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SARPIETRO NUNZIO, GIUDICE A CATANIA


Colui che ha sentenziato “non luogo a procedere” contro Salvini Matteo ex art 425 cpp.
Che, quindi, sia chiaro, non ha “assolto” (tanto meno) definitivamente, l’ex ministro dell’Interno dall’accusa di sequestro di persone (tanto che la sentenza è impugnabile, ed è perfino revocabile per sopravvenienze probatorie!!). Di sequestro di centoventuno persone trattenute fuori porto per alcuni giorni (su nave, Gregoretti, schermata perché non si curiosasse dentro), mentre donne fuggite da stupri di massa. emettevano vane invocazioni di aiuto, E mentre piovevamo denunce del Garante delle persone ristrette.

E colui che, dopo la lettura della sentenza ancora priva di formale motivazione (!), si è affabilmente intrattenuto con i media per anticiparla (fece altrettanto, con un giornalista, tale Esposito Antonio presidente di sezione di Cassazione, il giorno dopo la sentenza che aveva condannato Berlusconi per evasione fiscale!)!

E anticipando narra (con parole sue, qui ricomposte) :

1.Se non avessi prosciolto e avessi disposto il rinvio a giudizio avrei coinvolto Conte e Toninelli (allora, 2019 primo ministro e ministro insieme a Salvini). Dunque il reato c’era ( o c’era di che coinvolgere) e i due vi erano coinvolti?E quando altri, oltre che colui che è processato, siano coinvolti, si proscioglie (di fatto questi ed inoltre) il processato? (!!)

2. Il ricollocamento dei migranti nei vari Stati europei era il fine perseguito dal loro fermo fuori porto. Ma se il fermo-sequestro avesse avuto questo fine, non avrebbe dovuto, il giudice, costatare il ben più grave reato di “sequestro di persona a scopo di coazione “ (di Stati, organizzazioni internazionali tra più governi…: artt 289 ter cp)? E chiedere al pubblico ministero che lo cointestasse all’imputato?

3. Non è stata violato il diritto internazionale. Ma se il rispetto (ammesso, non concesso!) del diritto internazionale avrebbe giustificato il fatto (di reato); sarebbe cioè funto da “scriminante”; poiché la scriminante implica immancabilmente la sussistenza del fatto (di reato): come è che Salvini è stato prosciolto “perché il fatto non sussiste” (anziché, perché non punibile o non costituisce reato)?

4. Un regolamento ministeriale approvato nel 2019 (da Conte Salvini Toninelli?!!) “consentiva di tenere a bordo le persone”. Ma a parte che esso, funzionando da scriminante (come sopra) , suscita il medesimo interrogativo sulla insussistenza del fatto: una norma secondaria , quale è il regolamento, può derogare alla norma primaria del divieto di sequestro di persona?

5. Ovviamente, le ora espresse sono anticipazioni su anticipazioni, e, responsabilmente, è opportuno attendere il deposito della motivazione della sentenza per saperne e dirne di piu (saper anche se gli argomenti del giudice siano stati quelli della difesa…!!) .
5.1 Una previsione, tuttavia, è azzardabile, alla luce del modo del compimento di un atto processuale:Conte tirato in ballo da Salvini (e dal suo difensore), cioè indiziato di reato inaudibile come testimone (art. 63 cpp), è stato audito come tale!Dal giudice (in trasferta a Palazzo Chigi) il quale, dopo l’audizione, intrattenendosi affabilmente con i media ha concesso: mi ha fatto un ottima impressione….! Il governo è da lui ben rappresentato…!
pietro diaz

ALBERTO CRESPI IN CARCERE

Regista di film in difesa di detenuti derelitti relegati reietti sventurati sciagurati azzerati – “Spes contra spem” (il suo titolo più noto), significante (paolinamente e, poi, pannellianamente): essi siano, piuttosto che abbiano, speranza-, è stato interrato (vivo) ad Opera (Milano), in esecuzione di pena di oltre sei anni di reclusione.
Condannato da Cassazione penale – da “giudice di legittimità”, guardiano della applicazione (propria e altrui) delle leggi della repubblica-, per reato di “concorso esterno in associazione di tipo mafioso” (avrebbe procurato voti politici ad uno sconosciuto mobilitando sconosciuti!).
Non (nemmeno!) un “reato associativo”- formato (esclusivamente!) di insiemi di persone, di persone associate che pensano malaffari, un reato di pensiero malo collettivo (!)- , ma un “reato di contiguità”, all’or detto, secondo neologismo che ha tentato di camuffare l’aborto logico (della contraddizione in termini) del “concorso esterno” di una persona ad un reato.
Ha cioè tentato di dissimulare il collasso della mente compositiva, che la regola (millenaria) del concorso di persone nel reato – le quali, commettendolo, non potrebbero che farlo dal di dentro, non dal di fuori (in corcorso interno, mai esterno!-, mai avrebbe (neppure) ipotizzato, Condannato da Cassazione, quindi, Crespi, per un reato non solo nominalmente assurdo (oltre che, fattualmente, pericolosamente aperto a qualunque scorribanda identificatoria, e, pertanto, inquisitoria), ma inesistente; e per conseguenza, condannato ad una pena inesistente (poiché, se non c’e reato non c’è pena, sua inseparabile appendice), nella legge penale vigente!.
Condannato perciò fuori, contro, senza, la legge, quindi, in (mortale) affronto al “principio di legalità del reato e della pena” (art 1 codice penale: se chiunque o qualcuno del popolo debba penare per reato, lo stabilisce il Popolo, in Parlamento con propria legge, non altri, non Cassazione con propria sentenza !).
Condannato quindi illegalmente, dinanzi alla legge comune, e, di più, alla legge costituzionale. La quale ultima, (anche) per impedire alla prima (che potè farlo nell’ “Era Fascista”) di annullare (perchè di pari forza e grado) il principio in art 1. cit., , la sollevò (1948) al proprio rango, imponendole irrevocabilmente di vietare, a chiunque, di punire per reato senza che una legge lo prevedesse.
Condannato quindi, Crespi, con illegalità non solo comune ma anche costituzionale, a supremo spregio della norma fondamentale della repubblica!
Ma la vicissitudine sua, e del diritto (e della scienza) penale, e dello “Stato di diritto” è ben lungi dal finire qui.
Cassazione (oramaI) condanna per “concorso esterno” a “reato associativo” dall’anno 1994 (circa) –d’altronde, che il reato non esista se non nei suoi Massimari (a malgrado delle sedute medianiche -evocative- tenute da legulei facinorosi), lo ha detto a chiare lettere la CEDU (corte europea diritti uomo) che ha disposto riabilitazioni e risarcimenti di condannati per “fatti” (di “concorso esterno”) precedenti il 1994, poiché non previsti (non solo dalla legge ma nemmeno) dalla giurisprudenza italiana prima di quell’anno!-.
Sono quindi centinaia (se non migliaia) gli innocenti, intangibili, inviolabili per legge, tuttavia interrati nelle carceri, avulsi dai contesti esistenziali e sociali, espulsi dalla convivenza civile, disfatti, annichiliti.
E con loro i vicini, congiunti o no.
E son 26 anni che le istituzioni contigue (Militari o di Polizia o di Media) vi partecipano; che altre istituzioni guardano a ciò insensibili.
E che una istituzione sopratutte, dovendo vietarlo, lo permette. Il Parlamento, facitore del diritto, custode d’esso (mallevadore della separazione dei Poteri: Cassazione legislatrice?! ), il quale, ben conscio della sottomissione di sé medesimo al “principio di legalità penale” – quando voglia punire reati, deve farlo con legge -, conscio quindi della irrinunciabilità che alcuno punisca se non per legge, non potrebbe ammettere che alcuno (financo, come Cassazione, assolutamente privo del potere di legiferare), si ribelli al principio, lo sovverta, e facendo legge e giustizia da sé, imperversi nell’ordinamento giuridico nazionale.
Al suddetto Parlamento, peraltro, basterebbe poco per vietarlo:
l’emissione di due righe di “legge di interpretazione autentica” che (all’incirca) suoni: il reato associativo non puoi fertilizzarlo col reato concorsuale; gli articoli 110 e 416 bis cp (a altri simili), oggi connubenti, divorzino!.
Ma se continuerà nell’inerzia, dovrà confessare che la sovranità non appartiene al popolo e per esso al Parlamento, essa appartiene a Cassazione…
pietro diaz

Mattarella: “L’avvocatura ha un ruolo insostituibile”

Il messaggio del presidente della Repubblica in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf. È un «ruolo insostituibile» quello dell’avvocatura nella «elaborazione della cultura giuridica» delPaese, e ciò «impone che l’attività forense sia esercitata conautonomia e professionalità». Lo scrive il presidente dellaRepubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato al Consiglionazionale forense, letto dal presidente del Cnf Andrea Mascherinin apertura della cerimonia per l’anno giudiziario forense. «Atal fine si rivela centrale la cura della formazionecontinuativa – si legge ancora nel messaggio – e l’impegno peril rigoroso rispetto delle regole deontologiche». Il Capo delloStato ricorda quindi come nel 2018 e ancora nei primi mesi diquest’anno siano stati approvati «importanti provvedimentilegislativi» per l’attuazione dei quali «si rivela fondamentaleil contributo della classe forense».

Il messaggio integrale del presidente della Repubblica

«In occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, mi è gradito far giungere a lei, illustre Presidente, ai componenti appena eletti del Consiglio Nazionale Forense e a tutti gli intervenuti il mio cordiale saluto. Il 2018, così come i primi mesi dell’anno in corso, sono stati segnati dall’approvazione di importanti provvedimenti legislativi, per l’attuazione dei quali si rivela fondamentale il contributo della classe forense. Il ruolo insostituibile, che essa svolge nella elaborazione della cultura giuridica del Paese, impone che l’attività forense sia esercitata con autonomia e professionalità. A tal fine si rivela centrale la cura per la formazione continuativa e l’impegno per il rigoroso rispetto delle regole deontologiche, che il Consiglio ha da sempre assicurato. Il tema scelto per l’odierna tavola rotonda dimostra la rinnovata consapevolezza in ordine alla funzione, anche sociale dell’avvocatura, chiamata a promuovere la tutela dei diritti fondamentali della persona in una società in dinamico mutamento. Con questo spirito, rinnovo il mio fervido augurio di buon lavoro».

Commento:

Per il Presidente della Repubblica, quello della avvocatura sarebbe un “ruolo insostituibile, che essa svolge nella elaborazione della cultura giuridica del Paese”. Soltanto? Possibile che ignori: che se spetta alla Procura della Repubblica l’azione penale generale, spetta alla avvocatura l’azione civile generale. E che ad essa spetta inoltre: -l’azione amministrativa generale contro l’illegittimita dell’esercizio del potere amministrativo; -l’azione tributaria generale contro l’illegittimità dell’esercizio del potere tributario; la “giurisprudenza” (l’impiego del sapere giuridico a prevenzione e soluzione della controversie sociali) stragiudiziaria. E spetta infine la resistenza alla sostituzione del potere legislativo, del potere esecutivo, o alla disapplicazione sistematica dei prodotti normativi di quei poteri; spetta insomma la resistenza alla più penetrante offesa allo Stato di diritto: dalla magistratura (in prevalenza) penale? Per di più irresponsabilizzabile giuridicamente? Possibile che ignori tutto ciò, il PdR? E quindi che abbia minima idea della dimensione del “ruolo” sociopolitico della avvocatura; e quindi, di riflesso e correlativamente, di quello della magistratura?

Pietro Diaz

MATTARELLA E LA LEGITTIMA DIFESA OMICIDIARIA .…

1.Per art 74 della Costituzione, il PdR (presidente della repubblica) che ravvisi la illegittimità di una legge parlamentare al momento della sua promulgazione, la rinvia alle Camere – con messaggio motivato- per una nuova deliberazione.
La disposizione è chiara sul da farsi, sebbene non lo sia sui presupposti.
Presupposti che Mattarella (in alcuni precedenti obiter dicta: rilievi incidentali, di passaggio) ha indicato nella “manifesta incostituzionalità” della legge. Che altri PdR hanno dilatato (o non ne hanno parlato) . E che Cossiga PdR ha esteso fino alla tutela di “altri interessi e valori costituzionali quali.. coerenza e correttezza istituzionale…con particolare riguardo all’attuazione della Costituzione”.
E difatti rinviò leggi in fase di promulgazione 22 volte, a differenza degli altri PdR, il più attivo dei quali, sei volte.
1.1 Il rinvio d’altronde è obbligatorio se la illegittimità della legge potrebbe attentare alla Costituzione (il delitto in art 90 cost.); ciò che il PdR non potrebbe permettere senza andare sotto processo (messo in stato di accusa dal Parlamento e giudicato dalla Corte Costituzionale integrata da non togati: artt. 90, 135 cost..).
Ed è tanto obbligatorio da escludere che possa avvenire una sola volta -art 74 cit.2-, come pure la disposizione sembra dire. Giacchè il rinvio è dovuto quante volte la legge attenti alla Costituzione. E se al limite dell’attentato le posizioni della parti (PdR e Camere) si irrigidissero, una delle due potrebbe sollevare “conflitto di attribuzione” davanti la Corte Costituzionale (art 134 cost.).
1.2 Orbene, è andata a promulgazione dal PdR la legge gialloverde sulla “legittima difesa”, la quale al ladruncolo domiciliare nega il diritto alla vita o alla incolumità personale, beni (naturalistici e giuridici) tra i più protetti dalla Costituzione, che solo una legge costituzionale (art 138 cost), non ordinaria (art 73 cost.) come la suddetta, potrebbe intaccare (anzi nemmeno essa, essendo beni protetti anche da Carte internazionali e sovranazionali cui la Costituzione non potrebbe derogare).
Glieli nega opponendo il diritto alla integrità del patrimonio privato (pur se bene assolutamente sottovalente in Costituzione: art 42), e anzi, addirittura, opponendo la immunità del domicilio da intrusioni solo tentate.
Inoltre, glie li nega senza processo pubblico, ma solo individuale, privato, che lì per lì celebri il titolare del domicilio.
Cioè, glie li nega non in “riserva di giurisdizione” (costituzionalmente imposta): funzione dello Stato che in pubblico processo e nel contraddittorio delle parti interessate dà o toglie un diritto (si noti peraltro che nemmeno questo processo potrebbe togliere il diritto la vita perché vietato dalla Costituzione: art 27; e nemmeno l’incolumità personale perché vietato dal diritto penale generale).
E glie li nega non in “riserva di legge”, perché manca nella legge sulla legittima difesa ogni indicazione casistica dell’esercizio del diritto d’uccidere o menomare l’altrui incolumità. Per per cui esso è rimesso al titolare del domicilio, alla sua legge…!
Insomma nega quei diritti opponendogli quello di “ritorsione” o “rappresaglia” o “vendetta”- avverso l’offesa anche minima solo minacciata o rientrata o consumata (in un furto del ladro in fuga, ad esempio) -, arcaici istituti giuridici (variamente sparsi nel continente europeo), i quali peraltro, al tempo loro, sebbene istituti di offesa corrispettiva (come è, dopotutto, quello della legge in questione) non di difesa, seguivano assai più i principii di proporzione e di necessità.
1.3 Ma non si ferma qui la illegittimità della legge.
Perché essa nega non soltanto quei diritti, ma anche il diritto alla risarcibilità della loro perdita, a chi li avesse persi o ai loro eredi (coniuge figli fratelli nipoti…).
Ciò per “intentio legis” (la intenzione non scritta ma esternata dal legislatore mentre approva la legge, e apparsa chiaramente a chi avesse seguito il dibattito parlamentare), sebbene discutibile in sede di interpretazione applicativa (ma per argomenti e ragioni che qui è impossibile anche solo cennare).
Diritto al risarcimento del danno -patrimoniale morale etc- purtuttavia protetto tanto quanto i correlativi, in Costituzione (artt 24 113 Cost.). E la cui negazione, quindi, attenta parimenti ad essa.
In altre parole, la legge andante a promulgazione non avrebbe potuto attentare di più alla Costituzione della Repubblica, essere più conforme ad istituti arcaici, più premoderna, atavica, regressiva.
2.E tuttavia il PdR non la ha rinviata a chi glie l’aveva trasmessa. Non le ha impedito la elisione, per mano privata, del diritto alla vita o alla incolumità personali (diritti naturali, umani prima che costituzionali, della persona).
E, mimeticamente, ha disciolto un pò di inezie pseudogiuridiche, per di più in gran parte non attinenti alla legittima difesa ma ad altro della legge in questione (la parte relativa agli aumenti di pena per alcuni reati).
Ad esempio:
– la sospensione condizionale della pena (a seguito di comportamento risarcitorio) concedibile al ladro dovrebbe esserlo anche al rapinatore (al Pdr è sfuggito che il livello sanzionatorio minimo della rapina aggravata mai potrebbe scendere, e assai imperviamente lo farebbe quello della rapina semplice, a quello sospendibile!);
-il “grave turbamento” (psichico) inducente alla uccisione o al ferimento dell’intruso sia “oggettivo”, ha raccomandato il PdR (intendeva  dire oggettivabile, nel senso di provabile, non potendo essere che soggettiva, in sé, una turba psichica…?);
– “Va preliminarmente sottolineato che la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia”. Certo, ma  l’autodifesa privata sopravvisse storicamente alla assunzione, dagli Stati, della difesa del privato, proprio per la sua urgenza, indifferibilità, cui lo Stato non potrebbe accudire…!
E discioltele in un “messaggio” indirizzato al presidente del consiglio dei ministri e ai presidenti delle Camere:
sebbene inconferenti, non solo perché inezie, ma perchè prive di valore o di forza di legge, di normatività;
e sebbene il “messaggio”, per art 74 cit., accompagni il rinvio della legge, non la sua promulgazione (peraltro, è discusso fra i costituzionalisti se altri messaggi, a parte quelli in art. 87.2 cost. – i “messaggi alle Camere” del Pdr quale rappresentante dell’unità nazionale-, a malgrado delle loro prassi, siano legittimi).
Discioltele, dicevasi, ha promulgato siffatta legge…
Pietro Diaz

Un caso di calunnia per minaccia

PROVA DIRETTA E CONTRARIA IN MATERIA DI CALUNNIA, LORO OGGETTI, ONERI, STANDARD. RISULTATI DI PROVA. TRAVISAMENTI FRAINTENDIMENTI AGGIRAMENTI INADEGUATEZZE DELLA GIURISPRUDENZA.

