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CONTE ” ANTIVIRUS ” POTEVA NON DIFFERENZIARE POPOLAZIONI DIFFERENZIATE DAL VIRUS? CENNI SUL PASSAGGIO DALLO “STATO DI EMERGENZA” ALLO STATO DI ECCEZIONE

1. In un calcolo comparativo munito di ”numeri ufficiali”, non privo di accenti meridionalistici , apparso su Il Dubbio (15 04 2020), Pisicchio P. espone: “Quasi l’ 80% dei contagi… si è avuto nelle regioni del Nord, che pure contano solo il 46% della popolazione italiana. Il Centro ( quasi il 20% della popolazione nazionale ) è stato colpito dal coronavirus in una misura vicina al 12% del totale degli infettati, mentre il Mezzogiorno ( isole comprese, come diceva una volta lo spot di Aiazzone), che raccoglie il 34% degli italiani, ha avuto un tasso di contagio pari all’ 8 e passa per cento del totale. Se poi prendiamo in esame l’indice di mortalità ( in Italia, purtroppo, molto più alto di moltissimi paesi colpiti, con il 17,5% del numero mondiale), troveremo conferme ancora più nette: il Nord fino alla domenica di Pasqua registrava il 4,4 per mille di decessi per coronavirus sull’intera popolazione dell’area, il Centro l’ 1,15, il Sud lo 0,66 per mille. In mancanza di prove scientifiche su una costituzionale refrattarietà al virus maledetto delle genti meridionali, non restano dunque che poche ipotesi. La prima sarebbe quella della “tenuta” del sistema sanitario. Il che sembrerebbe addirittura paradossale: ma come, il Cotugno di Napoli, proprio quel Cotugno delle inchieste, delle denunce, dei malati parcheggiati nei corridoi, oggi diventa modello di efficienza sanitaria che può esibire a testa alta il risultato di aver guarito e non infettato i suoi pazienti, ciò che in molti ospedali del nord, purtroppo, non è stato possibile? Proprio così.” 1.1. Espone varianti geografiche del transito del virus e del “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” –è, questo, il presupposto sia della “Dichiarazione dello Stato di Emergenza” emessa dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, sia della Ordinanza (primaria) del Capo del Dipartimento della Protezione civile (n.630), emessa tre giorni dopo- . Ed esse paiono (già intuitivamente) spingere a differenziare territorialmente l’azione inibitoria del transito del virus e del contagio. Come paiono spingere a differenziare il trattamento del contagio i riferimenti (pur ipotetici) alle varianti delle infrastrutture sanitarie. 1.2 D’altronde, le prime hanno costante riflesso nella normazione antivirus. A cominciare dalla ordinanza del ministro della Salute (21 febbraio 2020, su “regione Lombardia”) seguente i due atti (del cdm e del cdpc). 1.2.1 E comunque esse sono (con “forza di legge”) riprese dal decretolegge 23 febbraio ’20 n.6: Art. 1 Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 1. Allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi e’ un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area gia’ interessata dal contagio del menzionato virus, le autorita’ competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica . 1.2.2. E riprese, nello stesso giorno, da dpcm (del presidente del consiglio dei ministri): Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenzaepidemiologica da COVID-19» e in particolare l’art. 3, comma 1; Viste le ordinanze adottate dal Ministro della salute d’intesa conil Presidente della Regione Lombardia e della Regione del Venetorispettivamente in data 21 febbraio 2020 e 22 febbraio 2020; Preso atto dell’evolversi della situazione epidemiologica, delcarattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e dell’incrementodei casi anche sul territorio nazionale; Preso atto che sul territorio nazionale e, segnatamente, nellaRegione Lombardia e nella Regione Veneto, vi sono diversi comuni neiquali ricorrono i presupposti di cui all’art. 1, comma 1, delrichiamato decreto-legge; Ravvisata, pertanto, la necessita’ di adottare le misure dicontenimento di cui all’art. 1 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6; Su proposta del Ministro della salute…., sentito il Ministro…sentiti i Presidenti della Regione Lombardia e della Regione Veneto ….: Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio nei comuni delle RegioniLombardia e Veneto 1. In attuazione dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, allo scopo di contrastare e contenere ildiffondersi del virus COVID-19, nei comuni indicati nell’allegato 1al presente decreto, ad integrazione di quanto gia’ disposto nelleordinanze 21 febbraio 2020 e 22 febbraio 2020, sono adottate leseguenti misure di contenimento……: 1.3 Non solo, ma decorso un paio di settimane, di transito del virus e del contagio e di loro inibizione, come pure di trattamento medico del secondo, le varianti sono riprese da Dpcm 8 marzo 2020: Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misureurgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenzaepidemiologica da COVID-19» e, in particolare, l’articolo 3; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23febbraio 2020, recante «Disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25febbraio 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative deldecreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti inmateria di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica daCOVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19,applicabili sull’intero territorio nazionale», pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020; Considerato che l’Organizzazione mondiale della sanita’ il 30gennaio 2020 ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 un’emergenza disanita’ pubblica di rilevanza internazionale; Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020,con la quale e’ stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenzasul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connessoall’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; Considerati l’evolversi della situazione epidemiologica, ilcarattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento deicasi sul territorio nazionale; Ritenuto necessario procedere a una rimodulazione delle aree nonche’ individuare ulteriori misure a carattere nazionale; Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomenoepidemico e l’interessamento di piu’ ambiti sul territorio nazionalerendono necessarie misure volte a garantire uniformita’nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sedeinternazionale ed europea; Tenuto conto delle indicazioni formulate dal Comitato tecnicoscientifico di cui all’art. 2 dell’ordinanza del Capo delDipartimento della protezione civile in data 3 febbraio 2020, n. 630,nelle sedute del 7 marzo 2020; Su proposta del Ministro della salute…., sentiti il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regionie, per i profili di competenza, i Presidenti delle regioniEmilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto; Decreta: Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio nella regione Lombardia enelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia,Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia. 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virusCOVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma,Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria,Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso eVenezia, sono adottate le seguenti misure…..: 2. Insomma, il dpcm, confermando le varianti territoriali dà conto (visibilmente) della loro presenza, d’altronde innegabili per quanto sub 1.. Come dà conto della loro presupposizione dalla superiore (ad esso) normazione in materia; anzitutto quella del decreto legge (23 febbraio cit.) che, facultandolo, ne circoscrive scopo e raggio d’azione, ineludibilmente territoriali. D’altronde, già l’art 25 Dlgs n.1 ’18 (Codice della Protezione civile), presupposto dalla Ordinanza n.630 cit., vuole che le norme in deroga siano “emanate acquisita l’intesa delle regioni e Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate”). 2.1 E comunque e del resto, nel decreto legge 23 febbraio sta un enunciato programmatico incontrovertibile ( e intangibile): sarà adottata (solamente) “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica” . Dove adeguatezza e proporzione della misura, implicano: a) positivamente: ricognizione della situazione concreta(entità della circolazione del virus e del contagio); correlazione al risultato della misura inibitoria della prima e del trattamento sanitario del secondo(peraltro,la ricognizione si avvarrebbe, verosimilmente, della denuncia del contagio da chiunque sospettasse d’esserne oggetto!). b) negativamente: commisurazione di coercizioni e restrizioni (di luoghi persone attività…)al minimo necessario, indispensabile al raggiungimento dello scopo. 2.2 D’altronde, è in questione l’eguaglianza del trattamento ( di luoghi persone attività situazioni.…), che nella Pubblica Amministrazione (attività e scopo precipui della funzione di Governo)è scandita dalla “imparzialità” (art 97 cost)nel crogiolo dell’art. 3 cost.. Trattamento che se non differenzia il differente è diseguale. Essendo eguale se dà “a ciascuno il suo”. Mentre se si astrae dal differente lo dissolve (diseguagliandolo appunto). Così che l’eguaglianza, del trattamento giuridico o amministrativo, sta nella specificazione non nella generalizzazione, dell’azione, nella identificazione non nella disidentificazione, del suo oggetto (eguaglianza “materiale” delle prime, “formale” delle seconde). Insomma, sta in un principio, del trattamento eguale dell’eguale, diseguale del diseguale, allignante, prima che nel diritto costituzionale, pregiuridicamente, nella Ragione (tanto che, per correggerne le deviazioni, in sede giurisdizionale anzitutto costituzionale, è impiegato il criterio della “ragionevolezza”). 