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CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115

Secondo Cassazione, e (all’incirca) pm e gup da essa richiamati:
-reato commissivo e reato omissivo si identificano o si equivalgono;
– la fattispecie di reato può comporsi con pezzi di altre fattispecie di reato;
– Il contenuto dell’imputazione può trarsi dalla intenzione del pubblico ministero;
– il reato doloso potrebbe essere implicitamente colposo.
Per Cassazione quindi:
i principii di legalità e di tassatività della legge penale, di letteralità della interpretazione, di legalità dell’elemento psicologico del reato, sarebbero irrilevanti?

Il testo della sentenza, seguente, oggetto dell’esame, è riportato in carattere corsivo. La sua critica è svolta a mò di chiose, in carattere normale. La numerazione è quella delle sentenza. Le lettere alfabetiche introducono le singole chiose.


CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2015, n. 11115
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta documentale – Omesso aggiornamento delle scritture contabili – Dolo generico – Sussiste

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata il G.u.p. del Tribunale di Roma ha dichiarato ex art. 425 c.p.p. il non luogo a procedere nei confronti di DA Per il reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatogli per l’omessa tenuta dal 2007 alla data del fallimento – intervenuto nel 2011 – delle scritture contabili della S. s.r.l. della quale era amministratore unico.
2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma deducendo l’errata applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione. In tal senso il pubblico ministero ricorrente rileva come la sentenza abbia sostanzialmente prosciolto l’imputato per il difetto del dolo specifico ritenuto necessario per la consumazione del reato contestato, nel mentre la fattispecie evocata nell’atto imputativo era quella prevista dalla seconda parte dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., per la cui configurabilità, per consolidata giurisprudenza, è invece sufficiente il dolo generico, pienamente riscontrabile nel caso di specie.
A) In effetti, se pm avesse alluso alla parte del comma referente ( una condotta) “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”, e tale carattere fosse ritenibile, e lo è, modalità dell’effetto della condotta e del suo insinuarsi nell’evento, anziché modalità della formazione del dolo:
il dolo è certamente generico, non specifico.
Mentre se pm avesse alluso alla parte del comma referente (una condotta al) “ lo scopo ….. di recare pregiudizio ai creditori”:
il dolo è certamente specifico,non generico.
Ma la questione saliente è:
nel comma or detto, che delinea le condotte di bancarotta fraudolenta documentale quali sottrazione distruzione o falsificazione in tutto o in parte dei documenti e quale “tenuta” dei documenti “in guisa da non rendere possibile…la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”:
tutte condotte positive (commissive,attive), tutte azioni non omissioni (sottrazione, quale attività realizzata mediante l’occultamento o il trasferimento delle scritture contabili per evitare che gli organi fallimentari prendano possesso dei libri societari; distruzione, quale attività che elimina materialmente i documenti contabili o li manomette rendendoli inservibili; falsificazione, quale manipolazione delle scritture contabili sia nella formazione delle scritture, documento (falso materiale), sia in quella del loro contenuto (falso ideologico); “tenuta…in guisa” quale confezione e conservazione di libri o scritture contabili in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio sociale):
lì, in quel comma, rientrerebbe “l’omessa tenuta delle scritture” (vd sentenza sub 1) ravvisabile letteralmente (e per ciò logicamente) esclusivamente nel secondo comma della art. 217 LF: …fallito che, … non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge…? Una condotta assolutamente negativa invece che positiva, come le or dette?
Se pm ciò avesse ritenuto, e a quanto pare lo ha fatto,avrebbe travisato clamorosamente la natura della condotta.
Insieme al gup, peraltro, che ha fatto altrettanto.
Onde inizia a delinearsi che pm e gup (e si vedrà anche la sentenza) forzano la singola disposizione del singolo comma impiantandovi parte di una altra, forzano questa espiantandone quella (parte), e saltano da una disposizione all’altra, per comporne a mo’ di collage la disposizione che più aggradi e convenga!

