Archivio mensile:Febbraio 2019

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115

Secondo Cassazione, e (all’incirca) pm e gup da essa richiamati:
-reato commissivo e reato omissivo si identificano o si equivalgono;
– la fattispecie di reato può comporsi con pezzi di altre fattispecie di reato;
– Il contenuto dell’imputazione può trarsi dalla intenzione del pubblico ministero;
– il reato doloso potrebbe essere implicitamente colposo.
Per Cassazione quindi:
i principii di legalità e di tassatività della legge penale, di letteralità della interpretazione, di legalità dell’elemento psicologico del reato, sarebbero irrilevanti?

Il testo della sentenza, seguente, oggetto dell’esame, è riportato in carattere corsivo. La sua critica è svolta a mò di chiose, in carattere normale. La numerazione è quella delle sentenza. Le lettere alfabetiche introducono le singole chiose.


CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta documentale – Omesso aggiornamento delle scritture contabili – Dolo generico – Sussiste

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata il G.u.p. del Tribunale di Roma ha dichiarato ex art. 425 c.p.p. il non luogo a procedere nei confronti di DA Per il reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatogli per l’omessa tenuta dal 2007 alla data del fallimento – intervenuto nel 2011 – delle scritture contabili della S. s.r.l. della quale era amministratore unico.
2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma deducendo l’errata applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione. In tal senso il pubblico ministero ricorrente rileva come la sentenza abbia sostanzialmente prosciolto l’imputato per il difetto del dolo specifico ritenuto necessario per la consumazione del reato contestato, nel mentre la fattispecie evocata nell’atto imputativo era quella prevista dalla seconda parte dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., per la cui configurabilità, per consolidata giurisprudenza, è invece sufficiente il dolo generico, pienamente riscontrabile nel caso di specie.
A) In effetti, se pm avesse alluso alla parte del comma referente ( una condotta) “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”, e tale carattere fosse ritenibile, e lo è, modalità dell’effetto della condotta e del suo insinuarsi nell’evento, anziché modalità della formazione del dolo:
il dolo è certamente generico, non specifico.
Mentre se pm avesse alluso alla parte del comma referente (una condotta al) “ lo scopo ….. di recare pregiudizio ai creditori”:
il dolo è certamente specifico,non generico.
Ma la questione saliente è:
nel comma or detto, che delinea le condotte di bancarotta fraudolenta documentale quali sottrazione distruzione o falsificazione in tutto o in parte dei documenti e quale “tenuta” dei documenti “in guisa da non rendere possibile…la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”:
tutte condotte positive (commissive,attive), tutte azioni non omissioni (sottrazione, quale attività realizzata mediante l’occultamento o il trasferimento delle scritture contabili per evitare che gli organi fallimentari prendano possesso dei libri societari; distruzione, quale attività che elimina materialmente i documenti contabili o li manomette rendendoli inservibili; falsificazione, quale manipolazione delle scritture contabili sia nella formazione delle scritture, documento (falso materiale), sia in quella del loro contenuto (falso ideologico); “tenuta…in guisa” quale confezione e conservazione di libri o scritture contabili in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio sociale):
lì, in quel comma, rientrerebbe “l’omessa tenuta delle scritture” (vd sentenza sub 1) ravvisabile letteralmente (e per ciò logicamente) esclusivamente nel secondo comma della art. 217 LF: …fallito che, … non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge…? Una condotta assolutamente negativa invece che positiva, come le or dette?
Se pm ciò avesse ritenuto, e a quanto pare lo ha fatto,avrebbe travisato clamorosamente la natura della condotta.
Insieme al gup, peraltro, che ha fatto altrettanto.
Onde inizia a delinearsi che pm e gup (e si vedrà anche la sentenza) forzano la singola disposizione del singolo comma impiantandovi parte di una altra, forzano questa espiantandone quella (parte), e saltano da una disposizione all’altra, per comporne a mo’ di collage la disposizione che più aggradi e convenga!

