Archivio mensile:Gennaio 2019

Abbreviata furtivamente la prescrizione del reato di peculato con la legge “spazzacorrotti”?

Il potere gialloverde avrebbe di soppiatto ridotto i tempi di prescrizione (da 12,5 a 7,5 anni) del reato di peculato già attribuito a vari politicanti, ad esempio quelli l’altro ieri condannati dal tribunale di Milano?
Lo avrebbe fatto introducendo un comma nell’art 316 ter cp, per Il quale è aggravato (nella pena) il reato li previsto, di percezione indebita di erogazioni dallo Stato o altri enti pubblici anche europei …., se commesso dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio con abuso di qualità o di poteri?
Non e’ inverosimile che quel potere, o almeno una delle sue componenti, abbia tramato legiferando a protezione delle sue schiere. Lo fece nell’anno 2006, di febbraio, governo Berlusconi, allorché i leghisti erano processati per attentati contro la Costituzione realizzati in vari modi, ma senza atti violenti, che tuttavia l’art 283 c.p., non richiedeva per la condanna.
Ebbene, fu prontamente intuito che se fosse stata aggiunto il requisito “con atti violenti”, ogni fatto commesso senz’essi sarebbe divenuto non punibile perché non più previsto come reato (per il principio, in art 25 cost., che si e punibili solo per un fatto previsto dalla legge come reato; e per il sotto principio, in art 2 cp, per cui non si è più punibili se il fatto abbia cessato di essere reato).
Il requisito fu aggiunto, ed il leghismo più tronfio ed eccessivo, ma “non violento”, fu prosciolto dalle accuse (tuttavia, con quello stratagemma dell’evo berlusconiano, fu talmente abbassata la difesa della Costituzione, che scandalosi attentati contro essa, passati e presenti, perpetrati sopratutti “dalla politica”, la hanno trovata inerme…).
Per cui e’ verosimile che anche stavolta il potere politico abbia tramato allo stesso fine.
Ed è parso vero ad una molteplicità di commentatori, non solo giornalistici.
Tuttavia, se pur vero nelle intenzioni, ciò e’ falso negli esiti.
Il contrario, di fatti, ha ignorato:
che il reato in art 316 ter cit. consta di percezione di erogazioni dallo Stato etc…… di cose di cui il percettore non dispone, e che consegue ingannando (in vario modo) chi le abbia (Stato et ..) per averle a sua volta.
Mentre il reato di peculato, in art 314 c.cp., consta di appropriazione di cose di cui taluno disponga “per ragione di ufficio”, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio.
Cose che dunque, costoro, non percepiscono da alcuno (tanto meno ingannandolo) ma, avendole, privatizzano.
I due reati, per ciò, sono inaccomunabili, differiscono totalmente (oggettivamente soggettivamente in ogni altro modo).
E per ciò il tempo della prescrizione dell’uno non è affatto quello dell’altro.
D’altronde, per capirlo, sarebbe bastato considerare che se la presenza dei predetti agenti pubblici nella percezione in art 316.ter cit, integra una “circostanza aggravante” del reato, essa mai potrebbe identificarsi con quella degli stessi nella appropriazione…in art 314 cit., la quale integra un “elemento costitutivo” del reato (fra questo e quella l’incompatibilità è assoluta, per la scienza e la legge penale).
Ebbene, la appropriazione ha ritenuto il tribunale di Milano impartendo cinquantadue condanne a chi, disponendo di denaro destinato a scopo politico, deviatolo a scopo privato, lo ha consumato.
In proposito, pertanto, è a dir poco singolare che la difesa degli imputati, in quel processo, ne abbia richiesto la sospensione in attesa della vigenza (imminente) dell’ art 316 ter cit…
Tanto singolare quanto ovvio il rifiuto del tribunale di disporla, alla luce, è supponibile, di quanto detto.

Ma l’udienza della Consulta 09 01 2019 per il ricorso dei parlamentari PD non era programmata solo per verificarne l’ammissibilità, salva altra udienza per l’eventuale decisione “nel merito”?