Non di meno il ricorso lamenta come in ogni caso, una volta rilevata un’omessa tenuta della contabilità protrattasi per più di tre anni, il giudice non avrebbe potuto prosciogliere l’imputato, bensì avrebbe dovuto derubricare l’imputazione in quella di bancarotta semplice ex art. 217 comma 2 legge fall., e quindi rinviare a giudizio il D. per tale reato, per la cui sussistenza è sufficiente anche la mera colpa.
B) Pm d’altro canto ha lamentato (in subordine) che il gup avrebbe dovuto comunque, anziché prosciogliere, ritenere la bancarotta semplice documentale in art 217 comma 2 LF, e derubricata l’imputazione, ascriverla a titolo di colpa, poiché “per la…sussistenza del reato è sufficiente anche la mera colpa”.
Dove, a parte la questione dei limiti della modificabilità del fatto (imputato) dal gup, d’ufficio senza impulso del pm ex art 423 cpp; questione così macroscopicamente ignorata da indurre a supporre che, per il pm, le disposizioni in discorso regolino uno stesso fatto:
alla forzatura linguistica di diverse disposizioni incriminatrici, in vista della composizione a collage della fattispecie di reato, si accompagna la forzatura dei principi del diritto penale, in specie quello per cui la colpa (quale elemento psicologico del reato: artt. 42 43 cp) è affermabile se espressamente prevista (ma di ciò dopo sub P).

3. Con memoria depositata dal difensore il 12 gennaio 2015 l’imputato ha chiesto infine il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. E’ necessario prendere le mosse dal capo d’imputazione riportato in sentenza, dal quale si evince che oggetto della contestazione è formalmente la condotta di omessa tenuta dei libri contabili a partire dal 10 gennaio 2008 e fino alla data del fallimento, la quale avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della fallita con particolare riguardo alla sorte dell’attivo risultante dalla situazione patrimoniale del 31 dicembre 2007.
C) Quindi, è confermata, della imputazione, la condotta di “omessa tenuta” dei documenti, come sopra detto, e l’ effetto (oggettivo non soggettivo, dicevasi), di rendere “impossibile le ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”.
E’ quindi confermata la composizione della fattispecie di reato:
– prelevando la condotta, di “omessa tenuta”, dalla bancarotta semplice documentale di cui all’art 217 comma 2 LF, portandola nella bancarotta fraudolenta documentale in art 216 comma 1 n.2;
– (tacitamente) prelevando il dolo non da lì (dolo generico) ma dalla bancarotta fraudolenta documentale patrimoniale in art 216 comma 1 n.2 (dolo specifico: “allo scopo di recare pregiudizio ai creditori”), portandolo nella condotta suddetta, e quindi con esso sostituendo il primo (lo fa il gup);
– prelevando l’effetto della condotta dal n. 2 del medesimo (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”) e allacciandolo alla condotta suddetta.
E’ per ciò confermato il sopra eccepito collage.

2.1 Il G.u.p. di Roma ha interpretato tale contestazione nel senso per cui all’imputato sarebbe stata rimproverata l’omessa istituzione delle scritture relative al periodo indicato, condotta per la cui rilevanza ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale ha ritenuto necessario l’accertamento del dolo (specifico) caratterizzato dal fine di recare pregiudizio ai creditori.
D) Ed è confermata la composizione della fattispecie, dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C.

2.2 Per il consolidato insegnamento di questa Corte l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma 1 n, 2 legge fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa.
E) Ma “il consolidato insegnamento” di Cassazione non corrisponde affatto alle disposizioni della legge in materia, giacchè a stregua di qualunque interpretazione (non creativa):
l’alveo di tipicità” della omessa tenuta non è quello indicato ma quello in art 217 comma 2 LF.
L’ “omessa tenuta” non comporta il suo contrario, la “tenuta” di cui all’art 216 comma 1 n 2 (secondo periodo).
D’altronde, l’effetto di questa (“impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”: che, detto per incidens, non è di impossibilità relativa, come insinua capziosamente la sentenza, ma assoluta) non è riconducibile a quella, perché, come visto, esse differiscono intrinsecamente e funzionalmente. Peraltro, la falsità del contrario (supposto dalla sentenza) impedisce l’argomento a fortiori (ratione), che ne postula la verità. A parte che, l’argomento, è falso nei suoi stessi termini, perché se alla “tenuta” è assegnabile, perché “azione”, un modo (“in guisa da rendere impossibile…), questo non è assegnabile al “l’omessa tenuta”, perché omissione (che non producendo effetto, non produce modo d’esso).
Per ciò (ora manifestamente anche) Cassazione non solo fa collage ma sovverte i principii della logica giuridica e comune.