Non di meno il ricorso lamenta come in ogni caso, una volta rilevata un’omessa tenuta della contabilità protrattasi per più di tre anni, il giudice non avrebbe potuto prosciogliere l’imputato, bensì avrebbe dovuto derubricare l’imputazione in quella di bancarotta semplice ex art. 217 comma 2 legge fall., e quindi rinviare a giudizio il D. per tale reato, per la cui sussistenza è sufficiente anche la mera colpa.
B) Pm d’altro canto ha lamentato (in subordine) che il gup avrebbe dovuto comunque, anziché prosciogliere, ritenere la bancarotta semplice documentale in art 217 comma 2 LF, e derubricata l’imputazione, ascriverla a titolo di colpa, poiché “per la…sussistenza del reato è sufficiente anche la mera colpa”.
Dove, a parte la questione dei limiti della modificabilità del fatto (imputato) dal gup, d’ufficio senza impulso del pm ex art 423 cpp; questione così macroscopicamente ignorata da indurre a supporre che, per il pm, le disposizioni in discorso regolino uno stesso fatto:
alla forzatura linguistica di diverse disposizioni incriminatrici, in vista della composizione a collage della fattispecie di reato, si accompagna la forzatura dei principi del diritto penale, in specie quello per cui la colpa (quale elemento psicologico del reato: artt. 42 43 cp) è affermabile se espressamente prevista (ma di ciò dopo sub P).

3. Con memoria depositata dal difensore il 12 gennaio 2015 l’imputato ha chiesto infine il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. E’ necessario prendere le mosse dal capo d’imputazione riportato in sentenza, dal quale si evince che oggetto della contestazione è formalmente la condotta di omessa tenuta dei libri contabili a partire dal 10 gennaio 2008 e fino alla data del fallimento, la quale avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della fallita con particolare riguardo alla sorte dell’attivo risultante dalla situazione patrimoniale del 31 dicembre 2007.
C) Quindi, è confermata, della imputazione, la condotta di “omessa tenuta” dei documenti, come sopra detto, e l’ effetto (oggettivo non soggettivo, dicevasi), di rendere “impossibile le ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”.
E’ quindi confermata la composizione della fattispecie di reato:
– prelevando la condotta, di “omessa tenuta”, dalla bancarotta semplice documentale di cui all’art 217 comma 2 LF, portandola nella bancarotta fraudolenta documentale in art 216 comma 1 n.2;
– (tacitamente) prelevando il dolo non da lì (dolo generico) ma dalla bancarotta fraudolenta documentale patrimoniale in art 216 comma 1 n.2 (dolo specifico: “allo scopo di recare pregiudizio ai creditori”), portandolo nella condotta suddetta, e quindi con esso sostituendo il primo (lo fa il gup);
– prelevando l’effetto della condotta dal n. 2 del medesimo (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”) e allacciandolo alla condotta suddetta.
E’ per ciò confermato il sopra eccepito collage.

2.1 Il G.u.p. di Roma ha interpretato tale contestazione nel senso per cui all’imputato sarebbe stata rimproverata l’omessa istituzione delle scritture relative al periodo indicato, condotta per la cui rilevanza ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale ha ritenuto necessario l’accertamento del dolo (specifico) caratterizzato dal fine di recare pregiudizio ai creditori.
D) Ed è confermata la composizione della fattispecie, dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C.

2.2 Per il consolidato insegnamento di questa Corte l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa.
E) Ma “il consolidato insegnamento” di Cassazione non corrisponde affatto alle disposizioni della legge in materia, giacchè a stregua di qualunque interpretazione (non creativa):
l’alveo di tipicità” della omessa tenuta non è quello indicato ma quello in art 217 comma 2 LF.
L’ “omessa tenuta” non comporta il suo contrario, la “tenuta” di cui all’art 216 comma 1 n 2 (secondo periodo).
D’altronde, l’effetto di questa (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”: che, detto per incidens, non è di impossibilità relativa, come insinua capziosamente la sentenza, ma assoluta) non è riconducibile a quella, perché, come visto, esse differiscono intrinsecamente e funzionalmente. Peraltro, la falsità del contrario (supposto dalla sentenza) impedisce l’argomento a fortiori (ratione), che ne postula la verità. A parte che, l’argomento, è falso nei suoi stessi termini, perché se alla “tenuta” è assegnabile, perché “azione”, un modo (“in guisa da rendere impossibile…), questo non è assegnabile al “l’omessa tenuta”, perché omissione (che non producendo effetto, non produce modo d’esso).
Per ciò (ora manifestamente anche) Cassazione non solo fa collage ma sovverte i principii della logica giuridica e comune.