Da una memoria ex art 121 cpp a sostegno di un atto di appello

1. L’oggetto della prova diretta.
Se il fatto di calunnia (verbale) consiste della incolpazione di alcuno di un reato di cui egli sia “innocente”,  l’oggetto della prova diretta (accusatoria e condannatoria) è:
la insussistenza del fatto, oppure
la non commissione del fatto dall’incolpato, oppure
la non costituzione di reato dal fatto (per le ragioni e oggettive e soggettive che la formula implica), oppure
l’accompagnamento del fatto da circostanze di esclusione della pena (oggettive o soggettive).
Mentre va esclusa, dall’oggetto in questione, la conformità del fatto incolpato ad una previsione di legge incriminatrice, giacchè in questo caso l’incolpazione innescherebbe un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto (art 49.2 cp).
(Ovviamente è oggetto della prova diretta anche) il mezzo della incolpazione, la denunzia, la querela, la richiesta, l’istanza, anche esso elemento costitutivo del (la condotta del) reato.
2. L’oggetto della prova contraria diretta
Esso corrisponde a quello sopra esposto, invertito ovviamente (fatto sussiste, l’incolpato lo ha commesso, il fatto costituisce reato, il fatto non è stato accompagnato da circostanze oggettive o soggettive di esclusione della pena; l’incolpazione non è avvenuta mediante presentazione di denunzia, querela,  richiesta, istanza).
3. Il grado della prova diretta in genere e in specie
La prova diretta accusatoria è  condannatoria ex 533 cpp quando, in sé o per interazione della prova contraria,  ex art 530.1 cpp, non evidenzi  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria  sub 2;  o  non evidenzi, ex art. 530.2 cpp, che è mancante o è insufficiente o è contraddittoria rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto della prova diretta sub 1. E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione basasse l’accusa di calunnia), è condannatoria solo se essa le escluda, giacchè negli altri due casi di prova diretta insufficiente o contraddittoria, varrebbe la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).
E secondo la terminologia in art 533 cpp novellato (art 5 L.46/2006), quando evidenzi che, rispetto all’oggetto della prova diretta sub 1, sia andata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. In proposito va tuttavia notato che il grado, della prova diretta, risultante dalla dicitura della novella, in effetti è inferiore al grado segnato dalla prova diretta in art 530.2. nelle due ipotesi della prova insufficiente o contraddittoria. Giacchè questa potrebbe aversi anche nel dubbio irragionevole (“irragionevolezza” del dubbio è scientificità della insufficienza o della contraddittorietà della prova, quando la ragione scientifica sormonti la ragionevolezza comune o parascientifica, sono compatibili).
3.1  Il grado della prova contraria in genere e in specie
La prova contraria difensiva è assolutoria ex art 530 cpp quando evidenzi ex art 530.1 cit  le varie ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (o che questa non è andata “al di là di ogni ragionevole dubbio” ex art 533 cpp,  rispetto alle varie ipotesi dell’oggetto di questa sub 1..
E quanto all’accompagnamento del  fatto da circostanze di esclusione della pena (la cui negazione  basasse l’accusa di calunnia), quando evidenzi ex art 530.1 cit  la relativa ipotesi dell’oggetto della prova contraria sub 2; o evidenzi sulla stessa l’insufficienza o la contraddittorietà della prova diretta (valendo la regola di giudizio in art. 530.3 cpp, per la quale le circostanze di esclusione della pena  si suppongono quando siano incerte).
4. L’onere della prova  diretta ed il suo oggetto in specie
Onerato della prova dell’oggetto sub 1,  e in particolare di quello sopra indicato,  è l’organo pubblico e quello privato dell’accusa. Quando l’onere non sia eseguito, opera la regola  di giudizio in art 530.2 cit. Quando sia eseguito, nel grado della  prova diretta oltre quello delle due ipotesi della sua insufficienza o contraddittorietà, o, almeno, nel grado “al di là di ogni ragionevole dubbio” in art 533 cpp, opera la regola di giudizio qui prevista.
Oggetto della prova diretta di specie era la insussistenza del fatto incolpato e che la incolpazione costituisce reato):
Ciò premesso:
4.1 Nella specie hanno agito sia la prova diretta (di genere personale orale: testimoni) ad opera del suo onerato, sia la prova contraria (di genere personale orale; esame dell’imputato) ad opera del suo onerato, sia la prova “terza”, “del giudice” ad opera di una perizia che ha enucleato il contenuto di un documento sonoro rappresentativo degli elementi della situazione fattuale.
Premesso inoltre
4.2 Che la prova (personale orale) testimoniale è rappresentativa (all’opposto  di quanto profilato in art 530.2 cit. rispetto alle due ipotesi  sopra indicate della insufficienza e della contraddittorietà della prova) in modo certo, “oltre ogni ragionevole dubbio”,  di ognuno dei profili dell’oggetto della prova diretta sopra esposto. Cioè essa immediatamente, senza necessità di mediazione logica, nel suo “risultato di prova” (artt 192.1, 546.1 e) cpp1), esprime il fatto di cui sia chiamata a dire. La prova testimoniale d’altronde è detta “storica” perchè istoria, raffigura “iconicamente” il suo oggetto. E in ciò differisce dalla prova “logica”, che porta all’oggetto, al  fatto di cui sia chiamata a dire, al proprio “risultato, compiendo una  desunzione logica (art. 192.2 cpp) da una premessa minore attraverso l’applicazione ad essa di una premessa maggiore.
Tutto ciò premesso
5.Le prove dirette  testimoniali di specie:
5.1 D. nelle pagine 19 e 20 del verbale di udienza (Vds. All. 1 l_pagg. 19 e 20 verbale udienza…), alla domanda del P.M. “Lei si ricorda queste frasi che le disse la B per chiederle di fare allontanare il signor A, c’era un tono minaccioso?’\  risponde: “Non ricordo”: alla domanda del P.M, “Ricorda se ha fatto riferimento ad armi?”,  risponde “Non me lo ricordo”, prosegue il P.M. “Cioè se il fatto che avesse armi in casa potesse essere collegato…” risponde “Non me lo ricordo perché c’era molto trambusto, molte persone che parlavano accavallare l’una all’altra”. chiede il P.M. “Non si ricorda che cosa gli ha detto o esclude che possa aver fatto riferimento ad armi?”, i risponde “‘Non mi ricordo cos’ha detto e neanche se abbia fatto riferimento ad armi“: il P.M. prosegue facendo presente al D quanto dallo stesso affermato in sede di sommarie informazioni “Le venne chiesto: Invitava il signor A. ad andare vìa e chiedeva agli agenti di Polizia l’allontanamento dello stesso perché vi erano armi in casa? Lei risponde: Non  ricordo nulla dì tutto ciò e ripeto che la signora fin dalle prime fasi si era dimostrata collaborativa. Non ricorda cosa gli ha detto la signora o non ricorda che sì fosse parlato dì armi?”, il teste risponde ‘Non ricordo innanzitutto le frasi esatte della signora B, ma anche questa storia delle armi non me la ricordo (osserva l’appellante: Sì tratta dì una. serie: di “non ricordo” pronunciati dal testimone D, ben sei….perciò: non è chiaro sulla base di quale logica, il primo giudice affermi che’ dalla stessa,, emerge che la frase incriminata non è stata pronunciata : pag. 6 sentenza, appellata).
Ora
Se il testimone non ricorda il fatto per cui è interpellato non ne dice. Se non ne dice non lo rappresenta. Se non lo rappresenta egli non esplica la funzione di (mezzo) di prova rappresentativa. Tale è il risultato (art 192.1 cit, art 546.1 e) cpp) completamente  negativo dell’attesa della prova.  L’ascrizione al testimone di un risultato di prova inverso o diverso da quello emerso è manifestamente illogica, e illegittima perché travisa il risultato effettivo. (quel)La  prova è mancante e innesca la regola di giudizio art 530.2 cpp. ben opposta a quella in art 533 cpp.
5.2 F : ”Mi pare molto improbabile che l’A. possa aver udito simili frasi‘, anche perché quando la signora B è uscita, dalia sua casa è rimasta, all’interno del cortile, mentre l’A. si trovava  in strada a molti metri di distanza’’.. A tal riguardo il F risponde “Perché mi era stato  chiesto se era possibile che l’A avesse sentito qualcosa? (Vds., All. 17_pagg. 8 e 9 verbale dì udienza db! …). Osserva l’appellante: Peraltro é lo stesso F ad affermare che l’ A. si trovava davanti all’ingresso del cortile della proprietà M — B” (Vds. All. 18_pag. 4 verbale di udienza….).
Ora
Il testimone non dice del fatto su cui è interpellato direttamente. Dunque  non esplica la funzione rappresentativa del  mezzo di prova che incarna.
Ne dice indirettamente, soffermandosi  sulla impossibilità (a suo avviso) che la minaccia potesse essere udita da A (impossibilità peraltro insussistente, per le ragioni di cui all’atto di appello), Ma se  il rilievo “acustico” ha logicamente, a premessa la minaccia, con quel rilievo, col  suo complessivo dire, il testimone non la esclude. Cioè non ne adduce  l’insussistenza.
Quindi, dell’insussistenza del fatto, se la prova non fosse in ipotesi  mancante, sarebbe insufficiente – e se non fosse mancante sarebbe inoltre contraddittoria a prova contraria- vd dopo- .
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cit..
5.2.1 Peraltro, disatteso in ipotesi quanto tratto dal rilievo precedente, cioè ritenuto che il testimone abbia escluso la minaccia, l’esclusione, poiché indiretta, da un lato sarebbe indebolita dal modo di compierla in sé (per implicazione). Da altro lo sarebbe dalle note di inattendibilità soggettiva del testimone, evidenziate nella sua inclinazione a favorire  (e sfavorire sull’opposto versante) contro i fatti. (Come osservato dall’appellante): “A tal riguardo dovrebbe raffrontarsi quanto sopra affermato con il tentativo del F di sminuire h gravità della condotta del figlio della B. Significativo a tal riguardo è il fatto che all’udienza del…, quando è stato sentito il F, non era ancora stata, trascritta la registrazione fonografica, da cui si sentono: in maniera distinta e assolutamente comprensibile le gravi parole proferite ad alta, voce – ovvero ad urla dal F M nei confronti dell’A. Il tentativo del F di edulcorare l’accaduto rispetto a tale episodio; è significativo- dell’attendibilità dei teste, che, lo si ripete, non era a conoscenza, della sussistenza di una prova certa idonea a rappresentare i fatti come realmente avvenuti. Se il F ha senza ombra di dubbio, edulcorato, nel suo racconto in dibattimento, la. posizione del figlio della B, in base a quale logica si potrebbe invece escludere che il medesimo tentativo sia stato posto in essere anche in relazione al comportamento della B stessa?”
5.3 Dunque il risultato di prova dice e non dice dell’ insussistenza della minaccia. E’ ambiguo e tale condizione non è contestabile. Per ciò la prova,  ripetesi, se non fosse mancante sarebbe insufficiente.
Ma (ripetesi)  se il risultato non fosse ambiguo, se escludesse la minaccia, la sequenza espressiva d’esso sarebbe fortemente minata dai fattori, accertati, di inattendibiltà soggettiva del testimone. Oltre che, aggiungasi, minata internamente dalla sua composizione, fatta di apprezzamento personale (delle possibilità acustiche), proceduralmente inibito ex art 194. 3 cpp:
Onde la prova tornerebbe ad essere insufficiente. Con innesco della  regola di giudizio in art. 530.2 cpp..
5.3.1. Alla domanda della difesa “Ha sentito per caso o potuto apprezzare cosa riferisse l’’Ufficiale al dottor A?”,  risponde ‘‘Più che altro l’ufficiale Giudiziario gli diceva di allontanarsi e di andare via” (Vds. All. 23_pag. 8 verbale udienza….). Alla domanda della difesa ‘”Lei cosa ha percepito nella circostanza? Cioè qual era la sensazione che lei ha materialmente percepito?”, risponde “E beh, sicuramente come erano agitati qualcosa c’era”. La difesa prosegue ‘’Lo traduca in parole, ho capito che erano agitati” e L risponde “Non lo so, gli ha detto di andarsene che boh, non l o so” (Vds, All. 22).
Alla domanda della difesa “Anche la signora B diceva ai signor A. dì andarsene?” il L risponde “Di non avvicinarsi, quindi sicuramente gli ha detto di andarsene via, spostati da qui prima che succeda danno insomma” (Vds. All, 24_pag. 9 verbale di udienza….).
Alla domanda dell’avvocato di parte civile “ci ha detto che non è in grado di dire chi sia stato a parlare di armi, quindi non è in grado neanche di escludere che sia stato l’A a parlare di armi?” il teste risponde “No, l’A. era già spostato perché mi ha lasciato il posto’‘ (Vds. All. 25 jag. 15 verbale di udienza del 10 novembre 2014).
Ora
Anzitutto il testimone riferisce di tensioni e fermenti, del contesto e delle persone a varie e diverse ragioni lì presenti ed agenti, del tutto propizi, poichè altamente conflittuali, a suscitare la minaccia in questione. Essi potrebbero assumersi quali robusti indizi d’essa. corroborati d’altronde da una circostanza verificata e assai eloquente. Presso B, nella sua abitazione, stavano armi formalmente detenute da suoi familiari, di fatto esclusivamente da lei ed a sua disposizione.
Persuasivi indizi d’essa, peraltro, decisamente confermati dalla testimonianza in esame, ad esplicito tenore della quale, come da interlocuzione fra domanda (della parte civile) e risposta (del predetto):
qualcuno ha parlato di armi, certamente, benchè il testimone non sia in grado di dire chi ma tendendo ad escludere A.
Cioè, mediante questa prova diretta (dedotta dall’accusa) si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia (la conseguente insussistenza del reato di calunnia).
Ma se ciò, benchè indubitabile, fosse dubitato, la prova diretta sarebbe in ogni caso insufficiente (a parte la sua contraddittorietà alla prova contraria: vd dopo) alla rappresentazione del fatto suo oggetto.
Con seguente innesco della regola di giudizio in art 530.2 cpp.
5.4 B. osserva l’appellante: “Sentita come testimone all’udienza…., da un lato, riferisce di avere detto quello cosa ci fa qui? ma se ne può anche andare da casa mìa, o te ne puoi anche andare, se ne può anche andare” (Vds. All. 14_pag. 5 verbale di udienza….), dall’altro, aña domanda del proprio avvocato se si fosse mai rivolta direttamente all’Ai” o ci avesse “in qualche modo parlato”, risponde assolutamente no, ho evitato di guardarlo71 (Vds. All, 15_pag. 8 verbale di udienza…..). Tale ultima affermazione da parte della B è evidentemente menzognera oltreché contraddittoria rispetto a quanto dalla stessa precedentemente affermato. Infatti dalla registrazione fonografica in atti e dalla sua trascrizione (Vds. All. 1) risulta pacificamente che la B si è rivolta direttamente all’ A contestando fortemente la sua presenza. Alla domanda del P.M. se lei (la B) sapesse il perché della presenza dell A durante il pignoramento, la B rispondeVeramente non ci faceva niente perché chi doveva fare il compito, cioè il Periti e le altre persone, penso che erano abbastanza, lui non ci faceva niente lì. al che sono stata meravigliata, cosa, ci faceva lui a casa mìa”.
5.4.1 dunque B per un verso è insofferente della presenza di A, per altro verso tenta di occultare l’insofferenza, perfino mentendo. Quando si ritenga da lei esclusa espressamente  la minaccia (non lo ritiene la sentenza p.1) : “La B continuava dicendo di avere visto l’imputato…e che aveva detto, senza urlare, che se ne poteva andare dalla sua abitazione, pur non ricordando con certezza le frasi pronunciate, e sentendo dire da qualcuno che lo stesso poteva assistere, negava…”, dovrebbe tuttavia ritenersi, essa, fortemente indiziata dalle affettività  della indicata situazione. Soprattutto alla stregua della caratterizzazione in senso fortemente causale (del proferimento della minaccia), fatta dal sentenza, onde:
A sul posto “rappresentava ai suoi occhi un comportamento irridente e provocatorio” (pag. 6 sentenza appellata). Per cui era “del tutto comprensìbile e giustificata la sua (di B ndr) richiesta volta all’allontanamento dell’imputato” (pag. 6 sentenza appellata).
Causale se non atta probatoriamente ad imporre la minaccia, certo atta a porre in dubbio la sua negazione. Atta quindi ad evidenziare l’insufficienza della prova diretta in punto, oltre che la sua contraddittorietà, sia agli elementi di fatto e  alle testimonianze sopra viste, che all’esame dell’imputato (di cui dopo),
Tanto più, come rilevato dall’appellante, alla luce della irresistibile spinta di B a tacere di avere minacciato, non solo a salvaguardia dell’esito del processo in corso, ma anche ad elusione di altro processo contro, per reato di minaccia.
E, anzi, è la  possibilità d’esso che impone di riscontrare la irritualità  della assunzione a testimone della predetta, per vizio  dell’origine. Di fatti:
querelata da A, non avrebbe potuto, B,  non essere processata, essendo l’azione penale obbligatoria, salva inazione ma per archiviazione demandata al giudice.
Cioè  B avrebbe potuto  essere  testimone solo dopo avere lasciato il suo processo (o perché definito nel merito o perché archiviato). Essere testimone, così,  sgusciando tra le maglie, di ammissione della testimonianza, ex artt. 197, 197 bis cpp..
Irritualità, perché trasgressiva di divieto espresso,  certo producente oggi inutilizzabilità della sua testimonianza. Ma producente anche (alternativamente) sua nullità (tuttora rilevabile e dichiarabile ex artt 179 180 cpp), perché esitante da vizio della iniziativa della azione penale — estendibile alla inazione questa essendo l’opposto inscindibile di quella – rilevante ex art 178.1 b) cpp.
E in ogni caso:
quando il vizio procedurale fosse disconosciuto, esso non potrebbe non lasciare lo strascico del vizio di merito, della inattendibiltà per ragione genetica (su esposta) della testimonianza della suddetta.
La quale quindi non è immune dalle caratteristiche della prova diretta in art 530.2 cpp. e ne innesca la regola di giudizio.
6. La prova contraria (personale orale, in esame e controesame) di specie.
A: “Mi sembra che veramente […] me l’hanno consigliato i poliziotti per evitare problemi” Osserva l’appellante: L’A, che in quel momento aveva già percepito il riferimento alle armi in casa fatto dalla B (come dallo stesso più volte affermato nel corso di giudizio, sia in sede di spontanee dichiarazioni che in sede di esame), rispondeQuesto ha armi in casa” (Vds. All. 3). La replica dell’ufficiale Giudiziario è eloquente: “Sì. sì. apposta per quello”. Tra l’altro, la rilevanza assoluta di tale frase emerge ancora di più laddove si percepisca il tono con il quale la stessa è stata pronunciata (min. 8.38 registrazione fonografia di cui a Cd-rom in atti).
Ora
Ecco un risultato di prova univoco, sulla minaccia per allusione alle armi (definizione della minaccia assolutamente debita, rispetto ad altre sparse dappertutto e da un pò tutti, dinanzi alla espressione usata all’origine da A. (esposto .., p. 1), la quale non dice che fu minacciato uso delle armi, bensì : “B…mi invitava ad andar via e chiedeva agli agenti di polizia il mio allontanamento facendo presente che vi erano armi in casa...”., espressioni e che integrerebbero semmai minaccia indiretta e indirettamente rivolta (esigente quindi, in sede di ricostruzione, logica desuntiva (art 192.2 cpp) del fatto alluso ( la minaccia) su base (il fatto alludente) rappresentativa (: art 194 cpp). Fatto alluso e alludente, qui si rammenta e si ribadisce, dei quali non s’è vista traccia, nei risultati delle prove dirette sopra viste.
Risultato di prova (contraria), si diceva, mediante la quale si produce il fenomeno (sopra cennato) di cui all’art. 530.1 cpp, per cui è affermata la sussistenza del fatto incolpato, la minaccia (la conseguente insussistenza del reato di calunnia), quello indicato.
Risultato, peraltro, epistemologicamente più forte di ogni altro (che in ipotesi lo contraddicesse: ma in proposito vd sopra), giacchè sostenuto valorialmente dalla presunzione costituzionale di attendibilità fino a prova contraria (va letta così la presunzione di non colpevolezza in art 27.2 cost.), quale presunzione anche probatoria di verità fino a prova contraria, di tutto quanto, sostanziale o processuale, favorisse l’accusato (e presunzione inversa di tutto quanto lo sfavorisse).
E che tuttavia la sentenza ha ignorato, nella funzione probatoria in sè e in quella dialettica con gli altri risultati di prova, e, ove necessaria, in quella di contraddizione ad essi, da istituire immancabilmente nella cognizione e da giudicare probatoriamente secondo la regola in art 530.2 cit..
Ora
Quel risultato il suo valore le sue funzioni non hanno nemmeno sfiorato la sentenza, che quindi ha accantonato non solo l’ermeneutica generale della prova, ma anche la regola positiva – art 546.1 e) cpp novellato- del suo trattamento, mediante anzitutto censimento ed esposizione dei suoi risultati, quindi confronto d’essi, quindi soppesamento disgiunto e congiunto d’essi (alla luce dei criteri valutativi in artt 530 533 citt. (vd sopra), quindi determinazione probatoria, e infine illustrazione delle ragioni del disattendimento della “prova contraria” soccombente (nell’accertamento dei fatti in imputazione o di altro).
Screditandosi nel merito (basti la semplice lettura della motivazione della sentenza lente dei principii indicati: visibile mancato censimento esponimento soppesamento di ogni risultato di prova, mancato confronto d’essi) se non annullandosi ex art 125. 3 (caratterizzato qui dall’art 546.3 cpp). Si chiede che la nullità eventualmente ravvisata sia dichiarata (non essendo ancora scaduto il tempo della rilevazione e della deduzione. prescindendo peraltro, la rilevabilità della nullità, dalla devoluzione in atto di appello).
6.1 a stregua di ciò potrebbe dirsi che il processo disponeva della prova diretta e contraria della insussistenza del fatto, per la via in art 530.1 cpp. E che la sentenza la ha dispersa.
7. il documento fonico.
Prova documentale rappresentativa (peraltro confutativa delle varie capziosità accusatorie per le quali a A non avrebbe potuto udire la minaccia a causa della distanza fra lui e la fonte sonora: se l’apparato di registrazione, da A tenuto addosso, ha captato B mentre ne pretende l’allontamento, captava A disponendo di almeno la stessa sensibilità acustica (se media) del registratore. del predetto).
Ebbene in quel documento, in prossimità delle pretese di allontanamento di A che B avanza, vi sono “inc.”, incomprensibili suoni. I quali, da un lato, ben potrebbero contenere la minaccia in forza delle causali sopra indicate (sub 5.3, 5.4). Da altro ben la contengono, poichè affermata da A (per le ragioni ante, sub 6 prima parte).
8. L’insussistenza a priori del fatto.
Questo, commesso mediante querela secondo imputazione il giorno 15 12…, non rinviene quel mezzo quel giorno, negli atti. Gli impulsi al processo di A, di fatti, sono del giorno 19 12 … (vd il foglio denominabile esposto, nello stesso giorno confermato come “querela” in altro foglio allegato). E del giorno e 9 gennaio … (vd dichiarazione intestata “querela”).
Cioè, nessun atto di impulso processuale, mezzo della condotta commissiva del reato di calunnia, fu formato o presentato il giorno 15 12 …
Dunque in quel giorno il fatto non fu commesso nè sussistette. Rispetto a quel giorno risulta evidente che il fatto non sussiste. La risultanza va trattata ex art 129.2 cpp (è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo).
si chiede che (in riforma della sentenza) sia dichiarato.