Si è peraltro costantemente precisato come ciò non consenta, ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo, di ricondurre la condotta di omessa tenuta a quella testé descritta, dovendosi invece ritenere che l’omessa tenuta della contabilità interna integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall, e punita sotto il titolo di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992).
F) Come si vede, la composizione della fattispecie (sub D), dal gup, con la prima e la seconda delle tre operazioni sub C., è confermata da Cassazione!

2.3 II dolo richiesto per la sussistenza del reato in tal caso non è dunque, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, quello generico sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta, bensì quello specifico che caratterizza il falso contabile per soppressione descritto nella prima parte dell’incriminazione in oggetto.
G) La conferma dello schema del gup è riconfermata da Cassazione…

3. Il pubblico ministero ricorrente eccepisce invece che oggetto di imputazione sarebbe un fatto di tenuta fraudolenta della contabilità, non più aggiornata a partire dall’ottobre del 2007 con la conseguenza di aver reso impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita.
H) Cassazione ritiene che lo schema del pm, della tenuta delle scritture impossibilitante“la ricostruzione del patrimonio della fallita”, corrisponda a quello di “omessa tenuta” (in realtà, ripetesi, posta in art 217.comma 2) con l’effetto oggettivo in art 216 comma 1 n. 2 ultimo periodo.

3.1 Come si è visto effettivamente il capo d’imputazione sembra essere stato impostato in tal senso.
I) Dove l’imputazione pare oggetto di delibazione anche congetturale, intuitiva, così che essa diviene formalmente inconsistente o è trattata come se lo fosse (ma l’ “omessa tenuta”, per quel che se ne sa, dovrebbe esserne elemento univoco).

Infatti evidente come l’imprenditore non possa al contempo omettere di istituire i libri contabili e tenerli in «guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio»,
L) E qui Cassazione pare avvedersi della alterità delle due condotte, di omessa tenuta e di tenuta.

Condotta quest’ultima che presuppone l’inattendibilità fraudolentemente provocata di scritture effettivamente esistenti.
L1) E pare avvedersene anche qui, ma nel momento stesso in cui progetta di disattenderla. Dove, se non si avesse contraddizione logica (macroscopica) rispetto a precedenti affermazioni (vd.le sopra) si avrebbe comunque contraddizione funzionale.
Di fatti:

3.2 Deve allora ritenersi che nello specificare come “l’omessa tenuta” in realtà si sarebbe sostanziato nell’omesso aggiornamento di scritture contabili invero istituite, il titolare dell’azione penale abbia inteso contestare un fatto riconducibile allo schema descritto nella seconda parte della norma incriminatrice evocata, i cui elementi costitutivi sono stati correttamente descritti nell’imputazione attraverso il richiamo delle connotazioni modali che ne caratterizzano il profilo.
M) In altre parole:
l’ “omessa tenuta” trasmuta in “tenuta”; ciò sarebbe traibile dalla intenzione (“abbia inteso”) del pm, che Cassazione, quindi, abilita alla formulazione mentale, intenzionale, dell’imputazione e, questa, ad avere la medesima consistenza!..

3.3 L’elemento soggettivo di tale ultima fattispecie è integrato, per il consolidato insegnamento di questa Corte, dal dolo generico, ossia dalla consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari “connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo come specifico (ex multis Sez. 5, n. 21872 del 25 marzo 2010, Laudiero, Rv. 247444).
N) Questo rilievo, per quanto (anche) sub C), non si attaglia affatto alla “omessa tenuta”. Mentre rispetto alla condotta di “tenuta” è corretto, per quanto (anche) sub A); tranne nel punto della potenzialità (“..potrà rendere impossibile”), anziché della attualità (“renderà o..”), dell’effetto della condotta, che è invece indisgiungibile a questa, come (e perché)=suo modo.

