Archivio mensile:Luglio 2020

MA I CARABINIERI IN PIACENZA, (SE) RESPONSABILI GIURIDICAMENTE, LO SAREBBERO ANCHE ISTITUZIONALMENTE?

1. La domanda sul che fare “perché non riaccadano” i (mis)fatti della Caserma di Piacenza è divenuta popolare, anche a (opportuno) contenimento delle declamazioni di principio ( ad impronta fideistica, anziché strategica o pragmatica ): “io sto… io non sto.., con i Carabinieri”; etcetera. Mentre non è divenuta politica, né, tanto meno, istituzionale (delle istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte, o di quelle massime, riassuntive ). Il che mostra, detto incidentalmente, sensibilità popolare, anziché politica o istituzionale, agli affari sociali del rango di “affari di Stato” . E bisogno solo popolare di soluzioni. 2. La risposta alla domanda è tuttavia tenuta alla superficie di ciò che la ha suscitata, al mero manifestatosi, nella Caserma di Piacenza. Al più, al “ rivelatosi”. E perciò sciorina soluzioni del fenomeno, non delle cause: maggiore vigilanza interna, maggiore “ trasparenza”, “ immatricolazione” di ogni carabiniere sul campo perché sia eventualmente individuabile e denunciabile. E via congetturando se non fantasticando sul che fare, già metodologicamente. 2.1 Quindi va alla mente di pochi che essendo, l’accaduto, espressione di un potere (dell’uomo sull’uomo!) e del suo esercizio, alla domanda non c’è risposta ( plausibile strategicamente o pragmaticamente), che non parta dall’ essenza, del potere, dalla sua influenza sul titolare, dai fattori che lo compongano, dalla misura del loro effetto. 3. Ora, se l’essenza di un potere è quella (appunto) di potere alcunché, esso fa quel che gli è dato di fare. Se gli è dato di incriminare immobilizzare fermare arrestare, esseri umani, di perquisire e di sequestrare quanto abbiano, lo fa.E se gli è dato di delinquere formalmente (perché impunemente), con “agenti sotto copertura” (se non “provocatori” di reato) a scoprire rei (riassuntiva delle precedenti: L. 9 gennaio 2019, n. 3: “spazzacorrotti”), lo fa.
3.1 Ma se gli è dato di fare, gli è anche dato di strafare (ad esempio, che l’agente arrestatore si faccia sequestratore di persone; che quello “coperto” a scoprire spacciatori di droga (o di armi etc.) si faccia spacciatore…). Certo, oltrepassando limiti legali vocati al contenimento. Tuttavia, se il potere è diffuso (non c’e aggregato urbano che, per quanto minuto, non contenga caserme quanto parrocchie!), tanto da divenire individuale, personale, (e quindi) autoreferenziale, è illusorio ( e illusionistico) supporre che non ecceda.
Tanto più quando, il potere di matrice istituzionale generi potere extrastraistuzionale, sociale, sorretto a sua volta da ingordigie e cupidigie (vd i bagordi e le mostre di opulenze dentro e fuori la caserma, le lussurie delle sottomissioni d’esseri umani, le ebbrezze degli spacci di droghe e dei loro ricavi. Promananti, a loro volta, da deficit scolastici, culturali, da condizioni subculturali, tuttavia neanche lontanamente considerabili, tanto meno emendabili, all’atto delle investiture).
4.1 E l’insieme monta esponenzialmente, quando la diffusione soggettiva del potere sia abbinata a quella oggettiva, condizionale.
Quando, cioè, il potere di polizia giudiziaria ( di immobilizzazione di fermo di arresto, di delinquenza “sotto copertura” ….), anziché circoscritto ai casi di omicidio (di rapina di sequestro di persona, di stupro etc), materiali e offensivi quanto sporadici (e la cui entità, perciò, potrebbe tollerare il rischio dell’eccesso dal potere), sia esteso allo sconfinato “traffico della droga”.
Che ha la consistenza di un mercato nazionale e internazionale, anzi globale, perché animato da una incessante domanda di consumo, il quale inoltre, anche in quanto offensivo (se mai…) non d’altri che del consumatore, si convince della propria innocuità materiale, della propria innocenza giuridica, oltre che della intangibilità (liberale) della propria volontà. Al punto che, posta la richiesta, dai Comandi dei carabinieri (come da quelli di altre polizie giudiziarie!), di arresti (con promesse di “encomi solenni”!), non è impensabile che, la configurazione delle reità per droga sia stata finalizzata a realizzazioni pandemiche d’essi (e, ovviamente, al corrispondente incremento del potere dell’uomo sull’uomo).
5. In tale orizzonte, quella prole di popolo basso riscattantesi socialmente (talora solo ) indossando una divisa militare, è responsabile dell’eccesso dal suo potere? O lo è questo (stesso)? Questo ed il suo artefice sociopolitico e giuridico, l’istituzione, creativa e assegnativa d’esso benché non ritraibile dall’eccesso ?
6. A ben vedere, quindi, la questione basale, non superficiale, è quella del Potere. Della sua escogitazione dimensione assegnazione giuspolitiche, e delle conseguenze. Anche perché, naturalmente generativo di sudditanze, è in rapporto a queste che si agitano le lotte per l’acquisizione di prerogative giuridiche che ne riscattino il popolo: i “diritti soggettivi”, personali e reali, sostanziali processuali e così via.
6.1 In materia la vicenda piacentina è particolarmente istruttiva.Gli arresti di polizia, mentre eludono la “riserva di giurisdizione” (perché l’evoluzione storica dei doveri- e relativi diritti- di “habeas corpus” ha voluto che ad arrestare fosse il giudice), fanno irruzione nella presunzione di innocenza (in verità, insieme agli arresti del giudice) e la devastano. Lo hanno fatto tanto compulsivamente da divenire endemici: i carabinieri della caserma in parola arrestavano illegalmente tanto quanto “legalmente”.
6.2 Ebbene, ciò non sarebbe accaduto se la Costituzione, che lo ha permesso, lo avesse vietato. Certo, lo ha permesso in via di eccezione, “in casi straordinari di necessità di urgenza indicati tassativamente dalla legge ” (art 13). Ma, insufficientemente “antifascista, dismessa la capacità politica di prevedere – pur bastando una semplice riflessione storica sul potere di polizia (che è potere militare, particolarmente quello dei carabinieri, oggi “Forza armata e forza militare di polizia a competenza generale” !), che l’eccezionale sarebbe divenuto regolare (regolare potere di angariare e di angosciare i sudditi).
7. D’altronde, altrettale dismissione di capacità politica di previsione ha indotto la Costituzione a permettere anziché vietare la decretazione governativa nei “casi straordinari di necessità e di urgenza” (art 77). E a far sì che, questo potere eccezionale, conducesse il decretante a destituire il Parlamento dalla sovranità legislativa.
8. In entrambi i casi, sostanzialmente avvicinandosi al suicidio (non solo politico) , insieme al suo popolo.
pietro diaz