Secondo gli annunci, si, assolutamente.
Vd ad esempio: Il Messaggero .it : La Corte Costituzionale sarà chiamata martedì prossimo a decidere sulla ammissibilità del ricorso presentato dal Partito Democratico, che ha sollevato conflitto sulla legge di bilancio in quanto sarebbe stato compresso l’esame del Parlamento sulla manovra. Il presidente Giorgio Lattanzi ha convocato l’udienza pubblica dei giudici costituzionali per l’8 gennaio al palazzo della Consulta e per il giorno successivo la camera di consiglio.
askanews (più precisamente): – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.
Dire, Agenzia di stampa nazionale: ROMA – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.

E d’altronde, in un comunicato ufficiale dopo la decisione:

La Corte costituzionale si è pronunciata “sull’ammissibilità del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sollevato da 37 senatori e avente ad oggetto le modalità con cui il Senato della Repubblica ha approvato il Disegno di legge di bilancio 2019“. Il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione“. La Corte ha “anzitutto ritenuto che i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro“.
Ed allora perché (prosegue il comunicato):
Il ricorso è stato però dichiarato inammissibile”?

Il caso (per quanto risulti).

1. Il ricorso è stato presentato da 37 senatori, (è stato evidenziato nei commenti) dal decimo dei componenti cui la Costituzione attribuisce il potere di presentare una mozione di sfiducia (art. 94.5) e di chiedere che un disegno di legge sia approvato in Assemblea (art. 72.3). Presentato dal loro insieme come minoranza, minoranza d’opposizione; inoltre (è stato ancora evidenziato) come gruppo parlamentare, al quale la Costituzione fa espresso riferimento quando impone che le commissioni permanenti (art. 72) e di inchiesta (art. 82) siano composte in proporzione ai gruppi presenti in Aula. Presentato infine (è stato evidenziato) dai senatori come singoli parlamentari, a ciascuno dei quali l’art. 67 Cost. attribuisce la rappresentanza nazionale nell’esercizio del loro mandato.
2. Per quanto si sappia, alla Corte non era sinora andato il ricorso di un gruppo o una quota di parlamentari. E quando le fu presentato ricorso dal singolo parlamentare a difesa delle sue attribuzioni costituzionali, ne aveva dichiarato la inammissibilità.
2.1 Dunque l’insieme dei senatori PD ha sfidato il convincimento (e la prassi) che solo l’Assemblea, in persona del suo Presidente, potesse sollevare conflitto a tutela delle sue attribuzioni. Anche perché ciò metteva nelle mani della maggioranza la tutela delle minoranze, pur quando funzioni e prerogative di queste fossero lese da trasgressioni o elusioni, da quella, di regole del procedimento legislativo ( in Costituzione).
2.1.1 Esattamente quanto accaduto in specie, quando ai parlamentari della Commissione Bilancio e dell’Aula – come singoli, come minoranza e come gruppo parlamentare – è stata tolta la possibilità di deliberare sul Bilancio nel modi di cui all’art. 72 Cost. – secondo cui anche le norme interne devono assicurare che ogni disegno di legge sia esaminato da una Commissione e poi dall’Aula così da essere approvato articolo per articolo e con votazione finale. Nel rispetto del principio di “riserva di assemblea” (art.72.4).
Pertanto
2.2 La Corte, sollecitata alla decisione sul conflitto di attribuzioni (è stato ben precisato) coinvolgente due profili:
uno soggettivo, la titolarità del potere di sollevare conflitto di attribuzioni nel singolo parlamentare e nei soggetti collettivi (minoranze o gruppi);
uno oggettivo, il rispetto delle funzioni e delle prerogative (delle attribuzioni) che la Costituzione ad essi conferisce, a garanzia della effettiva dialettica (non tra Governo e Parlamento ma) tra maggioranza governativa e opposizione:
all’udienza indicata, come detto, avrebbe dovuto decidere il primo dei due profili.
2.3 Mentre li ha decisi entrambi, aggiungendo, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, il rilievo:
il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione”. Ma la contrazione dei lavori per l’approvazione del bilancio 2019 è stata “determinata da un insieme di fattori derivanti sia da specifiche esigenze di contesto sia da consolidate prassi parlamentari ultradecennali sia da nuove regole procedimentali. Tutti questi fattori hanno concorso a un’anomala accelerazione dei lavori del Senato, anche per rispettare le scadenze di fine anno imposte dalla Costituzione e dalle relative norme di attuazione, oltre che dai vincoli europei“. In queste circostanze “la Corte non riscontra nelle violazioni denunciate quel livello di manifesta gravità che, solo, potrebbe giustificare il suo intervento”.
Ma aggiunge “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Ebbene (se qualcosa non sfugge:)