Pietro Diaz

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115

Secondo Cassazione, e (all’incirca) pm e gup da essa richiamati:
-reato commissivo e reato omissivo si identificano o si equivalgono;
– la fattispecie di reato può comporsi con pezzi di altre fattispecie di reato;
– Il contenuto dell’imputazione può trarsi dalla intenzione del pubblico ministero;
– il reato doloso potrebbe essere implicitamente colposo.
Per Cassazione quindi:
i principii di legalità e di tassatività della legge penale, di letteralità della interpretazione, di legalità dell’elemento psicologico del reato, sarebbero irrilevanti?

Il testo della sentenza, seguente, oggetto dell’esame, è riportato in carattere corsivo. La sua critica è svolta a mò di chiose, in carattere normale. La numerazione è quella delle sentenza. Le lettere alfabetiche introducono le singole chiose.


CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta documentale – Omesso aggiornamento delle scritture contabili – Dolo generico – Sussiste

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata il G.u.p. del Tribunale di Roma ha dichiarato ex art. 425 c.p.p. il non luogo a procedere nei confronti di DA Per il reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatogli per l’omessa tenuta dal 2007 alla data del fallimento – intervenuto nel 2011 – delle scritture contabili della S. s.r.l. della quale era amministratore unico.
2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma deducendo l’errata applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione. In tal senso il pubblico ministero ricorrente rileva come la sentenza abbia sostanzialmente prosciolto l’imputato per il difetto del dolo specifico ritenuto necessario per la consumazione del reato contestato, nel mentre la fattispecie evocata nell’atto imputativo era quella prevista dalla seconda parte dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., per la cui configurabilità, per consolidata giurisprudenza, è invece sufficiente il dolo generico, pienamente riscontrabile nel caso di specie.
A) In effetti, se pm avesse alluso alla parte del comma referente ( una condotta) “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”, e tale carattere fosse ritenibile, e lo è, modalità dell’effetto della condotta e del suo insinuarsi nell’evento, anziché modalità della formazione del dolo:
il dolo è certamente generico, non specifico.
Mentre se pm avesse alluso alla parte del comma referente (una condotta al) “ lo scopo ….. di recare pregiudizio ai creditori”:
il dolo è certamente specifico,non generico.
Ma la questione saliente è:
nel comma or detto, che delinea le condotte di bancarotta fraudolenta documentale quali sottrazione distruzione o falsificazione in tutto o in parte dei documenti e quale “tenuta” dei documenti “in guisa da non rendere possibile…la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”:
tutte condotte positive (commissive,attive), tutte azioni non omissioni (sottrazione, quale attività realizzata mediante l’occultamento o il trasferimento delle scritture contabili per evitare che gli organi fallimentari prendano possesso dei libri societari; distruzione, quale attività che elimina materialmente i documenti contabili o li manomette rendendoli inservibili; falsificazione, quale manipolazione delle scritture contabili sia nella formazione delle scritture, documento (falso materiale), sia in quella del loro contenuto (falso ideologico); “tenuta…in guisa” quale confezione e conservazione di libri o scritture contabili in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio sociale):
lì, in quel comma, rientrerebbe “l’omessa tenuta delle scritture” (vd sentenza sub 1) ravvisabile letteralmente (e per ciò logicamente) esclusivamente nel secondo comma della art. 217 LF: …fallito che, … non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge…? Una condotta assolutamente negativa invece che positiva, come le or dette?
Se pm ciò avesse ritenuto, e a quanto pare lo ha fatto,avrebbe travisato clamorosamente la natura della condotta.
Insieme al gup, peraltro, che ha fatto altrettanto.
Onde inizia a delinearsi che pm e gup (e si vedrà anche la sentenza) forzano la singola disposizione del singolo comma impiantandovi parte di una altra, forzano questa espiantandone quella (parte), e saltano da una disposizione all’altra, per comporne a mo’ di collage la disposizione che più aggradi e convenga!

Non di meno il ricorso lamenta come in ogni caso, una volta rilevata un’omessa tenuta della contabilità protrattasi per più di tre anni, il giudice non avrebbe potuto prosciogliere l’imputato, bensì avrebbe dovuto derubricare l’imputazione in quella di bancarotta semplice ex art. 217 comma 2 legge fall., e quindi rinviare a giudizio il D. per tale reato, per la cui sussistenza è sufficiente anche la mera colpa.
B) Pm d’altro canto ha lamentato (in subordine) che il gup avrebbe dovuto comunque, anziché prosciogliere, ritenere la bancarotta semplice documentale in art 217 comma 2 LF, e derubricata l’imputazione, ascriverla a titolo di colpa, poiché “per la…sussistenza del reato è sufficiente anche la mera colpa”.
Dove, a parte la questione dei limiti della modificabilità del fatto (imputato) dal gup, d’ufficio senza impulso del pm ex art 423 cpp; questione così macroscopicamente ignorata da indurre a supporre che, per il pm, le disposizioni in discorso regolino uno stesso fatto:
alla forzatura linguistica di diverse disposizioni incriminatrici, in vista della composizione a collage della fattispecie di reato, si accompagna la forzatura dei principi del diritto penale, in specie quello per cui la colpa (quale elemento psicologico del reato: artt. 42 43 cp) è affermabile se espressamente prevista (ma di ciò dopo sub P).

3. Con memoria depositata dal difensore il 12 gennaio 2015 l’imputato ha chiesto infine il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. E’ necessario prendere le mosse dal capo d’imputazione riportato in sentenza, dal quale si evince che oggetto della contestazione è formalmente la condotta di omessa tenuta dei libri contabili a partire dal 10 gennaio 2008 e fino alla data del fallimento, la quale avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della fallita con particolare riguardo alla sorte dell’attivo risultante dalla situazione patrimoniale del 31 dicembre 2007.
C) Quindi, è confermata, della imputazione, la condotta di “omessa tenuta” dei documenti, come sopra detto, e l’ effetto (oggettivo non soggettivo, dicevasi), di rendere “impossibile le ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”.
E’ quindi confermata la composizione della fattispecie di reato:
– prelevando la condotta, di “omessa tenuta”, dalla bancarotta semplice documentale di cui all’art 217 comma 2 LF, portandola nella bancarotta fraudolenta documentale in art 216 comma 1 n.2;
– (tacitamente) prelevando il dolo non da lì (dolo generico) ma dalla bancarotta fraudolenta documentale patrimoniale in art 216 comma 1 n.2 (dolo specifico: “allo scopo di recare pregiudizio ai creditori”), portandolo nella condotta suddetta, e quindi con esso sostituendo il primo (lo fa il gup);
– prelevando l’effetto della condotta dal n. 2 del medesimo (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”) e allacciandolo alla condotta suddetta.
E’ per ciò confermato il sopra eccepito collage.

2.1 Il G.u.p. di Roma ha interpretato tale contestazione nel senso per cui all’imputato sarebbe stata rimproverata l’omessa istituzione delle scritture relative al periodo indicato, condotta per la cui rilevanza ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale ha ritenuto necessario l’accertamento del dolo (specifico) caratterizzato dal fine di recare pregiudizio ai creditori.
D) Ed è confermata la composizione della fattispecie, dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C.

2.2 Per il consolidato insegnamento di questa Corte l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa.
E) Ma “il consolidato insegnamento” di Cassazione non corrisponde affatto alle disposizioni della legge in materia, giacchè a stregua di qualunque interpretazione (non creativa):
l’alveo di tipicità” della omessa tenuta non è quello indicato ma quello in art 217 comma 2 LF.
L’ “omessa tenuta” non comporta il suo contrario, la “tenuta” di cui all’art 216 comma 1 n 2 (secondo periodo).
D’altronde, l’effetto di questa (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”: che, detto per incidens, non è di impossibilità relativa, come insinua capziosamente la sentenza, ma assoluta) non è riconducibile a quella, perché, come visto, esse differiscono intrinsecamente e funzionalmente. Peraltro, la falsità del contrario (supposto dalla sentenza) impedisce l’argomento a fortiori (ratione), che ne postula la verità. A parte che, l’argomento, è falso nei suoi stessi termini, perché se alla “tenuta” è assegnabile, perché “azione”, un modo (“in guisa da rendere impossibile…), questo non è assegnabile al “l’omessa tenuta”, perché omissione (che non producendo effetto, non produce modo d’esso).
Per ciò (ora manifestamente anche) Cassazione non solo fa collage ma sovverte i principii della logica giuridica e comune.

Si è peraltro costantemente precisato come ciò non consenta, ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo, di ricondurre la condotta di omessa tenuta a quella testé descritta, dovendosi invece ritenere che l’omessa tenuta della contabilità interna integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall, e punita sotto il titolo di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992).
F) Come si vede, la composizione della fattispecie (sub D), dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C., è confermata da Cassazione!

