ex artt 179 180 cpp), perché esitante da vizio della iniziativa della azione penale — estendibile alla inazione questa essendo l’opposto inscindibile di quella – rilevante ex art 178.1 b) cpp.
E in ogni caso:
quando il vizio procedurale fosse disconosciuto, esso non potrebbe non lasciare lo strascico del vizio di merito, della inattendibiltà per ragione genetica (su esposta)  della testimonianza della suddetta.
La quale quindi non è immune dalle caratteristiche della prova diretta in art 530.2 cpp. e ne innesca la regola di giudizio.

6. La prova contraria (personale orale, in esame e controesame) di specie.

A: “Mi sembra che veramente […] me l’hanno consigliato i poliziotti per evitare problemi” Osserva l’appellante: L’A, che in quel momento aveva già percepito il riferimento alle armi in casa fatto dalla B (come dallo stesso più volte affermato nel corso di giudizio, sia in sede di spontanee dichiarazioni che in sede di esame), rispondeQuesto ha armi in casa” (Vds. All. 3). La replica dell’ufficiale Giudiziario è eloquente: “Sì. sì. apposta per quello”. Tra l’altro, la rilevanza assoluta di tale frase emerge ancora di più laddove si percepisca il tono con il quale la stessa è stata pronunciata (min. 8.38 registrazione fonografia di cui a Cd-rom in atti).
Ora
Ecco un risultato di prova univoco, sulla minaccia per allusione alle armi (definizione della minaccia assolutamente debita, rispetto ad altre sparse dappertutto e da un pò tutti, dinanzi alla espressione usata all’origine da Ai (esposto .., p. 1), la quale non dice che fu minacciato uso delle armi, bensì : “B…mi invitava ad andar via e chiedeva agli agenti di polizia il mio allontanamento facendo presente che vi erano armi in casa...”., espressioni e che integrerebbero semmai minaccia indiretta e indirettamente rivolta (esigente quindi, in sede di ricostruzione, logica desuntiva (art 192.2 cpp) del fatto alluso ( la minaccia) su base (il fatto alludente) rappresentativa (: art 194 cpp). Fatto alluso e alludente, qui si rammenta e si ribadisce, dei quali non s’è vista traccia, nei risultati delle prove dirette sopra viste.
Risultato di prova (contraria), si diceva, mediante la quale si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia ( la conseguente insussistenza del reato di calunnia), quello indicato.
Risultato, peraltro, epistemologicamente più forte di ogni altro (che in ipotesi lo contraddicesse: ma in proposito vd sopra), giacchè sostenuto valorialmente dalla presunzione costituzionale di attendibilità fino a prova contraria (va letta così la presunzione di non colpevolezza in art 27.2 cost.), quale presunzione anche probatoria di verità fino a prova contraria, di tutto quanto, sostanziale o processuale, favorisse l’accusato ( e presunzione inversa di tutto quanto lo sfavorisse.
E che tuttavia la sentenza ha ignorato, nella funzione probatoria in sè e in quella dialettica con gli altri risultati di prova, e, ove necessaria, in quella di contraddizione ad essi, da istituire immancabilmente nella cognizione e da giudicare probatoriamente secondo la regola in art 530.2 cit..
Ora
Quel risultato il suo valore le sue funzioni non hanno nemmeno sfiorato la sentenza, che quindi ha accantonato non solo l’ermeneutica generale della prova, ma anche la regola positiva (art 546.1 e) cpp novellato) del suo trattamento, mediante anzitutto censimento ed esposizione dei suoi risultati, quindi confronto d’essi, quindi soppesamento disgiunto e congiunto d’essi (alla luce dei criteri valutativi in artt 530 533 citt. (vd sopra), quindi determinazione probatoria, e infine illustrazione delle ragioni del disattendimento della “prova contraria” soccombente (nell’accertamento dei fatti in imputazione o di altro).
Screditandosi nel merito (basti la semplice lettura della motivazione della sentenza lente dei principii indicati: visibile mancato censimento esponimento soppesamento di ogni risultato di prova, mancato confronto d’essi) se non annullandosi ex art 125. 3 (caratterizzato qui dall’art 546.3 cpp). Si chiede che la nullità eventualmente ravvisata sia dichiarata (non essendo ancora scaduto il tempo della rilevazione e della deduzione. prescindendo peraltro, la rilevabilità della nullità, dalla devoluzione in atto di appello).
6.1 a stregua di ciò potrebbe dirsi che il processo disponeva della prova diretta e contraria della insussistenza del fatto, per la via in art 530.1 cpp. E che la sentenza la ha dispersa.
7. il documento fonico.
Prova documentale rappresentativa (peraltro confutativa delle varie capziosità accusatorie per le quali a A non avrebbe potuto udire la minaccia a causa della distanza fra lui e la fonte sonora: se l’apparato di registrazione, da A tenuto addosso, ha captato B mentre ne pretende l’allontamento, captava A disponendo di almeno la stessa sensibilità acustica (se media) del registratore. del predetto).
Ebbene in quel documento, in prossimità delle pretese di allontanamento di A che B avanza, vi sono “inc.”, incomprensibili suoni. I quali, da un lato, ben potrebbero contenere la minaccia in forza delle causali sopra indicate (sub 5.3, 5.4). Da altro ben la contengono, poichè affermata da A (per le ragioni ante, sub 6 prima parte).

8. L’insussistenza a priori del fatto.

Questo, commesso mediante querela secondo imputazione il giorno 15 12…, non rinviene quel mezzo quel giorno, negli atti. Gli impulsi al processo di A, di fatti, sono del giorno 19 12 … (vd il foglio denominabile esposto, nello stesso giorno confermato come “querela” in altro foglio allegato). E del giorno e 9 gennaio … (vd dichiarazione intestata “querela”).
Cioè, nessun atto di impulso processuale, mezzo della condotta commissiva del reato di calunnia, fu formato o presentato il giorno 15 12 …
Dunque in quel giorno il fatto non fu commesso nè sussistette. Rispetto a quel giorno risulta evidente che il fatto non sussiste. La risultanza va trattata ex art 129.2 cpp (è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo).
si chiede che (in riforma della sentenza) sia dichiarato.

SALVINI APOLOGETA DEL GIOIELLIERE PLURIOMICIDA

Ne è stato talmente compartecipe -dopo avere diffuso in società, con la sua “legittima difesa” (art 52 cp L. 36/2019, 26 aprile: governo Conte e maggioranza Cinquestelle! ), la malvagia idea che si abbia licenza di uccidere il malvivente che si contrasti- che, in teatrale disprezzo di una sentenza dal tecnicismo lapalissiano, che aveva condannato il suddetto ad anni 17 di reclusione per duplice omicidio, (…talmente compartecipe) da assicurargli pubblicamente, egli vicecapo del governo , che si interesserà al suo caso. Gli ha fatto eco il consociato in exploit mediatici, il generale Vannacci, che ha decalogato: “la difesa è sempre legittima” (anche quando è offesa, ndr ?!)! Sentenza dal tecnicismo lapalissiano, si diceva. Di fatti. 1.Chiunque invochi non punibilità per avere ucciso in legittima difesa (da “pericolo di offesa ingiusta”), comunque compie delitto di omicidio ex art 575 cp. . E’ omicida pur se non punibile. Ciò benchè non sia abbastanza chiaro semanticamente, nel discorso mediatico e nemmeno, talora, nel discorso tecnico. Mentre dovrebbe esserlo. 1.1 Perchè altro è il fatto di omicidio, altra è la circostanza preclusiva della sua punibilità, la legittima difesa di art 52 cp. E sebbene questa sia servente di quello (non può mai accadere l’inverso, perché non vi sarebbe nulla da punire), non è mescibile a quello, che lascia integro nella forma e nella semantica. 2. Ma quando la difesa è legittima – non tanto nella versione presalvini quanto in quella postsalvini-? [con stretto riferimento al fatto di specie] Quando, all’interno del luogo ove sia “esercitata una attività commerciale”, la persona ivi “legittimamente presente”, ivi “legittimamente detenente un’arma”, si avvalga di questa per difendere la propria (o l’altrui) incolumità; o per difendere i beni propri (o altrui), quando “non vi (sia) desistenza” dell’offensore e “vi (sia) pericolo di aggressione”. 2.1 In questi casi, anche l’omicidio ( versione postsalvini) dell’aggressore di soli beni (patrimoniali) – non della persona dell’esercente (o di altri)!-, si considera proporzionata! Sebbene, ciò, sia in ignobile contrasto con la millenaria tradizione della legittima difesa, esigente proporzione tra offesa e difesa, tra beni offesi e beni difesi -sino, appunto, all’avvento del nomoclasta ordetto, e del suo anticipatore, omogeneo, berlusconino del 2006: L. n. 59! I quali, infatti, hanno (incivilmente) imposto proporzione tra offesa a beni e difesa omicidiaria dell’offensore! 3. In specie. i rapinatori avevano abbandonato l’esercizio commerciale, erano in fuga e disarmati (che portassero pistole-giocattolo ben lo sapeva il gioielliere, chè altrimenti non avrebbe osato inseguirli ; e ben risultava dal fatto che, inseguiti da uomo armato, non avessero tirato un colpo ). Ed in questo contesto, di assoluta inoffensività (innocuità) verso beni e persone; per di più, di detenzione illegittima ( a quanto si è accertato) dell’arma omicida, essi sono stati raggiunti e uccisi!4 L’ omicida killer, quale lo volle , ideologicamente, Salvini, oltre i limiti stessi della sua “legittima difesa” , si è incarnato nella sua pienezza sociocriminologica.