2.3 Dunque adeguatezza e proporzione, alle situazioni concrete dalla circolazione del virus e dal rischio del contagio,alla loro specificità territoriale, sono caratteri inderogabili, e acquisiti (dalla normazione in esame medesima, come si è visto), del loro trattamento. Sono condizioni impreteribili della legittimità giuridica, della liceità sociopolitica, d’esso. SENONCHE’ ALL’IMPROVVISO 3. Con dpcm 9 marzo, il trattamento è esteso al “territorio nazionale”: Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misureurgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenzaepidemiologica da COVID-19» e, in particolare, l’art. 3; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23febbraio 2020, recante «Disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25febbraio 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative deldecreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti inmateria di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica daCOVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19,applicabili sull’intero territorio nazionale», pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia dicontenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell’8 marzo 2020; Considerato che l’Organizzazione mondiale della sanita’ il 30gennaio 2020 ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 un’emergenza disanita’ pubblica di rilevanza internazionale; Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020,con la quale e’ stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenzasul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connessoall’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; Considerati l’evolversi della situazione epidemiologica, ilcarattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento deicasi sul territorio nazionale; Ritenuto necessario estendere all’intero territorio nazionale lemisure gia’ previste dall’art. 1 del decreto del Presidente delConsiglio dei ministri 8 marzo 2020; Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomenoepidemico e l’interessamento di piu’ ambiti sul territorio nazionalerendono necessarie misure volte a garantire uniformita’nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sedeinternazionale ed europea; Su proposta del Ministro della salute…Sentito il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni; Decreta: Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virusCOVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente delConsiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorionazionale. 2. Sull’intero territorio nazionale e’ vietata ogni forma diassembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico…. 3.1 E senza che, nemmeno, sia illustrata la ragione. Anche perché quella (tacitamente) evocata dai “Visto” (richiamanti, nel prologo del decreto, fatti od atti da questo considerati) è contraria a – se non espressamente smentitrice di- quella che vorrebbe giustificare il decreto (alcuni richiami del prologo sono stati esposti sub 1.ss, 2.ss; altri sono facilmente reperibili altrove). 3.2 E comunque senza che ve ne fosse ragione. Giacchè, anche per dpcm 8 marzo (sub 1.3,2.), erano insussistenti variazioni (alle varianti territoriali precedentemente assunte) della circolazione del virus e dei contagi. 3.2.1 Ed ipotetiche variazioni (nel periodo dal 23 febbraio al 8 marzo) avrebbero (ovviamente) inciso territorialmente in proporzione. E comunque non sarebbero andate oltre le proporzioni del calcolo sub 1.. Con seguente irrelatività al differente del trattamento indifferenziato, se non sua impertinenza nei territori senza virus (Basilicata,Molise, a quanto si dice). 3.3 In altre parole, in quei territori non c’era o c’era meno “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” (vd sub 1.1 ). Quindi L’assenza di rischio presidiava l’intangibilità (assoluta) di luoghi persone attività. Il minor rischio – che non fosse stato ritenuto accettabile tanto da mantenere (il valore del) la intangibilità-, sarebbe stato trattabile ben meno restrittivamente di come avvenuto. E nondimeno 3.4 In quei territori, l’enunciato programmatico del decreto legge 23 febbraio ’20 fu eluso. Lo fu da Dpcm, fonte “ terziaria” (atto amministrativo, per di più abilitato da quella primaria). Il capo del governo con proprio decreto disattese la normazione con forza di legge del Governo. 3.5 Così incontrovertibilmente che, quella normazione, è stata rinnovata negli stessi termini dal Decreto legge 25 marzo 2020 n. 19 Art. 1. (Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19) 1. Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus. 2. Ai sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo criteri di adeguatezza specifica e principi di proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti ovvero sull’intero territorio nazionale, una o più tra le seguenti misure: 3.5.1 Dove, come si vede, l’enunciato programmatico della adeguatezza e della proporzione(delle inibizioni e dei trattamenti)non solo è ribadito,è anche rafforzato da aggettivi ed avverbi (“adeguatezza specifica e principi di proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti…” del territorio ). E dove, ad un tempo ( e dopo ben sedici giorni-9,25 marzo- di circolazione del virus e del contagio, di inibizione e di trattamento relativi!)è sconfessato il dpcm del 9 marzo. Ebbene 3.6 Come questo, ha osato tanto? Tanto da comportare: (esemplificando dal lato socioeconomico) il fermo delle imprese della Sardegna e della Sicilia, ove, il 9 marzo ‘ 20, era registrato (complessivamente) un migliaio di “positivi” al covid 19 (oggi non è più del doppio) su settemilioni di abitanti? (esemplificando dal lato delle facoltà delle persone, singole o associate), il fermo di altrettante? Cioè: sebbene le libertà delle imprese e degli abitanti fossero pienamente congiungibili al controllo del virus? DALLO “STATO DI EMERGENZA” ALLO STATO DI ECCEZIONE 4. La risposta potrebbe rinvenirsi (qui se ne accenna appena) nella posizione ( e nel moto) del dpcm: “eccezione” (sub 3. ss.) al decreto legge 23 febbraio; articolazione del potere giuridico introdotto da questo, (inopinatamente, con vero e proprio scarto ordinamentale) sovrappostosi a quello operante (da 31 gennaio-3 febbraio: vd sub 1.1.). Il potere basato sul Dlgs 2018 n.1 cit , avente a veicolo normativo (invariabilmente, fosse pure esercitato dal pdcm, il quale “determina le politiche di protezione civile per la promozione e il coordinamento delle attività delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, delle regioni, delle città metropolitane, delle province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali …” :art 5 Dlgs cit.) “ordinanze”, provvedenti ad ogni opportunità o necessità o attività o passività, ad ogni occorrenza (art. 2 Dlgs cit.) dello “stato di emergenza” (art. 24 Dlgs cit.), seguìto ad “eventi calamitosi”: (art. 7 del medesimo), ruotante nazionalmente intorno al Capo del Dipartimento della protezione civile (art. 5 cit..), intestato localmente anche ad altri soggetti (art. 6 del Dlgs.). Potere (peraltro) esercitabile (art.25 Dlgs cit.) nel rispetto “dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea” ( e che verosimilmente non avrebbe osato tangere, al modo avutosi col dpcm in parola , libertà facoltà diritti prerogative della persona…). Potere di un ordine giuridico “in deroga ad ogni disposizione vigente”(art. 25.1 Dlgs cit.): sul quale si è insediato l’ ordine giuridico del decreto legge, in deroga ad esso normativo dello “stato di emergenza”. E perfino al suo veicolo, l’ordinanza. Ma con ciò fatalmente ponendo in questione la propria “legittimità” (istituzionale, giuspolitica, giuridica): essendo sorto da decreto legge, previsto (art 77 cost.) per i “casi straordinari di necessità e di urgenza”; cioè da “decreto” (l’art 77 cit. lo appella “provvedimento….”!) extra ordinem, in “emergenza”. E tuttavia (in specie) oltre lo “stato di emergenza”! Non riportando quindi – sebbene sia normazione in deroga ad altra in deroga – a quella ordinaria; ma portando ad altro, da queste, portando oltre e contro queste (col dpcm, vd sub 3). Fino ad un livello di “eccezione”, ad ogni ordine giuridico, che ha la vertigine nella eccezione, ad essa stessa, del dpcm 9 marzo (vd sub 3). Livello che, inesorabilmente. non potrebbe delineare che (normazione in) “stato di eccezione”. Lo “stato” che, alla stregua delle dottrine (diversamente valutative) d’esso (Schmitt K., Agamben G.),(in specie) consta: della rottura dell’ordine giuridico andante in temporanea deroga a quello vigente (l’ordine “..di emergenza” 31 gennaio- 31 luglio 2020). Della interruzione del loro corso. Della instaurazione di un nuovo corso, che si à dato il potere di comprimere o sopprimere tutti o parte dei fattori (materiali immateriali oggettivi soggettivi passivi attivi) del precedente. Insomma, lo “stato” che, in tutto ciò – così come derivato dalla interruzione, col decreto 23 febbraio, delle normazioni costituzionali od ordinarie ( perfino in deroga e perfino secondarie), vigenti al suo avvento nel territorio nazionale-, mostra i caratteri ontologici fenomenologici deontologici, dell’”eccezione”. 4.1 Ecco, la risposta (sub 4.) potrebbe stare nella inquadratura, del dpcm 9 marzo, al colmo della manifestazione di un potere sociopolitico e giuridico destitutivo di ogni altro (esautorativo dei suoi organi: il Capo della protezione civile posto a enumerare, ad h 18 d’ogni pomeriggio, le “vittime” del virus…). Stare nella assunzione del decreto a suo emblema. 4.2 Ad accredito della risposta, peraltro, potrebbe notarsi che, secondo gli annunci, l’indiffenziazione del differente della “Fase 1”, di entrata nel virus, proseguirà nella “Fase 2”, di “uscita” dal virus, giacchè la modalità di questa, si è avvertito, sarà comune a tutti i territori e alle loro popolazioni. Potrebbe notarsi, cioè, la protrazione dell’”eccezione”. pietro diaz

LA MALAFEDE DEL DDL BONAFEDE: PRESCRIZIONE E DURATA DEL PROCESSO

Ognuno ricorda la ragione ufficiale della riforma del processo penale.