2.3 II dolo richiesto per la sussistenza del reato in tal caso non è dunque, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, quello generico sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta, bensì quello specifico che caratterizza il falso contabile per soppressione descritto nella prima parte dell’incriminazione in oggetto.
G) La conferma dello schema del gup è riconfermata da Cassazione…

3. Il pubblico ministero ricorrente eccepisce invece che oggetto di imputazione sarebbe un fatto di tenuta fraudolenta della contabilità, non più aggiornata a partire dall’ottobre del 2007 con la conseguenza di aver reso impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita.
H) Cassazione ritiene che lo schema del pm, della tenuta delle scritture impossibilitante“la ricostruzione del patrimonio della fallita”, corrisponda a quello di “omessa tenuta” (in realtà, ripetesi, posta in art 217.comma 2) con l’effetto oggettivo in art 216 comma 1 n. 2 ultimo periodo.

3.1 Come si è visto effettivamente il capo d’imputazione sembra essere stato impostato in tal senso.
I) Dove l’imputazione pare oggetto di delibazione anche congetturale, intuitiva, così che essa diviene formalmente inconsistente o è trattata come se lo fosse (ma l’ “omessa tenuta”, per quel che se ne sa, dovrebbe esserne elemento univoco).

Infatti evidente come l’imprenditore non possa al contempo omettere di istituire i libri contabili e tenerli in «guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio»,
L) E qui Cassazione pare avvedersi della alterità delle due condotte, di omessa tenuta e di tenuta.

Condotta quest’ultima che presuppone l’inattendibilità fraudolentemente provocata di scritture effettivamente esistenti.
L1) E pare avvedersene anche qui, ma nel momento stesso in cui progetta di disattenderla. Dove, se non si avesse contraddizione logica (macroscopica) rispetto a precedenti affermazioni (vd.le sopra) si avrebbe comunque contraddizione funzionale.
Di fatti:

3.2 Deve allora ritenersi che nello specificare come “l’omessa tenuta” in realtà si sarebbe sostanziato nell’omesso aggiornamento di scritture contabili invero istituite, il titolare dell’azione penale abbia inteso contestare un fatto riconducibile allo schema descritto nella seconda parte della norma incriminatrice evocata, i cui elementi costitutivi sono stati correttamente descritti nell’imputazione attraverso il richiamo delle connotazioni modali che ne caratterizzano il profilo.
M) In altre parole:
l’ “omessa tenuta” trasmuta in “tenuta”; ciò sarebbe traibile dalla intenzione (“abbia inteso”) del pm, che Cassazione, quindi, abilita alla formulazione mentale, intenzionale, dell’imputazione e, questa, ad avere la medesima consistenza!..

3.3 L’elemento soggettivo di tale ultima fattispecie è integrato, per il consolidato insegnamento di questa Corte, dal dolo generico, ossia dalla consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari “connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo come specifico (ex multis Sez. 5, n. 21872 del 25 marzo 2010, Laudiero, Rv. 247444).
N) Questo rilievo, per quanto (anche) sub C), non si attaglia affatto alla “omessa tenuta”. Mentre rispetto alla condotta di “tenuta” è corretto, per quanto (anche) sub A); tranne nel punto della potenzialità (“..potrà rendere impossibile”), anziché della attualità (“renderà o..”), dell’effetto della condotta, che è invece indisgiungibile a questa, come (e perché)=suo modo.

3.4 Conseguentemente la motivazione della sentenza deve ritenersi Inidonea a sostenere la decisione assunta, essendosi limitata a verificare l’insussistenza di un dolo specifico invero non necessario per la rilevanza penale del fatto come contestato, senza accertare invece l’eventuale configurabilità di quello generico rapportato alla condotta effettivamente imputata.
O)In altre parole:
il gup non avrebbe errato a collocare l’ “omessa tenuta” dell’art 217 comma 2 nel n.2 del comma 1 dell’art 216, e a conferire ad essa effetti (“in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”) che, dove abita, non conosce e che conosce solo dove è trasferita! Avrebbe errato, soltanto…, o a ritenere specifico un dolo generico!!…

4. Non di meno fondata è anche la seconda censura sollevata con il ricorso. Ed infatti una volta escluso il dolo specifico in capo all’imputato, ma comunque accertato che egli aveva omesso di tenere le scritture contabili obbligatorie (e in tal senso quantomeno il libro giornale) nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, il giudice avrebbe dovuto in ogni caso procedere alla riqualificazione del fatto contestato (rimasto immutato nella sua materialità) come bancarotta semplice documentale ex art. 217 comma 2 legge fall, e verificare se nella condotta del D. fossero rinvenibili quantomeno i sedimenti del dolo generico o della colpa sufficienti per l’integrazione di tale reato ed in caso positivo disporre il suo rinvio a giudizio. Verifica di cui non vi è nuovamente traccia alcuna nella motivazione resa dal G.u.p. di Roma.
P) Dunque Cassazione:
continuando a ritenere la “tenuta” “omessa tenuta”;
a ritenere che la prima stia nella disposizione della seconda (art 217..) e la seconda nella disposizione della prima (art 216…);
a ritenere le due equidicenti ed equivalenti, e che (quindi) le disposizioni relative siano fuse;
a ritenere inoltre la modificabilità del fatto dal gup senza impulso del pm ex art 423 cpp, forse ritenendo l’identità del fatto (anche per quanto appena osservato);Cassazione, dicevasi, trasgredendo lingua logica diritto sostanziale e processuale in misura così elevata, è tuttavia ancora lontana dal colmo:
l’equiparazione del dolo alla colpa, della ordinarietà, tacita, del primo alla straordinarietà, espressa, della seconda, sancite in art 42.1 cp.;
la diclamazione della colpa “sufficient(e) per la integrazione del reato”.
Senonchè, in base all’art 42 comma 2 del codice penale: (Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva). Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge: la punibilità a titolo di colpa di un delitto (come quello in esame) dovrebbe essere espressamente prevista, mentre non lo è affatto nell’art 217 comma 2 LF. Sia prima che dopo l’espianto e il trasloco! Sotto qualunque occhio umano!
In contrario Cassazione ha ritenuto (altrove, sent. n.10795/1986) che “previsione espressa” non significhi “previsione esplicita” (contraffacendo funzionalmente locuzioni dell’opera di Marcello Gallo sul Dolo, da Lui impiegate a tutt’altro proposito…), sicché potrebbe darsi una previsione implicita della colpa, desumibile per via di interpretazione sistematica, come appunto nel caso di bancarotta semplice documentale, argomentando a contrario dalla definizione come “dolosa” (che tuttavia essa, non la disposizione legale, enuncia!) della bancarotta fraudolenta documentale.
Ma con ciò attuando, di fatto, impianto della fattispecie colposa nella fattispecie dolosa in art 217 comma 2 LF (a bassa intensità sanzionatoria e quindi a bassa rumorosità della manipolazione); suo trasferimento (di soppiatto) nella fattispecie in art 216 comma 1 n. 2, ad alta intensità sanzionatoria. Suo uso contundente in ogni bancarotta fraudolenta documentale che non fosse preterintenzionale o “post(a) altrimenti a carico dell’agente” (art 42.2.3 cp). Nessuna ovviamente. In tutte quindi!
Ciò, per di più, nella più completa (e aliena) indifferenza al fatto che reato colposo e doloso siano puniti allo stesso modo (richiamato il gioco verbale “espresso esplicito ed implicito”: dato che il dolo è per principio “espresso implicito”-vd art 42.2 cp-, come differenziarne la colpa “espressa implicita”?)!!

5. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

Pietro Diaz con Iadera Manni

Logorrea del diritto e caso Cappato

1.Tale “DJFabo”, dopo un sinistro stradale gravemente infermo e irreversibilmente e insopportabilmente sofferente, deciso a porvi fine, consulta i Radicali Marco Cappato, Lina Welby e altri (del “giro” suicidiofilo ed eutanatofilo ).
Questi gli prospettano la pratica della “sedazione profonda”, con sospensione dei supplementi respiratori e alimentatori e attesa della morte dolce (gli prospettano eutanasia, dove la propria morte, voluta , è da altri indotta).
Egli tuttavia preferisce il suicidio (dove la propria morte, voluta, è da sé indotta), con modalità (anch’essa) dolce, eu, da eseguirsi in un Centro svizzero opportunamente attrezzato.
Presi contatti e intese tramite i familiari, vi è condotto in automobile da Cappato.
Ivi giunto, verificata accuratamente, in lui, la persistenza della volontà del suicidio, è posto ad eseguirlo mediante assunzione, da sé, di un farmaco letale.
2. Cappato, che aveva esplicitamente agito per “disobbedienza civile”, (con Welby) è accusato di “rafforzamento dell’altrui proposito di suicidio” e di “aiuto al suicidio”. E, prosciolto dalla prima accusa, è rinviato a giudizio sulla seconda, davanti la Corte di Assise di Milano. Per rispondere del reato di cui all’art 580 del codice penale.
La Corte, ritenuta (sostanzialmente) la configurabilità del “diritto al suicidio”, a conclusione di un lungo discorso (qui sintetizzato al massimo) dalle implicazioni logiche non sempre controllate, nel quale infatti:
– la inviolabilità della libertà personale posta in art. 13 della Costituzione darebbe anche libertà di suicidio (cioè darebbe libertà di violare l’inviolabile, sia pure dal suo titolare?);
– il “diritto alla vita” (art.2) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, darebbe anche diritto di ucciderla (cioè darebbe “diritto di morte”, sia pure per il suo titolare?);
– il “diritto a morire” rifiutando i trattamenti sanitari (recentemente introdotto da L. n. 219/2017) sarebbe “diritto al suicidio” (laddove, regolando la morte da altri indotta, eutanasia, nulla ha che vedere con la morte da sé indotta, suicidio).
Ritenuto quindi, si diceva, il “diritto al suicidio” (adduce la Corte, anche in forza della inversione storica della base culturale della disposizione “fascista” che apertamente lo disconosceva) quale parte del “diritto vivente”.
Ritenuto inoltre che, vietato a chiunque di “istigare” al suicidio o di “rafforzarne il proposito”, ne è vietato l’ “aiuto” che fosse anche istigazione o rafforzamento, non quello che non lo fosse. In altre parole, è reso l’aiuto istigazione (o rafforzamento), malgrado, essi, nell’art. 580 cit., siano alternativi, siano posti cioè a dilatare l’area del divieto, non a contrarla (laddove la Corte la contrae fino ad espellerne ogni forma di aiuto che non fosse istigazione o rafforzamento….).
Ritenuto infine che, la contrazione, non sia conseguibile in via di interpretazione dell’art 580 cit. ed esiga l’intervento della Corte Costituzionale (che la intrida di “diritto al suicidio”, “diritto alla vita”, “diritto a morire” e via dicendo….; la Corte, peraltro, non distingue minimamente tra volenti suicidio necessitato, quello di “DJ Fabo” – che potrebbero ricevere eutanasia per legge 219 cit.- e volenti suicidio “discrezionale” – che egoisticamente potrebbero disperdere un bene sociale, contro il dovere di solidarietà sociale in art 2 Cost.-):
Le rimette la questione (la Corte di Assise) aggiunge anche un altro profilo di incostituzionalità, la parità delle pene della istigazione e dell’aiuto, senza avvedersi della inconciliabilità dei due profili, giacché il primo punta ad escludere, il secondo ad includere, l’aiuto “non istigatorio né rafforzativo”.
La Corte costituzionale, udite le ragioni della parti (fra queste il Governo, rappresentato in giudizio dalla Avvocatura dello Stato, contrario alle eccezioni sollevate), sospende la decisione e la rinvia ad una udienza di settembre 2019, invitando (tacitamente) il Parlamento a, frattanto, deliberare in materia.
3. Ora, se la Corte avesse ritenuto di non potere decidere, perché spettante al Parlamento rendere l’aiuto istigazione o rafforzamento, contro la loro alternatività in art 580 cp; come pure espellere dall’art 580 cit., ogni altra forma di aiuto:
avrebbe dovuto dirlo immediatamente (come da prassi) e spogliarsi del giudizio (senza oziare fino a settembre venturo, che la ritroverebbe nella medesima condizione).
Mentre, se avesse ritenuto di potere decidere, avrebbe dovuto farlo:
accogliendo una delle due eccezioni sollevate dalla Corte di Assise e dichiarando la illegittimità dell’art. 580 “nella parte in cui….e in cui…” (come da prassi).
O rigettandole perché infondate.
Oppure rigettando “nei sensi di cui in motivazione” (cioè dando la interpretazione costituzionale dell’art 580 cit., eventualmente accreditando quella della Corte di Assise…).
Dunque, perché ha sospeso il giudizio con “rinvio a data fissa” (su ciò qualcuno ha obbiettato che mai si era visto che la Corte mettesse in mora decisoria il Parlamento; che essa ha esorbitato dalle sue attribuzioni; che sarebbe sollevabile conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato. Conflitto che tuttavia, assurdamente, la Corte stessa dovrebbe risolvere…)?
Qualcuno dei suoi membri – ovviamente non della quota, un terzo, eletta dalla magistratura, perché matrice della sopra vista ottenebrazione su “diritto al suicidio” & C. (qui esplode il paradosso, per cui, il giudizio sulla legittimità costituzionale del “diritto vivente” lo emetterebbe chi gli ha dato vita….) – ha temuto di mortificarla pubblicamente e ha premuto il pedale del freno? Ad un tempo lasciando che sia un legislatore profano e incolto (l’attuale) a mettere in scena la bruttura?
E’ probabile.
Ma potrebbe essere stato, anche, turbato, oltre che dall’entità della complicazione (interpretativa) del semplice, dalla perversione delle sue conseguenze.
4. L’art 580 cit. punisce “istigazione e aiuto al suicidio”, ma non punisce il suicidio (pur potendo: tempo addietro, la punizione del corpo del suicida, mediante sfregio o simile, era sancita).
Per ciò, se il suicidio non è vietato (penalmente e civilmente e negli altri rami del diritto nazionale), è libero. E’ cioè nel potere di fatto, di chi lo volesse. E ciò è altro che essere nel suo diritto, altro dall’essere un suo diritto (come la elementare teoria relativa da tempo insegna).
Per di più, se lo fosse, le posizioni degli altri rispetto ad esso non sarebbero libere (simmetricamente a quel potere di fatto) ma vincolate. Se lo fosse, gli altri sarebbero obbligati a rispettarlo, nessuno potrebbe, né dovrebbe (art 40.2 cp), impedirne l’esercizio. E ove ciò fosse, (forse anche ) l’istigatore al suicidio, (certo) il rafforzatore del relativo proposito, e comunque l’agevolatore o ausiliatore del suicidio, cooperando all’esercizio di un diritto, sarebbero punibili tanto quanto il suo titolare (come si è visto non punito).
Per cui, la presupposizione, alla eccezione di illegittimità costituzionale, del “diritto al suicidio”, condurrebbe logicamente alla illegittimità costituzionale dell’intero art 580 cit….
Certo contro la volontà dell’eccepiente.
Inoltre, volendo, la Corte di Assise, tutelare (suicidiofili) aiutanti al suicidio, doveva andare fino alla Corte costituzionale per farle dire l’indicibile (che l’aiuto al suicidio dell’art 580 ct., è istigazione..), quando, distinguendo fra aiuto che non entra, nella fase della esecuzione del suicidio (come quello di Cappato, che ha condotto “DJFabo” al Suicidiario svizzero, ma non è andato oltre..), e aiuto che vi entra (come quello di chi avesse consegnato a “DJFabo” il farmaco letale per la assunzione), avrebbe potuto escludere che il primo fosse causa del suicidio (e quindi che fosse punibile)?
Di fatti, per la teoria causale generale, la causa esprime morfologicamente l’effetto, ne determina la forma concreta e la preassume (essa consegna per la assunzione il farmaco letale). Se non lo fa, se è prodromo che ponga esclusivamente l’antecedente del sorgere e dell’accadere dell’effetto, è condizione. Ove lo fosse, anche la lettura scientifica degli artt 40, 41 del codice penale, esclude che, essa, sia causa.
D’altronde, se così non fosse, ogni condizione, delle innumerevoli antecedenti ogni causa, sarebbe causa, con indebita sottrazione (morfologica) di questa al “principio di previa determinazione” (naturalistica e giuridica).
5. E’quindi probabile che la visione di ciò abbia turbato il frenatore della Corte costituzionale, comunque rasserenato dalla constatazione che “il diritto vivente”, di origine tutta magistratuale, per quanto abbia mirato (eversivamente) a sostituire “il diritto vigente”, non se la passa bene.