MA LA SENTENZA BERLUSCONI NON E’ CHE L’ENNESIMA, IN CASSAZIONE PENALE ANTIPRESCRIZIONE

La corrispondenza al vero del contenuto della conversazione del giudice A. Franco con S. Berlusconi – assertiva dell’abuso decisorio in danno del secondo-, (almeno) in un paio di punti è supponibile:

1. il punto della imminenza della prescrizione del reato per decorso del tempo (pur se, come qualcuno ha insinuato, il suo calcolo fosse stato distorto per simularla);

1.1 il punto della corsa alla prevenzione della prescrizione, dapprima mediante accelerazione del deposito della sentenza di appello e quindi del termine per la proposizione di questo. Indi mediante accelerazione, in Cassazione, della udienza di trattazione (fino a mobilitare una Sezione feriale), prossima al giorno della prescrizione (punto tanto più eloquente ove l’imminenza della prescrizione fosse stata simulata, come cennato) .

1.2 Ma se tali punti sono certi (d’altronde, è stata la ANM, l’altro ieri entrando nella disputa sulla conversazione suddetta, ad evocare l’imminenza della prescrizione per giustificare l’intervento della Sezione feriale!), da essi è possibile trarre una più estesa corrispondenza al vero della conversazione, impiegando (quale “massima di esperienza” deduttiva) una prassi di Cassazione penale giudicante.

1.3 Che da più di trent’anni oramai, è divenuta nemica delle norme estintive o attenuative o scusanti dei reati, amica delle norme conservative o aggravative o inescusanti dei reati ( nemica ed amica, si noti, incondizionatamente. Perché altrettale, simmetricamente, rispetto alle funzioni difensiva e assolutoria, accusatoria e condannatoria). Ciò per involuzione culturale indotta da connivenza cointeressenza convivenza (date a loro volta, è ritenibile, anche dalla mancata “separazione delle carriere…”) con la sua componente requirente (la procura generale presso la stessa, sintetizzante, oltre che ispirante, le procure di ogni grado del territorio nazionale)-
Prassi che, in materia di prescrizione del reato, ha escogitato due mosse.