Sarebbe stata diretta ad evitare che l’abolizione della prescrizione penale, voluta dal governo gialloverde insieme alla legge “spazzacorrotti”, conservata (con questa) dal governo giallorosso, generasse accusati a vita dopo la prima sentenza di condanna o di assoluzione. Come paventato ed obiettato dalla maggioranza della avvocatura e della accademia.

Il governo rispose che, quella dimensione temporale, sarebbe stata accorciata limitando i tempi iniziali medi e finali del processo. E nelle occasioni stilisticamente più impegnate, aggiunse che, l’opera, avrebbe adempiuto al precetto di “ragionevole durata del processo”, costituzionalmente sancito in art 111.2 Costituzione.

L’accorciamento dei tempi del processo fu, in una parola, prospettato dal governo quale offerta transattiva, in cambio della rinuncia alla pretesa, dalle suddette categorie, della conservazione della prescrizione.

Il ddl (disegno di legge) è stato approvato e, dal governo, ne è stato diffuso il contenuto mediante un comunicato stampa.

Per quanto è dato apprendere (in tema, ) sono stati accorciati:

i tempi delle indagini preliminari (invero relativamente, perché alcune indagini, per taluni reati, possono godere di ben diciottomesi, prorogabili per sei mesi);
i tempi dei primi giudizi;
i tempi dei secondi giudizi (di Appello);
i tempi di Cassazione.

Inoltre sono state previste “sanzioni disciplinari” per le trasgressioni d’essi (ne è stata prevista, invero, segnalazione all’organodisciplinare), nei (soli) casi di Dolo o di Negligenza inescusabile).

Cioè:

le trasgressioni non sono state sanzionate penalmente, ad esempio con previsione di reati di abuso d’ufficio o di omissione di atti o di quant’altro, i reati stimolatori degli adempimenti di tutti gli uffici pubblici, ma non di quelli giudiziari!

Né sono state sanzionate civilmente, in quanto dannose dei diritti della parti alla ragionevole durata del processo (valore costituzionale, si ricorda); mentre lo sono i fatti ingiustamente dannosi che qualunque agente pubblico (non giudiziairio) o privato cagionasse a qualunque membro della società (art 2043 cc)!

Insomma, le trasgressioni del ddl integrano bagatelle disciplinari, a responsabilizzazione (soggettiva) assai ristretta ( dolo o negligenza inescusabile: una specie rarissima della colpa). Per di più, processabili da “giustizia domestica” ( da altri magistrati).

MA COMUNQUE

Ad accorciamento della durata del processo, ad eclisse della tragica figura dell’accusato a vita, è’ stato previsto altro?

I termini (taciti o impliciti) della transazione furono che, non accorciata la durata del processo mediante la prescrizione, lo sarebbe stata con altri mezzi.
Che agissero sulla durata al modo della prescrizione:

togliendo alla magistratura il potere di protrarla, prevedendo estinzione o decadenza dell’”azione penale” o della “punibilità del reato” o, più istituzionalmente, del “potere di punire” (o altre formule descrittive del fenomeno).

Insomma era stato promesso ed era atteso, che decorsi i termini ultimi delle indagini o dei giudizi, il processo si fermasse irremissibilmente.

Ebbene

Dov’ è la previsione della estinzione o decadenza o altro del propulsore (comunque denominato) del processo?

Non pare proprio che il ddl la contenga!

Quindi, la promessa costituì l’artifizio per indurre una parte a riporre le armi?
Costituì il raggiro della attesa, in art 111 Cost. di un limite temporale al processo effettivamente invalicabile?

Nemmeno il comunicato stampa del governo riesce a negarlo.
Invero:
“Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha approvato un disegno di legge che prevede deleghe al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti d’appello.
Il testo interviene, nella prima parte, con specifiche previsioni di delega relative alla riforma del Codice di procedura penale, da attuarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge di delega, con una finalità di semplificazione e di aumento della celerità del procedimento.”

Dunque, ddl per la “celere definizione dei procedimenti”, per “l’aumento della celerità del procedimento”.
Senza la minima comminatoria di decadenza, di estinzione d’essi…

pietro diaz

PADELLARO, DA FORMIGLI A “PIAZZA PULITA”, CON DAVIGO E CAIAZZA.

1.Per la prima volta l’altro ieri, un conduttore di talk show usualmente ospitante, forse per identità di fede, l’incessante locutore di diritto (solo) persecutorio,  Davigo, ha posto di fronte a questi chi potesse contraddirgli.
Uno della sua formazione, dopo caterve di pseudocontraddittori di tutt’altra formazione, al postutto plauditori.

L’avvocato G. D. Caiazza.

Per ciò, impostato l’incontro de jure in chiave finalmente dialettica, non si comprende perché, il conduttore, abbia ospitato anche “ Padellaro”, di cui mai è risultata la competenza (se non fosse risultata sempre l’incompetenza) a interloquirvi.

Se non supponendo che lo abbia fatto perché, costui, fu “ fondatore” di un Quotidiano che, con la attuale guida, ha trascritto ed esaltato visceralmente il pensiero ed il verbo del magistrato.

E che sia stata tale “benemerenza” la ragione della sua presenza, egli stesso si affretta a mostrarlo.

Aperto un taccuino d’appunti, correndo subito (manco a dirlo) al “fatto”, alieno visibilmente alla teoria, occhi astratti e tono recisorio, ad elogio della cacciata della prescrizione penale rimarca, con sdegno, che nel processo per il disastro ferroviario di Viareggio (cui nessuno al momento pensava), il reato di incendio e quello di lesioni si siano prescritti.

E ventila che l’allora AD di Ferrovie dello Stato ( e di altro ente), sia stato condannato a (sette anni di) reclusione sol perché avrebbe rinunciato ad essa.

Con ciò dando a vedere di credere ( e dando a credere) che, essendo, le (32) morti del disastro, avvenute tra le fiamme, col reato di incendio si siano prescritte anch’esse!

2.Ciò deposto, Formigli, forse perché estraneo alla esigua percentuale di italiani che, secondo recente demoscopia, saprebbe qualcosa di prescrizione , non obietta alcunché.

Ma non obietta nemmeno Davigo, alcunché.

Sebbene stia ampiamente in quella percentuale. Sia, inoltre, esponente di spicco del CSM e presidente di Cassazione penale. Oltre che glorioso reduce di Mani Pulite. E quindi :

per ragione istituzionale se non professionale dovrebbe obiettare, se vi fosse ( e vi è) di che.
.
E in vece tace, malgrado quell’emissione sonora strida oltremodo.

Sia perché le morti nell’incendio integrarono più reati di omicidio (omicidio colposo plurimo: art. 589. 5 cp). Reato la cui pena edittale raggiunge anni quindici. Ed è perciò prescrittibile in pari tempo aumentato di un quarto. E decorrente, si sa, dal giorno dell’accadimento (anno 2009).

E sia perché, l’AD suddetto, essenzialmente per quelle morti, quel reato, (oltre che, marginalmente, per il reato di incendio e di lesioni) è stato condannato.

E lo sarebbe stato pur se non avesse rinunciato alla prescrizione. Per quel reato, oltretutto, nemmeno rinunciabile, giacchè immatura fino all’anno 2029.

E ciò indipendentemente dalla “legge Bonafede”.
Demagogicamente silenziante che i reati “alla moda” (corruzione droga immigrazione mafia etc.), e innumerevoli altri:
o hanno pene talmente elevate da “ impossibilitare” la prescrizione;
o derogano al suo regime (esempi in art. 157.4 cp).

3.Mentre l’avvocato Caiazza, chiamato a contraddire a Davigo, sullo specifico punto non ha degnato di interlocuzione l’ospite profano.

IN ATTESA DELLA IMMINENTE SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE “SUL FINE VITA”

Così annunciata tematicamente dai media nazionali, e dalle loro fonti (politiche parlamentari governative, opinionali): “sentenza sul fine vita” :

lo è stata palesemente “fuori tema”.

Perché:

1.La sentenza concernerà il reato di aiuto al suicidio, uno dei reati, con la istigazione e la determinazione (al suicidio), in art 580 cp,

Aiuto che, inerendo il suicidio, cioè il fatto di chi si dia la morte (da sé), nulla ha che vedere col fatto di chi, moribondo o (certamente) morituro, da altri riceva la morte:

o per arresto della somministrazione dei mezzi (chimici, meccanici…) del suo differimento;

o per somministrazione di mezzi della sua anticipazione (entrambi i casi sono concepibili come “eutanasia”: non ritardare o dare “dolce morte” al moribondo o morituro).
1.1 Nulla ha che vedere, dicevasi, col suicidio, che può concernere, certo, il moribondo o il morituro, ma anche il vivente nolente vivere; o perfino bellicosamente volente uccidere (il kamikaze, l’omicida-suicida dei “femminicidii”, etc).
E ciò per un fatto essenziale, ripetesi, perchè nessuno a costui dà la morte (per omissione o per azione); egli se la da’.