3. La Corte ha deciso il primo e il secondo profilo in modo sorprendente, a dir poco (il secondo, in modo fors’anche proditorio, perché non era tema di udienza, ed è andato contro le attese dei ricorrenti).
Di fatti:
-se il ricorso era ammissibile, come la Corte scrive (dicendo legittimati, ad esso, i ricorrenti), come ha potuto dichiararlo inammissibile?
– se il ricorso era inammissibile, come ha potuto giudicarlo nel merito?
– se lo ha giudicato nel merito, che non ha condiviso, perché lo non ha rigettato (“rigetto”, è la formula terminativa del giudizio di merito negativo)?
3.1 Per tutto ciò, dietro gli or detti enigmi c’è stato errore e/o disegno e trucco?
4. Se la Corte ha sempre ritenuto ( è comunemente riferito) che per riconoscere un centro di funzioni e prerogative costituzionali occorra:
che esso sia menzionato dalla Costituzione; che gli competa una sfera di attribuzioni costituzionali; che ponga in essere atti in posizione di autonomia e indipendenza; che questi atti siano imputabili all’organo che esso integra.
Se ha costantemente ritenuto che nient’altro occorra per affermare conflitto (quando esso fosse o sembrasse essere) con altro potere:
perché, constatato, a stregua di ciò, che “i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale”, ha aggiunto, affinchè suonasse quale ulteriore condizione, “in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro”?
In quale parte dell’ordinamento giuridico e della logica processuale del conflitto la ha rinvenuta?
E comunque:
non le era chiara l’appartenenza d’essa al “merito” (inconfondibile col “rito”) del conflitto di attribuzioni? Nella specie, d’altronde, notoriamente catalogato (oltre numerose altre specie: conflitto “positivo, negativo, per interferenza” etc..) “per menomazione” (si ha quando un potere menomi o annienti funzioni e prerogative di un altro)?
Come è che un requisito di merito, del ricorso, ha potuto divenire requisito di ammissibilità?
Congetturando qualche risposta:
4.1 Forse affinchè, riconoscendo (per verosimile esigenza diplomatica) la “legittimazione” dei ricorrenti al ricorso e disconoscendo al contempo l’artificialmente connesso requisito di merito, sembrasse meno implausibile l’inammissibilità dell’ammesso e del rigettando…?
4.2 O forse per accorciare i tempi della promulgazione della legge? O anzi per favorirla? Di fatti, definendosi “non gravi” “non manifeste” le “violazioni” del (la dialettica del) procedimento legislativo, sarebbe stata dissimulata la promulgazione (art 74 Cost), dal presidente della repubblica, della legge manifestamente incostituzionale (invero non la prima, scandalosamente incostituzionale, tuttavia promulgata da Mattarella..)?
4.3 E quindi affinché, erette inammissibilità del ricorso e promulgazione della legge, non fosse “Casamicciola”, pe l’attività e gli attori del Governo, ed il potere governativo e parlamentare gialloverde non si dissolvesse?
4.4. D’altronde, disegno e trucco, dietro gli enigmi, li ha svelati al più presto la Corte stessa, allorché ha aggiunto, alla declaratoria, l’enunciato monitorio: “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Difatti, avrebbe, essa, potuto annunciare risoluzioni di conflitti di attribuzione (“per menomazione”, come detto) da “future simili modalità di decisione e approvazione” se non avesse ravvisato, nelle passate, il contrario di quanto ne ha detto, “violazioni gravi e manifeste” della dialettica legislativa?
4. 5 Dunque il merito era tutt’altro che infondato, e la Corte non avrebbe potuto negarlo, se non gli si fosse sottratta fuggendo per la via della inammissibilità.
D’altronde:
5 Una violazione palese del principio di “riserva di assemblea”. Una elusione palese delle regole del procedimento legislativo, così estesa, da pervenire alla falsificazione ideologica (art 479 cod pen) della deliberazione, perché formata senza che materialmente fosse possibile avere nemmeno conoscenza dei suoi termini (il ricorso ha denunciato che non fu permessa “l’acquisizione di un’adeguata conoscenza dei contenuti normativi, di formarsi un’opinione su di essi e di discuterli, anche al fine di proporre emendamenti o comunque di esprimere un voto consapevolmente favorevole o contrario ai sensi dell’articolo 72, primo comma, della Costituzione“). Una sopraffazione antiparlamentare della minoranza. Una esibizione impudente di “dittatura della maggioranza” (il ricorso ha denunciato “lesione della sfera di attribuzioni costituzionali spettanti ai singoli membri del Senato della Repubblica e ai gruppi parlamentari” e “alle minoranze parlamentari con riferimento alla loro partecipazione al procedimento legislativo“):
non avrebbero rappresentato, “violazioni….di manifesta gravita”, dice la Corte per “specifiche esigenze di contesto…consolidate prassi parlamentari ultradecennali” (quelle istituzionalizzanti dispotismo legislativo in senso tecnico?)!!
In altre parole, secondo Corte, “il contesto” del procedimento, non la sua essenza intrinseca, salverebbe l’ illecito legislativo inescusabile…