Si è peraltro costantemente precisato come ciò non consenta, ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo, di ricondurre la condotta di omessa tenuta a quella testé descritta, dovendosi invece ritenere che l’omessa tenuta della contabilità interna integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall, e punita sotto il titolo di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992).
F) Come si vede, la composizione della fattispecie (sub D), dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C., è confermata da Cassazione!

2.3 II dolo richiesto per la sussistenza del reato in tal caso non è dunque, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, quello generico sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta, bensì quello specifico che caratterizza il falso contabile per soppressione descritto nella prima parte dell’incriminazione in oggetto.
G) La conferma dello schema del gup è riconfermata da Cassazione…

3. Il pubblico ministero ricorrente eccepisce invece che oggetto di imputazione sarebbe un fatto di tenuta fraudolenta della contabilità, non più aggiornata a partire dall’ottobre del 2007 con la conseguenza di aver reso impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita.
H) Cassazione ritiene che lo schema del pm, della tenuta delle scritture impossibilitante“la ricostruzione del patrimonio della fallita”, corrisponda a quello di “omessa tenuta” (in realtà, ripetesi, posta in art 217.comma 2) con l’effetto oggettivo in art 216 comma 1 n. 2 ultimo periodo.

3.1 Come si è visto effettivamente il capo d’imputazione sembra essere stato impostato in tal senso.
I) Dove l’imputazione pare oggetto di delibazione anche congetturale, intuitiva, così che essa diviene formalmente inconsistente o è trattata come se lo fosse (ma l’ “omessa tenuta”, per quel che se ne sa, dovrebbe esserne elemento univoco).

Infatti evidente come l’imprenditore non possa al contempo omettere di istituire i libri contabili e tenerli in «guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio»,
L) E qui Cassazione pare avvedersi della alterità delle due condotte, di omessa tenuta e di tenuta.

Condotta quest’ultima che presuppone l’inattendibilità fraudolentemente provocata di scritture effettivamente esistenti.
L1) E pare avvedersene anche qui, ma nel momento stesso in cui progetta di disattenderla. Dove, se non si avesse contraddizione logica (macroscopica) rispetto a precedenti affermazioni (vd.le sopra) si avrebbe comunque contraddizione funzionale.
Di fatti:

3.2 Deve allora ritenersi che nello specificare come “l’omessa tenuta” in realtà si sarebbe sostanziato nell’omesso aggiornamento di scritture contabili invero istituite, il titolare dell’azione penale abbia inteso contestare un fatto riconducibile allo schema descritto nella seconda parte della norma incriminatrice evocata, i cui elementi costitutivi sono stati correttamente descritti nell’imputazione attraverso il richiamo delle connotazioni modali che ne caratterizzano il profilo.
M) In altre parole:
l’ “omessa tenuta” trasmuta in “tenuta”; ciò sarebbe traibile dalla intenzione (“abbia inteso”) del pm, che Cassazione, quindi, abilita alla formulazione mentale, intenzionale, dell’imputazione e, questa, ad avere la medesima consistenza!..