Attua egli, causalmente, il passaggio dalla vita alla morte.

Egli, sufficientemente dal lato materiale, pur se vi fosse istigato, o determinato, o aiutato.

Pur se fosse scortato, cioè, dalle condotte (tutte dolose: volontarie e finalizzate) punite dall’art 580. Le quali quindi sarebbero certamente concausali, ma insufficienti a dare morte.
1.2 Ed è, dicevasi, la condotta di aiuto al suicidio, non altra o altro, a giudizio della Corte Costituzionale. Un fatto che nemmeno essa può cambiare o modificare, sulla quale quindi soltanto potrà e dovrà decidere. Perché esso è il tema propostogli dalla Corte di Assise di Milano, tema quindi vincolato e vincolante, anche per il principio, sulla decisione giudiziaria, della immancabile correlazione “fra chiesto e pronunciato”).
2.D’altronde quel tema è del tutto coerente al caso che lo ha suscitato.

Il caso di (tale) “DGFabo” il quale, a causa di un sinistro stradale gravemente infermo e irreversibilmente e insopportabilmente sofferente, deciso a porre fine al suo stato, consulta i Radicali Marco Cappato, Lina Welby e altri. .

Questi (del giro politico del “suicidio ed eutanasia liberi!”)” prospettano la pratica della “sedazione profonda”, consistente della sospensione dei supplementi respiratori e alimentatori e della attesa della morte dolce ( gli prospettano eutanasia, dove la propria morte, voluta , è da altri indotta: come cennavasi) .

Egli tuttavia opta per il suicidio (dove la propria morte, voluta, è da sé indotta: come cennavasi), con modalità (anch’essa) dolce, eu, da eseguirsi in un Centro svizzero opportunamente attrezzato.

Intercorsi contatti e intese fra questo ed i familiari del “DJ”, Cappato ve lo conduce in automobile.

Ivi condotto, accuratamente accertata, dagli esperti del Centro, in lui, la persistenza della volontà del suicidio, gli è consegnato un farmaco letale, perché, da sè esclusivamente, eventualmente, lo assuma. Ed egli lo assume,
2.1 Cappato, che aveva pubblicamente vantato di agire per “disobbedienza civile”, (con L. Welby) è accusato di “rafforzamento dell’altrui proposito di suicidio” e di “aiuto al suicidio”.

Prosciolto dalla prima accusa, è rinviato a giudizio sulla seconda, davanti la Corte di Assise di Milano. Per rispondere, appunto, del reato di cui all’art 580 del codice penale.
3. Che cosa avrebbe potuto (e giuridicamente dovuto) fare la Corte?

Se avesse voluto (in tesi) tutelare fan delle libertà (fra cui quella) di suicidio ( i suddetti Cappato e Welby), con adeguata perizia distinguendo:

fra aiuto che non arriva, alla fase della esecuzione del suicidio ( Cappato, ha condotto “DJFabo” al Centro svizzero, non vi è entrato, non è andato oltre..);

e aiuto che vi arriva (quello di chi ha consegnato a “DJFabo” il farmaco letale per la assunzione):

la Corte avrebbe potuto escludere che l’”aiuto” di Cappato fosse causa del suicidio. E quindi che fosse punibile.

Di fatti, per una teoria causale bastantemente meditata, se è causa (immediata) della morte l’assunzione del farmaco letale (e ovviamente questo), è causa (mediata) anche la consegna d’esso.

E qui si colloca l’aiuto al suicidio,

Che non risalirebbe quindi all’antecedente della conduzione al Centro del “DJ” (o ad altro prima). Il quale per ciò sarebbe “condizione”, non causa, del suicidio.

E ciò alla stregua di una lettura plausibile degli artt 40,41 del codice penale.
3.1 D’altronde, se così non fosse, ogni condizione, delle innumerevoli precedenti (o accompagnanti) ogni causa, sarebbe causa, con indebita sottrazione di questa al principio di continenza tipologica (cioè già in astratto e a priori) dell’evento (la consegna del farmaco letale è parte della sua assunzione e della morte conseguente).

Laddove l’accompagnamento al Centro non contiene (ancorra tipologicamente) la consegna del farmaco e tanto meno il seguito.

Ebbene con ciò, dicevasi, la Corte di Assise avrebbe chiuso giuridicamente il caso, prosciogliendo Cappato “perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato”.

Invece no.

Invece essa si è inoltrata e persa nei meandri eticogiuridici del “fine vita”, schizzandone il ricavo tematico sugli interessati ad esso, più o meno incapaci di discernere il tema effettivo.

Difatti, sebbene:
4. L’art 580 cit. punisca ”istigazione e aiuto al suicidio” (cosi la rubrica della disposizione, che non espone l’intero suo contenuto), ma non punisca il suicidio (pur potendo farlo: tempo addietro, la punizione del corpo del suicida, mediante sfregio o simile, era sancita).

Per ciò, se il suicidio non è vietato (penalmente e civilmente e negli altri rami del diritto nazionale), esso è libero.

E’ cioè nel potere di fatto, di chi lo volesse.

E ciò è altro che essere nel suo diritto, altro dall’essere un suo diritto, come la elementare teoria del diritto da tempo insegna.

Per di più, se lo fosse, le posizioni degli altri rispetto ad esso non sarebbero libere (simmetricamente a quel potere di fatto) ma vincolate.

Se lo fosse, gli altri sarebbero obbligati a rispettarlo, nessuno potrebbe, né dovrebbe (art 40.2 cp), impedirne l’esercizio.

E ove ciò fosse, (forse anche ) l’istigatore al suicidio, (certo) il rafforzatore del relativo proposito, e comunque l’agevolatore o ausiliatore del suicidio, cooperando all’esercizio di un diritto, sarebbero punibili tanto quanto il suo titolare (come si è visto non punito)!

Per cui, la presupposizione, alla eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Corte (vd dopo) , del “diritto al suicidio”, condurrebbe logicamente alla illegittimità costituzionale dell’intero art 580 cit….!

Certo contro la volontà dell’eccepiente.

Tuttavia la Corte:
4.1 Ritenuta (sostanzialmente) la configurabilità del “diritto al suicidio”, a conclusione di un lungo discorso (qui sintetizzato al massimo) dalle implicazioni logiche non sempre controllate, nel quale:

– la inviolabilità della libertà personale posta in art. 13 Costituzione darebbe anche libertà di suicidio (cioè darebbe libertà di violare l’inviolabile, sia pure dal suo titolare?!);

– il “diritto alla vita” (art.2) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, darebbe anche diritto di ucciderla (cioè darebbe “diritto di morte”, sia pure per il suo titolare?!);

– il “diritto a morire” rifiutando i trattamenti sanitari (recentemente introdotto da L. n. 219/2017) sarebbe “diritto al suicidio” (laddove, regolando la morte da altri indotta, l’eutanasia, nulla ha che vedere con la morte da sé indotta, il suicidio!).

Ritenuto quindi, si diceva, il “diritto al suicidio” quale parte del “diritto vivente” (adduce la Corte, anche in forza della inversione storica della base culturale della disposizione “fascista” che apertamente lo disconosceva) .

Ritenuto inoltre che, vietato a chiunque di “istigare” al suicidio o di “rafforzarne il proposito”, ne è vietato l’”aiuto” che fosse anche istigazione o rafforzamento, ma non quello che non lo fosse!

In altre parole, la Corte ha reso l’aiuto istigazione (o rafforzamento), malgrado, essi, nell’art. 580 cit., siano alternativi.

Siano posti cioè a dilatare l’area del divieto, non a contrarla (laddove la Corte la contrae fino ad espellerne ogni forma di aiuto che non fosse istigazione o rafforzamento….).

Ritenuto infine che, la contrazione della nozione di aiuto, non sia conseguibile in via di interpretazione dell’art 580 cit. (ma sub 3 si è mostrata la possibilità del contrario) ed esiga l’intervento della Corte Costituzionale (che la permei di “diritto al suicidio”, “diritto alla vita”, “diritto a morire” e via dicendo…”(la Corte, peraltro, nemmeno avverte che il “diritto” di cui farcisce il discorso ha incidenza puramente oratoria, non sulla realtà del suicidio, la quale, per quanto sub 4 visto, è interamente composta di stati fattuali di libertà, non giuridici di “diritto”). La Corte, d’altronde, non distingue minimamente tra volenti suicidio necessitato, quello di “DJ Fabo” – che potrebbero ricevere eutanasia per legge 219 cit.- e volenti suicidio “discrezionale” – che egoisticamente potrebbero disperdere un bene sociale, contro il dovere di solidarietà sociale in art 2 Cost.-..