LEGGE PENALE ANTIFASCISTA E RITO FUNEBRE FASCISTA

Origine
1. All’avvento della Costituzione della Repubblica Italiana (1948), il partito che aveva “disciolto” (alla sua maniera…) quelli che la fondano e che sono da essa riammessi alla istituzione politica (art. 49 Cost), sconfitto, è bandito dalla dodicesima “disposizione transitoria e finale”, per la quale “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Il “Partito Nazionale Fascista” era stato disciolto con R.d.l. (regio decreto legge) 02.08.1943 n°704 (prima, con R.d.l. 29.07.1943 n°668, era stato soppresso il Tribunale speciale per la difesa dello Stato; poi, con R.d.l. 02.08.1943 n°705, erano stati soppressi la Camera dei fasci e delle corporazioni e con R.d.l. 09.08.1943 n°721 il regime corporativo).
Bandito, si diceva, nel senso che è interdetto dalla riapparizione sulla scena sociopolitica in qualsiasi forma e segno.
Che è interdetto dal neofascismo, fin dal minimo sintomo.
E, già allora, sotto minaccia di pena, dalla legge n 1546 del 3 dicembre 1947 (la Costituzione d R.I è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale qualche giorno dopo, il 27 dicembre): Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico; è punito con pena detentiva:
Art. 1 – Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare o […];
Art. 3 – Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando con atti di violenza o di minaccia o con […];
Art. 4 – Chiunque, al fine di svolgere alcune delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone, è […];
Art. 6 – Chiunque, per mezzo della stampa o in altro modo, pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli precedenti, […];
Art. 7 – Chiunque esalta pubblicamente con i mezzi indicati nell’articolo precedente le persone e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di […];
La legge, posta a prevenzione del neofascismo, d’altronde, era stata preceduta da decretazione posta a repressione del fascismo (nelle sua passate attività), fin dal periodo monarchico (dopo il “25 luglio” e l’ “8 settembre” 1943), dai decreti luogotenenziali di Umberto II Principe di Piemonte, che concentrano le Sanzioni contro il fascismo nel Decreto Legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159:
Art. 2 – I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullate le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe, sono puniti con l’ergastolo e, nei casi di più grave responsabilità, con la morte.
Art. 3 – Coloro che hanno organizzato squadre fasciste, le quali hanno compiuto atti di violenza o di devastazione, e coloro che hanno promosso o diretto l’insurrezione del 28 ottobre 1922 sono puniti secondo l’art. 1120 del Codice penale del 1889. Coloro che hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno eseguito o contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista sono puniti secondo l’art. 118 del Codice stesso. Chiunque ha commesso altri delitti per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo è punito secondo le leggi del tempo.
Art. 5 – Chiunque, posteriormente all’8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra.
Art. 8 – Chi, per motivi fascisti o avvalendosi della situazione politica creata dal fascismo, abbia compiuto fatti di particolare gravità che, pur non integrando gli estremi del reato, siano contrari a norme di rettitudine o di probità politica, è soggetto alla interdizione temporanea dai pubblici uffici ovvero alla privazione dei diritti politici per una durata non superiore a dieci anni.
Evoluzione
2. La Legge 20 giugno 1952, n. 645, nota come legge Scelba (dal nome del ministro dell’Interno del “Governo De Gasperi” che ne curò col vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Attilio Piccioni, la formazione e la emanazione), dà sfogo penale alla attuazione della dodicesima disposizione vietante la riorganizzazione del disciolto partito:
allestendone la prevenzione penale e dandone anzitutto la nozione:
Art. 1 – Riorganizzazione del disciolto partito fascista – Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Quindi vietando e punendo i collettivi (associazioni, movimenti, gruppi, in decrescente ordine di solidità interna) che, per fini, mezzi, modi delle loro attività potrebbero attuarla, incriminandone chi li promuova organizzi diriga o partecipi;
Art.2 – Sanzioni penali – Chiunque promuove, organizza o dirige le associazioni, i movimenti o i gruppi indicati nell’articolo 1, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni e con la multa da 2.000.000 a 20.000.000 di lire. Chiunque partecipa a tali associazioni, movimenti o gruppi è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 1.000.000 a 10.000.000 di lire .
Poi, temendo che ciò non basti a prevenire, vietando anche ai singoli “Apologia del fascismo”:
Art.4 – Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000. Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.
Ed ancora, temendo che nemmeno ciò basti, vietando ad essi “Manifestazioni fasciste”:
Art. 5 – Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 di lire.
Insomma, la legge accresce a tal punto la prevenzione della “riorganizzazione del disciolto partito fascista”, la prevenzione della organizzazione di ogni neofascismo, da vietare ai singoli, si diceva, prima che ai collettivi, quelle manifestazioni, predisponendo un “reato di mera condotta”, che sussiste per la sola conformità di questa al modello, che non richiede altro. Tanto meno richiede che, (quel)la condotta, possa concretamente portare alla riorganizzazione. E di fatti (pare strategicamente chiaro nella progressione vetativa appena esposta), il reato la reprime molto prima che appaia, che si materializzi, non appena ne affiori la astratta possibilità. In rivalsa della Costituzione della Repubblica antifascista sul fascismo e a stabilizzazione della sua vittoria (sono numerose anche le disposizioni penali repressive della monarchia sabauda e preventive del suo ritorno; qui sono omesse per restare al tema. Si nota incidentalmente che, per art. 10 della legge in esame: Norme di coordinamento e finali: Sono abrogate le disposizioni della L. 3 dicembre 1947, n. 1546, concernenti la repressione dell’attività fascista, in quanto incompatibili con la presente legge. La presente legge e le norme della L. 3 dicembre 1947, n. 1546, non abrogate, cesseranno di aver vigore appena che saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale).
Trattamento giudiziario
3 Il precedente rilievo è stato fatto per ben introdurre alla discussione sulla sentenza pubblicamente evocata dal (dolente) figlio del prof. T. a sostegno della liceità del rito funebre dedicato al genitore insieme con il collettivo organizzato (in associazione movimento o gruppo? in Partito..) detto Casa Pound.
E’ la sentenza (con altra da questa richiamata, vd dopo) n. 1382/14.12.2017 Cassazione penale, che giudicando delle manifestazioni di un collettivo (reputate dall’accusa) neofasciste, su ricorso proposto da Procuratore generale presso Corte d’appello di Milano, enuncia:
Secondo l’ipotesi accusatoria i predetti, in concorso tra loro, con altri soggetti per i quali si è proceduto separatamente e con numerose altre persone, rimaste non identificate, «partecipando in…, alla pubblica manifestazione commemorativa in ricordo di (omissis) e Consigliere Provinciale del di (omissis) militante del (omissis) e di (omissis) militante della (omissis) iniziativa promossa da alcuni appartenenti al partito (omissis) compivano manifestazioni usuali del disciolto partito fascista quali la “chiamata del presente”, il cd. “saluto romano”, l’esposizione di uno striscione inneggiante ai camerati caduti e di numerose bandiere con croci celtiche. In particolare.., (omissis) e (omissis) in piazzale (omissis) rispondendo alla …[chiamata del presente] alzando il braccio destro effettuavano il “saluto romano“».
CONSIDERATO IN DIRITTO: Si è premesso in diritto che, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale (sentenze nn. 74 del 06/12/1958 e 15 del 27/02/1973), la fattispecie penale in contestazione non colpisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle “che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute” e tra queste non solo “gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione” ma anche manifestazioni, espressioni, gesti, comportamenti, quali “possibili e concreti antecedenti causali di ciò che resta costituzionalmente inibito” e quindi “idonei a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste“. Con la conseguenza……… che la suddetta fattispecie si configura come reato di pericolo concreto e che le manifestazioni del pensiero fascista e dell’ideologia fascista in sé non sono vietate, attese la libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite, ma lo sono solo se hanno i connotati di cui sopra e pertanto pongono in pericolo la tenuta dell’ordine democratico e dei valori allo stesso sottesi. B) nel caso di specie, benché incontestato che gli odierni imputati avessero preso parte ad una manifestazione pubblica in questione compiendo i contestati gesti usuali del disciolto partito fascista, si è ritenuto che queste condotte non realizzassero il pericolo sopra enunciato, per cui non integravano il reato di cui all’art. 5 I. n. 645 del 20 giugno 1952. Al riguardo, i giudici hanno ritenuto dirimente la natura puramente commemorativa della manifestazione e del corteo, organizzati in onore di tre defunti, vittime di una violenta lotta politica che ha attraversato diverse fasi storiche. A questo esclusivo fine, erano, dunque, dirette le condotte in contestazione senza alcun intento restaurativo del regime fascista. In questo senso depongono le modalità ordinate e rispettose del corteo, svoltosi in assoluto silenzio, senza inni, canti o slogan evocativi dell’ideologia fascista, senza comportamenti aggressivi, minacciosi o violenti nei confronti dei presenti, senza armi o altri strumenti. Si è in tal modo escluso che la manifestazione in esame, pur in presenza di ostentazione di simboli e saluti fascisti, avesse assunto connotati da suggestionare gli astanti inducendo negli stessi sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista. Ciò a differenza di altri casi in cui la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato, sulla base dei principi sopra indicati, gli estremi del reato in oggetto (il caso di chi intona “all’armi siam fascisti“, inno considerato come professione di fede ed incitamento alla violenza; il caso di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale; il caso di coloro che dopo la lettura della sentenza compiono il saluto romano e gridano più volte la parola “sieg heil“). 2. Passando alle deduzioni in diritto, occorre rilevare che con sentenza n. 11038 del 2/03/2016, dep. 2017, Goglio ed altri, Rv. 269753, questa Sezione della Suprema Corte …..ha affermato il principio secondo cui il delitto di cui all’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645 (come modificato dall’art.ll della legge 22 maggio 1975, n. 152) è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall’art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi. 3. …….Il ricorrente (P.G ndr) trascura, però, che la richiamata pronuncia di legittimità muove proprio dall’interpretazione della c.d. legge Sceiba, offerta dalle sentenze della Corte Costituzionale sopra citate, ribadendo in proposito come «vada escluso che la libertà di manifestazione del pensiero possa andare esente da limitazioni lì dove la condotta tenuta risulti violatrice di altri interessi costituzionalmente protetti (si veda quanto affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 65 del 1970 in tema di apologia punibile e di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica) e tra questi rientrano le esigenze di tutela dell’ordine democratico cui è preposta la disposizione transitoria in tema di divieto di ricostituzione del partito fascista…ma il fatto deve trovare nel momento e nell’ambiente in cui è compiuto circostanze tali da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste… Non è, dunque, la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di pubblicità tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione». Alla stregua di quanto considerato il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
A Confutazione (d’esso)
Senonchè (ovviamente ritratto questo scritto dall’approfondimento di varie questioni pur importantissime, e costrettolo ad obiezioni essenziali):
a) Le due sentenze della Corte Cost. richiamate da Cassazione (basti qui quanto ne ha riportato sopra questa Corte) non furono “di accoglimento“, delle eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art 5 della legge 1952 cit., ma furono di rigetto per infondatezza “nei sensi di cui in motivazione”. Cioè l’articolo non fu toccato, fu solo “interpretato”, dalla Corte. Per ciò esse non ebbero alcun effetto (ri)normativo d’esso, ebbero solo un effetto dissuasivo, delle Corti di merito e di legittimità, da interpretazioni contrarie a quella adottata (non vietate comunque, e per ciò lecite, e perfino capaci, mutate le prospettazioni, di convincere la Corte della loro legittimità costituzionale e di indurla a non reagire – con pronuncia di illegittimità costituzionale delle disposizione denunciata, usuale rimedio alla interpretazione deviante- ).
b) entrambe le sentenze trattarono manifestazioni di singoli , in art 5 cit, non manifestazioni di collettivi, in art 1 cit. ;
c) per ciò non calzavano al caso, in Cassazione, di manifestazioni di collettivi;
d) non calzava al caso nemmeno la sentenza di Corte Cost. richiamata dalle due omologhe predette, la n.1 17 gennaio 1957, anch’essa enunciante su manifestazioni di singoli, non di collettivi;
e) quindi la base giuridica premessa da Cassazione è falsa;
f) se Cassazione si fosse attenuta al caso proprio, avrebbe dovuto mobilitare il reato dei collettivi in art 1;
g) e quando lo avesse fatto (con un minimo di consapevolezza) avrebbe appreso che la “manifestazione esteriore di carattere fascista”, compiuta da un collettivo, lungi dall’imporre (l’accertamento de) il pericolo concreto (della riorganizzazione del disciolto partito fascista), lo riorganizza da sé, per il solo fatto di corrispondere al modello (vd chiarissimo l’art. 1). Perché reato di condotta, ma anche (stavolta, a differenza di quello in art. 5, sopra cennato) di evento (di riorganizzazione);
h) per ciò della “chiamata del presente” (in effetti, dipanando la formula: chiamata evocativa dell’assente come presente -ma ovviamente- quale fascista foriero di neofascismo…), che sarebbe commemorativa (a dire di Cassazione), non allusiva esortativa propiziatoria. O del “saluto romano”, che sarebbe neutro se non accompagnato dal manganello (lo fu durante il fascismo?): è da chiedersi esclusivamente:
sono manifestazioni? manifestazioni esteriori? manifestazioni esteriori di carattere fascista? manifestazioni di collettivi? Sono queste domande retoriche?
La risposta affermativa fornisce quanto occorre alla integrazione del reato in art. 1 cit.
D’altronde, il rito funebre della locale Casa Pound fu intriso di militarismo (militismo, da milizia) essenza del fascismo. Giacchè non ve ne è stata specie, moderna, che non sia sorta da militari (generali, colonnelli) o da civili vestiti da militari ( Mussolini, Hitler…). O antica, che non sia sorta da armati.
E’ il militarismo, peraltro, che vivendo internamente di autoritarismo, esternandosi (necessariamente) lo riproduce, fino al totalitarismo e all’assolutismo.
i) e comunque, quanto a (sostenibilità giuridica del) l’assunto delle suddette Corti per cui le manifestazioni di artt. 1 e 5 citt, dovrebbero preludere la “riorganizzazione del disciolto partito fascista…anche ad evitare la limitazione della libertà di manifestazione del proprio pensiero di cui all’art 21 Cost.“:
da un lato esso non ha neppure intravisto la strategia preventiva della legge (sopra esposta) ed il conseguente vincolo interpretativo. Da altro lato ha frainteso valore e funzione infracostituzionali della dodicesima disposizione cit:
che bandendo (financo) il pensiero neofascista (ovviamente pubblico), quale pensiero politico controcostituzionale, (non è limitata dal ma) limita la libertà in art 21 cit. d’altronde “diritto del cittadino” (Cost. Parte I, Titolo I), dinanzi a diritto della repubblica antifascista (Disp. trans. cit);
l) ma quando le Corti, infine, si intestardissero a pretendere, negli artt. 5 e 1 citt, “pericolo concreto“, allora pongano e valutino, fra le circostanze che lo accertino:
– le interviste al segretario nazionale di Casa Pound (quella di A.Trocino a S. Di Stefano: ormai siete sempre in tv e lei ha avuto molti ascolti. Siete stati sdoganati? «Siamo stati sdoganati dai risultati elettorali, da Ostia a Bolzano, da Lucca a Lamezia Terme…». Un paradosso per un fascista. Lei è fascista? «Certo. Siamo gli eredi della tradizione che dopo Rsi e Msi è stata interrotta da An». Il fascismo è stato regime, dittatura e alleanza con i nazisti. Una tragedia della storia italiana. «È stato certamente uno stato totalitario. Ma ci ha anche lasciato la tredicesima, il tfr, la cassa integrazione»).
– i “disegni di legge” di Lega e Cinquestelle, partiti al Governo e maggioranza in Parlamento, verso la abolizione delle “leggi antifasciste“.
E si domandino in proposito:
se ciò che l’antifascismo combatte è il fascismo, non è fascismo ciò che combatte l’antifascismo?
Pietro Diaz