La “associazione di tipo mafioso” nelle Corti italiane

Inviato da Pietro Diaz   
mercoledì 24 settembre 2014
Si propone il seguente ricorso per cassazione avverso una nota sentenza di una Corte cagliaritana (nell’occasione presieduta da un siciliano), quale riflessione critica, nella prima parte, sulla indifferenza, delle Corti italiane, alla “imputazione” quale oggetto intangibile della loro cognizione e decisione, eppure deformato o sformato o frantumato, a stura di un finalismo (subculturale e criminologico) accusatorio e incolpatorio, “pregiudicante”, e per ciò: demolitore del ruolo (congenito) del diritto (processuale e sostanziale) e dei suoi istituti (tra i quali, appunto, l’imputazione), di argine (modale e contenutistico, subbiettivo ed obbiettivo, attivo e passivo) dei poteri e dei doveri giuridici della comunità generale e particolare (quella immediatamente avente che fare con esso); devastatore, ad un tempo, del campo storico dello “Stato di diritto” (per ridare adito allo “Stato di polizia”); postulatore di contatto diretto (tramite l’organismo, di “polmagistratura”, che lo nutre), non mediato dal diritto (se non lo pseudodiritto “giurisprudenziale”), col “fatto” “penale” che trascelga, per il suo trattamento (non “giurisdizionale, dunque, bensì “amministrativo”, “di polizia…”. Nella seconda parte, (il ricorso quale riflessione critica) sulla indifferenza, completa (la sentenza sarà riportata testualmente e commentata via via), delle Corti, oltre che alla legge codificata, al metodo giuridico della sua interpretazione, alla teoria dottrinale basata su questa, al linguaggio proprio al discorso scientifico, in una parola, al “minimo giuridico” che identifichi la (moderna) “giurisdizione” (la ricognizione e la dichiarazione del diritto vigente)… prima parte “la configurabilità del reato di cui all’art. 416 bis nella condotta degli imputati” Una sentenza che assuma solennemente in tanta epigrafe la responsabilità politica e culturale, prima che giuridica, addirittura storica, di impartire a sub culture di Sardegna mai vista e udita o immaginata forma di mafia, con azzardo sociologico e antropologico peraltro silente le sue ragioni perché del tutto ignaro della realtà sottesa (non una parola di e su questa, in fatti), benché essa sia il supporto naturalistico della fattispecie di associazione ex art. 416 bis c.p., fattispecie “aperta” come poche ( e quando si consideri che Cosa Nostra è ignota all’Isola fino al “nuragico”, che essa, non lieve in anni, fu la madre culturale di tutte le mafie italiche, che le associazioni mafiose comunque localmente denominate, quelle oggi aventi titolo e sorte giuridici e giudiziari, ne sono filiazione, si apprenderebbe bene che il suo substrato culturale, non un altro, è definibile finanche “elemento costitutivo “ di fattispecie); una sentenza che assuma la responsabilità politica e culturale, prima che giuridica, di imporre all’Isola un “precedente”, fatalmente destinato a proliferare per “partenogenesi” (la “legge” dello stigma che genera stigma giudiziario e sociale), la responsabilità storica di marchiarla a vita, avrebbe dovuto chiederne permesso alla imputazione, fonte e criterio e campo di tutti i suoi termini e giudizi e decisioni (quando la sentenza non si connetta alla imputazione reale, l’architrave del processo si rompe, e tutto rovina disastrosamente, anche sulla umanità coinvolta) e averlo. Ebbene la imputazione glielo avrebbe negato: 1. Nel capo AI, (promozione) costituzione direzione organizzazione della “associazione per delinquere di stampo mafioso..”, condotte (ed eventi inerenti) , cioè, esigenti (naturalisticamente e) giuridicamente (almeno) tre persone, si compiono ed avvengono tra due persone (Pis, Pir)! 1.1 d’altronde sarebbero condotte ed eventi (generativi e formativi) di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, estranea al lessico della norma che riferirebbe nella denotazione che ne fanno i due attributi, separati o insieme (a delinquere… di stampo…), e che esprime “associazione di tipo mafioso”; 1.1.1. tanto che, nella norma, la associazione non è (sempre) a delinquere, stampo e tipo non sono sinonimi, giacchè il primo è modello cui si riconduca alcunchè, il secondo e mezzo della ricognizione e descrizione della realtà interessante (la norma incriminatrice), in questo caso mezzo (tipo) normativo extragiuridico assunto funzionalmente da quello giuridico, e come tale appositamente usato dalla norma propensa anche alla estensione analogica ( della ricognizione); 1.1.2 dunque è sostantivo infungibile semiologicamente e giuridicamente, inassimilabile a qualunque altro: per ciò può dirsi che l’oggetto della imputazione al capo indicato non è la associazione di tipo mafioso, o simile “comunque localmente denominat(o)”; 1.2 peraltro, fosse ravvisata, in quella imputazione, la associazione in questione, poiché le condotte (e gli inerenti) eventi) di organizzazione e di direzione inerirebbero una associazione costituita (anche, e differentemente da altre) dall’elemento della “forza intimidatrice… (onde la condotta di costituzione, della associazione, nella interazione ovviamente con le altre fattispecie, per quanto, già osservato, ha a subevento la acquisizione di esso, che contemporaneamente diviene presupposto delle condotte di organizzazione e di direzione); 1.2.1 poiché all’opposto, nella imputazione, quel subevento verrebbe generato mediante “programmazione e (l’)esecuzione di vari delitti, prevalentemente minacce e danneggiamenti intimidatori…”, dall’associazione che, perseguendo gli scopi, non potrebbe che essere già costituita organizzata diretta, manca, in essa, uno (sub)evento costitutivo, e la possibilità stessa di raffigurare il perseguimento di scopi tipici che non potrebbe, quell’evento, non condizionare e connotare: la (ipotetica) pluralità soggettiva associata non sarebbe certo associazione di tipo mafioso; 1.3 perseguimento, di scopi, oltre tutto, tipologicamente tenuto a “profitta(re) della condizione di assoggettamento e di omertà che ne era derivata…” e che al contrario, non essendo data la “forza intimidatrice…, e dato l’avval(imento)”di essa, non potrebbero essere date le (susseguenti)condizioni dell’assoggettamento e della omertà; 1.4 perseguimento, peraltro, avente ad oggetto”ingiusti vantaggi socioeconomici che sarebbero seguiti alla gestione del Comune di Barisardo”, per ciò vantaggi supponenti tale gestione, scopo dunque della attività “sociale”, la assunzione politico elettorale del potere comunale, tuttavia certamente estranea alla tipologia di fattispecie, al quadro sociologico da essa immaginato: che la “associazione di tipo mafioso”, comunque localmente denominata, è un organismo subsociale e subculturale, rispetto a quello sociale e culturale (nella sfera politicoistituzionale al vertice), immancabilmente altro da quello (a malgrado della possibilità dl contatto e perfino della “infiltrazione”); 1.4.1 e di fatti l’imputazione prosegue: “gestione che intendevano ottenere (dopo le procurate dimissioni del sindaco in carica), con la violenta estromissione dalle competizioni elettorali…di formazioni politiche contrapposte a quelle capeggiate dalla Piroddi, così impedendo o comunque ostacolando il libero esercizio del voto….; 1.4.2 espone dunque, essa, una accolta di persone tesa alla competizione elettorale ed alla presa del potere politico in forma “non democratica” (potrebbe sintetizzarsi), cioè non attuata (esclusivamente) con tecniche di sistema elettorale, verso la formazione di maggioranze, del tutto incorrispondente a quella della fattispecie; 1.5 davanti la quale, in altre parole, mirare con qualsiasi mezzo anche illecito ed anche violento alla acquisizione del potere politico istituzionale in forma (ovviamente) associata è giuridicamente irrilevante; 1.6 si intravede, nella logica della imputazione, che i delitti attuanti lo scopo della associazione attuerebbero contemporaneamente questa, che l’effetto accompagna la causa, come si intravede che i “delitti scopo”, o gli scopi, realizzerebbero a loro volta scopi ulteriori, che verrebbero dalla associazione solo mediatamente, i quali soltanto corrisponderebbero quelli tipici e incriminanti (se immediati); 1.7 dunque il (primo nella fattispecie) nucleo della associazione, quello “ primario” dato dalle condotte genetiche, costitutive, motorie (organizzazione e direzione) è affatto incorrispondente, nella imputazione, a quello tipico ( per le ragioni indicate: numero delle persone subeventi rapporti alle condotte di fase etc), 1.7.1 per ciò la sentenza avrebbe dovuto dichiararlo insussistente, rispetto a quello tipico (art. 606 co. 1 e), b) c.p.p.); 1.8 e ben prima di sostituirlo, con quello tipico, traendolo dalle sue premesse teoriche (infra esposte), allestite in motivazione per dissimulare lo scambio, come se avessero elaborato il fatto secondo la imputazione, elaborandolo in vece contro, o al posto di, essa (art. 606 co. 1 e) c.p.p.); 1.8.1 sostituzione trasgressiva, peraltro, di elementari divieti, essendo permessa soltanto in “grado” (il primo o l’udienza preliminare quando sia) e in modo (artt. 516 ss, o 521 co. 2 c.p.p.) ben differenti (art. 606 co. 1 c) c.p.p.); 1.9 peraltro, se mai la sentenza avesse ravvisato la sussistenza del fatto e la sua corrispondenza a quello tipico, da un lato avrebbe visto con illogicità manifesta (art. 606 co. 1 e) c.p.p.) da altro avrebbe falsamento applicato la legge penale, il cui tipo di fatto è nettamente altro da quello imputato; 2. nel Capo B/1 Pug S e altri sono imputati di avere “fatto parte …dell’associazione di cui al Capo A/1”! 