Ebbene, tutto ciò premesso:

4.2 essa ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, indebitamente spogliandosene, perché avrebbe potuto e dovuto risolverla interpretando la legge penale, senza neppure sfiorare quella costituzionale (la Corte ha aggiunto anche un altro profilo di incostituzionalità, la parità delle pene della istigazione e dell’aiuto, senza avvedersi della inconciliabilità dei due profili, giacchè il primo punta ad escludere, il secondo ad includere, l’aiuto “non istigatorio né rafforzativo”!).
5. A questo punto, non resta che attendere la decisione del giudice delle leggi.

 

 

 

Peripezie di Cassazione tributaria

Per la Cassazione tributaria: la motivazione dell’Accertamento può risiedere (esclusivamente) nei documenti allegati al verbale di Constatazione.
E perfino in quelli non allegati ma posseduti dal contribuente.
Il quale quindi dovrebbe autoconstatare automotivare autoaccertare….

Inoltre, sempre per la medesima, se la testimonianza fosse inammissibile per il giudice tributario e da lui  inutilizzabile, raccoltone  da altri il contenuto, sarebbe da lui valutabile…

Dissoluzione del processo, dei suoi soggetti le rispettive posizioni funzionali le relative interazioni.
E di fondamentali divieti probatori (regole di esclusione della prova) del processo 

Di seguito (virgolettata)  la altrui presentazione della decisione con  suo commento. I passi rilevanti della decisione avranno carattere corsivo.
I commenti di questo scrivente ( segnalati come tali) avranno carattere  grassetto.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/motivazione-relationem-e-legittima-economia-scrittura

“ La motivazione per relationem è “legittima” economia di scrittura

11 Settembre 2019

L’obbligo di allegazione da parte dell’Amministrazione finanziaria non vale per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione

L’avviso di accertamento che rinvia alle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza è legittimo ogniqualvolta la motivazione è  idonea a individuare la causa giustificativa della pretesa tributaria e a garantire l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente. In questi termini la motivazione per relationem realizza solo una legittima “economia di scrittura” che non arreca alcun danno perché tratta di elementi già noti al contribuente.

Sono questi i principi contenuti nella sentenza della Corte di cassazione n. 20943 depositata il 6 agosto 2019.

I fatti

La vicenda processuale vede coinvolta una società a cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento ai fini imposte dirette e Iva.

L’atto impositivo recava le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dai militari della Guardia di finanza in cui si dava atto di una precedente verifica effettuate nei confronti di un’altra società.

Nel corso di tale attività i militari avevano acquisito due agende in cui erano annotati dati riferibili alla società accertata e avevano verbalizzato le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante legale e dalla consorte, la quale aveva fornito indicazioni utili a ricondurre i movimenti annotati ad operazioni imponibili della società, riportate come “differenze in nero”, di cui i verificatori non avevano trovano riscontro in contabilità.

Dapprima la Ctp e poi la Ctr hanno respinto il ricorso della società e tale ultima pronuncia è stata impugnata di fronte alla Corte di cassazione.

Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha lamentato violazione dell’articolo 7 della legge 212/2000 e dell’articolo 42 del Dpr 600/1973, perché la Ctr ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante l’ufficio non avesse allegato agli atti del processo la copia della documentazione extra-contabile rinvenuta in verifica presso la società terza e delle dichiarazioni attestanti le operazioni non dichiarate. A parere della ricorrente siffatta omissione non avrebbe consentito all’organo giudicante di avere tutte le informazioni necessarie per valutare il contenuto di tali documenti.

Con ulteriore motivo di gravame la società ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, comma 4 del Dlgs. 546/1992 per essersi pronunciati i giudici di merito in difformità del divieto di prova testimoniale nel processo tributario.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondati i motivi di doglianza proposti dalla società e, rigettando il ricorso, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, condannando la contribuente a rifondere all’Agenzia delle entrate anche le spese processuali.

La motivazione per relationem

Due i temi posti all’attenzione dei giudici di piazza Cavour: il primo attiene alla legittimità dell’atto impositivo che rinvia alle risultanze del verbale redatto dalla Guardia di finanza, senza allegazione della documentazione probatoria, e il secondo alla corretta interpretazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario.

In merito alla prima questione si rammenta che l’articolo 7 della legge 212/2000 – sulla chiarezza e motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria-prevede che “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”, mentre l’articolo 42 del Dpr 600/1973 – in tema di avviso di accertamento – puntualmente sancisce che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

La giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni è ricca di pronunce concordi nel ritenere che la motivazione per relationem di un atto amministrativo tributario, con rinvio alle risultanze contenute in un verbale redatto da militari verificatori, è pienamente legittima e non implica ex se l’assenza di una autonoma valutazione da parte dell’ufficio finanziario degli elementi assunti dai verificatori.

La metodologia implica semplicemente che l’organo accertatore, nel condividere la posizione dei verificatori, “ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (cfr. Cassazione, 32957/2018; 20416/2018; 30560/2017 e 29002/2017).

In aggiunta il Collegio di legittimità ha già chiarito che l’articolo 7, comma 1 della legge n. 212/2000, nel prevedere l’obbligo di allegazione da parte dell’Amministrazione finanziaria di ogni documento richiamato nella motivazione dell’atto impositivo, “non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione.” (cfr. Cassazione, 407/2015).

Alla luce di tale univoco orientamento, quindi, il contribuente non può invocare il difetto di motivazione dell’atto impositivo che lo riguarda per mancata allegazione dei documenti e degli atti probatori richiamati ogniqualvolta la motivazione appaia idonea a individuare la causa giustificativa della pretesa tributaria in relazione al contenuto dell’atto richiamato.

Al contempo la stessa deve consentire al contribuente di spiegare adeguatamente le proprie difese e al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento.

Nel caso di specie l’avviso di accertamento, seppur privo dei documenti extra-contabili rinvenuti nel corso della verifica fiscale, riportava in maniera chiara e analitica tutte le omesse fatturazioni riferibili alle cessioni immobiliari. Allo stesso tempo il processo verbale di constatazione, atto ben noto al contribuente, recava in modo fedele gli appunti trascritti nelle agende, con esaustiva annotazione di tutte le giustificazioni fornite verbalmente dalla persona che aveva provveduto a redigerle. Una motivazione così congegnata è stata dichiarata sufficiente a individuare la causa della pretesa tributaria e a garantire il corretto esercizio del diritto di difesa del contribuente”

Commento di questo scrivente 

I precedenti rilievi falliscono le questioni che espongono,  peraltro differenti e che tuttavia essi  confondono.

1. La questione della mancata allegazione,  ad un atto constatativo,  di contenuti di documenti (inespressi dall’atto ma) da esso richiamati.
E della mancata allegazione, ad esso, di contenuti di  documenti nemmeno richiamati (perché precedentemente indirizzati al processato e quindi  da lui conosciuti).

Che è questione di informazione,  al  destinatario dell’atto, degli  elementi fattuali e normativi della Constatazione.
Che quindi postula la allegazione,  con l’indicazione specifica dei suoi contenuti al proprio fine rilevanti.
Che quindi è inomissibile, giacchè, altrimenti, sarebbe introdotto nel processo, invece dell’atto di constatazione, tipico non solo formalmente ma anche funzionalmente ( e soggettivamente, perchè eteroconstatazione rispetto al destinatario dell’atto), quello di autoconstatazione (introduzione,  peraltro, ulteriormente umiliativa del processato):
cerchi il processato, anche fra sue proprie carte che antecedentemente gli fossero state dal processante indirizzate, quegli elementi.
Ne individui e colga egli la rilevanza.
E  li constati.

Ciò per cui, in luogo del processo inquisitorio,  basato sulla alterità tra inquisitore e inquisito, si avrebbe un processo esquisitorio, dove l’inquisito si inquisisca ed eventualmente si esquisisca.

Un sembiante d’esso potrebbe non essere stato ignoto al  medioevo.

2.La questione della motivazione, dell’atto di Accertamento.
Motivazione che, secondo Cassazione omissibile per “economia di scrittura”, sarebbe assegnabile ai contenuti dell’atto constatativo.
Che a sua volta potrebbe non essere allegativo dei documenti non propri ma da esso richiamati.
E potrebbe non essere allegativo e neppure richiamativo di documenti precedentemente indirizzati al processato a lui noti.
Che  quindi potrebbe non essere informativo degli elementi fattuali e normativi della constatazione.
Che quindi potrebbe farsi sostituire da (un atto di ) autoconstatazione di essi.
Che quindi introdurrebbe   la automotivazione dell’Accertamento.
Che a sua volta introdurrebbe  l’autoaccertamento (anche autosanzionatorio).
In processo  che quindi esclude la (pur costitutiva)  alterità fra accertatore  e “accertato”.