3.3 L’elemento soggettivo di tale ultima fattispecie è integrato, per il consolidato insegnamento di questa Corte, dal dolo generico, ossia dalla consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari “connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo come specifico (ex multis Sez. 5, n. 21872 del 25 marzo 2010, Laudiero, Rv. 247444).
N) Questo rilievo, per quanto (anche) sub C), non si attaglia affatto alla “omessa tenuta”. Mentre rispetto alla condotta di “tenuta” è corretto, per quanto (anche) sub A); tranne nel punto della potenzialità (“..potrà rendere impossibile”), anziché della attualità (“renderà o..”), dell’effetto della condotta, che è invece indisgiungibile a questa, come (e perché)=suo modo.

3.4 Conseguentemente la motivazione della sentenza deve ritenersi Inidonea a sostenere la decisione assunta, essendosi limitata a verificare l’insussistenza di un dolo specifico invero non necessario per la rilevanza penale del fatto come contestato, senza accertare invece l’eventuale configurabilità di quello generico rapportato alla condotta effettivamente imputata.
O)In altre parole:
il gup non avrebbe errato a collocare l’ “omessa tenuta” dell’art 217 comma 2 nel n.2 del comma 1 dell’art 216, e a conferire ad essa effetti (“in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”) che, dove abita, non conosce e che conosce solo dove è trasferita! Avrebbe errato, soltanto…, o a ritenere specifico un dolo generico!!…

4. Non di meno fondata è anche la seconda censura sollevata con il ricorso. Ed infatti una volta escluso il dolo specifico in capo all’imputato, ma comunque accertato che egli aveva omesso di tenere le scritture contabili obbligatorie (e in tal senso quantomeno il libro giornale) nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, il giudice avrebbe dovuto in ogni caso procedere alla riqualificazione del fatto contestato (rimasto immutato nella sua materialità) come bancarotta semplice documentale ex art. 217 comma 2 legge fall, e verificare se nella condotta del D. fossero rinvenibili quantomeno i sedimenti del dolo generico o della colpa sufficienti per l’integrazione di tale reato ed in caso positivo disporre il suo rinvio a giudizio. Verifica di cui non vi è nuovamente traccia alcuna nella motivazione resa dal G.u.p. di Roma.
P) Dunque Cassazione:
continuando a ritenere la “tenuta” “omessa tenuta”;
a ritenere che la prima stia nella disposizione della seconda (art 217..) e la seconda nella disposizione della prima (art 216…);
a ritenere le due equidicenti ed equivalenti, e che (quindi) le disposizioni relative siano fuse;
a ritenere inoltre la modificabilità del fatto dal gup senza impulso del pm ex art 423 cpp, forse ritenendo l’identità del fatto (anche per quanto appena osservato);Cassazione, dicevasi, trasgredendo lingua logica diritto sostanziale e processuale in misura così elevata, è tuttavia ancora lontana dal colmo:
l’equiparazione del dolo alla colpa, della ordinarietà, tacita, del primo alla straordinarietà, espressa, della seconda, sancite in art 42.1 cp.;
la diclamazione della colpa “sufficient(e) per la integrazione del reato”.
Senonchè, in base all’art 42 comma 2 del codice penale: (Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva). Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge: la punibilità a titolo di colpa di un delitto (come quello in esame) dovrebbe essere espressamente prevista, mentre non lo è affatto nell’art 217 comma 2 LF. Sia prima che dopo l’espianto e il trasloco! Sotto qualunque occhio umano!
In contrario Cassazione ha ritenuto (altrove, sent. n.10795/1986) che “previsione espressa” non significhi “previsione esplicita” (contraffacendo funzionalmente locuzioni dell’opera di Marcello Gallo sul Dolo, da Lui impiegate a tutt’altro proposito…), sicché potrebbe darsi una previsione implicita della colpa, desumibile per via di interpretazione sistematica, come appunto nel caso di bancarotta semplice documentale, argomentando a contrario dalla definizione come “dolosa” (che tuttavia essa, non la disposizione legale, enuncia!) della bancarotta fraudolenta documentale.
Ma con ciò attuando, di fatto, impianto della fattispecie colposa nella fattispecie dolosa in art 217 comma 2 LF (a bassa intensità sanzionatoria e quindi a bassa rumorosità della manipolazione); suo trasferimento (di soppiatto) nella fattispecie in art 216 comma 1 n. 2, ad alta intensità sanzionatoria. Suo uso contundente in ogni bancarotta fraudolenta documentale che non fosse preterintenzionale o “post(a) altrimenti a carico dell’agente” (art 42.2.3 cp). Nessuna ovviamente. In tutte quindi!
Ciò, per di più, nella più completa (e aliena) indifferenza al fatto che reato colposo e doloso siano puniti allo stesso modo (richiamato il gioco verbale “espresso esplicito ed implicito”: dato che il dolo è per principio “espresso implicito”-vd art 42.2 cp-, come differenziarne la colpa “espressa implicita”?)!!

5. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

Pietro Diaz con Iadera Manni

Verhofstadt costituzionalista?

Ha detto di Conte: “burattino guidato da Di Maio e da Salvini”.
E Conte (rispondendo che avrebbe “offeso non tanto sé quanto il popolo italiano”) finge di non capire, o forse effettivamente non capisce (con parte della comunicazione pubblica, invero) che, “burattino”, fu un tecnicismo volto alla denuncia politica della decapitazione del Consiglio dei ministri italiano per mezzo della assunzione della sua presidenza da due suoi vicepresidenti (i suddetti).
E che il pur pittoresco “burattino” non avrebbe potuto metaforizzare meglio la rimozione del presidente del Consiglio dei ministri dalla posizione di colui che “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo promuovendo e coordinando l’attività dei ministri “ (art 98 Costituzione).
E che, per ciò, sull’assetto del “suo” Governo aleggia lo spettro del duumvirato (d’altronde, son solo premurosi gregari o passionali fan, dei due vicepresidenti, gli altri ministri): la coppia di “magistrati” alla quale, nel periodo regio (e anche dopo), la Antica Roma ritenne di conferire posizioni oligocratiche (di potere di pochi su molti ) .
E pertanto Conte finge di non capire (o forse effettivamente non capisce) che, egli, non fa che tenere bordone (fin dalla “nomina” mattarellina, invero) ad un Governo che la Costituzione non riconosce come tale e che anzi rigetterebbe siccome illegittimo.

E Gasparri impasticca l’accusa su “Diciotti”….