2.1 cioè, di  una associazione inesistente per le ragioni sub 1, non partecipabile tipicamente ex art. 416 bis co.1 c.p.; 2.2 “fatto parte”, essi, secondo imputazione, senza avvalersi, partecipando o agendo in perseguimento degli scopi,  della “forza di intimidazione…e delle condizioni di assoggettamento e di omertà…; atipicamente dunque; 2.2.1 bensì “concorrendo… alla consumazione di vari reati ivi ( Capo A/1) richiamati, al fine di consentire …l’estromissione dalle competizioni elettorali…di formazioni politiche contrapposte…; e  con ciò “intimidendo gli oppositori…” (ove, evidentemente, l’elemento della “forza intimidatrice…” sarebbe in fieri semmai fosse  in germe, e comunque, nascendo da reati scopo, precederebbero non seguirebbero una associazione;  2.2.2. avrebbero, essi, “partecipato”,  cioè,  commettendo i reati scopo,  laddove si partecipa ad associazione tipicamente anzitutto associandosi  ad essa, e poi, semmai commettendone reati scopo (per giunta inessenziali alla associazione de qua) dovendo questi  soggettivamente calarsi nel finalismo di quelli tipici perchè possano eventualmente associare l’autore;   2.2.3 onde supporre, nella imputazione,  la partecipazione ad “associazione mafiosa”, invece che la insussistenza di essa, è manifestamente illogico (art. 606 co. 1 e) c.p.p.), oppure modifica  il fatto (art. 606 co. 1 c) c.p.p.: vd sub 1.8.1 ) oppure compie falsa applicazione della legge penale (art. 606 co. 1 b) c.p.p.); 3. d’altronde, nel Capo L della imputazione a (parte de) i predetti, i delitti di fabbricazione detenzione porto di “ordigno esplosivo” col quale sarebbe stato compiuto quello  di danneggiamento “ intimidatorio” (palesemente dunque l’elemento della “forza intimidatrice” nascerebbe dai reati scopo), non hanno  alcun rapporto con la associazione (o la sua fattispecie aggravante essa in art. 416 bis co. 4 e co. 5 c.p.); 3.1 ciò che riconferma i vizi appena denunciati della sentenza (art. 606 co. 1 …c.p.p.);  4. d’altronde nel Capo L 1, della imputazione a (parte de) i predetti, il delitto di detenzione e porto di fucile “a scopo di danneggiamento intimidatorio” (compiuto) impone considerazioni ed eccezioni di vizi  identici ai precedenti; 5. d’altronde nel Capo M della imputazione a (parte de) i predetti,  i  delitti di fabbricazione detenzione porto di ..ordigno esplosivo … “ a scopo di danneggiamento “intimidatorio…” (compiuto) impongono considerazioni ed eccezioni di vizi della sentenza identici ai precedenti; 6. d’altronde nel Capo N della imputazione a (parte de) i predetti i delitti di fabbricazione detenzione porto di ordigno esplosivo “a scopo di danneggiamento intimidatorio” (compiuto) impongono considerazioni ed eccezioni di vizi  identici ai precedenti (con l’ulteriore considerazione che i “promotori costitutori organizzatori, direttori” della associazione, Pischedda e Piroddi, sarebbero  concorrenti ex art. 110 nei delitti indicati a  pari titolo,  talmente  da escludere ogni segno della loro posizione “sociale”, e, malgrado il concorso, ogni segno della associazione, mancando perfino il riferimento ai  suoi scopi; 7. d’altronde nel  Capo O della imputazione  a (parte de) i predetti i delitti di detenzione e di porto di armi da fuoco…”a scopo di danneggiamento intimidatorio” (compiuto) impongono considerazioni ed eccezioni di vizi identici ai precedenti,  8. d’altronde nel Capo R2 della imputazione a (parte de) i predetti,  i delitti  di fabbricazione detenzione  porto di ordigno esplosivo…a scopo di danneggiamento intimidatorio impongono considerazioni ed eccezioni di vizi  identici ai precedenti; 9. d’altronde nel Capo RR della imputazione a (parte de) i predetti, l delitti di fabbricazione detenzione porto di…ordigno esplosivo…a scopo di danneggiamento intimidatorio impongono considerazioni  ed eccezioni di vizi identici ai precedenti; 10. d’altronde nel Capo X della imputazione, ad Arra Carlo, il delitto di detenzione di armi esplosivi  munizioni,  in “deposito” nel processo per “associazione,  è ascritto esclusivamente a lui, senza concorso con alcuno, con alcuno dei predetti imputati,  quindi, non  partecipi di “associazione armata!” (art. 416 bis co. 4 e co. 5 c.p.);  11. d’altronde nel Capo X2 della imputazione, a Locci Gian Paolo, il delitto, simile al predetto, è ascritto  esclusivamente  a lui, senza concorso con alcuno, con alcuno dei predetti imputati, nemmeno con Arra, quindi, non partecipi di “associazione armata”;  12.  d’altronde nel Capo Y della imputazione a (parte de) i predetti, i delitti di fabbricazione detenzione porto di …ordigno esplosivo…a scopo di danneggiamento intimidatorio…impongono considerazioni ed eccezioni su vizi e della sentenza identici ai precedenti sub 9 retro; 13. d’altronde nel Capo A della imputazione  a (parte de) i predetti,  i delitti di detenzione e porto in luoghi pubblici di arma da fuoco … a scopo di danneggiamento intimidatorio. impongono considerazioni ed eccezioni di vizi identici ai precedenti sub 9 et retro; 13.1 e se è vero che quei delitti, in questo Capo, sopraggiunto a dibattimento, sarebbero “aggravat(i) ai sensi dell’art. 7 L. 203/91 in quanto commess(i) avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. e comunque al fine di favorire l’associazione per delinquere di stampo mafioso promossa costituita diretta ed organizzata dal Pischedda e da Piroddi Maria Ausilia; associazione che valendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo reso palese mediante la programmazione e l’esecuzione di vari delitti…perseguiva, profittando delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne era derivata, lo scopo di…, 13.2 ( se ciò è vero) mentre è palesemente frutto di tentativo di fare in extremis un richiamo alla mafiosità del fatto, come mostra il paradosso che un delitto di danneggiamento mediante esplosione di undici colpi contro la parete esterna degli uffici di uno Studio….abbia bisogno, per compiersi, oltre che dell’arma e delle munizioni, anche dell’avvalimento cennato, di persone peraltro invisibili mentre agiscono e dunque irriconducibili a nient’altro che ad anonimi; 13.3 avvalendosi di tale forza (recita l’imputazione dell’ultim’ora) o, alternativamente, “al fine di favorire l’associazione per delinquere di stampo mafioso…”, 13.3.1 con ciò scindendo i predetti, che pure sarebbero partecipi della associazione, da questa, in quanto agenti per favorirla non in quanto partecipi (dunque attuanti condotta, dell’estraneo, di favoreggiamento della associazione: arg. ex art. 379, 418 c.p.); 14. d’altronde nel Capo B della imputazione a (parte de) i predetti, sopraggiunto anch’esso a dibattimento, i delitti di detenzione e porto di arma da fuoco e di tentativo di omicidio impongono considerazioni ed eccezioni su vizi identici ai precedenti sub 9 et retro; 15. d’altronde nel Capo C della imputazione a (parte de) i predetti, i delitti di detenzione e porto di arma da fuoco …a scopo di danneggiamento intimidatorio…impongono considerazioni ed eccezioni su vizi identici ai precedenti sub 9 retro; 15.1 mentre, se è vero che quel delitto, in questo Capo di Imputazione, sarebbe aggravato ai sensi dell’art. 7 L. 575/’65, varrebbero le osservazioni svolte sub 13 ss; 16. dunque tutti gli elementi della imputazione escludevano nucleo primario (promozione….) e nucleo secondario (partecipazione); 16.1 quando l’esclusione non fosse stata assoluta (sub 13 ss, 15 ss), esplicita, sarebbe stata implicità (locc. ora citt.), per incoerenza alla retta logica della inclusione; 16.2 la sentenza che la abbia rigettata, affermando la associazione, mentre avrebbe agito illogicamente (non cogliendo l’esclusione) e/o avrebbe agito “illegalmente” (erroneamente interpretando e applicando la legge penale in questione), ovvero avrebbe sostituito indebitamente il contenuto della imputazione con quello della sua premessa giuridica (infra D ); 16.3 in tutti questi casi trasgredendo ex art. 606. co. 1 e), b), c) (artt. 516 ss) c.p.p.; 16.5 trasgredendo ancora ex art. 606 co. 1 e) c.p.p., allorché pone in conflitto la sua premessa giuridica sul fatto tipico di associazione (infra sub D) col fatto di associazione espresso in imputazione; seconda parte D Ma che cosa, della premessa giuridica della sentenza, solennemente epigrafata ut sub B, ha permesso il travisamento fattuale e giuridico della imputazione, come risultante sub C, in materia di “associazione”:   1. Giova, invero, ricordare che il precetto dell’art. 416 bis c.p. descrive l’associazione di tipo mafioso con una definizione i cui contorni, benché in gran parte mutuati dalla nozione generalmente recepita dalla giurisprudenza precedente in tema di associazione per delinquere “semplice” (cfr., ex plurimis, 16 dicembre 1971, Di Maio; peraltro, una nozione di associazione “mafiosa” già risultava, in termini analoghi, dalla giurisprudenza in tema di misure di prevenzione), designano l’associazione mafiosa come figura di reato dotata di connotati di assoluta autonomia in quanto strettamente ricollegati alla specifica tipologìa del vincolo associativo, alle modalitàdell’azione dei componenti il sodalizio, ai fini “istituzionali” perseguiti dall’associazionismo mafioso ed ai suoi membri.   1.1 locuzione ‘associazione per delinquere “semplice”’, invero, dall’aggettivo irreperibile nella fattispecie legale relativa, è usata per dare comparativamente una misura criminologica, oppure, per definire il carattere della fattispecie rispetto ad altra, “circostanziata” o ad altra “complessa (secondo le attese della comunità linguistica dell’ambito)? E se così, in una di queste la sentenza tenderebbe a collocare quella di “associazione di tipo mafioso”, che, peraltro, non sempre sarebbe “ per delinquere” laddove la “semplice” lo è sempre? 