Fulminea incursione nella interiorità della colpa

1.Colpa, per una condotta che generi un evento, esterno o interno ad essa (in questo caso, a quanto si dice, una mera condotta), (in entrambi i casi una condotta) che causi un evento, secondo la dizione in art. 43.3. c.p., che lo causi, in, e per, violazione di una regola, di condotta concepita e posta. Una condotta notoriamente idonea a causare quell’evento, per ripetuta osservazione sociale (più o meno diffusa) della sua idoneità, ripetutamente esperita, e apparsa sulla scena delle attività sociali.
Alla nascita del suo rilievo giuridico, e della sua assunzione ad oggetto di normazione sociale, sta, appunto, la sua apparizione quale causa di eventi offensivi.
E perchè lesiva o pericolosa di beni dati, la sua proibizione.
Onde la proibizione della condotta ne suppone la causalità, sulla quale si interviene, normativamente, appunto, proibendola, perchè ciò previene l’evento offensivo.
E, rispetto alla condotta che potesse essere socialmente utile, oggettivamente (nel senso che genera vantaggi sociali) e soggettivamente (nel senso che anima corrispondenti fini sociali), (che potesse essere tale oltrechè, eventualmente, offensiva), la proibizione concerne la sua versione offensiva, non quella vantaggiosa (o inoffensiva), epperciò essa si esercita nella modellatura della forma della condotta vantaggiosa, la quale a sua volta modella, nel suo rovescio, la forma della condotta offensiva.
Quando la proibizione fosse assoluta, la condotta è vista come assolutamente (sempre) offensiva; in tal caso, generalmente, la proibizione ricorre ad una norma penale repressiva, e contemporaneamente preventiva (è falso che tutte le norme repressive siano anche preventive, secondo visioni giurisprudenziali inavvertite; è vero, per contro, che le norme repressive possono esse preventive, lo sono in quanto lascino prevedere eventi offensivi, in quanto notoriamente causanti essi).
Quando la proibizione fosse relativa, la condotta è vista come relativamente offensiva, epperciò è permessa nella sua forma inoffensiva.
2.La proibizione della forma offensiva della condotta vantaggiosa può avvenire per atti normativi (leggi regolamenti ordini o discipline), o per fatti normativi (prudenza, diligenza, perizia), in entrambi i casi ha la stessa “specificità” (non è cioè specifica nel primo caso e generica nel secondo, a tenore di quanto comunemente si ritiene), nel senso che la sua essenza, e la sua fenomenicità, sono pari; impari essendo, eventualmente, la modalità della sua conoscenza, che nel secondo caso e non nel primo, avvenendo codificazione per fatti e non per atti (normativi) , impone la esplorazione della esperienza.
D’altronde, essendo sorretta, per principio, da norme, la sua specificità discende dalla essenza loro.
La proibizione della forma offensiva, a sua volta, è ostensione della forma inoffensiva. Questa dualità ha una doppia implicazione.
Da un lato, nell’oggettività: che esse sono in rapporto di esclusione reciproca, nel senso che data l’una non può darsi l’altra, che ( e perché) l’una è offensiva e l’altra è inoffensiva ( e nel senso, ulteriore, immanente al primo, che l’una è causale e l’altra è acausale).
Da altro lato, nella soggettività: che esse sono due volte conoscibili, e quindi che sono tendenzialmente conoscibili, se non conosciute, perchè si ostendono sia nella forma offensiva, che nella forma inoffensiva, si ostendono come attività sociali ripetute offensive o inoffensive,e, in questo caso, come si diceva, vantaggiose.
D’altro canto, le due forme sono costanti e invarianti, nel senso che data la forma offensiva avviene offesa, data la forma inoffensiva non avviene offesa. Regolarmente. Nel senso che la costanza è espressione delle rispettive regolarità causali, nel senso che sempre l’una forma offende, sempre l’altra forma non offende.
3.Quando si fosse notato questo, dovrebbe essere avvertito che la causalità generale, l’etiologia generale, non può che ricalcare, la causalità, l’etiologia speciale. Se la causalità dell’illecito colposo ha taluna ontologia, altrettale è quella dell’illecito doloso, e di qualunque altro illecito penale. La causalità è strutturata ed è mostrata dalla regolarità, dei suoi processi.
La regolarità del susseguente dall’antecedente, del susseguente offensivo dal suo antecedente, del susseguente inoffensivo dal suo antecedente, permeano culturalmente il sapere sociale, e lo formano: il sapere sociale quale insieme dei saperi individuali, un sapere diffuso, ad ogni individualità; tendenzialmente, un sapere posseduto da ogni individuo.
Quando non fosse posseduto, sarebbe possedibile, per l’appartenenza di ogni individuo al contesto sapiente. E nella possedibilità, del sapere, da chi non lo possedesse, nella appartenibilità, di quel sapere, anche a lui, si giustifica soggettivamente l’addebitabilità di non possederlo, e di non regolare la propria condotta conseguentemente.
Si addebiterebbe, a lui, di non essersi adeguatamente socializzato, di non avere adeguatamente partecipato del sapere sociale (un sapere rilevante, poichè discrimina puntualmente tra offensività ed inoffensività sociali). Gli si addebiterebbe di non essersi adeguatamente responsabilizzato socialmente, nell’autoadeguamento al discrimine tra offensività ed inoffensività.
Di non essere socialmente inoffensivo, insomma (nel quadro assiologico della offensività considerata mediamente dalla illiceità colposa).
Pietro Diaz

Cassazione penale sezioni unite 16 marzo 2018 n. 12213

A Sezioni Unite e prima Disunite (vd ivi), la espulsione dall’ordinamento, conscia e inconscia, dell’art 102 cpp, che ha assegnato (anche) al difensore della parte civile la facoltà di nominare un sostituto.

La previsione in art 102 cit è chiara senza commento. Il difensore penale della parte del processo può nominare un sostituto, rendendolo titolare (interinale) dei suoi “diritti” e “doveri” (disp. cit.), di origine legale (la legge processuale e quella penale – ad es scriminante ex art 598 cp, o incriminante ex art 380 cp) e di origine contrattuale (il contratto di prestazione d’opera intellettuale del difensore fiduciario: artt. 2229 ss cc). Conferendogli cioè piena capacità di agire processualmente in sua vece.
Ciò posto, scombina non poco la legge e il contratto (di prestazione professionale che avesse facultato il difensore fiduciario a nominare sostituti- potendo ciò essergli negato-) la (oramai) trentennale tenzone (con quella casta disposizione)se il difensore della parte nella azione civile abbia diritto al sostituto, abbia il potere di farsi sostituire, quando occorra, essendo, essi, riconosciuti nel difensore di ogni altra parte del rapporto civile (responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria: Libro I Titolo V cpp), e, esemplarmente (nella giurisprudenza di merito e di legittimità, il difensore che, impedito ad agire in udienza, non si facesse sostituire potendo, sarebbe “sostitu(ibile)” autoritariamente da nomina giudiciale di “altro difensore”:art. 484.2 cpp…), nel difensore della parte convenuta nella azione penale (ben altrimenti implicante individualmente e socialmente).
Eppure, la tenzone imperversanelle giurisdizioni di merito e di legittimità , tanto da sfociare in Cassazione a Sezioni Unite (in commento), sintesi del meglio delle Sezioni semplici quanto a vizi e vezzi della interpretazione della legge (processuale e sostanziale penale e civile).
Di fatti, leggiamo (mie chiose alla sentenza, ordinate alfabeticamente, in carattere grassetto).

omissis

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, la questione di diritto in ordine alla quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è sinteticamente riassumibile nei seguenti termini “Se sia legittimato a costituirsi parte civile il sostituto processuale del difensore al quale soltanto la persona danneggiata abbia rilasciato la procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale”.
2. E’ necessario anzitutto soffermarsi sul quadro normativo che disciplina la facoltà per il danneggiato di costituirsi parte civile nel processo penale al fine di ottenere le restituzioni e il risarcimento dei danni.
L’art. 74 cod. proc. pen. prevede che l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno possa essere «esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali», tale esercizio concretandosi nella costituzione di parte civile che può avvenire secondo una duplice modalità. Nel prevedere che l’azione civile nel processo penale «è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile», l’art. 76, comma 1, cod. proc. pen. indica come la costituzione possa avvenire personalmente ovvero per il tramite di altro soggetto cui sia stata conferita procura speciale. E, quanto alle caratteristiche che tale procura deve possedere, l’art. 122 cod. proc. pen. stabilisce che «la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce».
Si versa, dunque, in caso di costituzione esercitata a mezzo di procuratore speciale, in ipotesi di rappresentanza volontaria della parte civile, che trova la propria fonte in un atto negoziale, con cui il danneggiato che non intenda agire personalmente in sede penale può conferire ad un procuratore speciale il mandato di rappresentarlo nell’esercizio dell’azione civile.
Quanto poi alle formalità della (dichiarazione scritta di) costituzione di parte civile, l’art. 78 cod. proc. pen., in coerenza con il carattere civilistico dell’instaurando rapporto processuale, indica gli elementi necessariamente identificativi dell’azione, tra cui le generalità del soggetto che esercita l’azione civile di danno, le generalità dell’imputato nei cui confronti si agisce, le generalità del difensore e gli estremi della procura ad litem, nonché l’individuazione della causa petendi, ovvero delle «ragioni che giustificano la domanda». La norma individua, inoltre, due distinte modalità per la costituzione di parte civile, potendo la stessa avvenire o nel corso dell’udienza (preliminare o dibattimentale) con la presentazione della dichiarazione all’ausiliario del giudice, ovvero fuori udienza, mediante deposito nella cancelleria del giudice, seguito dalla notifica alle altre parti (l’imputato ed, eventualmente, il responsabile civile; dovendo ritenersi il pubblico ministero estraneo al rapporto civilistico per il risarcimento del danno e per le restituzioni). In tale seconda ipotesi la costituzione si perfeziona con la notificazione, che deve avvenire comunque prima della verifica della regolare costituzione delle parti ex art. 484 cod. proc. pen.
La parte civile, sia essa costituita personalmente o a mezzo di procuratore specialepuò poi stare in giudizio, come chiarito dall’art. 100 cod. proc. pen., solo col ministero di un difensore, munito di procura speciale, conferita con atto pubblico e scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persone abilitata, versandosi, dunque, in ipotesi di rappresentanza tecnica necessaria, con cui il legislatore ha inteso armonizzare la disciplina dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale con quella del processo civile. Il comma 4 della norma, replicando il disposto dell’art. 84 cod. proc. civ., prevede infatti che il difensore della parte civile possa compiere e ricevere, nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non siano ad essa espressamente riservati (tra questi, ad esempio, la revoca dell’atto con il quale la parte civile si è costituita ex art. 82 cod. proc. pen. e la rinuncia all’impugnazione ex art. 589 cod. proc. pen.). Al difensore è, inoltre, negato ogni atto che disponga del diritto conteso, come ad esempio quello di transigere il danno, salvo che la parte abbia rilasciato procura speciale in tal senso.
2.1. Da tale assetto normativo, coerente con la necessità di salvaguardare, pur all’interno del processo penale, e compatibilmente con la sua struttura, i tratti distintivi di un’azione squisitamente civile, si evince la necessità di tenere nettamente distinti, all’interno della costituzione di parte civile, il profilo della legitimatio ad causam, ovvero la titolarità del diritto sostanziale in capo al danneggiato come tratteggiata dall’art. 74 cit., quale indispensabile presupposto per la costituzione di parte civile con le modalità previste dagli artt. 76 e 78 cit., da una parte, e la legitimatio ad processum, ovvero la rappresentanza processuale secondo la regola esemplificata dall’art.100 cit., dall’altra, in virtù della quale il danneggiato, per potere stare in giudizio, sia esso costituito personalmente o a mezzo di procuratore speciale, deve conferire ad un difensore la “procura alle liti”.
Se, dunque, la procura speciale prevista dagli artt. 76 e 122 costituisce una manifestazione di volontà della parte mediante la quale in capo al procuratore, cui viene conferito il mandato a costituirsi in nome e per conto proprio, si devolve la capacità di disporre delle posizioni giuridico-soggettive del rappresentato, la procura speciale di cui all’art. 100 cit. conferisce invece il solo mandato processuale di rappresentanza in giudizio, valendo nei due casi un medesimo termine («procura speciale») a significare due concetti giuridici nettamente diversi. Si è efficacemente puntualizzato a tale proposito che «tale ultimo atto conferisce la rappresentanza tecnica in giudizio, ossia esclusivamente lo jus postulandi, attribuendo il potere di “compiere e ricevere […] tutti gli atti del procedimento (art. 100, comma 4), necessari allo svolgimento dell’azione civile: si tratta di una “capacità di schietto diritto processuale”, che risponde ad un’esigenza prevalentemente pubblicistica. Appare così evidente che l’intenzione del legislatore è stata quella di modellare la procura alle liti con riferimento all’omologo istituto processual-civilistico (art. 83 cod. proc. civ.), giacché la parte civile, come gli altri soggetti indicati nell’art. 100, si muove nel processo penale nell’ambito, diretto o indiretto, di un contenzioso di natura civilistica» (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, Mazzarella, Rv. 229179).

A) E fin qui il discorso, per lo più di ostensione dei dati giuridici e di riproduzione (scolastica) del loro senso, fila senza intoppi (benché carico di latino).

2.2. La distinzione sopra sottolineata implica che, laddove il soggetto legittimato ad causam si costituisca, esercitando l’opzione in tal senso consentita dalla legge, a mezzo di procuratore speciale, siano necessarie due procure speciali, di cui una volta a conferire il potere di esercitare il diritto alle restituzione o al risarcimento (rappresentanza sostanziale), e l’altra diretta ad attribuire lo ius postulandi (rappresentanza processuale): procure che, come frequentemente accade, ben possono essere conferite al medesimo soggetto, così attribuendosi al difensore nominato procuratore speciale sia la rappresentanza sostanziale sia quella tecnico-processuale.

B) E qui il primo intoppo:
il cumulo delle due procure nellunica persona del difensore implica che, questi, si costituirebbe in proprio e difenderebbe sé stesso? La risposta affermativa – tanto prassica quanto interpretativamente inavvertita del problema – potrebbe urtare la previsione per cui la parte civile (il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria)sta.. in giudizio col ministero di un difensore(art 100.1 cpp), plausibilmente altro, da essa (certo la alterità formale delle figure è fortemente insidiata dalla loro identità sostanziale, personale).
E se è vero che il cumulo delle procure è ammesso dallart. 122. 1 cpp (se la procura è rilasciata per scrittura privata dal difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo), non è men vero che lo è oggi, nella disposizione modificata dalla legge n. 479/1999 (art 13. Co. 3), che nondimeno ieri la escludeva, facendosi carico (tacitamente ma sennatamente) del problema cennato.
E inoltre del problema per cui lidentità personale del procuratore alla causa e di quello alla lite insidia gravemente, oltre che confonderla funzionalmente, la genuinità dellacertifica(zione)(art 100.2 cit.) e della “autentica(zione)” (art.122.1 cit.), che essi facessero, della sottoscrizione delle procure – tanto che, non oggi ma ieri, anche a scanso di conflitti di interessi a certificare autenticare già confliggenti nella unità genetica (per cui, o certifica o autentica o non farebbe alcuno dei due atti chi li facesse unilateralmente), la procura (alla causa) era formabile solo per atto pubblicoo per scrittura privata autenticata(ivi), non certo dal difensore.
Con ben altra sensibilità ai problemi, dunque, del legislatore dellart 3. 1, 3, legge 479/99 – quello che, invero, completò la controriforma delle strutture del codice appena decenne (D. L.vo 51/989: dissolvendo la doppia Procura col doppio ordine socio giuridico di giudizio assicurato dalla Pretura); concentrando nel (lunico potere politico penale del) Tribunale (collegiale, monocratico, collegiale specializzato in Assise) ogni competenza per materia. E facendo tantaltro, sotto dettatura daltri. Legislatore tanto insensibile ad essi da eccitare una giurisprudenza (teoricamente ignara) ammettente, oltre la confusione personale della parte attrice e del suo difensore, la sufficienza della certificazione della sottoscrizione della procura alla lite alla autenticazione di quella della procura alla causa. Così privando ognuna delle due sottoscrizioni della efficacia propria e i loro autori della identità propria. E inoltre conducendo il difensore oltre il limite della funzione certificativa (della sottoscrizione della procura alla lite), fino alla funzione di autenticatore generale, che il legislatore originario aveva voluto escludere (perché difforme da quella dellintero ordinamento, del difensore certificatore non autenticatore: nel senso degli artt. 100, 122 citt). Di autenticatore, per giunta, nellacertificazionequale vera di firma, disobbligato alla (acquisizione della) presenza (identificata documentalmente) del sottoscrittore, e alla sottoscrizione davanti a sé.
E facendosi carico (la legge precedente la riforma suddetta) inoltre del fatto che la unità personale dei due procuratori avrebbe indotto a supporre che il difensore difendesse sé stesso. Ciò che, ammesso nel processo civile dallart 86, non lo era nel processo penale, da alcuna disposizione.
A parte l’ulteriore implicazione, dal conferimento della procura alla causa al difensore (sopravvenuta alla prima edizione dellart 122 del codice, con lart 13 comma 3, come detto), per cui: renderebbe lui la testimonianza della parte civile ex art 503 cpp? se si, chi difenderebbe questa durante quella? Oppure, al suo posto testimonierebbe il danneggiato conferente la procura? Ma sarebbe testimonianza della persona offesa o danneggiata, non della parte civile, testimonianza ex art 500 cpp, non ex art 503, cit.. Con ogni conseguenza.
Al postutto, la distinzione medesima tra procuratore alla causa (o soggetto danneggiatoin persona: art 74 cpp) e procuratore alla lite, paiono postulare naturalisticamente, logicamente, quella personale.

3. Così riassunte le linee portanti della disciplina cui appartiene la questione di diritto devoluta alle Sezioni Unite, va rilevato che il contrasto interpretativo insorto si incentra, a ben vedere, essenzialmente sulla diversa latitudine attribuibile, in caso di costituzione di parte civile esercitata a mezzo di procuratore speciale che sia anche difensore, al potere del difensore stesso, previsto in via generale dall’art. 102 cod. proc. pen. (e dunque anche con riguardo al difensore della parte civile) di delegare ad altri la rappresentanza processuale, nominando un sostituto che ne «esercita i diritti e [ne] assume i doveri».