3.4 Conseguentemente la motivazione della sentenza deve ritenersi Inidonea a sostenere la decisione assunta, essendosi limitata a verificare l’insussistenza di un dolo specifico invero non necessario per la rilevanza penale del fatto come contestato, senza accertare invece l’eventuale configurabilità di quello generico rapportato alla condotta effettivamente imputata.
O)In altre parole:
il gup non avrebbe errato a collocare l’ “omessa tenuta” dell’art 217 comma 2 nel n.2 del comma 1 dell’art 216, e a conferire ad essa effetti (“in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”) che, dove abita, non conosce e che conosce solo dove è trasferita! Avrebbe errato, soltanto…, o a ritenere specifico un dolo generico!!…

4. Non di meno fondata è anche la seconda censura sollevata con il ricorso. Ed infatti una volta escluso il dolo specifico in capo all’imputato, ma comunque accertato che egli aveva omesso di tenere le scritture contabili obbligatorie (e in tal senso quantomeno il libro giornale) nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, il giudice avrebbe dovuto in ogni caso procedere alla riqualificazione del fatto contestato (rimasto immutato nella sua materialità) come bancarotta semplice documentale ex art. 217 comma 2 legge fall, e verificare se nella condotta del D. fossero rinvenibili quantomeno i sedimenti del dolo generico o della colpa sufficienti per l’integrazione di tale reato ed in caso positivo disporre il suo rinvio a giudizio. Verifica di cui non vi è nuovamente traccia alcuna nella motivazione resa dal G.u.p. di Roma.
P) Dunque Cassazione:
continuando a ritenere la “tenuta” “omessa tenuta”;
a ritenere che la prima stia nella disposizione della seconda (art 217..) e la seconda nella disposizione della prima (art 216…);
a ritenere le due equidicenti ed equivalenti, e che (quindi) le disposizioni relative siano fuse;
a ritenere inoltre la modificabilità del fatto dal gup senza impulso del pm ex art 423 cpp, forse ritenendo l’identità del fatto (anche per quanto appena osservato);Cassazione, dicevasi, trasgredendo lingua logica diritto sostanziale e processuale in misura così elevata, è tuttavia ancora lontana dal colmo:
l’equiparazione del dolo alla colpa, della ordinarietà, tacita, del primo alla straordinarietà, espressa, della seconda, sancite in art 42.1 cp.;
la diclamazione della colpa “sufficient(e) per la integrazione del reato”.
Senonchè, in base all’art 42 comma 2 del codice penale: (Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva). Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge: la punibilità a titolo di colpa di un delitto (come quello in esame) dovrebbe essere espressamente prevista, mentre non lo è affatto nell’art 217 comma 2 LF. Sia prima che dopo l’espianto e il trasloco! Sotto qualunque occhio umano!
In contrario Cassazione ha ritenuto (altrove, sent. n.10795/1986) che “previsione espressa” non significhi “previsione esplicita” (contraffacendo funzionalmente locuzioni dell’opera di Marcello Gallo sul Dolo, da Lui impiegate a tutt’altro proposito…), sicché potrebbe darsi una previsione implicita della colpa, desumibile per via di interpretazione sistematica, come appunto nel caso di bancarotta semplice documentale, argomentando a contrario dalla definizione come “dolosa” (che tuttavia essa, non la disposizione legale, enuncia!) della bancarotta fraudolenta documentale.
Ma con ciò attuando, di fatto, impianto della fattispecie colposa nella fattispecie dolosa in art 217 comma 2 LF (a bassa intensità sanzionatoria e quindi a bassa rumorosità della manipolazione); suo trasferimento (di soppiatto) nella fattispecie in art 216 comma 1 n. 2, ad alta intensità sanzionatoria. Suo uso contundente in ogni bancarotta fraudolenta documentale che non fosse preterintenzionale o “post(a) altrimenti a carico dell’agente” (art 42.2.3 cp). Nessuna ovviamente. In tutte quindi!
Ciò, per di più, nella più completa (e aliena) indifferenza al fatto che reato colposo e doloso siano puniti allo stesso modo (richiamato il gioco verbale “espresso esplicito ed implicito”: dato che il dolo è per principio “espresso implicito”-vd art 42.2 cp-, come differenziarne la colpa “espressa implicita”?)!!

5. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

Pietro Diaz con Iadera Manni

LEGGE PENALE ANTIFASCISTA E RITO FUNEBRE FASCISTA

Origine
1. All’avvento della Costituzione della Repubblica Italiana (1948), il partito che aveva “disciolto” (alla sua maniera…) quelli che la fondano e che sono da essa riammessi alla istituzione politica (art. 49 Cost), sconfitto, è bandito dalla dodicesima “disposizione transitoria e finale”, per la quale “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Il “Partito Nazionale Fascista” era stato disciolto con R.d.l. (regio decreto legge) 02.08.1943 n°704 (prima, con R.d.l. 29.07.1943 n°668, era stato soppresso il Tribunale speciale per la difesa dello Stato; poi, con R.d.l. 02.08.1943 n°705, erano stati soppressi la Camera dei fasci e delle corporazioni e con R.d.l. 09.08.1943 n°721 il regime corporativo).
Bandito, si diceva, nel senso che è interdetto dalla riapparizione sulla scena sociopolitica in qualsiasi forma e segno.
Che è interdetto dal neofascismo, fin dal minimo sintomo.
E, già allora, sotto minaccia di pena, dalla legge n 1546 del 3 dicembre 1947 (la Costituzione d R.I è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale qualche giorno dopo, il 27 dicembre): Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico; è punito con pena detentiva:
Art. 1 – Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare o […];
Art. 3 – Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando con atti di violenza o di minaccia o con […];
Art. 4 – Chiunque, al fine di svolgere alcune delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone, è […];
Art. 6 – Chiunque, per mezzo della stampa o in altro modo, pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli precedenti, […];
Art. 7 – Chiunque esalta pubblicamente con i mezzi indicati nell’articolo precedente le persone e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di […];
La legge, posta a prevenzione del neofascismo, d’altronde, era stata preceduta da decretazione posta a repressione del fascismo (nelle sua passate attività), fin dal periodo monarchico (dopo il “25 luglio” e l’ “8 settembre” 1943), dai decreti luogotenenziali di Umberto II Principe di Piemonte, che concentrano le Sanzioni contro il fascismo nel Decreto Legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159:
Art. 2 – I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullate le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe, sono puniti con l’ergastolo e, nei casi di più grave responsabilità, con la morte.
Art. 3 – Coloro che hanno organizzato squadre fasciste, le quali hanno compiuto atti di violenza o di devastazione, e coloro che hanno promosso o diretto l’insurrezione del 28 ottobre 1922 sono puniti secondo l’art. 1120 del Codice penale del 1889. Coloro che hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno eseguito o contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista sono puniti secondo l’art. 118 del Codice stesso. Chiunque ha commesso altri delitti per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo è punito secondo le leggi del tempo.
Art. 5 – Chiunque, posteriormente all’8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra.
Art. 8 – Chi, per motivi fascisti o avvalendosi della situazione politica creata dal fascismo, abbia compiuto fatti di particolare gravità che, pur non integrando gli estremi del reato, siano contrari a norme di rettitudine o di probità politica, è soggetto alla interdizione temporanea dai pubblici uffici ovvero alla privazione dei diritti politici per una durata non superiore a dieci anni.
Evoluzione
2. La Legge 20 giugno 1952, n. 645, nota come legge Scelba (dal nome del ministro dell’Interno del “Governo De Gasperi” che ne curò col vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Attilio Piccioni, la formazione e la emanazione), dà sfogo penale alla attuazione della dodicesima disposizione vietante la riorganizzazione del disciolto partito:
allestendone la prevenzione penale e dandone anzitutto la nozione:
Art. 1 – Riorganizzazione del disciolto partito fascista – Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Quindi vietando e punendo i collettivi (associazioni, movimenti, gruppi, in decrescente ordine di solidità interna) che, per fini, mezzi, modi delle loro attività potrebbero attuarla, incriminandone chi li promuova organizzi diriga o partecipi;