Uccisione dell’animale ex art 544 bis cp, non punibile perché compiuta “in stato di necessità” ex art 54 cp? Dogmatica penale di base ignota in Cassazione. La sua giurisprudenza, tuttavia, ha irrorato lo svolgimento di una prova concorsuale forense lo scorso dicembre.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre – 28 novembre 2016, n. 50329Presidente Fiale – Relatore Grillo

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza del 5 giugno 2014 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Livorno – Sezione Distaccata di Portoferraio – del 29 ottobre 2012 che aveva affermato la penale responsabilità di V.V. in ordine ai reati di cui agli artt. 699 cod. pen. (porto fuori dalla propria abitazione di un puntale in ferro) e 544 bis cod. pen. (uccisione di animali) (reati commessi entrambi in (omissis) ), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili M.F. , MA.Fr. e A.N.P.A.N.A., da liquidarsi in separata sede, revocava le statuizioni civili disposte nei confronti di MA.Fr. , confermando nel resto.
1.2 Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso, tramite il proprio difensore, V.V. deducendo due motivi: con il primo la difesa lamenta inosservanza della legge processuale penale (artt. 76, 100 e 122 cod. proc. pen.) nonché vizio di motivazione per illogicità manifesta per avere la Corte territoriale confermato le statuizioni civili nei confronti della costituita parte civile A.N.P.A.N.A., dichiarandola ammissibile, nonostante….. Con il secondo motivo la difesa lamenta erronea applicazione della legge penale relativamente all’art. 544 bis cod. pen. in riferimento all’art. 54 stesso codice, per avere la Corte territoriale escluso l’ipotesi dello stato di necessità prospettato con l’atto di impugnazione, nonché vizio di motivazione per illogicità manifesta sul punto riguardante la conferma della penale responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 544 bis cod. pen..