E che avviato che fosse sulla base di una qualunque comunque documentata presupposizione fattuale o normativa, assoggetta talmente  il processato da imporgli d’essere (autoconstatatore e) autoaccertatore. 

 

Il divieto di prova testimoniale nel processo tributario

Un altro tema affrontato nella pronuncia in commento riguarda il corretto inquadramento del divieto di ammissione nel processo tributario del giuramento e delle prove testimoniali, sancito dal quarto comma dell’articolo 7 del Dlgs. 546/1992. La norma era stata invocata dalla società ricorrente perché il giudice di merito si era pronunciato sulla base delle dichiarazioni rese in sede di verifica fiscale dal legale rappresentante.

Anche su tale argomento si è creato un orientamento di legittimità pressoché unanime secondo cui il divieto di prova testimoniale vale soltanto “per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio” (cfr. Cassazione 27314/2014 e 20032/2011).

Il che significa che la disposizione contenuta nel citato articolo 7 limita i poteri del solo giudice tributario e non pure i poteri degli organi verificatori, che sono liberi di raccogliere le dichiarazioni dei terzi e inserirle nel pvc. Tali dichiarazioni rivestono il valore di mere informazioni, utilizzabili quali elementi di prova e di convincimento da parte del giudice tributario, anche se non sono state assunte o verbalizzate in contraddittorio con il contribuente.”

Commento di questo scrivente

1.In altre parole, vietata  al giudice tributario, e quindi a qualunque organo del processo tributario, l’assunzione rituale della dichiarazione testimoniale, al giudice sarebbe permessa la valutazione della assunzione irrituale (anzi illecita)  della dichiarazione effettuata da ogni altro organo!!

 

Conclusione dei due commenti.

La teorie giuridiche della Cassazione appartengono in sé allo stadio del pensiero prelogico (e  preprocessuale) .

Tuttavia ben  logicamente al servizio del potere impositivo (e di qualunque potere assoggettativo del contribuente).

SALVINI SULLA “MOTO D’ACQUA” DELLA POLIZIA

Subodorato il rischio di essere accusato di “peculato d’uso” (art 314.2 c. p.), per avere fatto proprio (momentaneamente) un veicolo appartenente alla pubblica amministrazione (ma il peculato minore potrebbe divenire maggiore, ben più gravemente punito, se l’uso non fosse stato momentaneo o il veicolo non fosse stato restituito subito dopo esso).

Accusato di quel reato sia che avesse permesso, sia che non avesse impedito (art. 40.2 cp), al proprio figlio, quale conducente o condotto da un poliziotto, di montare una moto d’acqua della polizia di Stato.

E accusato in concorso (artt. 110, 314.2 c.p.) col poliziotto (e col superiore in grado che lo avesse permesso o non lo avesse impedito), che, sebbene affidatario esclusivo della “moto”, vi avesse condotto o accompagnato suo figlio.

E accusato (ovviamente) in concorso col “bambino” (così detto dal “ papà”): invero, un sedicenne dotato di “capacità penale” (se non esclusa in concreto) per art. 98 c. p. , e quindi anch’egli accusabile di peculato.

Subodorato quel rischio, si diceva, tanto prontamente da avere ordinato, o avere permesso, o non aver impedito, ai poliziotti astanti, di distogliere, seppur mediante violenza corporale e minaccia morale, un giornalista “ videomaker” presente alla trasgressiva scena, dal farne “ripresa”.

E subodorato il rischio così lucidamente da ammettere lì per lì (certo in un fugace cedimento) : “mi scuso, errore di papà” .

Ebbene costui, riavvicinato dal giornalista mentre esercita, su un arenile assordato da musica “dance”, il suo ufficio ubiquitario di ministro dell’Interno , e interpellato sull’accaduto, alla fine di una giaculatoria a risposta fissa è sbottato:

“vada a fotografare i bambini visto che le piace tanto”.

Un insulto fra i più alla moda e cocenti del lessico poliziesco: quello di “ pedofilo” voyeur. Nel senso di fruitore , se non di “produttore” (art 600 ter cp) di “pornografia minorile”, di colui che goda (se non attui “producendole”) riprese di atteggiamenti o simulazioni di minori di anni diciotto a ciò preparati.

Materia che il ministro ben conosceva.

Dato che il suo partito, con altri dell’auge legislativa berlusconiana in coalizione fra le più penofile della “seconda repubblica”, a preservazione dei minori da sessualità “diseducative” , ha previsto reati di “pornografia minorile” (in artt. 600 ter ss. c.p., sebbene già repressi, ma, si disse, clementemente e insufficientemente, dalla legge sull’Osceno in artt 527 ss. c.p.).

E lo ha fatto con tale ossessione della inibizione della sessualità del minori, non solo da punire (non essi ma) i realizzatori e produttori e distributori e diffusori e mercatori e detentori e contemplatori etc., delle relative immagini, del “materiale pornografico” (art. 600 ter cit.-). Ma da prescindere totalmente da essi, cioè da non preservarli nemmeno indirettamente (punendo quelli).

Poiché è giunto a colpire (in art. 600 quater c.p.) la “pornografia virtuale”. Per la quale non occorre che il minore disegni pornografie in carne ed ossa, basta che lo faccia nella fantasia esclusiva del disegnatore.

E facendolo in ossessione talmente accecante, da nemmeno avvertire, laicamente, di colpire il “peccato”, quell’evento tutto interiore trasgressivo di un divieto, quella entità (solo) moraleggiante che l’evoluzione storica del diritto penale ha inteso separare dal reato quale evento tutto esteriore.

E da colpirlo con reclusione fino a dodici anni. Pena pari a quella del reato di “violenza sessuale”, estrinseca e carnale. Pari a quella di taluni omicidii.
A sanzione di una sessualità puramente mentale, Da fondamentalismo penale .di tipo religioso.

Tutto ciò, peraltro, senza considerare l’indotto. Il rischio della proliferazione del voyeurismo pedofilo dalla legge indirizzata al suo annientamento!
Perché la predisposizione legislativa degli strumenti per la ricerca della prova dei reati di pornografia minorile, mediante ispezione e visione d’essi, e la pubblicazione intra ed extra processuale dei loro risultati, certo sono rimaste indifferenti al rischio della collettivizzazione del voyeurismo “pedofilo”.

SALVINI E LE LEGGI SULLA INTEGRITA’ DELLA PERSONA DELL’ACCUSATO

  1. Per art 13 Costituzione “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” ( disposizione programmatica generale, concernente ogni persona in potere di polizia giudiziaria, pubblico ministero, giudice: la persona in ogni stato e grado del processo a carico).
    D’altronde per art 608 cod pen “il pubblico ufficiale che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia anche temporanea” è punito con reclusione.
    D’altronde per art 610 cod pen, chi costringa “con violenza altri a…tollerare…” (anche una postura o un attrezzo, le manette, la benda agli occhi) è punito con reclusione.
    D’altronde per art 572 cod pen, chi “maltratta un persona …sottoposta alla sua autorità….o custodia…’ è punito con reclusione.
    D’altronde per art 605 cod pen, chi compia restrizione (aggiuntiva: ammanettando, bendando gli occhi) della libertà della persona non libera di evadere da uno spazio circoscritto ma libera entro esso, è punito con reclusione.
    D’altronde per art 613 bis cod pen, “tortura” chi agendo “con crudeltà…” infligga trauma psichico…” o chi comunque infligga “un trattamento degradante per la dignità” a “persona privata della libertà personale”. Ed è punito con reclusione. Va ricordato che il divieto di tortura e di trattamento degradante (o “inumano”) della persona fu prima (1948) affermato da art 5 Dichiarazione universale diritti umani. Poi (in Italia 1955) da art 3 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.2.  D’altronde per artt 2043-2059 cod civ è obbligato al risarcimento di ogni danno alla   persona ( o sue cose) chi lo abbia cagionato commettendo un fatto ingiusto.

    3.D’altronde per art 188 cod proc pen “non possono essere utilizzati neppure con il consenso della persona interessata metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare” (accecamento con bendatura, costrizione a sedere ammanettato dietro spalliera e schiena, inibizione a percepire il circostante l’incombente l’imminente, le intenzioni di chi abbia imposto la condizione, oltre che atterrire, sopprimono coscienza e autodeterminazione).
    D’altronde per art 64 cod proc pen, riaffermato (testualmente) il divieto in art 188 cit., è aggiunto che all’interrogatorio ( di PG, di PM, di Giud. ), pur se irrituale (o che facevano o tentavano di fare le Divise del noto fotogramma: esercizi di puro sadismo?) l’accusato si presenta “libero nella persona”.
    Vuole altrettanto l’art 474 cod proc pen, sullo condizione dall’accusato a dibattimento (interpretativamente: è “libero nella persona” chi non abbia addosso strumenti limitativi: manette, benda …).