C) Si potrebbe domandare:
quindi in ogni altro caso la questione non sorgerebbe?
Eppure essa è sorta (prevalentemente e comunque almeno fino alla citata legge 479/99) in ogni altro caso…
Ma se la questione non sorgerebbe quando il procuratore alla lite non fosse il procuratore alla causa, come è che lattività del primo, e la relativa capacità, non è isolata da quella del secondo, è confusa a questa, fino a disarticolarla dalla possibilità del compimento mediante sostituto (rimarcasi: la attività processuale, non sostanziale, del difensore della parte, non della parte)?
Lorigine del vizio interpretativo sta già nella imperfezione (da incomprensione) delle formule impiegate: in caso di costituzione di parte civile esercitata a mezzo di procuratore speciale che sia anche difensore…”non intende che, lacostituzione, la esercitaesclusivamente il ministero del difensore (la parte civile sta..in giudizio col ministero di un difensore, munito di procura speciale…”: art.100.1 cit.); altrimenti il procuratore alla causa, si costituirebbe personalmente, allo stesso modo la nuda parte: e cosi facendo infrangerebbero il divieto relativo (ivi).
Laesercitail difensore come tale, non come procuratore specialealla causa, mediante dichiarazionedessadepositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza(art 78.1 cpp): in attività esclusivamente processuale.
Ora essendo questo, chiaramente, atto del difensore, perché mai non potrebbe essere compiuto dal suo sostituto (chiamato e chiamabile a compierlo)?
Si è visto e si vedrà che la spiegazione non sarà data

I differenti indirizzi formatisi, pur nella condivisa premessa della necessaria distinzione concettuale tra legitimatio ad causam e legitimatio ad processum, sono giunti ad opposte conclusioni per effetto della diversa valutazione dell’ambito applicativo del potere di sostituzione, in un primo orientamento confinato alla sola veste del difensore di rappresentante processuale nel senso significato dall’art. 100 cit. e in un secondo ritenuto operante anche con riguardo al potere sostanziale conferito per il tramite della procura speciale di cui all’art. 76 cit..

D) Ecco, evidentemente la distinzione concettualefra le legittimazioni non ha prodotto quella fra i legittimati e le relative missioni processuali. Se lo avesse fatto, alcun suo operatore avrebbe cogitato che la sostituzione del legittimato al processo potesse coinvolgere il legittimato alla causa; che la sostituzione del minist(rante)(art. 100 cit.) lazione civile mediante dichiarazione di costituzione di parte civile (art 78.1 cit. ) potesse coinvolgere lattore civile (in persona o per procura).
Distinzione concettuale, dunque, insufficiente, inefficiente, quella delle legittimazioni, a profilare i legittimati le loro proiezioni e sostituzioni 

4. La divaricazione esegetica formatasi nella giurisprudenza di questa Corte va ascritta a due indirizzi di segno opposto, mediati da un terzo orientamento di carattere intermedio.
4.1. Un primo indirizzo, nel sottolineare che l’attribuzione al difensore del potere di costituirsi parte civile (vale a dire appunto la legitimatio ad causam, ovvero il diritto sostanziale ad ottenere giudizialmente il risarcimento) costituisce istituto diverso dal rilascio del mandato alle liti (ovvero la rappresentanza processuale),perviene ad escludere, in via generale (e senza prendere posizione specifica sulla operatività di una previsione in procura speciale della relativa facoltà), che la legitimatio ad processum conferisca al difensore la facoltà di farsi sostituire per la costituzione di parte civile in udienza, da altro difensore (tra le altre, Sez. 3, n. 22601 del 13/05/2005, Fiorenzano, Rv. 231793; Sez. 5, n. 6680 del 23/10/2009, dep. 2010, Capuana, Rv. 246147; Sez. 5, n. 19548 del 03/02/2010, Schirru, Rv. 247497; Sez. 3, n. 6184 del 05/11/2014, dep. 2015, Dami, non mass.; Sez. 2, n. 22473 del 12/05/2016, Rando, non mass.; Sez. 2, n. 15812 del 08/03/2017, Baraghoui Kalid, non mass.; Sez. 5, n. 38763 del 28/06/2017, Santarelli, non mass.).

E) Indirizzo ineccepibile, per quanto detto in esordio. Mentre è oscuro che cosa desso abbia appreso o supposto SSUU, che non esplicita se sia caso di cumulo di procure nella persona del difensore o no. Se lo fosse, la questione da porre sarebbe ben altra (vd.lanella chiosa B). Se non lo fosse, la questione sarebbe insussistente, per quanto detto; e non se ne avrebbe nemmeno lapparenza, quando se ne rettificasse limpostazione,attribuzione al difensore del potere di costituirsi parte civile: non èil difensore che si costituisce, ma èla parte, personalmente o per procuratore, che col ministerodel difensore (art. 100.1 cit.) dichiara di costituirsi parte civile.

4.2. Un secondo indirizzo, di segno opposto, afferma la legittima possibilità, per il difensore, di nominare un sostituto, ove anche non prevista la relativa facoltà, ai fini del deposito dell’atto di costituzione senza possibili delimitazioni di sorta tratte dalla natura della procura ad litem (Sez. 5, n. 3769 del 07/03/1995, Prati, Rv. 201061; Sez. 5, n. 51161 del 24/10/2013, Morozova, non mass.; Sez.5, n. 10396 del 14/12/2012, dep. 2013, Malfagia, non mass.; Sez. F, n. 35486 del 06/08/2013, Amato, non mass.).
In altri termini, l’art. 102 cit. non esaurirebbe la sua funzione nell’ambito della mera rappresentanza processuale ma si estenderebbe al piano della vera e propria titolarità del diritto a richiedere le restituzioni ed il risarcimento dei danni, conferendo, tra gli altri, il potere di nominare un sostituto ai fini del deposito dell’atto di costituzione.

F) Indirizzo ancora ineccepibile, che tuttavia non è opposto ma è conforme, e differisce dallaltro perché dà rilievo alla previsione in art 102 cit., denunciando l’inutilità anzi l’illogicità della pretesa, a validare la sostituzione, che la facoltà di nominare un sostituto sia conferita nella procura alle liti. dalla parte: perché la facoltà è data dalla legge.
Quanto poi al rilievo che lart 102 cit. si estenderebbe al piano della vera e propria titolarità del diritto a richiedere le restituzioni ed il risarcimento del dannocome potrebbe estendervisi se non per assurdo, essendo proprio quellarticolo a separare rigidamente la titolarità processuale dallatitolarità” sostanziale del diritto…”?

Da annoverare all’interno di tale indirizzo, sia pure in posizione peculiare, le affermazioni di Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270208. Ivi, infatti, si perviene sempre a ritenere legittimamente esercitabile la facoltà del difensore di sostituzione anche con riguardo al profilo della legitimatio ad causampur facendosi leva sul fatto che, in realtà, ciò che verrebbe in gioco non sarebbe la spendita, da parte del sostituto, del potere di costituzione di parte civile, effettivamente non delegabile, quanto quello del mero deposito dell’atto di costituzione. Se non è in dubbio che «parte civile possa costituirsi esclusivamente il titolare del diritto ovvero il procuratore speciale all’uopo nominato ai sensi dell’art. 76 cod. proc. pen., e che quest’ultimo non possa a sua volta costituirsi a mezzo di procuratore a meno che l’originaria procura non preveda una simile facoltà […] nel caso la costituzione avvenga a mezzo del procuratore speciale che sia anche il difensore della parte civile, non è però necessario che egli proceda personalmente alla presentazione della dichiarazione attraverso cui la stessa viene effettuata, potendo provvedere a tale adempimento anche a mezzo del proprio sostituto eventualmente nominato ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., il quale non si costituisce in sua vece, ma si limita per l’appunto al deposito dell’atto di costituzione».

G) Indirizzo anchesso ineccepibile, non solo perché esalta la facoltà di sostituzione in art 102 cit, ma perché compie lo sforzo di enucleare qual sia lattività del sostituto: quella del sostituito, di deposito o di presentazione (nella cancelleria del giudice che procede o in udienza), della dichiarazione di costituzione di parte civile (art. 78 cit.), espressioni procedurali di questa, che non sono né implicano altro che il segno della partecipazione al giudizio di chi reputasse di poterla attuare.
Ora, che quel segno non possa essere lasciato da chi legalmente sostituisse chi potrebbe imprimerlo, è insostenibile.

4.3. Un terzo indirizzo, di carattere, per così dire, intermedio, riafferma il principio per il quale il sostituto processuale del procuratore speciale-difensore nominato dalla persona offesa non ha il potere di costituirsi parte civile, considerato che l’attribuzione al difensore del potere di costituzione (legitimatio ad causam) costituisce istituto diverso dal rilascio del mandato alle liti (rappresentanza processuale), per il quale solo l’art. 102 cod. proc. pen. prevede la possibilità della nomina di un sostituto che eserciti i diritti e assuma i doveri del difensore.

H) Ma non sarebbe il sostituto del procuratore alla lite, non alla causa, che depositerebbe la dichiarazione di costituzione parte civile, al modo in cui lo farebbe il sostituito, nellesercizio del medesimo ministero?

Allo stesso tempo, tuttavia, si sostiene che la previsione, contenuta nella “procura speciale” rilasciata al difensore, con cui si conferisca espressamente allo stesso la facoltà di nominare sostituti processuali e di presentare personalmente a mezzo degli stessi l’atto di costituzione di parte civile, rappresenta una esplicita manifestazione di volontà da parte della persona offesa di consentire l’esercizio dei diritti a lei facenti capo in giudizio anche a sostituti processuali del difensore nominato (Sez. 5, n. 18258 del 07/01/2016, Luciotti, non mass.).

I) E tuttavia, come é che non si coglie che la facoltà di nominare sostituti processuali e di presentare personalmente a mezzo degli stessi l’atto di costituzione di parte civile, invece della procura speciale rilasciata al difensore, la conferisce la legge (art. 102 cpp)?

In tale ipotesi «il sostituto designato è in realtà soggetto espressamente designato dal procuratore speciale a svolgere la sua medesima attività: non, quindi, mero sostituto processuale ex art. 102 cod. proc. pen. sfornito di poteri speciali, ma soggetto che deriva la propria legittimazione da uno specifico conferimento di incarico in tutto analogo a quello affidato al difensore originario che, per effetto della procura speciale rilasciatagli, è nelle condizioni di nominare altro soggetto in sua vece dotato dei medesimi poteri ed investito dei medesimi compiti» (Sez.3, n. 50329 del 29/10/2015, dep. 2016, Vitali, non mass.).

J) Ma di quali poteri specialidovrebbe essere fornito il sostituto processuale ex art 102 cpp se non di quelli del ministero del difensore che sostituisse, ripetesi, di depositare nella cancelleria del giudice che procede o di presentare in udienza (art 78.1 cit.) la dichiarazione di costituzione di parte civile ?

Si aggiunge, da un lato, come tale conclusione appaia coerente con i principi posti dalla giurisprudenza civile secondo cui qualora la procura notarile alle liti contenga un autonomo mandato ad negotia conferente al difensore il potere di nominare altri difensori, costui, in forza della rappresentanza sostanziale attribuitagli, può validamente rilasciare in nome del dominus altre procure speciali (Sez. 5, n. 11954 del 08/02/2005, Marino, Rv. 231713)

K) Ma la coerenza della escogitazione sopra espressa ai principi posti dalla giurisprudenza civile, per cui è conferibile al difensore il potere di nominarne altri, è incoerenza alla legge processuale e civile e penale. Alla prima che ha bisogno del meccanismo indicato perché mancante dellart 102; alla seconda perché non ha bisogno desso giacché avente lart 102 .

e, dall’altro, come, in una tale situazione, richiedere il conferimento da parte della persona offesa di una specifica ed ulteriore procura speciale al sostituto al fine della costituzione di parte civile si risolverebbe in «esercizio di puro formalismo» (Sez. 5, n. 14718 del 04/02/2014, Scaravilli, non mass.)

L) Ma il formalismo del conferimento al procuratore alla lite (e alla causa? Le soggettività non sono chiaramente delineate in questa sentenza, come riportata da SSUU) di nominare sostituti non sarebbe meno purodi quello che pretendesse specifica ed ulteriore procura speciale al sostituto: esistendo insistendo e agendo, se gli fosse permesso da siffatta giurisprudenza, lart 102 cpp.

In definitiva, il potere in base al quale il procuratore speciale attribuisce la facoltà di costituzione di parte civile ad un delegato è conferito direttamente dal rappresentato-persona offesa (Sez. 5, n. 30793 del 27/05/2014, Rizzo, non mass.).

M) Ora a parte che in definitivaanche l’ “attribu(zione) della facoltà di costituzione di parte civile ad un delegato (sic), ex art 102 cit. è conferita direttamente dal rappresentato-persona offesa(e, quindi, non occorrerebbe il rilievo su esposto, basterebbe il tramite offerto da quella disposizione, per giungere alla delegavalida ed efficace): chi sarebbe costui? Persona offesa rappresentata dal procuratore alla lite (art 100 cit.) o dal procuratore alla causa? O dai due procuratori incarnati in un’unica persona (vd chiosa B)?Così tuttavia si esprime SSUU.

5. Ciò posto, le Sezioni Unite ritengono anzitutto non condivisibile l’indirizzo che ha affermato in via generale la facoltà del sostituto del difensore della parte civile di effettuare la costituzione in diretta discendenza della previsione dell’art. 102 cod. proc. pen.
5.1. La disciplina relativa all’esercizio dell’azione civile nel processo penale, nel consentire al danneggiato di costituirsi anche per il tramite di procuratore speciale, appare tenere rigorosamente distinti il profilo della legitimatio ad causam, vale a dire quello attinente all’esercizio del diritto sostanziale, e il profilo della legitimatio ad processum, pertinente invece alla rappresentanza tecnico defensionale.
E’ infatti inequivoco che, nonostante la possibile incertezza ingenerata dall’utilizzazione da parte del legislatore di un medesimo termine, la procura speciale rilasciata al difensore dalla parte civile in conformità alla previsione dell’art. 100 cod. proc. pen. sia unicamente ed esclusivamente finalizzata al conferimento dei poteri di rappresentanza in giudizio senza che la stessa possa allo stesso tempo conferire il potere di spendita del diritto sostanziale a reclamare le restituzioni e il risarcimento del danno generati dal reato, potere che può essere trasferito da un danneggiato al terzo solo in virtù della distinta procura speciale di cui all’art. 122 cod. proc. pen. come richiamata dall’art. 76 cod. proc. pen.

N) Come se, quanto al rilievo del primo cpv, ove il danneggiato si costituisse personalmente, la distinzione non sarebbe chiara.
E se, quanto al rilievo del secondo cpv, avesse qualche incertezza chi fosse minimamente avvezzo a quelle ben distinte formule?
E se, quanto al rilievo del terzo cpv, la nomina del sostituto per lesercizio del ministero del sostituito potesse comportare spendita del diritto sostanziale a reclamare le restituzioni e il risarcimento del danno”.
La riflessione di SSUU non potrebbe essere meno perspicua.

Si è già sottolineata la “radicale differenza” sotto tale profilo tra le due procure, differenza che tale resta anche quando, unitamente alla procura di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen. venga, con lo stesso atto, conferita alla stessa persona anche l’altra procura, cosa, peraltro, ben possibile in quanto, pur in presenza di distinte disposizioni normative, non si rinviene nell’ordinamento una disposizione che vieti il cumulo, in unico atto, di tali distinte scritture (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, Mazzarella, Rv.229179).

O) In effetti manca il divieto di cumulo in unico documento di più atti, dovrebbe dire meglio SSUU, poiché due procure non sono unico atto (giuridico) ma più atti riuniti. Ma la questione, come sopra osservato, è se la persona del difensore possa (continuare, in forza della riforma per legge 479/99) a cumulare quella della parte; se possa (continuare a ) non esservi scissione delle due (vd chiosa B).

Ne consegue che, essendo l’art.102 cod. proc. pen. necessariamente collegato al ruolo esercitato dal difensore quale patrocinatore tecnico volto a far stare in giudizio la parte rappresentata, anche la nomina di un sostituto non può che restare confinata all’interno di tale veste senza potere estendere la propria efficacia al diverso piano della legittimazione ad esercitare l’azione civile che lo stesso difensore, nel “ruolo” di ordinario mandatario, può trarre unicamente dalla procura di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen.

P) Il difensore processuale che nominasse un sostituto non darebbe a questo la qualità di parte? Non potrebbe farlo potendo dargli solo quella del sostituito? Ciò che volevasi dimostrare, malgrado SSUU in esame.

Non è pertanto conciliabile con tale assetto, chiaramente delineato dal legislatore, l’affermazione, enunciata dall’indirizzo in commento, secondo cui l’art. 102 cit. conferirebbe direttamente al difensore il potere di investire altro difensore, nominato in sostituzione propria, del potere di costituirsi parte civile.

Q) A parte che la conclusione è disgiunta dalla premessa e perciò la congiunzionepertantoè incongrua: se per potere di costituirsi parte civile” non si intendesse altro che quello di depositare o presentare la dichiarazione di costituzione diparte civile (art. 78.1 cit.), non potendosi ritenere altro rettamente, il rilievo non potrebbe essere più aberrante.