1.2 quando un aggettivo “interpretativo” apra tanti interrogativi, e non li chiuda, il linguaggio è inammissibilmente ambiguo, persistendo, porta a inosservanze ed erronee applicazioni della legge penale penale, che già (pre)compie ( art. 606 co. 1 b) c.p.p. );   2. Sin dalle prime pronunce il Supremo Collegio ha sottolineato tale autonomia, rilevando che le associazioni di tipo mafioso e le altre associazioni comunque localmente denominate sonofigure radicalmente distinte rispetto all’ordinaria associazione per delinquere. È chiaro allora come l’elemento maggiormente designante la fattispecie prevista dall’art. 416 bis c.p. è stato subito individuato nella forza intimidatrice del vincolo associativo utilizzata dai componenti il sodalizio (Sez. I, 9 giugno 1983, De Maio; Sez. I, 30 gennaio 1985, Scarabaggio). Essa, infatti, rappresenta l'”in sé” dell’associazione di tipo mafioso, il dato che più discrimina quella prevista dall’art. 416 bisdalle altre associazioni criminali.   2.1 Se la parola “sodalizio” sostituisce quella di associazione, il rischio di sviamento interpretativo, con travisamento della imputazione, è già realizzato: la “associazione” è associazione non concorso di persone (art. 110 cp) non accordo (art. 304 cp) non banda (art. 307 cp) non “gruppo” (art. 609 0cties cp) non riunione o assembramento (art. 18 ss tulps) né altro…, delle plurisoggettività attive giuridico penali ( tutte bene differenziate e differenzianti nel lessico relativo, che la interpretazione ha il dovere assoluto di rispettare, avendo ad oggetto parole giuridiche: se potesse sostituirle, non solo il soggetto si farebbe oggetto e viceversa, ma il sistema linguisticamente predeterminato e tassativo della legalità penale andrebbe in pezzi, con regresso all’autismo pregiuridico); tanto meno l’associazione è “sodalizio” (di rango e senso lessicali incerti, peraltro); se potesse designare comunemente la plurisoggettività della imputazione, non potrebbe connotarla come associazione ( art. 606 co. 1 b) c.p.p.);   3. Sul piano della ricostruzione del reato, la “forza intimidatrice del vincolo associativo” trascende la stessa tipicità della condotta associativa di cui non costituisce una modalità di manifestazione, venendo, invece, definita quale elemento strumentale, come sottolineato dal verbo “si avvalgono” (Sez. I, 6 aprile 1987, Aruta): un’espressione che allude al momento in cui l’associazione ha raggiunto quel minimo dì capacità intimidatoria in grado di determinare le condizioni di assoggettamento e di omertà.   3.1 Tuttavia, se la forza intimidatrice fosse oltre la tipicità, come potrebbe essere un elemento del fatto penalmente rilevante, necessariamente tipico? E come, per la stessa ragione, potrebbe essere elemento “strumentale”, ben si intende, del fatto tipico. Peraltro, posta “la forza…” oltre la tipicità, per ciò questa può avvolgere, in sentenza, l’imputazione pur priva di quella (art. 606 co. 1 b) cpp);   4. Tutto ciò sta a significare che la condotta del partecipare ad un’associazione resta designata dal semplice “far parte” di un sodalizio che ha – di per sé – le predette caratteristiche, senza che possa assumere rilievo (se si eccettui, ovviamente, il ruolo dei capi, dei promotori e degli organizzatori) il quantum da  ciascuno dei partecipanti utilizzato al fine di fare acquistare all’associazione la forza intimidatrice.   4.1 richiamato quanto sopra sul “sodalizio”, quale insieme di persone più esteso, semiologicamente e naturalisticamente, e diversamente strutturato, della associazione, imposto che sia alla imputazione, la questione è : “fare parte” di un sodalizio equivale giuridicamente, tecnicamente, a fare parte di una associazione (art. 606.1 b) cpp)? Peraltro, che ruolo interpretativo, se non quello di travisatore della imputazione, ha il “quantum” del partecipante a “fare acquistare…”, quando la partecipazione postuli la previa costituzione della associazione, anche, in specie, mediante acquisizione originaria della “forza intimidatrice” (art. 606 co. 1 b) c.p.p.)?   5. Un dato che rappresenta, dunque, salvo che si sostanzi nella consumazione di ulteriori reati del tutto indifferente in relazione alle esigenze teleologiche considerate dall’art. 416 bis c.p.   5.1 A parte la inconcludenza della frase, avrebbe che fare con le “esigenze teleologiche dell’art. 416bis” (si noti dell’articolo non del fatto o del reato), un elemento, quello di “fare parte”, della fattispecie, oggettivo (art. 606 co. 1 b) c.p.p.)?   6. Pertanto, a qualificare o ad escludere la configurabilità di una associazione di tipo mafioso è essenziale, anzitutto, che questa si avvalga della pressione derivante dal vincolo associativo in se stesso (Sez. I, 21 ottobre 1986, Musacco), nel senso che è l’associazione, e solo l’associazione,  indipendente dal compimento di specifici atti di intimidazione, ad esprimere il metodo mafioso e lasua capacità di sopraffazione (Sez. I, 21 ottobre 1986,Musacco).   6.1 Con ciò, è disgregato l’elemento oggettivo suddetto, è ridotto, anche per contrazione linguistica della frase incidentale, al vincolo associativo, ed alla espressione da esso del “metodo mafioso” (di conio, anche questo, extralegale, forse gergale); e a malgrado delle postulazioni sub 2, ignare o ipocrite, della “autonomia” di questa associazione da ogni altra; la fattispecie è già pienamente riformata per le “esigenze teleologiche “ della repressione: così è attagliata alla imputazione (art. 606 co. 1 b) c.p.p.); così d’altronde contraddice precedente assunto, suscitando l’ipotesi, per ora prematura, che la premessa giuridica in questione, insieme incoerente di massime giurisprudenziali, sia stata tesa a dare apparenza di motivazione (art. 606 co. 1 e) c.p.p.);   7. Dunque, nella struttura del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, la forza di intimidazione del vincolo associativo, da cui deriva la situazione di assoggettamento e di omertà, rappresenta l’elemento strumentale tipico del quale gli associati siservono in vista degli scopi propri dell’associazione; con la conseguenza che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 416 bis c.p., è indispensabile che quell’elemento effettivamente sussista e che gli associati siano consapevoli della sua esistenza. Si richiede, cioè, che l’associazione abbia conseguito nell’ambiente circostante una effettiva capacità di intimidazione e che gli aderenti se ne siano avvalsi in modo effettivo al finedi realizzare il loro programma criminoso (Sez. VI, 6 dicembre 1994, Imerti). Ma, proprio perché la carica intimidatoria rappresenta l’in sé del fenomeno mafioso, è necessario – come già detto – che essa sia dotata di una ontologica autonomia, nel senso che, costituendo tale carica patrimonio dell’associazione, l’assoggettamento e l’omertà derivi da questa e non da altri fattori (Sez. VI, 31 gennaio 1996, Alleruzzo).   7.1 per quanto corretto, l’enunciato non rinuncia a innovare, oltre che nel lessico legale, anche in quello proprio: ora gli associati sarebbero “aderenti” (salvo errore indistinguibili dagli iscritti ad una bocciofila): la imputazione è più agevolmente travisabile in termini (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);   8. Nei casi in cui la forza di intimidazione sia soltanto la risultante delle qualità soggettive di alcuni componenti il sodalizio, si potrà ipotizzare, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, una associazione per delinquere comune, ma non certo un’associazione per delinquere di tipo mafioso. Un’associazione può, infatti, considerarsi tale solo se abbia sviluppato intorno a sé una carica intimidatrice autonoma, ricollegabile, cioè, esclusivamente al nucleo associativo, creando nei confronti del gruppo un alone permanente di timore diffuso. 8.1 enunciato corretto, tuttavia inconciliabile ad altri precedenti (art. 606 co. 1 e) (illogicità giuridica della motivazione) c.p.p.); cresce l’ipotesi sub 6.1 della apparenza della motivazione (art. 606 co. 1 e) c.p.p.);   9. Sino a quando una consorteria, che pur persegua gli scopi previsti dall’art. 416 bis, non abbia raggiunto quella soglia minima che le consente di utilizzare la forza intimidatrice nel suo manifestarsi in sé, non sarà, dunque, ipotizzabile un’associazione di tipo mafioso. 9.1 ut sub 7.1: anche la “consorteria” al posto della associazione conferisce al travisamento in termini della imputazione (art.606 co. 1 b) c.p.p.);  10. In cosa consista, poi, l’avvalersi della forza intimidatrice è concetto che può essere espresso solo adottando una formula di genere, considerato il ruolo cruciale del “metodo mafioso” e la sua possibilità di esplicarsi nei modi più disparati, sia limitandosi a sfruttare  la  carica  intimidatoria  già conseguita dal sodalizio, sia ponendo in essere nuovi atti di violenza o diminaccia. Nel primo caso è evidente che il sodalizio è già pervenuto al superamento della soglia minima che consente di utilizzare la forza intimidatrice soltanto sulla basedel vincolo e del suo manifestarsi in quanto tale, all’esterno; nel secondo caso, è stato perspicuamente posto in luce dall’interpretazione giurisprudenziale come gliatti di violenza o di minaccia (forse, parrebbe più rigoroso parlare di “atti di intimidazione”, non soltanto perché non necessariamente la violenza e la minaccia esauriscono la categoria delle condotte di intimidazione ma anche, e soprattutto perché in tal modo diviene possibilefissare un discrimine concettualmente non irrilevante tra “forza di intimidazione” ed “attività di intimidazione”) non realizzano l’effetto di per sé soli, ma in quanto costituiscano espressione rafforzativa della precedente capacità intimidatrice già conseguita dal sodalizio (Sez. VI, 3 giugno 1993, De Tommasi). 