  1. Se, per Gasparri, i fatti della Diciotti furono “parte di un tentativo strategico dell’Esecutivo di risolvere in maniera strutturale il problema dell’immigrazione irregolare”, egli pone Salvini nel solco, non tanto, del (comune) sequestro di persona in art 605 cp, quanto in quello, ben più incriminante, del sequestro di persona a scopo di coazione, in art 289 ter cp, per il quale:
    chiunque sequestra una persona, o la tiene in suo potere minacciando di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi a compiere qualsiasi atto o ad astenersene subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione, è punito con la reclusione da venticinque a trentanni.
    La disposizione parla da sola, non richiede commento. D’altronde narra fedelmente quanto ripetutamente sbandierato da Salvini come suo scopo nel corso della vicenda Diciotti (costringere l’ “Europa” alla suddivisione della ricezione dei migranti).
    E sbandierato più tardi da Conte, Di Maio e Toninelli, con le “memorie” indirizzate alla Giunta (delle quali forse si dirà in altra occasione). La disposizione, peraltro, è entrata in vigore “giusto in tempo”, sei mesi prima del caso Diciotti, con D.L.vo n 21 del 1 marzo 2018 (quattro giorni prima della nascita della genitrice parlamentare del potere gialloverde: habent sua sidera lites …). Per cui non pare servire “la causa” del diniego della autorizzazione a procedere, col su esposto rilievo, Gasparri.
  2. Gasparri inoltre auspica che “la Giunta proponga all’Assemblea il diniego della richiesta di autorizzazione a procedere” perché:
    a) sarebbe “Escluso il “movente” privato, nella attività incriminata di Salvini.
    Come se la esclusione di un movente escludesse l’attività (ed il suo stigma)!
    O come se il movente della discriminazione razziale o sociale, che esagita Salvini ogni istante ed in ogni espressione, non fosse “privato” (al pari di quello “patrimoniale” cui forse pensa, tanto riduttivamente quanto capziosamente , Gasparri, echeggiando la teoria gialloverde in proposito)!
    b) sarebbe escluso il “movente” politico-partitico”.
    Come se Salvini, oggi con altri ministri (i suddetti), non avesse insistentemente riferito la sua attività in Diciotti al “contratto di governo” per una campagna antimmigrazione. Cioè ad un accordo politico-partitico pienamente qualificativo del movente!
    Movente che peraltro, a sua volta, rende perfino soggettivamente politico” (art 8 cp) il delitto di sequestro (comune) di persona oggi davanti la Giunta.
    Ove, si intende, non lo converta, immergendovisi interamente, in delitto “oggettivamente politico”:
    quello di sequestro di persona a scopo di coazione in art 289 ter c (“delitto contro la personalità dello Stato”: Libro II Titolo I cp). evocato da Gasparri (sub 1)
    c) per Gasparri, rimarrebbe in piedi esclusivamente il “”movente” governativo, che ha ispirato l’azione del ministro Salvini e che è pertanto idoneo per il diniego dell’autorizzazione a procedere”:
    poiché esso avrebbe determinato la ” natura ministeriale dell’eventuale reato”.
    Come se la “natura ministeriale del reato” non si limitasse a conferire un privilegio funzionale (l’autorizzazione parlamentare a procedere necessaria al “ tribunale dei ministri”), in processo per il resto assolutamente comune per un delitto comune politicizzato dal movente.
    Come se, cioè, quella “natura”, potesse escludere il delitto!
    E come se, comunque, il “movente governativo” avesse che fare, pur minimamente, con i criteri della delibazione e decisione sulla richiesta di autorizzazione a procedere, imposti ineludibilmente dall’art 9 comma 3 Legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1:
    se l’accusato “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni di governo»!

TROVERANNO PORTO SICURO, AL SENATO, I TORMENTI DELLA DICIOTTI?