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo per le ragioni che seguono. Quale premessa in punto di fatto, anche ai fini della valutazione della fondatezza del primo motivo del ricorso afferente a questioni di natura processuale, va ricordato che il V. era chiamato a rispondere dei reati di cui agli artt. 699 e 544 bis cod. pen. “per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un puntale in ferro (che estraeva da un bastone e per sua natura destinato all’offesa alla persona) con il quale uccideva senza valida ragione (che non equivale a “senza necessità”: nessuno lo ha eccepito rilevato dedotto obbiettato?! ndr), un cane alano di proprietà di M.F. , colpendolo con un fendente sferrato al di sopra della zampa anteriore sinistra” (reati commessi in (omissis) ).
1.1 Tanto precisato e passando all’esame del primo motivo, lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente disatteso lo specifico motivo di appello riguardante l’ammissione della parte civile …… Conseguentemente il primo motivo di ricorso va disatteso.
3. A diversa conclusione ritiene invece di dover pervenire il Collegio con riferimento al secondo motivo. Anche in questo caso ritiene il Collegio di dover sinteticamente esporre la vicenda storica che ha dato origine al processo in esame.
3.1 Come è dato leggere dal testo della sentenza impugnata, in data (omissis) l’odierno ricorrente, provvisto di un cd. “bastone animato”, era intento a passeggiare in compagnia del proprio cane in una zona del centro abitato di Portoferraio adiacente alla spiaggia quando veniva avvicinato da un cane di grossa taglia (un alano) di proprietà di tale M.F. , ma in quella circostanza condotto in quella zona dal figlio del M. a nome Francesco: questi non teneva il grosso cane al guinzaglio ma lo aveva lasciato libero. L’animale, senza guinzaglio né museruola, si era avvicinato al cane di piccola taglia del V. , aggredendolo e mordendolo vicino alla coda, procurandogli due piccole ferite riscontrate successivamente dal veterinario presso il quale il cane del V. era stato condotto dopo l’episodio. Il V. a seguito dell’aggressione dell’alano, lo aveva colpito con il bastone animato la cui lama (lama della lunghezza di circa 35 cm.) era penetrata nel fianco dell’animale uccidendolo.
3.2 La Corte di Appello ha disatteso la tesi difensiva secondo la quale il V. avrebbe colpito il cane di grossa taglia sia perché impaurito della aggressione che l’alano aveva manifestato verso il cane di piccola taglia condotto al guinzaglio dal V. , sia perché impaurito che l’alano potesse azzannare alla gola esso V. , dopo la prima aggressione al cagnolino. Secondo il giudizio della Corte territoriale il gesto del V. (che, sulla base della testimonianza di MA.Fr. , alla vista dell’alano che si dirigeva libero verso il proprio cane, aveva brandito il bastone verso l’altro cane estraendo la lama) sarebbe stato deliberato e non il risultato di una azione necessitata per salvare l’incolumità propria e del suo piccolo cane, tenuto anche conto del punto in cui il cane alano era stato colpito (lateralmente e non frontalmente)che rendeva implausibile la tesi adombrata della difesa personale.
3.3 Reputa il Collegio che la motivazione della Corte territoriale presti il fianco a censura soprattutto con riferimento al punto inerente alla inconfigurabilità dello stato di necessità ed alla inconsistenza della tesi difensiva secondo la quale il V. avrebbe colpito il grosso alano per difendere se stesso e il proprio cane, nonché al punto inerente alla qualificazione del gesto del V. come reazione a freddo stizzita verso il cane di grossa taglia per punirlo della aggressione precedente.
4. Il delitto di uccisione di animali delineato dall’art. 544 bis (che si pone in continuità normativa rispetto al reato di cui all’art. 727 cod. pen. prima della riforma attuata dall’art. 1 comma 1 della L. 20 luglio 2004, n. 189) si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo, sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
4.1 Ritiene in proposito il Collegio che nel concetto di necessità che esclude la punibilità del delitto in parola sia compreso lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., e ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Sez. 3, 24.10.2007 n. 44822, Borgia, Rv. 238456).
4.2 In ripetute occasioni questa Corte ha affermato il principio secondo il quale “la situazione di necessità che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui ex art. 638 cod. pen. comprende non soltanto la necessità di cui all’art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per prevenire o evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile” (Sez. 2, 11.11.2010 n. 47322, Calzoni, Rv. 248999, secondo cui è stata ritenuta integrante lo stato di necessità l’uccisione di un cane pastore tedesco a fronte della situazione di pericolo per altro cane di proprietà dell’imputato già aggredito poco prima e per la moglie dell’imputato; conforme Sez. 2, 15.2.2006, n. 8820 Saddi, Rv. 234743; idem 28.10.1997 n.1963, P.M. in proc. Ziccardi, Rv. 209928).
4.3 Va quindi ribadita la regola della configurabilità dello stato di necessità in riferimento al delitto di uccisione di animali, ipotesi che la Corte territoriale ha decisamente scartato sul presupposto che nemmeno l’imputato avrebbe sostenuto la tesi della necessità di difendere il proprio cane dall’aggressione del cane del M. (profilo del tutto errato in quanto nell’atto di appello – come emerge pacifica mente dalla pag. 5 – era stato prospettato dal V. il fatto che egli aveva agito per difendere se stesso ed il proprio cagnolino dall’aggressione del cane del M. ).
5. Sotto tale aspetto la decisione della Corte territoriale è carente di motivazione oltre che manifestamente illogica anche perché, scartata la tesi dello stato di necessità, attribuisce – ma sulla base di apodittiche affermazioni – la responsabilità dell’evento al V. per la sua deliberata intenzione di intimidire l’animale prima brandendo il bastone acuminato e, dopo l’aggressione, per la sua reazione a freddo concretizzatasi nel trafiggere il fianco dell’alano con un colpo secco, senza quindi contestualizzare il momento della aggressione, della percezione del pericolo e della reazione da parte del V. a tale situazione di emergenza.
6. La sentenza impugnata va, quindi, annullata limitatamente al reato di cui all’art. 544 bis cod. pen., con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale in tale sede, si atterrà ai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di configurabilità in concreto dello stato di necessità. Nel resto il ricorso va rigettato, dichiarandosi l’irrevocabilità delle statuizioni di responsabilità relative alla contravvenzione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all’art. 544 bis cod. pen. con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto e dichiara irrevocabili le statuizioni di responsabilità relative alla contravvenzione.