10.1 enunciato in parte corretto, tuttavia disturbato dalla riduzione della associazione a “metodo mafioso”, e da  incompletezza: perché la intimidazione volta alla integrazione dell’elemento della “forza intimidatrice” della associazione potrebbe iscriversi nel tentativo di promozione o di costituzione della associazione, essendo, questi, eventi propri di quella condotta, di causazione ed integrazione della “forza intimidatrice”, o eventi insieme a questa della fase genetica della associazione, condotta, peraltro, attuabile sia in forma monosoggettiva che in forma plurisoggettiva; sfuggito ciò totalmente alla sentenza, essa può tipizzare ex art. 416 bis una imputazione che fa generare “la forza…” dai delitti scopo! (art. 606 co.1 e) c.p.p.);   11. Ulteriori elementi indispensabili per configurazione del delitto di associazione di stampo mafioso sono la condizione di assoggettamento e quella di omertà, entrambe come conseguenza della forza di intimidazione del vincolo associativo da cui derivano causalmente; se, infatti, l’assoggettamento e l’omertà dipendano da fattori diversi dalla forza intimidatrice del vincolo (ad esempio, da qualità soggettive di taluni componenti il sodalizio), può ritenersi, in presenza dei propri elementi costitutivi, la sussistenza di un’associazione per delinquere comune (Sez., 21 ottobre 1986, Musacco). Anche se tale definizione delinea, forse, una non troppo corretta individuazione dei rapporti tra l’avvalersi del vincolo associativo e della situazione di assoggettamento e di omertà, con l’art. 416 bis c.p., che si esaurisce nella previsione del far parte di una simile associazione, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la norma in parola configura un delitto associativo a condotta multipla o mista, nel senso che, mentre perché si abbia associazione semplice è sufficiente la creazione di un’organizzazione stabile, sia pure rudimentale, diretta al compimento di una serie indeterminata di delitti, perché ci si trovi di fronte ad un’associazione mafiosa è altresì necessario che questa abbia conseguito nell’ambiente circostante una reale capacità di intimidazione e che gli aderenti si siano avvalsi in modo effettivo di tale forza al fine di realizzare il loro programma criminoso (Sez. VI, 6 dicembre 1994, Imerti) omertà che ne deriva (Sez. VI, 31 gennaio 1996, Alleruzzo). La giurisprudenza ha, perciò, particolarmente insistito sul “metodo mafioso” che contrassegna il reato di cui all’art. 416 bis, metodo seguito dai componenti dell’associazione per la realizzazione del programma associativo. È, forse, questa una delle più importanti messe a fuoco della condotta prevista dall’art. 416 bis Pur non essendo componente della condotta, ma dato di qualificazione del sodalizio, il metodo si connota, dal lato attivo, per l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo e, dal lato passivo, per la situazione di assoggettamento e di omertà che da tale forza intimidatrice, quale effetto, si sprigiona per il singolo sia all’esterno dell’associazione sia al suo interno (Sez. I. 10 febbraio 1992, D’Alessandro; Sez. VI, 10 marzo 1995, Monaco). Si assiste, cioè, ad una separazione concettuale dell’attività dal metodo. La prima si incentra sul contributo prestato all’associazione; il secondo nell’utilizzazione del sodalizio in modo da creare assoggettamento e omertà. Non basta, dunque, l’uso della violenza o della minaccia, che può essere previsto come elemento costitutivo dei delitti programmati – altrimenti tutte le associazioni criminose aventi come programma tali delitti diverrebbero automaticamente di tipo mafioso – ma è necessario che la forza intimidatrice sia, non solo componente strutturale del programma criminoso, ma anche espressione dello stesso vincolo associativo e sia diretta a creare nel territorio condizioni di assoggettamento tali da rendere difficile l’intervento preventivo o repressivo dei poteri dello Stato e da creare una diffusa omertà (Sez. I, 1^ luglio 1987, Ingemi).   11.1 l’enunciato nel complesso sarebbe corretto, se non contraddicesse i, o non si discostasse dai, precedenti, sopra visti (art. 606 co. 1 e) c.p.p.), a parte, da un lato, che associazione per delinquere e associazione “mafiosa” non si differenziano per le condotte, singola nella prima plurima nella seconda, giacchè, se il moltiplicatore fosse l’elemento della “forza”, questo è presupposto della condotta, di avvalersi etc., non condotta esso stesso, semmai, essendo evento della condotta antecedente, la costituzione della associazione; e, a parte, dall’altro, che non è necessario ed anzi è sviante trasferire nel metodo, assieme alla fattispecie peraltro, quanto é insito nella condotta, che impieghi ed abbia a presupposto la “forza…”; con l’effetto sub 10.1 infine. (art 606 co. 1 b) c.p.p.); l’enunciato peraltro contraddice taluni precedenti, visti, consolidando l’ipotesi sub 6.1 (art. 606 co. 1 e) c.p.p.);    12. La capacità qualificatoria del metodo mafioso ha trovato ampie conferme giurisprudenziali, allorché si è osservato che la natura mafiosa di un’associazione non è determinata dagli scopi che essa si prefigge, bensì dal metodo impiegato, con il ricorso sistematico all’intimidazione e all’imposizione di un atteggiamento omertoso, tanto che è possibile rinvenire i connotati della mafiosità anche in associazioni criminali che si fronteggino in una faida familiare e che in tale contrapposizione concentrino quasi esclusivamente la propria attività (Sez. V, 21 ottobre1996, Bruzzìse). Od ancora, quando si è precisato che un’associazione può definirsi di tipo mafioso,distinguendosi dalla normale e tradizionale associazione per delinquere, quando sia connotata da quei particolari elementi indicati nell’art. 416 bis c.p., dei quali il principale ed imprescindibile è il metodo mafioso seguito per la realizzazione del programma criminoso; aggiungendosi che per la specifica connotazione “mafiosa” di un sodalizio vanno coordinati i vari elementi indiziar!, in una chiave di lettura che tenga conto delle nozioni socioantropologiche e del particolare ambiente culturale, geografico ed etnico in cui i fatti sono maturati (Sez. I, 10 dicembre 1997, Rasovic).   12.1 Se gli scopi non connotassero la mafiosità della associazione, essi sarebbero estranei alla fattispecie, mentre non solo le sono intranei,, ma sono assolutamente caratterizzanti la associazione (che abbia fini di impresa economica o di affare economico, non di reato, pertinenti invece alla associazione per delinquere, per cui la sentenza torna alle precedenti postulazioni, assenza della forza intimidatrice e di essa come presupposto delle condotte, assenza di scopi tipici, riduzione della fattispecie a metodo, al netto  dunque di forza intimidatrice e di condizioni  di assoggettamento e di omertà derivanti, addirittura,  esplicitamente, perviene, la sentenza, alla riduzione ad essa della faida familiare per il solo fatto dell’uso contingente della violenza; non potrebbe sussumere più agevolmente,  l’imputazione (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);   13. Frequente è pure l’enunciazione del principio secondo cui la forza di intimidazione non deve necessariamente essere utilizzata dai singoli associati (né deve necessariamente estrinsecarsi, di volta in volta, in atti di violenza fisica o morale), per il raggiungimento dei fini previstidalla norma incriminatrice, perché ciò che caratterizza, sul piano descrittivo e su quello ontologico,l’associazione di tipo mafioso, secondo il modello legale, è la condizione di assoggettamento (che implica uno stato di soggezione, derivante dalla convinzione di essere esposti ad un concreto e ineludibile pericolo di fronte alla forza dell’associazione) e di omertà (che consiste in una forma dì solidarietà, che ostacola o rende più difficoltosa l’opera di prevenzione o di repressione, che dal vincolo associativo deriva per il singolo all’esterno, ma anche all’interno dell’associazione; cfr. Sez. I, 6 aprile 1987, Aruta; Sez. I, 13 giugno 1987, Altivalle; Sez. I, 25 febbraio 1991, Grassonelli): un principio che pare assumere una significativa valenza ermeneutica soltanto se inteso nel senso che lo stesso “far parte” dell’associazione e l’agire esterno del consociato indicano nell’assoggettamento e nell’omertà l’effetto della forza intimidatrice (Sez. VI, 31 gennaio 1996, Alleruzzo). 