2. La prima.

Quando la prescrizione si affacci dopo il ricorso per Cassazione, il tracciato verso la prevenzione è quello esemplificato dal caso Berlusconi (sub 1.1.). Essa è attuata mediante accelerazione della udienza di trattazione che preceda o coincida il giorno della prescrizione (se non anche, come nel caso citato, mediante tutioristica accelerazione del deposito della sentenza di appello e quindi del termine per la proposizione di questo). Indi mediante rigetto ( talvolta anche mediante declaratoria di inammissibilità) del ricorso. La cui decisione, finalizzata come è, macroscopicamente, alla prevenzione suddetta, raramente è (supponibile) vogliosa di approfondimento fattuale e giuridico.

2.1 E’ quindi paradossale la sopra cennata evocazione , da ANM, dell’imminenza della prescrizione a spiegazione della trattazione feriale del ricorso. Perché proprio tale imminenza giustifica la supposizione della strumentalità del rigetto!

2.2 E nello stesso grado è paradossale il rilievo, fatto da taluno su una rivista (recentemente evocata), per cui sarebbero fissate le udienze in prossimità della prescrizione per dare la possibilità, tanto all’accusa di ottenere la (conferma della) condanna quanto all’accusato di ottenere l’assoluzione. Paradossale anzitutto alla luce del rapporto numerico delle condanne alle assoluzioni!!! Poi alla luce delle norme processuali: che (contrariamente al rilievo) permettono l’assoluzione anche a prescrizione compiuta (art 129.2 cpp)!!

3. La seconda.

Data la norma processuale di cui all’ art 129 cpp, per la quale la prescrizione del reato, compiuta, va dichiarata in ogni stato e grado del procedimento ( e quindi anche in ogni momento della trattazione del ricorso per cassazione), la Cassazione la ha disattivata . Con l’accorgimento della (dichiarazione di) inammissibilità dei ricorsi, fatta retroagire anteriormente al giorno della prescrizione (così, lì fermato il processo, è paralizzata la norma).
E, ovviamente, anteponendo le condizioni della inammissibilità dei ricorsi.
Come?
Per lo più affermando la corrispondenza (ad avviso della prassi!!!) dei (motivi dei) ricorsi alle condizioni ( della inammissibilità) previste in art. 606. 3 cpp..

3.2 Questa seconda mossa è stata preordinata e organizzata istituendo la Sezione Settima di Cassazione penale, destinata esclusivamente alla ricezione delle richieste procuratorie di (declaratoria di) inammissibilità dei ricorsi e alla presa d’atto d’esse.

4. Le due mosse han generato serialità che han riempito di condannati il popolo italiano (in suo nome!), falcidiando incensurati e innocenti ( quali sarebbero stati gli accusati “prescritti”).

4.1 Tutto, si intende, autocraticamente (cioè indipendentemente dalla, se non contro o fuori la, legge penale) escogitato.
E sulla scorta di “principi di diritto” altrettanto autocratici (non rinvenibili in legge ma solo in Corte!)

5. Ma tornando alla (possibilità della corrispondenza al vero della) conversazione in avvio.

Basta l’uso deduttivo dei punti sub 1. 1.1, della prassi sub 1.3 , dello schema d’azione sub 2. per desumere la strumentalità del rigetto.
Questa, quindi, non abbisogna, per sostenersi, neppure del richiamo della recente sentenza (Agrama Berlusconi) del tribunale civile di Milano, che ha detto insussistenti gli illeciti ritenuti dal rigetto.

E nemmeno della “contrizione” del giudice Franco (peraltro “tentata” qualche tempo prima con l’allora consigliere del pdr Napolitano e, antea, “primo presidente” della Corte di Cassazione, E. Lupo: secondo quanto egli stesso ha ultimamente riferito!).
E nemmeno della aberrante (liturgicamente) anticipazione della motivazione (del rigetto) non ancora redatta (né ovviamente depositata), ad un giornalista de IL Mattino, dal presidente del Collegio A. Esposito (se ben si ricorda, il giorno seguente la sentenza), in un misto linguistico (secondo la registrazione fonica) italo-napoletano (nel quale invero è dubbiamente traducibile il diritto penale italiano correttamene parlato!).
Anticipazione che oggi, alla luce della (da lui A. Franco asserita) volontà di non sottoscrivere la sentenza (volontà rientrata dopo i “richiami al dovere” del presidente) assume l’aria della induzione all’adempimento, quasi una precostituzione (pubblica) del suo contenuto, per spingere ad esso.

6. Dunque disapprovabile la conversazione Franco-Berlusconi?
Se mai la prassi su esposta.

Che nel caso giudiziario di specie, (peraltro) parificato ad ogni altro, ha, di proprio, registrato l’estrinsecazione del moto interiore di un giudice, verosimilmente per la non comune dimensione sociopolitica del condannato, e degli effetti al seguito.

Ma anche, non è da escludere, a simbolo della critica generale di quella prassi.
pietro diaz