Art.2 – Sanzioni penali – Chiunque promuove, organizza o dirige le associazioni, i movimenti o i gruppi indicati nell’articolo 1, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni e con la multa da 2.000.000 a 20.000.000 di lire. Chiunque partecipa a tali associazioni, movimenti o gruppi è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 1.000.000 a 10.000.000 di lire .
Poi, temendo che ciò non basti a prevenire, vietando anche ai singoli “Apologia del fascismo”:
Art.4 – Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000. Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.
Ed ancora, temendo che nemmeno ciò basti, vietando ad essi “Manifestazioni fasciste”:
Art. 5 – Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 di lire.
Insomma, la legge accresce a tal punto la prevenzione della “riorganizzazione del disciolto partito fascista”, la prevenzione della organizzazione di ogni neofascismo, da vietare ai singoli, si diceva, prima che ai collettivi, quelle manifestazioni, predisponendo un “reato di mera condotta”, che sussiste per la sola conformità di questa al modello, che non richiede altro. Tanto meno richiede che, (quel)la condotta, possa concretamente portare alla riorganizzazione. E di fatti (pare strategicamente chiaro nella progressione vetativa appena esposta), il reato la reprime molto prima che appaia, che si materializzi, non appena ne affiori la astratta possibilità. In rivalsa della Costituzione della Repubblica antifascista sul fascismo e a stabilizzazione della sua vittoria (sono numerose anche le disposizioni penali repressive della monarchia sabauda e preventive del suo ritorno; qui sono omesse per restare al tema. Si nota incidentalmente che, per art. 10 della legge in esame: Norme di coordinamento e finali: Sono abrogate le disposizioni della L. 3 dicembre 1947, n. 1546, concernenti la repressione dell’attività fascista, in quanto incompatibili con la presente legge. La presente legge e le norme della L. 3 dicembre 1947, n. 1546, non abrogate, cesseranno di aver vigore appena che saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale).
Trattamento giudiziario
3 Il precedente rilievo è stato fatto per ben introdurre alla discussione sulla sentenza pubblicamente evocata dal (dolente) figlio del prof. T. a sostegno della liceità del rito funebre dedicato al genitore insieme con il collettivo organizzato (in associazione movimento o gruppo? in Partito..) detto Casa Pound.
E’ la sentenza (con altra da questa richiamata, vd dopo) n. 1382/14.12.2017 Cassazione penale, che giudicando delle manifestazioni di un collettivo (reputate dall’accusa) neofasciste, su ricorso proposto da Procuratore generale presso Corte d’appello di Milano, enuncia:
Secondo l’ipotesi accusatoria i predetti, in concorso tra loro, con altri soggetti per i quali si è proceduto separatamente e con numerose altre persone, rimaste non identificate, «partecipando in…, alla pubblica manifestazione commemorativa in ricordo di (omissis) e Consigliere Provinciale del di (omissis) militante del (omissis) e di (omissis) militante della (omissis) iniziativa promossa da alcuni appartenenti al partito (omissis) compivano manifestazioni usuali del disciolto partito fascista quali la “chiamata del presente”, il cd. “saluto romano”, l’esposizione di uno striscione inneggiante ai camerati caduti e di numerose bandiere con croci celtiche. In particolare.., (omissis) e (omissis) in piazzale (omissis) rispondendo alla …[chiamata del presente] alzando il braccio destro effettuavano il “saluto romano“».
CONSIDERATO IN DIRITTO: Si è premesso in diritto che, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale (sentenze nn. 74 del 06/12/1958 e 15 del 27/02/1973), la fattispecie penale in contestazione non colpisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle “che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute” e tra queste non solo “gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione” ma anche manifestazioni, espressioni, gesti, comportamenti, quali “possibili e concreti antecedenti causali di ciò che resta costituzionalmente inibito” e quindi “idonei a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste“. Con la conseguenza……… che la suddetta fattispecie si configura come reato di pericolo concreto e che le manifestazioni del pensiero fascista e dell’ideologia fascista in sé non sono