    4.D’altronde per art 386 cod proc pen, la polizia giudiziaria che abbia taluno in stato di arresto o di fermo (oltre che dargli la più estesa informazione sui diritti difensivi), lo pone “a disposizione del pubblico ministero” (del luogo ove l’arresto o il fermo siano stati eseguiti) “mediante conduzione nella casa circondariale o mandamentale” (di quel luogo), salvo che il magistrato disponga che egli sia custodito altrove (a domicilio ….). Dunque l’americano non era detenibile nella caserma, comunque non lo era nella condizione di cui al fotogramma spettacolarizzato dal suo detentore (che avrebbe potuto lecitamente scattare una sola foto, quella segnaletica…).

    5. Ora Salvini che lo riproduce nei suoi media rispettacolarizzando la mortificazione dell’americano in palese ritorsione (per ora iconica) del suo malfatto (il presunto concorso nell’accoltellamento del carabiniere).
    Che quindi mima il comportamento delle Divise e lo accredita culturalmente.
    Mentre, ministro dell’ordine e della sicurezza pubblici, ignora che questi interessi (oggetto funzione e scopo del suo ministero) si nutrono, concettualmente e operativamente, (anche) della mole di materia normativa sopra esposta.
    E quindi ignora che ogni discostamento dai precetti d’essa (espliciti ed impliciti) è illecito, illecito penalmente (oltre che civilmente).
    E quindi ignora di stare da nomoclasta (devastatore di norme) nell’’ordinamento giuridico e nelle istituzioni relative.

    Ebbene costui, riproponendo la sfida di maggiore successo mediatico – “è peggio essere ucciso o essere bendato”? -, (più radicalmente) ignora che, posti a confronto i due fatti, postili in competizione sul (dis)valore, li omologa culturalmente.
    E con ciò ne sopprime l’eterologia, l’alterità, la discontinuità.
    Giacchè il primo è individuale e privato, il secondo è collettivo e pubblico, giudiziario.
    E in quanto tali rinviano a sistemi di produzione differenti: l’uno naturalmente sociale, l’altro artificialmente statale, giuridico.
    E a sistemi di funzione differenti: l’altro per processare giudiziariamente l’uno, non per imitarlo (se non voglia disidentificarsi anche storicamente).

    Eppure Salvini si è posto alla guida “populistica” della imitazione dell’uno dall’altro.

 

 

Ma l’udienza della Consulta 09 01 2019 per il ricorso dei parlamentari PD non era programmata solo per verificarne l’ammissibilità, salva altra udienza per l’eventuale decisione “nel merito”?

Secondo gli annunci, si, assolutamente.
Vd ad esempio: Il Messaggero .it : La Corte Costituzionale sarà chiamata martedì prossimo a decidere sulla ammissibilità del ricorso presentato dal Partito Democratico, che ha sollevato conflitto sulla legge di bilancio in quanto sarebbe stato compresso l’esame del Parlamento sulla manovra. Il presidente Giorgio Lattanzi ha convocato l’udienza pubblica dei giudici costituzionali per l’8 gennaio al palazzo della Consulta e per il giorno successivo la camera di consiglio.
askanews (più precisamente): – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.
Dire, Agenzia di stampa nazionale: ROMA – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.

E d’altronde, in un comunicato ufficiale dopo la decisione:

La Corte costituzionale si è pronunciata “sull’ammissibilità del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sollevato da 37 senatori e avente ad oggetto le modalità con cui il Senato della Repubblica ha approvato il Disegno di legge di bilancio 2019“. Il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione“. La Corte ha “anzitutto ritenuto che i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro“.
Ed allora perché (prosegue il comunicato):
Il ricorso è stato però dichiarato inammissibile”?

Il caso (per quanto risulti).

1. Il ricorso è stato presentato da 37 senatori, (è stato evidenziato nei commenti) dal decimo dei componenti cui la Costituzione attribuisce il potere di presentare una mozione di sfiducia (art. 94.5) e di chiedere che un disegno di legge sia approvato in Assemblea (art. 72.3). Presentato dal loro insieme come minoranza, minoranza d’opposizione; inoltre (è stato ancora evidenziato) come gruppo parlamentare, al quale la Costituzione fa espresso riferimento quando impone che le commissioni permanenti (art. 72) e di inchiesta (art. 82) siano composte in proporzione ai gruppi presenti in Aula. Presentato infine (è stato evidenziato) dai senatori come singoli parlamentari, a ciascuno dei quali l’art. 67 Cost. attribuisce la rappresentanza nazionale nell’esercizio del loro mandato.
2. Per quanto si sappia, alla Corte non era sinora andato il ricorso di un gruppo o una quota di parlamentari. E quando le fu presentato ricorso dal singolo parlamentare a difesa delle sue attribuzioni costituzionali, ne aveva dichiarato la inammissibilità.
2.1 Dunque l’insieme dei senatori PD ha sfidato il convincimento (e la prassi) che solo l’Assemblea, in persona del suo Presidente, potesse sollevare conflitto a tutela delle sue attribuzioni. Anche perché ciò metteva nelle mani della maggioranza la tutela delle minoranze, pur quando funzioni e prerogative di queste fossero lese da trasgressioni o elusioni, da quella, di regole del procedimento legislativo ( in Costituzione).
2.1.1 Esattamente quanto accaduto in specie, quando ai parlamentari della Commissione Bilancio e dell’Aula – come singoli, come minoranza e come gruppo parlamentare – è stata tolta la possibilità di deliberare sul Bilancio nel modi di cui all’art. 72 Cost. – secondo cui anche le norme interne devono assicurare che ogni disegno di legge sia esaminato da una Commissione e poi dall’Aula così da essere approvato articolo per articolo e con votazione finale. Nel rispetto del principio di “riserva di assemblea” (art.72.4).
Pertanto
2.2 La Corte, sollecitata alla decisione sul conflitto di attribuzioni (è stato ben precisato) coinvolgente due profili:
uno soggettivo, la titolarità del potere di sollevare conflitto di attribuzioni nel singolo parlamentare e nei soggetti collettivi (minoranze o gruppi);
uno oggettivo, il rispetto delle funzioni e delle prerogative (delle attribuzioni) che la Costituzione ad essi conferisce, a garanzia della effettiva dialettica (non tra Governo e Parlamento ma) tra maggioranza governativa e opposizione:
all’udienza indicata, come detto, avrebbe dovuto decidere il primo dei due profili.
2.3 Mentre li ha decisi entrambi, aggiungendo, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, il rilievo:
il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione”. Ma la contrazione dei lavori per l’approvazione del bilancio 2019 è stata “determinata da un insieme di fattori derivanti sia da specifiche esigenze di contesto sia da consolidate prassi parlamentari ultradecennali sia da nuove regole procedimentali. Tutti questi fattori hanno concorso a un’anomala accelerazione dei lavori del Senato, anche per rispettare le scadenze di fine anno imposte dalla Costituzione e dalle relative norme di attuazione, oltre che dai vincoli europei“. In queste circostanze “la Corte non riscontra nelle violazioni denunciate quel livello di manifesta gravità che, solo, potrebbe giustificare il suo intervento”.
Ma aggiunge “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Ebbene (se qualcosa non sfugge:)
3. La Corte ha deciso il primo e il secondo profilo in modo sorprendente, a dir poco (il secondo, in modo fors’anche proditorio, perché non era tema di udienza, ed è andato contro le attese dei ricorrenti).
Di fatti:
-se il ricorso era ammissibile, come la Corte scrive (dicendo legittimati, ad esso, i ricorrenti), come ha potuto dichiararlo inammissibile?
– se il ricorso era inammissibile, come ha potuto giudicarlo nel merito?
– se lo ha giudicato nel merito, che non ha condiviso, perché lo non ha rigettato (“rigetto”, è la formula terminativa del giudizio di merito negativo)?
3.1 Per tutto ciò, dietro gli or detti enigmi c’è stato errore e/o disegno e trucco?
4. Se la Corte ha sempre ritenuto ( è comunemente riferito) che per riconoscere un centro di funzioni e prerogative costituzionali occorra:
che esso sia menzionato dalla Costituzione; che gli competa una sfera di attribuzioni costituzionali; che ponga in essere atti in posizione di autonomia e indipendenza; che questi atti siano imputabili all’organo che esso integra.
Se ha costantemente ritenuto che nient’altro occorra per affermare conflitto (quando esso fosse o sembrasse essere) con altro potere:
perché, constatato, a stregua di ciò, che “i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale”, ha aggiunto, affinchè suonasse quale ulteriore condizione, “in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro”?
In quale parte dell’ordinamento giuridico e della logica processuale del conflitto la ha rinvenuta?
E comunque:
non le era chiara l’appartenenza d’essa al “merito” (inconfondibile col “rito”) del conflitto di attribuzioni? Nella specie, d’altronde, notoriamente catalogato (oltre numerose altre specie: conflitto “positivo, negativo, per interferenza” etc..) “per menomazione” (si ha quando un potere menomi o annienti funzioni e prerogative di un altro)?
Come è che un requisito di merito, del ricorso, ha potuto divenire requisito di ammissibilità?
Congetturando qualche risposta:
4.1 Forse affinchè, riconoscendo (per verosimile esigenza diplomatica) la “legittimazione” dei ricorrenti al ricorso e disconoscendo al contempo l’artificialmente connesso requisito di merito, sembrasse meno implausibile l’inammissibilità dell’ammesso e del rigettando…?
4.2 O forse per accorciare i tempi della promulgazione della legge? O anzi per favorirla? Di fatti, definendosi “non gravi” “non manifeste” le “violazioni” del (la dialettica del) procedimento legislativo, sarebbe stata dissimulata la promulgazione (art 74 Cost), dal presidente della repubblica, della legge manifestamente incostituzionale (invero non la prima, scandalosamente incostituzionale, tuttavia promulgata da Mattarella..)?
4.3 E quindi affinché, erette inammissibilità del ricorso e promulgazione della legge, non fosse “Casamicciola”, pe l’attività e gli attori del Governo, ed il potere governativo e parlamentare gialloverde non si dissolvesse?
4.4. D’altronde, disegno e trucco, dietro gli enigmi, li ha svelati al più presto la Corte stessa, allorché ha aggiunto, alla declaratoria, l’enunciato monitorio: “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Difatti, avrebbe, essa, potuto annunciare risoluzioni di conflitti di attribuzione (“per menomazione”, come detto) da “future simili modalità di decisione e approvazione” se non avesse ravvisato, nelle passate, il contrario di quanto ne ha detto, “violazioni gravi e manifeste” della dialettica legislativa?
4. 5 Dunque il merito era tutt’altro che infondato, e la Corte non avrebbe potuto negarlo, se non gli si fosse sottratta fuggendo per la via della inammissibilità.
D’altronde:
5 Una violazione palese del principio di “riserva di assemblea”. Una elusione palese delle regole del procedimento legislativo, così estesa, da pervenire alla falsificazione ideologica (art 479 cod pen) della deliberazione, perché formata senza che materialmente fosse possibile avere nemmeno conoscenza dei suoi termini (il ricorso ha denunciato che non fu permessa “l’acquisizione di un’adeguata conoscenza dei contenuti normativi, di formarsi un’opinione su di essi e di discuterli, anche al fine di proporre emendamenti o comunque di esprimere un voto consapevolmente favorevole o contrario ai sensi dell’articolo 72, primo comma, della Costituzione“). Una sopraffazione antiparlamentare della minoranza. Una esibizione impudente di “dittatura della maggioranza” (il ricorso ha denunciato “lesione della sfera di attribuzioni costituzionali spettanti ai singoli membri del Senato della Repubblica e ai gruppi parlamentari” e “alle minoranze parlamentari con riferimento alla loro partecipazione al procedimento legislativo“):
non avrebbero rappresentato, “violazioni….di manifesta gravita”, dice la Corte per “specifiche esigenze di contesto…consolidate prassi parlamentari ultradecennali” (quelle istituzionalizzanti dispotismo legislativo in senso tecnico?)!!
In altre parole, secondo Corte, “il contesto” del procedimento, non la sua essenza intrinseca, salverebbe l’ illecito legislativo inescusabile…