Commento

1.La giurisprudenza di Cassazione che enuncia, come sub 4.2, che la situazione di necessità che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui ex art. 638 cod. pen. comprende non soltanto la necessità di cui all’art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per prevenire o evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile” (Sez. 2, 11.11.2010 n. 47322, Calzoni, Rv. 248999, secondo cui è stata ritenuta integrante lo stato di necessità l’uccisione di un cane pastore tedesco a fronte della situazione di pericolo per altro cane di proprietà dell’imputato già aggredito poco prima e per la moglie dell’imputato; conforme Sez. 2, 15.2.2006, n. 8820 Saddi, Rv. 234743; idem 28.10.1997 n.1963, P.M. in proc. Ziccardi, Rv. 209928).
1.1 Che, quindi, dogmatizza l’elemento di fattispecie “senza necessità”  in art 544 bis cit., quale (causa di giustificazione o scriminante o esimente o,  meglio) circostanza di esclusione della pena (artt 59.1, 119 cp). Così, per di più, da contrassegnarne condizioni e limiti di operatività conformi a quelli in art 54.1 cit (vd.li nella seconda parte dell’enunciato sopra esposto). 
Lo dogmatizza indubbiamente,  come è confermato,  peraltro,  dal fatto che una delle sue sentenze, quella in commento, elabora e  accoglie la deduzione (devolutoria!) del ricorrente che lamenta, appunto, la disapplicazione, dalla sentenza ricorsa, dell’art 54 cp..
1.2 Ebbene  quella giurisprudenza  fallisce l’interpretazione sia dell’elemento suddetto che della circostanza di esclusione della pena in parola. E per ciò fallisce l’interpretazione degli elementi del reato di cui all’art 544 bis cit..
2.Cominciando dal primo,  se, visibilmente,  l’elemento “senza necessita” è dalla legge posto a descrivere, negativamente, un modo di esecuzione  del fatto, una modalità della condotta, che non scrimina questa ma la connota:
esso  non è  circostanza di esclusione della pena (o causa di giustificazione o scriminante o esimente); ha nulla che fare  con questa categoria dogmatica.
2.1 D’altronde, l’elemento  ha alla stessa funzione di quello, enunciato positivamente, della crudeltà. E  poiché questo  è modo (per di più tale comunemente ritenuto) della esecuzione del fatto,  modalità della condotta relativa, lo è anche l’altro.
2.2. Peraltro,  quando “senza necessità” o altro elemento negativo sia incarnato nel fatto  del reato, e così da questo esibito,  ne è indubbiamente elemento costitutivo, non elemento  scriminante. Che,  a  sua volta,  potrebbe  anche stare accanto alla disposizione incriminatrice, ma fuori d’essa e in altra disposizione contigua. Vi starebbe   come circostanza
speciale di esclusione della  pena,  a differenza da quella in art 54 cit., che sta fra le circostanze comuni di esclusione della pena.
2.2.1 Se
ciò è vero d’altronde,  la possibilità che vi  operi la scriminante putativa (art 59.4 cp), in relazione al “danno che l’agente ritenga inevitabile” ( locuzione da me rinvenuta in una  prova concorsuale forense menzionata nel titolo) è inesistente,  poiché essa  appartiene all’area delle  scriminanti.
E quindi, ove  l’agente ritenesse sussistente una necessità insussistente, opererebbe eventualmente l’errore  in art 47.1 c.p.. Non quello  in art 59.4. cp.
2.3 Va peraltro stabilito quando, la necessità, sussista. Partendo anzitutto dal rilievo che è “necessità”, non “stato di necessità”. E che,  quindi,  la sua essenza  è  (per definizione)  mobile ( e fuggevole)  occasionale e varia, rispetto a   a quella di  uno “stato”. Tanto che (e poiché):
né è finalizzato, o limitato,  lo scopo (che trae da essa la condotta esecutiva di difesa personale reale etc);
né è individuata o limitata la causa d’essa.  Causa qualunque (ovviamente adeguata all’effetto), dunque, non riconducibile, anzi da non ricondurre, a quella del pericolo attuale di un’offesa,  sia perchè non previsto (anzi, per quanto detto,  escluso),  sia perché, l’elemento, è previsto all’art 54 cit..