Quindi
Né appare esatto, come sostenuto dalla menzionata pronuncia di Sez. 5, n. 18508 del 2017, Fulco, affermare che, in realtà, ciò che il sostituto eserciterebbe non sarebbe il potere di costituzione di parte civile bensì la mera attività di deposito in udienza dell’atto di costituzione, quale compito, per così dire, materiale-esecutivo che presupporrebbe, a monte, una costituzione già intervenuta. Una distinzione siffatta non appare infatti trovare fondamento normativo laddove si consideri che la presentazione in udienza della dichiarazione di costituzione, lungi dall’essere un mero adempimento esecutivo, è invece, come evincibile dalla disposizione dell’art. 78 cod. proc. pen., la modalità intrinseca di perfezionamento stesso della costituzione in alternativa rispetto al deposito in cancelleria.
Sicché, ove si opinasse nel senso qui non condiviso, si verrebbe ad introdurre una terza modalità di costituzione di parte civile, sostanzialmente coincidente con la mera redazione dell’atto di dichiarazione di costituzione, posta del tutto al di fuori del sistema, imperniato, come reso chiaro dalla norma appena richiamata, sulla sola alternativa del deposito in cancelleria o della presentazione all’udienza, quali momenti entrambi perfezionativi dell’atto di costituzione.

R) Certo se la “mera attività” di “deposito” o di “presentazione” (in cancelleria o in udienza, della dichiarazione di costituzione di parte civile) è in effetti “modalità intrinseca di perfezionamento della costituzione”, anzi, costituisce la parte civile nel processo (e per ciò è tutt’altro che “una terza modalità di costituzione di parte civileposta del tutto al di fuori del sistema); va in ogni caso rilevato che, essa, esplica, da un lato, il (necessario: art 100 cit.) ministero giudiziario del difensore, da altro, la volontà giuridica del suo committente.
E rilevato che i due lati non sono confusi e vanno distinti.
Quindi, che il primo sia impermeabile dalla previsione in art 102 cit. è inaffermabile.

5.2. Quanto detto in ordine alle ragioni che ostano alla fondatezza dell’impostazione di segno più estensivo, consente, simmetricamente, di individuare quella che ha da essere la corretta linea esegetica.
Il discrimine non può che essere dato, infatti, dalla necessaria distinzione concettuale tra legitimatio ad causam e legitimatio ad processum, potendo il sostituto del difensore effettuare la costituzione di parte civile solo laddove una tale facoltà gli derivi dalla volontà espressa dal danneggiato all’atto del conferimento dei poteri di esercizio del diritto sostanziale ad agire.
Fermo dunque il concetto, espresso nitidamente dal primo indirizzo ricordato, secondo cui la legitimatio ad processum non conferisce al difensore la facoltà di farsi sostituire, per la costituzione di parte civile in udienza, da altro difensore, nulla toglie, al contempo, che lo stesso danneggiato, con la procura speciale rilasciata ai fini della costituzione, attribuisca al difensore la facoltà di farsi sostituire da altro difensore, dovendosi intendere tale facoltà finalizzata appunto – atteso l’ambito formale nel quale la stessa è conferita – all’esercizio del potere di costituzione. Una tale previsione, contenuta nella procura ex art. 76, viene in definitiva a configurare anche in capo ad altro soggetto, per espressa volontà del titolare del diritto, il potere di costituzione di parte civile, restando in tal modo rispettati i confini dogmatici imposti dal legislatore.
A ben vedere, la facoltizzazione del difensore da parte del danneggiato di investire dei suoi poteri altro soggetto come “sostituto” finisce per risolversi in un dato lessicale irrilevante una volta che divenga chiaro come tale “sostituto” ripeta, in definitiva, i suoi poteri dalla stessa volontà del danneggiato.

S) Quanto ai due primi cpv : il danneggiatoconferirebbe al sostituto del difensore il potere di sostituirlo (o questi gli conferirebbe la qualitàdi coprocuratorenon è chiaro)?
Ma se lo facesse, poiché lo chiamerebbe a svolgere attività di difensore, romperebbe il divieto del doppio difensore per la parte civile (art 100).
Inoltre:
Ildanneggiatoche non desse procura speciale(alla causa) al difensore non potrebbe mai dare a lui la possibilità di farsi sostituire?
Dunque sarebbe obbligato a dargli procura speciale (procura dalle implicazione di cui alla chiosa..), o il difensore sarebbe insostituibile?
Ma quella procura è facoltativa (art. 76 cpp), la obbligatorietà ne violerebbe la natura; e la facoltatività non esercitata non potrebbe sparificare lintestatario quanto a sostituibilità del difensore.
Daltronde, il groviglio interpretativo è sì stringente, che SSUU ha dovuto financo sopprimere significante e significato, si sostituto ex art 102 cit., virgolettandolo(vd. ult cpv).
E così, destituita anche semanticamente, la sostituibilità del difensore attivata dalla legge è disattivata (ma proprio quale istituto del diritto processuale penale), da SSUU contro la legge. Sia quella istitutiva che quella limitativa dellufficio di difesa. Sia quella sistematica e logica sia quella economica che ispira la prima delle precedenti.

5.3. Su un piano di logica simmetria rispetto a quanto appena enunciato, deve invece escludersi che un potere di nomina di sostituto contemplato esclusivamente nella “procura speciale defensionale” sia idoneo a conferire al sostituto del difensore, nominato ex art. 102 cod. proc. pen., il potere di costituzione di parte civile non agendo, in tal caso, la parte rilasciante la procura come titolare del rapporto processuale volto a promuovere l’istanza risarcitoria, circoscritto al solo ambito delle previsioni di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen..

T) Ma a parte che, per quanto detto nelle chiose G), J), il sostituto del difensorenon è chiamato genericamente ad esercitare il potere di costituzione di parte civilema, specificamente, a depositare o presentare la dichiarazione di costituzione della parte civile (atti esclusivi del, ed esclusivamente a, ministero del difensore sostituito); che la parte rilasciante la procura(alla lite) non ag(isca)o possa agire come titolare del rapporto processuale volto a promuovere listanza risarcitoria, da un lato è incomprensibile, se proprio in quanto (sedicente) tale può rilasciare la procura alla lite; da altro ignora che con e nella procura alla lite lemittente potrebbe dare al difensore ilpotere” “di compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa” (art 100.4 cit.). Tra i quali, assuntolo (implicitamente) da SSUU come dispositivo, potrebbe rientrare la nomina del sostituto.

A ciò va poi aggiunto come, anche sul piano meramente formale, la procura defensionale difetti del requisito di cui alla procura speciale ex art. 122 cod. proc.pen. segnatamente rappresentato dalla determinazione dell’oggetto per cui la procura è conferita e dei fatti ai quali la stessa si riferisce.

U) Cioè, la procura defensionaleche, oltre tantaltro, manda al difensore di costituirsi parte civile mediante deposito o presentazione in cancelleria o in udienza, la dichiarazione di parte civile che ha la specificità oggettuale (e soggettuale) in art 78 non conterrebbe ladeterminazione dell’oggetto per cui la procura è conferita e dei fatti ai quali la stessa si riferiscePer davvero?

Va del resto rimarcato che, sino a che la costituzione di parte civile non si perfezioni (e la stessa si perfeziona solo con la presentazione dell’atto in udienza, salvo che lo stesso non sia stato precedentemente depositato in cancelleria), un potere di sostituzione conferito con il solo mandato difensivo non potrebbe efficacemente operare, posto che la procura defensionale rilasciante il compito di stare in giudizio per conto del danneggiato presuppone una parte civile già costituita (stando in giudizio la parte civile col ministero di un difensore solo successivamente alla presentazione dell’atto di costituzione o al deposito in precedenza effettuato in cancelleria).

V) Dunque la procura defensionale rilasciante il compito di stare in giudizio per conto del danneggiato” – qui la trama linguistica finora adottata si scompone (e quando ciò accada, si scompone la trama delle cose, come designate dalla precedente: a parte che la trama linguistica non potrebbe che essere una, in conformità a quella delle legge, che quella interpreti), il difensore sarebbe munito delcompito di stare in giudizio per conto…” (se mai di rappresentare. o di esplicare il ministero del difensore..in giudizio); e pare scomporsi, o interrompersi, il flusso logico, perché il difensore, inopinatamente, non sarebbe più (anche) procuratore alla causa-, nonrilasci(erebbe) il compito di avviare il giudizio (sulla azione civile) per conto del, danneggiato, (il compito) di processualizzare quanto conduca il medesimo alla costituzione di parte civile, nella esplicazione del ministero difensivo anche mediante sostituzione del difensore?
Dunque la procura defensionale rilasciante il compito di stare in giudizio per conto del danneggiato presuppo(rrebbe) una parte civile già costituita (stando in giudizio la parte civile col ministero di un difensore solo successivamente alla presentazione dell’atto di costituzione o al deposito in precedenza effettuato in cancelleria)?
E chi costituirebbe o come si costituirebbe la parte, in giudizio a necessario ministero del difensore (art 100.1 cit) se non i forza dellaprocura defensionale” adempiuta dal difensore?
Peraltro, va notato che nei termini in cui (inconsapevolmente?) si esprime, SSUU sembra ammettere la nomina del sostituto per la presentazione delle conclusioni della parte civile nella fase della discussione del processo (art. 523.1 cpp). Ma ammessala per un atto equivalente alla costituzione della parte, giacché la sua omissione implicherebbe revoca della costituzione, ciò non renderebbe illogica(eufemisticamente) la esclusione della facoltà per la costituzione?

E questa è la ragione per cui non può automaticamente recepirsi, nell’ambito del processo penale, l’indirizzo elaborato dalla giurisprudenza civile laddove si afferma che «qualora la procura alle liti conferisca al difensore il potere di nominare altro difensore, deve ritenersi che essa contenga un autonomo mandato ad negotia – non vietato dalla legge professionale né dal codice di rito – che abilita il difensore a nominare altri difensori, i quali non hanno veste di sostituti del legale che li ha nominati, bensì, al pari di questo, di rappresentanti processuali della parte» (da ultimo, Sez. 3 civ., n. 1756 del 08/02/2012, Sestili c. Capitalia Spa, Rv. 621422; Sez. 3 civ., n. 12598 del 16/10/2001, Pagnoni c. Levante Assic. Spa, Rv. 549663; Sez. 1 civ., n. 9493 del 28/06/2002, Sherwood Producers & Exporters Limited c.Conceria Tre Emme, Rv. 555456, quest’ultima con riferimento alla possibilità per il difensore di rilasciare ad altri difensori procura speciale a proporre ricorso per cassazione).

W) Senonchè, a parte il rilievo che SSUU continua a decontestualizzarsi (parlava daltro prima che imboccasse la sostituibilità civilistica): quella ragione, escludente la sostituibilità civilistica, è neutralizzata dalla legge della sostituibilità processualpenalistica.
Cioè SSUU non percepisce e nemmeno sospetta che la sostituibilità processuale del difensore in civile è regolata dalin penale dallart 102 cpp.

5.4. Affinchè, dunque, il potere di “sostituzione” sia legittimamente conferito appare necessario e sufficiente che il danneggiato preveda una tale possibilità in capo al difensore-procuratore speciale all’interno della procura di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen.: “necessario”, perchè solo tale ambito formale garantisce che al sostituto venga delegato il diritto sostanziale di cui il mandante è titolare, e “sufficiente” perché non può pretendersi, all’estremo opposto, che il danneggiato conferisca una ulteriore apposita procura speciale direttamente in capo al sostituto. Un tale assunto, già implicitamente affacciatosi nella giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 6184 del 2015, Dami, cit.), finirebbe per risolversi nella pretesa di un adempimento meramente formale pur a fronte di una volontà chiaramente espressa dal titolare del rapporto.

X) Ma indicate le condizioni per le quali (vd dopo) il potere di sostituzionesarebbe legittimamente conferito, perché virgolare la sostituzione (trasformarla semanticamente, spacciarla come modo di dire, a dispetto della stessa rubrica dellart 102 cpp; insomma riscrivere in punto il codice), a rischio di virgolare semanticamente e funzionalmente anche il potere relativo?
E comunque: che al difensore parte per procura speciale ex art 76, 122 citt. sia dato di conferire il potere di sostituzione” (di sé stesso in quanto tale, cioè di sé stesso non difensore, e di sé stesso da chiunque, non richiedendosi la nomina del sostituto?), non considera che al sostituto (adesso in procura per persona da nominare”…) non viene delegato” (sic) il diritto sostanziale di cui il mandante è titolare” perché, se ciò fosse, egli avrebbe a sua volta necessità del difensore..
Daltro canto, che non possapretendersi che il danneggiato conferisca una ulteriore apposita procura speciale direttamente in capo al sostituto” perché ciò finirebbe per risolversi nella pretesa di un adempimento meramente formale pur a fronte di una volontà chiaramente espressa dal titolare del rapporto, corrisponde esattamente a quanto si è preteso prima.
A parte che, non pretendendosi quanto detto, la sostituibilità processuale penale è modellata su quella civile, che prima (vd sentenza fra chiose V e W) tuttavia era stata esclusa.

Per questa ragione, del resto, in mancanza di procura speciale al difensore o al sostituto designato, si è affermato che la presenza in udienza della persona offesa (recte, danneggiato) va considerata come esercizio personale della facoltà di costituirsi parte civile, modalità espressamente prevista dall’art. 76 cod. proc.pen. (Sez. 4, n. 41790 del 11/06/2009, Valerio, Rv. 245534; Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263730), ovvero che «l’assenza di legittimazione all’esercizio dell’azione civile da parte del difensore, per difetto di procura speciale, ovvero da parte del sostituto processuale, per difetto dei relativi poteri sostanziali, è sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente» (Sez. 4, n. 49158 del 26/10/2017, Sanapo, non mass.).
E ciò anche in linea con l’orientamento in generale improntato nel senso della irrilevanza del conferimento della procura speciale laddove il difensore ponga in essere delle attività in presenza della parte interessata (si veda, in particolare con riguardo alla richiesta di rito abbreviato in assenza di procura speciale ma in presenza della parte interessata, Sez. U, n. 9977 del 31/01/2008, Morini, Rv. 238680).

Y) Ma come la presenza in udienza del..danneggiato” sia considerabile“ esercizio personale della facoltà di costituirsi parte civile..espressamente prevista dallart 76cit., quando, da un lato, la disposizione lo connette alla costituzione di parte civile (lazione civileè esercitatamediante la costituzione di parte civile); da altro, questa è compibile solo col ministero del, e dal, difensore (che depositi o presenti in cancelleria o in udienza la dichiarazione di costituzione di parte civile..). Come, cioè, una parte della fattispecie di (atto di) costituzione della parte civile possa ritenersi avere lefficacia giuridica del tutto: è incomprensibile (incomprensibile, quindi, che un elemento giuridicamente inerte, se disgiunto dagli altri della fattispecie, sia ritenuto efficiente: in funzione di perfezione della fattispecie come in funzione di sanatoria della fattispecie imperfetta (sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente, dice SSUU).
Tanto più alla luce del parallelo” (vd ult. cpv) della introducibilità del rito abbreviato dal difensore privo di procura ma in presenza della parte: SSUU ignora che, in questo caso, la parte ha il potere di farlo personalmente, senza ministero di alcuno, ex art..438.3 cpp).

Resta da aggiungere che il potere di sostituzione ben potrà operare anche ove la relativa previsione sia contenuta in unico atto con il quale, come nella specie, siano conferite sia la procura di cui agli artt. 76 e 122 sia la procura di cui all’art.100, essendo tale potere comunque “coperto” dal conferimento della prima.

Z) Ma se un documento a doppio atto, come sopra si cennava, le due procure è ritenuto unico atto, SSUU non hanno nozione di atto giuridico

6. In conclusione, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: “Il sostituto processuale del difensore ai quale soltanto il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura o che il danneggiato sia presente all’udienza di costituzione”.

Z1) Dunque il principio di diritto, nella proposizione principale abolisce lart 102 cpp. Continua a farlo nella prima parte della proposizione subordinata, insiste a farlo nella seconda, la quale abolisce inoltre la previsione in art. 100.1 cit.
Eppure si sapeva che i principi di dirittoerano secreti, in superiore sintesi normativa, dalla legge. Mai si era saputo che ne prendessero il posto.

7. Così definito il contrasto sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate ad intervenire (e rilevato che, nella specie, entrambe le procure sono state conferite dalle parti civili……….ed………con un unico atto nel quale, in conformità all’indirizzo qui enunciato, all’Avv.………è stato conferito il potere di nominare sostituti processuali con conseguente successiva legittima costituzione di parte civile ad opera dell’Avv.………..), vanno esaminate le prioritarie censure, logicamente pregiudiziali su tutte le altre, poste con il quarto motivo di ricorso.
omissis
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
omissis
Il componente estensore
Gastone Andreazza

Il Presidente
Giovanni Canzio

(il testo integrale della sentenza è scaricabile cliccando sul seguente link: cass-pen-sez-unite)