vietate, attese la libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite, ma lo sono solo se hanno i connotati di cui sopra e pertanto pongono in pericolo la tenuta dell’ordine democratico e dei valori allo stesso sottesi. B) nel caso di specie, benché incontestato che gli odierni imputati avessero preso parte ad una manifestazione pubblica in questione compiendo i contestati gesti usuali del disciolto partito fascista, si è ritenuto che queste condotte non realizzassero il pericolo sopra enunciato, per cui non integravano il reato di cui all’art. 5 I. n. 645 del 20 giugno 1952. Al riguardo, i giudici hanno ritenuto dirimente la natura puramente commemorativa della manifestazione e del corteo, organizzati in onore di tre defunti, vittime di una violenta lotta politica che ha attraversato diverse fasi storiche. A questo esclusivo fine, erano, dunque, dirette le condotte in contestazione senza alcun intento restaurativo del regime fascista. In questo senso depongono le modalità ordinate e rispettose del corteo, svoltosi in assoluto silenzio, senza inni, canti o slogan evocativi dell’ideologia fascista, senza comportamenti aggressivi, minacciosi o violenti nei confronti dei presenti, senza armi o altri strumenti. Si è in tal modo escluso che la manifestazione in esame, pur in presenza di ostentazione di simboli e saluti fascisti, avesse assunto connotati da suggestionare gli astanti inducendo negli stessi sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista. Ciò a differenza di altri casi in cui la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato, sulla base dei principi sopra indicati, gli estremi del reato in oggetto (il caso di chi intona “all’armi siam fascisti“, inno considerato come professione di fede ed incitamento alla violenza; il caso di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale; il caso di coloro che dopo la lettura della sentenza compiono il saluto romano e gridano più volte la parola “sieg heil“). 2. Passando alle deduzioni in diritto, occorre rilevare che con sentenza n. 11038 del 2/03/2016, dep. 2017, Goglio ed altri, Rv. 269753, questa Sezione della Suprema Corte …..ha affermato il principio secondo cui il delitto di cui all’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645 (come modificato dall’art.ll della legge 22 maggio 1975, n. 152) è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall’art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi. 3. …….Il ricorrente (P.G ndr) trascura, però, che la richiamata pronuncia di legittimità muove proprio dall’interpretazione della c.d. legge Sceiba, offerta dalle sentenze della Corte Costituzionale sopra citate, ribadendo in proposito come «vada escluso che la libertà di manifestazione del pensiero possa andare esente da limitazioni lì dove la condotta tenuta risulti violatrice di altri interessi costituzionalmente protetti (si veda quanto affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 65 del 1970 in tema di apologia punibile e di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica) e tra questi rientrano le esigenze di tutela dell’ordine democratico cui è preposta la disposizione transitoria in tema di divieto di ricostituzione del partito fascista…ma il fatto deve trovare nel momento e nell’ambiente in cui è compiuto circostanze tali da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste… Non è, dunque, la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di pubblicità tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione». Alla stregua di quanto considerato il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
A Confutazione (d’esso)
Senonchè (ovviamente ritratto questo scritto dall’approfondimento di varie questioni pur importantissime, e costrettolo ad obiezioni essenziali):
a) Le due sentenze della Corte Cost. richiamate da Cassazione (basti qui quanto ne ha riportato sopra questa Corte) non furono “di accoglimento“, delle eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art 5 della legge 1952 cit., ma furono di rigetto per infondatezza “nei sensi di cui in motivazione”. Cioè l’articolo non fu toccato, fu solo “interpretato”, dalla Corte. Per ciò esse non ebbero alcun effetto (ri)normativo d’esso, ebbero solo un effetto dissuasivo, delle Corti di merito e di legittimità, da interpretazioni contrarie a quella adottata (non vietate comunque, e per ciò lecite, e perfino capaci, mutate le prospettazioni, di convincere la Corte della loro legittimità costituzionale e di indurla a non reagire – con pronuncia di illegittimità costituzionale delle disposizione denunciata, usuale rimedio alla interpretazione deviante- ).