2.4 E tanto meno è riconducibile all’oggetto dell’offesa,  costituito  da un danno grave alla persona propria o altrui, a sé o ad altri. Ancora una volta, sia  perché non previsto (anzi, per quanto detto, escluso), sia perché, l’elemento,  è previsto all’art 54 cit.. Il  quale elemento, peraltro, per la sua connessione inscindibile al precedente, del pericolo attuale di un’offesa,  conferma, con esso,    la loro irriconducibilità alla “necessità” sub 2.3).
2.5 Tanto più che, se entrambi gli elementi  ricorressero, quali estremi di uno  “stato”, esordirebbe la circostanza in art 54 cit..  La quale tuttavia, quale circostanza (di esclusione della pena ) del reato (di cui all’art 544 bis cit), cioè  collocata intorno al, non nel, fatto costitutivo, che quindi suppone nella sua interezza (d’altronde, secondo il compito di ogni altra circostanza  di esclusione della pena, che esse  non  escluderebbero se il fatto non fosse e non costituisse reato). Nella sua interezza, compreso l’elemento negativo “senza necessita”:
diverrebbe antinomica a questo elemento, se  collocata (come suo contrario) dove esso è (nel fatto costitutivo del reato quale suo elemento).
2.6 Dunque la “necessità” di cui la circostanza in art. 54 parla non è certo quella di cui parla l’art 544 bis cit..  Indubitabilmente.  Per ciò la immedesimazione evocata dalla giurisprudenza, sub 1.,  è financo inipotizzabile,
3.Passando ora alla circostanza di esclusione della pena in art 54 cit.,  la interpretazione che ne dà la giurisprudenza richiamata, e la sentenza in commento,  è errata. Perché se essa dà tutela per salvare sé od altri dal pericolo attuale di un  danno grave alla persona, non alla cosa (fosse pure l’animale), quante volte sia riferita a questa (come accade se immessa nell’elemento della fattispecie, per di più inverso, “senza necessità”), sarebbe stravolta.
Mentre non lo sarebbe (ovviamente tenuta intorno al, non nel, fatto del  reato),  la circostanza di esclusione della pena “legittima difesa” in art 52 cp., potendo questa difendere  la cosa, l’animale,    quale oggetto del patrimonio, proprio o altrui, oggetto di un diritto.
3.1 Tuttavia, supposta in corso l’offesa, dall’animale,  dell’animale e della persona, come ipotizza la sentenza, dove sarebbe l’esigenza di  richiamare (irrichiamabile per quanto detto sub 3 quando animale e persona fossero confusi) la circostanza in art 54 cit (eventualmente quella in art 52 cit) quando, rettamente ( sub 2 ss)  dogmatizzato e interpretato l’elemento “senza necessità”, volto in  positivo nella fattispecie  concreta,  esso permetterebbe di escludere il reato? E non, come atecnicamente e impropriamente  enuncia la sentenza in commento, escludendo “la responsabilità “ dell’imputato, o la sua punibilità (impiegata che fosse  la circostanza di esclusione della pena de qua), bensì escludendo il fatto stesso, o che esso costituisca reato, mancato l’elemento costitutivo negativo suddetto, ricorrendo il suo contrario positivo, la necessità?
Una dogmatica adeguata allo scopo esclude quella esigenza.
4. Divagando ( ma sempre sulla scia della sentenza):
la esecuzione del fatto  con crudeltà è sorretta da dolo generico, il quale ha per  oggetto non solo il nucleo della condotta ( e dell’evento e del rapporto di causalità fra l’una e l’altro. Ì) ma anche ogni suo modo d’essere. Dunque il dolo non è specifico,  come per contro afferma la sentenza, che probabilmente intende la preposizione  “per” al nome “crudeltà” come finale, collocante il nome nel fine anziché nel mezzo, addirittura nell’evento trascendente  l’oggettività realizzata del reato (come postula il dolo specifico). Laddove la preposizione è mediale, colloca il nome nel mezzo della esecuzione del reato, quale modo della condotta.
D’altronde,  rispetto alla modalità della crudeltà, in tutto equivalente funzionalmente all’assenza della necessità (equivalente quindi all’interno dell’oggetto del dolo), la sentenza ritiene il dolo “generico”!   