13.1 Attraverso il richiamo degli eventi dell’assoggettamento e della omertà l’enunciato recupera coerenza alla fattispecie, incoerenza peraltro a suoi precedenti (art. 606 co. 1 e) c.p.p.), ma allorché rileva che il solo “far parte” della associazione implicherebbe assoggettamento ed omertà, da un lato fa coincidere eventi, quelli adesso indicati, con i presupposti delle condotte che li genererebbero, la partecipazione, da un altro, elimina le condotte generative  di essi, imposte alla fattispecie dal verbo “avvalersi” che certo né naturalisticamente né semiologicmente è identificabile nell’elemento del “far parte” che, ripetesi, è presupposto delle condotte or dette (art. 606.1 b) e) cpp); la sentenza non potrebbe sussumere più agevolmente l’imputazione (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);    14. Si è però anche detto che non è sufficiente, per qualificare un’associazione per delinquere ai sensi dell’art. 416 bis c.p. che l’associazione stessa abbia programmato di avvalersi della forza di intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, ma è necessario che se ne sia già avvalsa concretamente (Sez. I, 8 luglio 1995, Costioli). Una proposizione che va attentamente meditata perché se, per un verso, parrebbe spostare in avanti la soglia della condottapunibile ex art. 416 bis c.p., per un altro verso, dovendo la carica intimidatoria essere commisurata alla natura del sodalizio non fa che esprimere un’esigenza (che appartiene, più che alla identificazione sostanziale, al momento probatorio) connaturata alla stessa funzione della normaincriminatrice; in altri termini, se il sodalizio è noto per la sua carica di terrore, sembra chiaro che, essendosi già instaurato il clima di assoggettamento e di omertà, assumerà maggior rilievo il profilo finalistico, per essere l’associazione “in sé” mafiosa. Se, invece, l’associazione non abbia raggiunto una tale “notorietà”, occorrerà vagliare, anzi tutto, se, in concreto, la forza intimidatrice sia stata o no utilizzata. È certo, inoltre, che la statuizione debba essere letta nel senso che l’elemento caratterizzante l’associazione mafiosa si incentra sul grado di diffusività della sua forza intimidatrice, che non può essere dedotta da fatti episodici, ma va ricavata dalle concrete situazioni di assoggettamento e di omertà. Una soluzione questa che sembra raggiungere lo stesso approdo cui la giurisprudenza era pervenuta in precedenza, affermando che le dette condizioni devono riferirsi non ai componenti interni, essendo siffatti caratteri presenti in ogni consorteria, ma ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo i terzi a trovarsi, per effetto della diffusa convinzione della loro esposizione a un concreto e ineludibile pericolo, dì fronte alla forza dei”prevaricanti”, in uno stato di soggezione (Sez. I, 24 febbraio 1992, Barbieri).   14.1 Torna la relazione della associazione “mafiosa” alla associazione per  delinquere, laddove quella mafiosa non è o non è sempre una associazione per delinquere che ha immancabilemente fine di delitto; e, peraltro, la insufficienza, della programmazione, nell’avvalimento della forza intimidatrice, alla integrazione della fattispecie, dovendo questa in concreto avere a presupposto la forza intimidatrice e l’avvalimento a sua condotta, ben precisata peraltro dalla sentenza Sez, Un. sopra cit. D’altro canto, non è affatto ritardamento della integrazione della fattispecie “spostare in avanti” l’evento complesso di essa, bensì rifiuto fermo della antecipazione della integrazione della fattispecie, tanto che la programmazione suddetta costiturebbe semmai tentativo di causazione degli eventi di promozione. o di costituzione o di organizzazione della fattispecie; la fluttuazione arbitraria nella sequenza di fattispecie dei suoi elementi ne ha permesso il ravvisamento nella imputazione (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);     15. Si spiegano così talune statuizioni giurisprudenziali in ordine alla nozione di forza di intimidazione. Si è, infatti, precisato che, ai fini della sussistenza del reato di associazione di tipo mafioso la intimidazione interna al sodalizio, pur se rilevante sotto il profilo dell’estrinsecazione del metodo mafioso, non può prescindere dall’intimidazione esterna, poiché elemento caratteristico dell’associazione in questione è il riverbero,  la  proiezione  esterna,  il  radicamento  nel territorio in cui essa vive; assoggettamento ed omertà devono, pertanto, riferirsi non ai componenti interni,essendo siffatti caratteri presenti in ogni consorteria, ma ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo i terzi a trovarsi, per effetto della diffusa convinzione della loro esposizione a pericolo, in stato di soggezione di fronte alla forza dei prevaricanti. Quanto alla diffusività di tale forza intimidatrice, si è detto che essa non può essere virtuale, e cioè limitata al programma dell’associazione, ma deve essere effettuale, siccome manifestazione della condotta, essendo la diffusività un carattere essenziale della forza intimidatrice, con la conseguente necessità che di essa l’associazione si avvalga in concreto, cioè in modo effettivo (Sez. V, 19 dicembre 1997, Magnelli). Pur se pare, forse, contestabile, il solo richiamo al profilo esterno della forza di intimidazione el’assimilazione sotto il profilo interno dell’associazione per delinquere all’associazione per delinquere di tipo mafioso, risulta chiaro come il concetto di diffusività della carica intimidatoria, richiamato spesso in giurisprudenza, rappresenta uno dei profili più designanti, anche al fine di vagliare le connotazioni personali minimedel sodalizio.   15.1 L’enunciato è corretto, esso, nondimeno, è incongruo ad altri, precedenti,  è confermata l’ipotesi sub 6.1 della motivazione apparente ( art. 606 co. 1 e) c.p.p.);     16. Ma altrettanto significante è la nozione di omertà quale espressa dal “diritto vivente”; nel senso che si richiede che il rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato sia sufficientemente diffuso, anche se non generale; che tale atteggiamento sia dovuto non soltanto alla paura di danni alla propria persona, ma anche all’attuazione di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti; che sussista la diffusa convinzione che la collaborazione con l’autorità giudiziaria – denunciando il singolo che compie l’attività intimidatoria – non impedirà che si abbiano ritorsioni dannose per la ramificazione dell’associazione, la sua efficienza, la sussistenza di altri soggetti non identificabili e forniti di un potere sufficiente per danneggiare chi ha osato contrapporsi (Sez. VI, 31 gennaio 1996, Alleruzzo). Quasi compendiando i riferiti principi, gli elementi qualificanti il sodalizio criminoso di cui all’art. 416 bis c.p. sono stati correttamente ritenuti essenzialmente inerenti al modus operandi dell’associazione ed alla specificità del bene giuridico leso. Il primo consiste nell’avvalersi della forza intimidatrice che promana dalla stessa esistenza dell’organizzazione, alla quale corrisponde un diffuso assoggettamento nell’ambiente sociale e, dunque, una situazione di generale omertà.   16.1 Se l’evento di condizionamento di omertà non fosse descritto in relazione alle richieste di informazione, addirittura di collaborazione con gli organi dello stato (non è scritto in nessuna parte della fattispecie,  e un elemento culturale di questa, se si desse solo davanti quelle richieste non sarebbe tale,  supporlo tuttavia espunge dalla fattispecie l’elemento, e ne agevola l’uso, come in specie rispetto alla  imputazione che non lo descrive: art. 606 co. 1 b) c.p.p.), esso sarebbe adeguatamente esposto;   17. La seconda si incentra nel rilievo che, attraverso lo strumento intimidatorio, l’associazione si assicura la possibilità (fra l’altro) di commettere più delitti. Dal profilo concernente il “vincolo associativo” e la sua forza intimidatrice sembrano estranei gli aspetti organizzativi e pluripersonali del sodalizio che devono rispondere soltanto ai requisiti di cui all’art. 416 bis c.p…   17.1 La associazione “mafiosa” non deve assicurarsi affatto la possibilità di commettere delitti perchè essa può anche non finalizzare delitti, per quanto detto sopra; dirlo favorisce  la torsione dei delitti della imputazione verso la associazione   (art. 606 co.1 b) c.p.p.)   18. La giurisprudenza è, però, anche orientata nel senso che la prova del carattere mafioso di una consorteria può essere desunta dall’esistenza di un’efficiente organizzazione e di un rigoroso legame associativo, dei quali sono chiari sintomi la convocazione degli adepti per un’adunanza da tenersi in una località nascosta o poco accessibile, il numero delle persone che vi partecipano, la dislocazione di alcuni individui con compiti di custodia (Sez., 6 marzo 1984, Zappia). Ancora, si è detto che la prova degli elementi caratterizzanti la ipotesi criminosa di cui all’art. 416 bis c.p. può ben essere desunta anche con metodo logico induttivo in base al rilievo che il clan presenti tutti gli indici rivelatori del fenomeno mafioso: segretezza del vincolo; rapporti di intensa frequentazione; rispetto assoluto del vincolo gerarchico; diffuso clima di omertà, come conseguenza e indice rivelatore dell’assoggettamento alla consorteria (Sez. VI, 31 gennaio 1996, Alleruzzo). Non mancandosi più volte di rimarcare che in tema di reato associativo gli indizi sulla sussistenza del reato possono essere legittimamente tratti dalla commissione dei reati fine, interpretati alla luce dei moventi che li hanno ispirati, quando questi valgano ad inquadrarli nella finalità dell’associazione (Sez. VI, 22 febbraio 1996, Marciano); che, ai fini dell’affermazione di responsabilità di taluno in ordine al reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, non occorre la prova che egli abbia personalmente posto in essere attività di tipo mafioso, essendo, al contrario, sufficiente la sola sua aggregazione a un’organizzazione le cui obiettive caratteristiche siano tali da farla rientrare nelle previsioni dell’art. 416 bisc.p. (Sez. I, 28 settembre 1998, Bruno).   