b) entrambe le sentenze trattarono manifestazioni di singoli , in art 5 cit, non manifestazioni di collettivi, in art 1 cit. ;
c) per ciò non calzavano al caso, in Cassazione, di manifestazioni di collettivi;
d) non calzava al caso nemmeno la sentenza di Corte Cost. richiamata dalle due omologhe predette, la n.1 17 gennaio 1957, anch’essa enunciante su manifestazioni di singoli, non di collettivi;
e) quindi la base giuridica premessa da Cassazione è falsa;
f) se Cassazione si fosse attenuta al caso proprio, avrebbe dovuto mobilitare il reato dei collettivi in art 1;
g) e quando lo avesse fatto (con un minimo di consapevolezza) avrebbe appreso che la “manifestazione esteriore di carattere fascista”, compiuta da un collettivo, lungi dall’imporre (l’accertamento de) il pericolo concreto (della riorganizzazione del disciolto partito fascista), lo riorganizza da sé, per il solo fatto di corrispondere al modello (vd chiarissimo l’art. 1). Perché reato di condotta, ma anche (stavolta, a differenza di quello in art. 5, sopra cennato) di evento (di riorganizzazione);
h) per ciò della “chiamata del presente” (in effetti, dipanando la formula: chiamata evocativa dell’assente come presente -ma ovviamente- quale fascista foriero di neofascismo…), che sarebbe commemorativa (a dire di Cassazione), non allusiva esortativa propiziatoria. O del “saluto romano”, che sarebbe neutro se non accompagnato dal manganello (lo fu durante il fascismo?): è da chiedersi esclusivamente:
sono manifestazioni? manifestazioni esteriori? manifestazioni esteriori di carattere fascista? manifestazioni di collettivi? Sono queste domande retoriche?
La risposta affermativa fornisce quanto occorre alla integrazione del reato in art. 1 cit.
D’altronde, il rito funebre della locale Casa Pound fu intriso di militarismo (militismo, da milizia) essenza del fascismo. Giacchè non ve ne è stata specie, moderna, che non sia sorta da militari (generali, colonnelli) o da civili vestiti da militari ( Mussolini, Hitler…). O antica, che non sia sorta da armati.
E’ il militarismo, peraltro, che vivendo internamente di autoritarismo, esternandosi (necessariamente) lo riproduce, fino al totalitarismo e all’assolutismo.
i) e comunque, quanto a (sostenibilità giuridica del) l’assunto delle suddette Corti per cui le manifestazioni di artt. 1 e 5 citt, dovrebbero preludere la “riorganizzazione del disciolto partito fascista…anche ad evitare la limitazione della libertà di manifestazione del proprio pensiero di cui all’art 21 Cost.“:
da un lato esso non ha neppure intravisto la strategia preventiva della legge (sopra esposta) ed il conseguente vincolo interpretativo. Da altro lato ha frainteso valore e funzione infracostituzionali della dodicesima disposizione cit:
che bandendo (financo) il pensiero neofascista (ovviamente pubblico), quale pensiero politico controcostituzionale, (non è limitata dal ma) limita la libertà in art 21 cit. d’altronde “diritto del cittadino” (Cost. Parte I, Titolo I), dinanzi a diritto della repubblica antifascista (Disp. trans. cit);
l) ma quando le Corti, infine, si intestardissero a pretendere, negli artt. 5 e 1 citt, “pericolo concreto“, allora pongano e valutino, fra le circostanze che lo accertino:
– le interviste al segretario nazionale di Casa Pound (quella di A.Trocino a S. Di Stefano: ormai siete sempre in tv e lei ha avuto molti ascolti. Siete stati sdoganati? «Siamo stati sdoganati dai risultati elettorali, da Ostia a Bolzano, da Lucca a Lamezia Terme…». Un paradosso per un fascista. Lei è fascista? «Certo. Siamo gli eredi della tradizione che dopo Rsi e Msi è stata interrotta da An». Il fascismo è stato regime, dittatura e alleanza con i nazisti. Una tragedia della storia italiana. «È stato certamente uno stato totalitario. Ma ci ha anche lasciato la tredicesima, il tfr, la cassa integrazione»).
– i “disegni di legge” di Lega e Cinquestelle, partiti al Governo e maggioranza in Parlamento, verso la abolizione delle “leggi antifasciste“.
E si domandino in proposito:
se ciò che l’antifascismo combatte è il fascismo, non è fascismo ciò che combatte l’antifascismo?
Pietro Diaz