Post scriptum

5. avutasi occasione di conoscere  il tema proposto alla prova concorsuale forense,  certo ispirato  dalla sentenza in commento, così enunciato:
Atto giudiziario in materia di diritto penale
In data 9 febbraio 2016 Tizio si trova nei giardini pubblici del Comune di Alfa con il proprio cane di piccola taglia tenuto a guinzaglio.
All’improvviso un cane di grossa taglia, senza guinzaglio e con comportamento aggressivo, si lancia contro il cane di Tizio e cerca di azzannarlo di un grosso bastone trovato   nelle vicinanze, colpisce violentemente il cane di grossa taglia, uccidendolo.
Di lì a breve arriva Caio, proprietario del cane ucciso, che, sconvolto per l’accaduto, denuncia Tizio.
All’esito del processo penale di primo grado, il giudice ritiene Tizio responsabile del delitto previsto e punito dall’art. 544-bis c.p. e lo condanna ‘alla pena di mesi quattro di reclusione, senza riconoscere alcuna circostanza attenuante in considerazione del fatto che l’imputato ha diversi prece­denti penali per reati contro il patrimonio. Ad avviso del giudicante, Tizio ha causato la morte del cane di Caio “senza necessità”, avendo agito al solo fíne di difendere il proprio animale di compagnia.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto più idoneo a tutelare le ragioni del proprio assistito.
si è notato che esso ipotizzava un’offesa da animale ad animale, e l’uccisione d’uno d’essi. Non ipotizzava affatto offesa a persona. 
E avutasi occasione di conoscere alcune prove, si è notato che esse, deviando dai termini del tema,  evocavano anche offesa a persona e risolvevano applicando l’art 54 cit e quant’altro.  Accumulate  tutte le  improprietà dogmatiche e interpretative sopra criticate, risolvevano sulla scia della sentenza.

E’ evidente  il danno formativo che essa ha cagionato, la  disinformazione giuridica che ha diffuso. La sua condizione dogmatica e interpretativa.

Pietro Diaz