18.1 osservazione siffatta, ha già dissolto tutti gli elementi della fattispecie, e della realtà designata, ha ridotto essa a pura mafiosità, a stile mafioso di qualunque comportamento (anche parlare siciliano cabarettistico? ),  gli associati a “ommini” od “ommini di panza” (denominazioni di Sciascia), che scamperebbero alla persecuzione giudiziaria per lo stile di vita soltanto se “omminicchi”, o “quaquaraqua”…; la sussunzione della imputazione non potrebbe essere più agevole (art. 606 co.1 b) c.p.p.);   19. L’aspetto predominante della forza intimidatrice del vincolo associativo nell’ambito del fatto reato descritto dall’art. 416 bis c.p. ha finito per relegare ad un ruolo, in un certo senso secondario, il profilo concernente le finalità il cui perseguimento è richiesto dalla legge per qualificare l’associazione come di tipo mafioso. Davvero emblematica appare allora proprio sul piano metodologico la statuizione stando alla quale la tipicità del modello associativo delineato dall’art. 416 bis c.p. nelle modalità attraverso cui l’associazione si manifesta concretamente e non negli scopi che si intendono perseguire, atteso che questi, nella formulazione della norma ora ricordata, hanno un carattere indicativo ed abbracciano solo genericamente i “delitti”, comprendendo una varietà indeterminata di possibili tipologie di condotte, che possono essere costituite anche da attività lecite, che hanno come unico comune denominatore l’attuazione od il conseguimento del fine attraverso l’intimidazione ed il conseguente insorgere nei terzi di quella situazione dì soggezione che può derivare anche dalla conoscenza della pericolosità di tale sodalizio (Sez. I, 10 febbraio 1992, D’Alessandro). 19.1 Qui, dapprima, sia pure defilati,  compaiono  gli scopi quali elemento della associazione, poi scompaiono, per liberare, spogliate dei vincoli teleologici, le condotte, che, addirittura,  potrebbero essere lecite: e tuttavia essere qualificate dai fini. A parte la incongruenza della riapparizione dopo la sparizione: se le condotte potessero essere lecite, potrebbero non avvalersi della “forza..” del “vincolo..” e non generare assoggettamento od omertà, essere condotte  libere, nondimento di tutt’altra non di questa fattispecie, che dunque, peraltro contrariamente a precedenti enunciati,  è  disgregata dalla sentenza (è ribadita l’ipotesi della motivazione apparente sub 6.1: art. 606 co. 1 e) c.p.p.); laddove finanche per assioma esse, già perché corrispondenti ad un tipo incriminante, non potrebbero che essere illecite, leciti semmai, lo si diceva sopra, potendo essere gli scopi (in sé) della associazione, crescenti dunque nel ruolo di demarcazione dall’ altra fattispecie della associazione per delinquere; se gli scopi evaporano e le condotte levitano,  la imputazione è pienamente assoggettata (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);    20. Due ulteriori precisazioni sembrano, peraltro, estremamente significative sulla tematica dei fini perseguiti: la prima è che nell’associazione di tipo mafioso tali fini devono essere intesi in senso alternativo e non cumulativo, anche perché, con la previsione fra gli scopi del sodalizio mafioso del controllo di attività economiche, il legislatore ha avuto di mira l’esigenza di ampliare l’ambito applicativo della fattispecie, estendendolo alla realizzazione di attività di per  sé formalmente lecite; con la conseguenza che, prevedendo l’art. 416 bis c.p. finalità associative non direttamente riferibili all’economia pubblica, l’ordine pubblico economico si atteggia soltanto come oggetto giuridico eventuale del delitto in esame, il quale, come risulta dalla rubrica del titolo V del libro II del codice, in cui è inserito, è essenzialmente diretto contro l’ordine pubblico generale (Sez. VI, 3 giugno 1993,De Tommasi): linea interpretativa ribadita dall’affermazione che la consorteria è di tipo mafioso quando il vincolo associativo ha una particolare intensità e stabilità, di guisa che essa, avvalendosi della forza di intimidazione del medesimo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, esista e operi permanentemente fuori della legge e abbia a presidio un’organizzazione stabilmente rivolta al conseguimento dei suoi scopi. La seconda è che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., non è necessario che siano raggiunti effettivamente e concretamente gli scopi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice ne’, perché si realizzi la situazione di partecipazione dei singoli associati, è indispensabile che ciascuno utilizzi la forza di intimidazione; la condotta di partecipazione può, infatti, assumere forme e contenuti diversi e variabili, consistendo nel contributo apprezzabile e concreto sul piano causale all’esistenza ed al rafforzamento dell’associazione e, quindi, alla realizzazione dell’offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo o il compito che il partecipe svolga nell’associazione (Sez. I, 15 aprile 1994, Matrone). Si è così ritenuta integrata la condotta di partecipazione ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso nella fornitura di mezzi materiali a membri dell’associazione e nella trasmissione di messaggi tra membri influenti della medesima, in quanto tali attività ineriscono al funzionamento dell’organismo criminale, sia sotto il profilo della disponibilità di risorse materiali utilizzabili per l’operare di questo, sia sotto quello della predisposizione di canali informativi tra i suoi membri, che è incombenza di primaria importanza per il funzionamento dell’associazione per delinquere (Sez. I, 25 giugno 1996, Trupiano). 20.1 Rientrano i fini, adesso, di gran carriera, apertamente demarcatori, alternativamente,  della tipicità degli eventi e delle condotte, incoerendo a ben altri enunciati, in apparenza di motivazione  (art. 606 co. 1 e) b) c.p.p.);   21. Si è aggiunto che fa parte di un’associazione mafiosa chi presti un consapevole contributo alla vita del sodalizio di cui conosca le caratteristiche, sapendo di avvalersi della forza intimidatrice del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano per realizzare i fini previsti dall’ultima parte del terzo comma dell’art. 416 bis c.p. (Sez. VI, 22 gennaio 1997, Dominante). Non mancandosi di precisare che, ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso, non è necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per una certa durata, ben potendo, al contrario ravvisarsi il reato anche in una partecipazione di breve periodo (Sez. VI, 17 novembre 1998, Cortes).   21.1 ma un enunciato battente così chiaramente sulla preesistenza della associazione (con tutti i suoi elementi di specie, “forza etc…) alla partecipazione, per quanto incoerente ad altri, come ha potuto sussumere la imputazione, che costituirebbe la associazione con e nei delitti scopo (art. 606 co. 1 e) b) c.p.p.)?;   22. Sul piano del discrimine tra la fattispecie di cui all’art. 416 e la fattispecie di cui all’art. 416 bis, si è osservato che, se per la configurabilità del primo reato la condotta penalmente rilevante si incentra nella costituzione di un sodalizio avente per scopo la consumazione di più delitti (quindi, il fatto associativo è previsto dal legislatore nel suo prodursi come entità che è criminosa per la natura criminosa del fine che ispira e muove gli autori del fatto), perché sussista, invece, il reato di cui all’art. 416 bis c.p. è penalmente rilevante non il fatto e la condotta produttiva del sodalizio – momento indifferente, in astratto, per la valutazione del giudice penale – ma il metodo, i mezzi utilizzati dal sodalizio e dai suoi associati, le finalità, una sola delle quali (commettere delitti) è comune all’associazione per delinquere. I fatti oggetto delle norme ora ricordate sono, quindi, sostanzialmente diversi, ontologicamente distinti, funzionalmente autonomi, pur sussistendo la possibilità di conversione di un’associazione per delinquere di tipo comune in un’associazione per delinquere di tipo mafioso (Sez. I, 10 aprile 1987, Saviano).   22.1 Distinzione sostanzialmente corretta, quando perdesse l’enunciato per “cui è penalmente rilevante.. la condotta che costituisce il sodalizio”, nella associazione per delinquere comune, mentre in quella “mafiosa” sarebbero rilevanti il metodo, i mezzi…; quando lo perdesse,  perché esso pungola l’ipotesi che delle associazione predette si sia dileguata la nozione, perché,  ritenere che sia irrilevante la condotta di costituzione, ignora che essa è (inderogabilmente) una,  delle condotte, “primarie”, della associazione (promozione organizzazione costituzione), una delle condotte tipiche,  insieme a quella di partecipazione, delle  condotte che integrano il fatto di associazione sia nella associazione per delinquere che in quella “mafiosa”;  con la differenza che i presupposti di questa differiscono dai presupposti di  quella, e che i mezzi sono rilevanti in questa e non in quella solo perché, alle condotte “primarie” e “secondarie” della associazione, si aggiunge, in quella mafiosa, l’avvalersi… (art. 606 co. 1 b) c.p.p.);   23. Caratteri strutturali comuni fra i reati di cui agli artt. 416 e 416 bis sono, dunque, l’accordo a carattere generale e continuativo volto all’attuazione di un programma di delinquenza destinato a permanere anche dopo l’eventuale perpetrazione di ciascun delitto programmato, il numero minimo di tre associati nonché la predisposizione comune di attività e mezzi per la realizzazione del generico programma delinquenziale. Ciò che differenzia l’associazione di tipo mafioso dalla comune associazione per delinquere, conferendo alla prima carattere di specialità, è la previsione sia di particolari obiettivi criminosi costituiti, non soltanto dal compimento di fatti antigiuridici, sebbene anche dalla gestione e dal controllo di settori di attività economiche, sia dalla particolare efficacia intimidatrice del vincolo associativo sprigionantesi dal sodalizio, nel senso che esso assume il connotato di mafioso allorché gli associati si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per realizzare le finalità indicate nel co. 3  dell’art. 416 bis c.p. (Sez. I, 30 settembre 1986, Amerato).   