La richiesta di autorizzazione a procedere a giudizio per il delitto attribuito al Ministro M. Salvini, presentata dal Collegio di accusa (“tribunale dei Ministri” presso la Corte di Appello di Catania), sarà delibata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, e poi dalla Assemblea, del Senato della Repubblica, sulla base di due criteri:
se il Ministro “abbiaagitoper la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevanteo per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni di governo».
E’ dicibile che, col primo criterio si ricerca se un interesse dello Stato (costituzionalmente rilevante) sia stato tutelato mediante la esecuzione ministeriale del reato. Cioè se il ministro abbia difeso, col reato, quell’interesse. Con il secondo criterio si ricerca se l’esercizio ministeriale di funzioni di Governo, con la esecuzione del reato abbia perseguito un preminente interesse pubblico.
Inutile dipanare ora una terminologia tutta giuridica così complessa (fatta di parole “multiple”: che richiamano altre parole), anche perché la Giunta con le proprie conclusioni sulla richiesta di autorizzazione, e la Assemblea che ne deciderà, potrebbero farne uso solo parziale. Che quindi è opportuno attendere, per valutarlo ed eventualmente criticarlo.
Può comunque fin d’ora dirsi che i due organi dovranno motivare le conclusioni (pur se la Giunta potrebbe non presentarle alla Assemblea: art 135 bis co.3,6 Regolamento del Senato), sia per dare conto sociopolitico e giuridico, alla collettività, dell’uso del loro potere; sia per dare ad essa la possibilità, mediante la sua magistratura, di impugnare il diniego della autorizzazione scorrettamente motivato, mediante proposizione di conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato: la magistratura che intende giusdicere (dichiarare il diritto) sulla vicenda, il Senato della repubblica che intendesse impedirlo.
Quindi è opportuno attendere l’evoluzione del procedimento, della condotta dei due Organi, per stabilire che cosa sia da dirsi e da farsi.
Può inoltre già da ora dirsi che se si è chiesto di poter procedere sul ministro per “sequestro di persona aggravatoper avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità giunti al porto di Catania a bordo dell’unità navale di soccorso ”U.Diciotti” della Guardia Costiera italiana alle ore 23:49 del 20 agosto 2018″.“In particolare, il Senatore Matteo Salvini, nella sua qualità di Ministro, violando le Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione nazionali (Convenzione SAR, Risoluzione MSC167-78, Direttiva SOP009/15), non consentendo senza giustificato motivo al competente Dipartimento per le Libertà Civili per l’Immigrazione – costituente articolazione del ministero dell’Interno – di esitare tempestivamente la richiesta di POS (place of safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) alle ore 22:30 del 17 agosto 2018, bloccava la procedura di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale di questi ultimi, costretti a rimanere in condizioni psico-fisiche critiche a bordo della nave “U.Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania dalle ore 23:49 del 20 agosto e fino alla tarda serata del 25 agosto, momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Fatto aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età”. “L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito – sottolineano i giudici – costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica“.
Cioè per avere agito violando le norme di diritto legale e convenzionale (nazionale e internazionale) sopra indicate:
non sarà facile, per la Giunta e per la Assemblea, rinvenire, nella esecuzione del reato, la difesa di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, giacchè (a tenore della accusa) Salvini avrebbe lui clamorosamente offeso ogni interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, offendendo tutto il diritto istitutivo e protettivo d’esso.
Come non sarà facile, per le stesse, rivenire il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della attività di governo, avendo Salvini, per sua stessa dichiarazione (fra le tante), perseguito il rispetto del “contratto di governo” (a questo punto lecitamente dicibile, poiché formalmente accusato di delitto, pactum sceleris – accordo per commettere scelus, delitto-?). O perseguito l’adempimento del mandato conferitogli dal (suo) popolo (a questo punto lecitamente dicibile, poiché formalmente accusato di delitto, mandatum sceleris– mandato a commettere delitto-?). O perseguito il fine di “difesadei confini della patria”, tratto dalla enfatica formula dell’art 52 della Costituzione (che tuttavia non parla di “confini”), residuato bellico di un’ Italia non ancora europea, allorchè, de (o diversamente) sovranizzata (tecnicamente), da patriaè divenuta filia( e si è “sconfinata”…). E comunque, fine “di difesa dei confini…” non vedente che i 177 della Diciotti furono sequestrati, con l’equipaggio (e afflitti inenarrabilmente: l’accusa originariamente formulata dalla procura di Agrigento e poi rimasta nelle successive, è stata assai clemente col ministro…), a bordo di una nave della Guardia Costiera italiana, la U. Diciotti appunto, territorio dello Stato! Fine non vedente, cioè, che i 177 furono sequestrati entro i “confini della patria”!
Staremo quindi a seguire come evolveranno i ragionamenti e le determinazioni dei due Organi. Con attenzione, anche perché essi rifletteranno il rapporto ed il gioco di (pressochè) tutti i poteri dello Stato (Parlamento, Governo, Magistratura. Popolo) col Diritto (nazionalinternazionalsovrannazionaluniversale). E col Torto suo rovescio.
La prossima tappa sarà l’(annunciata) audizione di Salvini. Sentiremo. Ma prima d’essa, una (annunciata) “memoria” dei ministri Conte Di Maio Toninelli, sulla condivisione governativa della attività sotto accusa. Memoria tuttavia irrituale, come ha prontamente colto Gasparri stesso, il presidente della Giunta (e non il pur “avvocato del popolo” Conte), giacchè è procedimento a Salvini, quello in ballo, non ad altri (che tanto meno potrebbero testimoniare, seppure ventilato – non imprevedibilmente invero..- da Di Maio).
E irrituale anche perché, se memoria autoaccusatoria, confessoria, quella dei Tre, la direzione unica è verso la Procura di Catania…
Pietro Diaz