23.1 l’ipotesi della apparenza della motivazione per le ragioni sub 6.1 è oramai certa (art. 606 co. 1 e) c.p.p.), quando poi si noti che le associazioni avrebbero per nucleo un accordo e per contorno un programma, la ipotesi del trascendimento della  realtà giuridica  della associazione esàgita, giacchè, la sentenza,  neppure distingue tra reati di accordo e reati di associazione (vd distinti sub : art. 606 co. 1 b) c.p.p.); vd infra.    24. È appena il caso di rammentare che l’elemento distintivo tra i delitti associativi di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. e la semplice compartecipazione criminosa di cui all’art. 110 dello stesso codice è costituito dalla natura dell’accordo criminoso. Nel concorso di persone nel reato l’accordo si realizza in via occasionale e accidentale per il compimento di uno o più reati determinati, con la realizzazione dei quali si esaurisce, sicché, cessa ogni pericolo per l’ordine pubblico; nei delitti associativi, invece, l’accordo criminoso è diretto all’attuazione di un più vasto programma che precede e contiene gli accordi concernenti la realizzazione dei singoli crimini e che permane dopo la realizzazione di ciascuno di essi (Sez. I, 1A luglio 1987, Ingemi). Peraltro, pure se l’accordo può costituire elemento comune sia al concorso di persone nel reato sia all’associazione per delinquere, i due fenomeni restano caratterizzati da aspetti strutturali e teleologiche profondamente differenziati. Dal primo punto di vista, l’accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice (sia essa necessaria ovvero eventuale) è funzionale alla realizzazione di uno o più reati (anche uniti dal vincolo della continuazione), consumati i quali l’accordo si esaurisce o si dissolve (cfr., ex plurimis, Sez. I, 22 settembre 1994). Del resto, l’accordo, in tanto diviene rilevante nei confini della mera ipotesi concorsuale in quanto pervenga alla concreta realizzazione dell’assetto divisato, ad un’attività esecutiva, dunque, che non si arresti alle soglie del tentativo. Può ribadirsi, allora, che il mero accordo allo scopo dì commettere un reato, non traducendosi in un’attività di partecipazione al reato stesso, resta assoggettato al principio di ordine generale stabilito dall’art. 115 c.p. A questa regola il 1° comma di tale articolo enuncia un’espressa eccezione ma sempre relativa all’ipotesi in cui “due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso”; cosicché può contestarsi che i criteri interpretativi destinati a risolvere le (solo apparenti) antinomie fra accordo non punibile e reato associativo possano essere compiutamente individuati chiamando in causa il solo principio di specialità. E ciò per la mancanza di un vero e proprio rapporto di genere a specie, postulando il reato associativo una base plurisoggettiva qualificata, non richiesta, invece, nell’ipotesi di accordo. Una constatazione che vale anche ai fini della distinzione tra fattispecie meramente concorsuale e fattispecie associativa, rappresentando il minimum soggettivo richiesto dalla legge relativamente alla seconda categoria di reati un dato non richiesto per l’attività di mera partecipazione, così da consentire l’utilizzazione del medesimo criterio interpretativo pure – è quel che più interessa – nel discriminare le categorie ora ricordate. Per la sussistenza dell’accordo associativo, dunque, l’accordo (coessenzialmente aperto) è destinato a costituire una struttura permanente ove i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti. È la struttura, anche rudimentale, del sodalizio che designa la figura associativa così da caratterizzarla per la necessaria predisposizione del programma criminoso, di dati dì assoluta singolarità e da rendere, in fondo, ininfluente l’inserimento del reato di associazione per delinquere nella categoria dei reati a concorso necessario, altri risultando gli elementi decisivi ai fini dell’identificazione dell’essenza stessa di tale reato. Predominante diviene, allora, il profilo teleologico: il particolare allarme sociale derivante dalla struttura giustifica, infatti, la previsione di una autonoma figura di reato contrassegnata, sul piano delle finalità repressive perseguite dall’ordinamento, dal pericolo per l’ordine pubblico per il cui concretizzarsi la legge non richiede, a differenza di quanto accade per l’accordo che si inserisca quale momento cruciale del reato meramente plurisoggettivo, che i delitti per la commissione dei quali la socìetas sceleris è stata costituita vengano effettivamente realizzati (cfr. Sez. VI, 12 maggio 1995, Mauriello).   24.1 Se tra accordo ed associazione fosse concorso di norme apparente per specialità della seconda, allora il primo dovrebbe contenere naturalisticamente e giuridicamente la seconda, tuttavia specializzata da altra norma, mentre è evidente che il primo non contiene affatto la seconda, e che la seconda non necessariamente contiene il primo (associazione che si costituisca gradualmente), ma, se lo contenesse, accidentalmente, non lo farebbe per specificazione di un genere ma per progressione o consunzione; e che tra l’uno e l’altra non sia alcun rapporto, è dato dal rilievo che il primo è forma plurisoggettiva della fattispecie monosoggettiva la seconda è forma plurisoggettiva della fattispecie plurisoggettiva, è questa stessa; e d’altronde ritenere che non sia fattispecie necessariamente plurisoggettiva pur essendo  forma costante della fattispecie, implica travisare principi  di diritto penale, fino al punto di ritenere che la deroga alla previsione di cui all’art. 115 cp “salvo che la legge disponga altrimenti”  sia riferita alle associazioni!!: laddove non potrebbe che essere riferita ad accordi, altri da quello previsto in art. 115, essendo clausola di specialita espressa che non può non identificare fattispecie a medesimo nucleo,  specializzate, come  accade tra fattispecie generali e speciali, peraltro esistenti, quella in art. 304 cit ; a queste condizioni, la assoggettabilità della imputazione è assoluta (art. 606 co. 1 e) c.p.p.);    25. La giurisprudenza ha chiarito come la figura di reato prevista dal l° comma dell’art. 416 bis c.p. presuppone due diversi e successivi comportamenti: l’uno attivo, consistente nel compimento diun atto di associazione e l’altro omissivo, consistente nell’assenza di un atto di recesso (così Sez. I, 27 febbraio 1992, De Carli), cosicché il delitto di cui all’art. 416 bis si perfeziona nel momento in cui colui che ha assunto la qualità di membro del sodalizio omette di recedere e si consuma nel momento in cui lo stesso recede volontariamente (o, essendosi l’associazione sciolta o ridotta ad un numero inferiore a quello legale, il recesso o è impossibile o diviene giuridicamente irrilevante; Sez.I, 22 aprile 1985, Fallica). In conclusione, l’elemento materiale del reato è costituito dalla condotta di partecipazione, intendendosi per tale la stabile permanenza di vincolo associativo tra gli autori del reato (almeno in numero di tre), allo scopo di realizzare una serie di attività tipiche dell’associazione e per “tipo mafioso”, (la sussistenza degli elementi elencati dal 3° comma dell’art. 416 bis, qualificanti tal genere di organizzazione criminosa), mentre quello soggettivo rappresentato dal dolo specificocaratterizzato dalla cosciente volontà di partecipare a detta associazione con il fine di realizzarne ilparticolare programma e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso, di essere cioè disponibile ad operare per l’attuazione del comune programma delinquenziale con qualsivoglia condotta idonea alla conservazione ovvero al rafforzamento della strutturaassociativa (Sez. I, 15 maggio, 1994, Clementi).   25.1 Se le condotte fossero di partecipazione, se non si avessero anche condotte di organizzazione o di direzione, della associazione  costituita dopo la promozione,  mancherebbe il nucleo primario di essa e mancherebbe per conseguenza il nucleo secondario, della partecipazione appunto;  se le condotte dovessero essere tese alla conservazione ed al rafforzamento della associazione, da un lato sarebbero evocate  condotte sul nucleo primario non previste, essendo previste  solo quelle di promozione costituzione organizzazione etc…, ogni altra condotta sul nucleo secondario essendo detta  partecipazione;  da altro lato sarebbero sostituite le condotte primarie  tipiche,  con altre atipiche, essendo le condotte di coloro che “facciano parte” integrate da azioni od omissione tese agli scopi tipici, specificate da essi e qualificate dall’avvalimento della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà; condotte conservative e rafforzative, dunque,  sarebbero necessariamente  di aiuto, non meglio tipizzate, estranee alla associazione (pur se intranee ad altre fattispecie eventualmente: artt. 378, 379, 418 c.p.); per quanto ad essa riferibili; le ricadute sulla interpretazione della imputazione sono ovvie (art. 606 co. 1 b) c.p.p.); *** 26. Tutti tali connotati sono ad evidenza ravvisabili nella condotta tenuta dagli imputati, come delineata nei precedenti paragrafi.   26.1 In verità i “connotati” avrebbero dovuto essere ravvisati nella“condotta” degli imputati non come supposta dalla premessa giuridica vista, ma come descritta, insieme ai fatti relativi, dalla imputazione……………. pietro diaz

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