II° – EL codigo penal y constitucional Mariano

II

Ma tornando ai diputats, può notarsi che sia il delitto de rebelion che quello de sedicion (vd.tra poco), non paiono, modalmente e funzionalmente, attagliarsi ad essi ed alle loro deliberazioni.

Perché le disposizioni descrivono sollevazioni di popolo, violente e pubbliche, irriconducibili  alle formali manifestazioni della volontà politica delle istituzioni della Generalitat (pur se, in ipotesi, giuridicamente aberranti, illegittime). Sollevazioni deflagranti, davanti autorità governative chiamate a sedarle o dissolverle (con effetti sulla punibilità o sulla pena): Artículo 479: Luego que se manifieste la rebelión, la autoridad gubernativa intimará a los sublevados a que inmediatamente se disuelvan y retiren. Si los sublevados no depusieran su actitud inmediatamente después de la intimación, la autoridad hará uso de la fuerza de que disponga para disolverlos. No será necesaria la intimación desde el momento en que los rebeldes rompan el fuego. Artículo 480. 1. Quedará exento de pena el que, implicado en un delito de rebelión, lo revelare a tiempo de poder evitar sus consecuencias.2. A los meros ejecutores que depongan las armas antes de haber hecho uso de ellas, sometiéndose a las autoridades legítimas, se les aplicará la pena de prisión inferior en grado. La misma pena se impondrá si los rebeldes se disolvieran o sometieran a la autoridad legítima antes de la intimación o a consequencia de ella: quando si manifesti la ribellione l’autorità governativa intimerà ai sollevati che…. si ritirino……andrà esente da pena l’autore del delitto che…..i meri esecutori de che depongano le armi……

D’altronde, se fossero state sollevazioni, le manifestazioni e le deliberazioni dei referendari indipendentisti, l’ordine di arresto del Juez Lamela avrebbe dovuto estendersi a tutti los sublevados (vd tra poco), alle centinaia di migliaia di persone che (oltre due milioni) parteciparono all’excursus referendario (articulo 473.1  Los que, induciendo a los rebeldes, hayan promovido o sostengan la rebelión, y los jefes principales de ésta, serán castigados con la pena de prisión de quince a veinticinco años e inhabilitación absoluta por el mismo tiempo; los que ejerzan un mando subalterno, con la de prisión de diez a quince años e inhabilitación absoluta de diez a quince años, y los meros participantes, con la de prisión de cinco a diez años e inhabilitación especial para empleo o cargo público por tiempo de seis a diez años. Cioè, punibili i promotori o gli organizzatori o i capi, della ribellione, lo sono anche “ i meri partecipanti”. E se ciò fosse stato ignorato, da  La Fiscalia e dal suo suo juez (il connubio fra essi e le loro funzioni non avviene solo in Italia, benchè in Spagna sia più sobrio), denuncerebbe vieppiù, negli arrestati, presos politicos.

Difatti.

Per i Delitos contra la Constitución (TÍT.  XXI,  CAP.  I Liber II), Rebelion articulo 472:  Son reos del delito de rebelión los que se alzaren violenta y públicamente para cualquiera de los fines siguiente: commettono il delitto di ribellione coloro che si sollevino  violentemente e pubblicamente, perseguendo qualcuno dei seguenti fini…: il  fine attribuito alla rebelion dall’ordine di arresto è di: 5.º Declarar la independencia de una parte del territorio nacional

Quindi, senza la sollevazione manca il delitto. Il quale manca anche se, essa, non abbia perseguito alcuni fini.

Ma quando quel fine avessero perseguito i membri del governo e del parlamento della Generalitat, da un lato, non lo avrebbero fatto sollevandosi al modo detto (va ricordato, peraltro, che Puigdemont ha ripetutamente insistito sulla “non violenza” della  azione  della  Generalitat); da altro lato lo fecero, dicevasi, nella esplicazione di funzioni istituzionali (pur in ipotesi illegittima).

D’altronde, se lo svolgimento di funzioni istituzionali non staccasse la “rebelion” dalla sua previsione legale, poiché tra los fines seguente d’essa appare 6.º Sustituir por otro el a …..el Consejo de Gobierno de una Comunidad Autónoma, o usar o ejercer por sí o despojar al ….Consejo de Gobierno de una Comunidad Autónoma, o a cualquiera de sus miembros de sus facultades, o impedirles o coartarles su libre ejercicio, u obligar a cualquiera de ellos a ejecutar actos contrarios a su voluntad (cioè il fine di subentrare  ….al Consiglio di Governo di una  Comunità Autonoma; o di  usarlo o esercitarlo per sé, o di  spogliare il Consiglio o alcuno dei suoi membri, delle sue facoltà, o impedire o coartare il loro libero esercizio od obbligare qualcuno d’essi ad eseguire atti contrari alla sua volontà):

sarebbe manifesta la corrispondenza ad esso della devastante manovra di intrusione di sostituzione di destituzione di coercizione di spoliazione delle funzioni  del Consiglio e dei  membri della Generalitat, attuata da Rajoy “al volante”  dell’art 155 della Constitucion.

E  manifesta la corrispondenza al fine di 4.º Disolver…. cualquier Asamblea Legislativa de una Comunidad Autónoma, impedir que se reúnan, deliberen o resuelvan, arrancarles alguna resolución o sustraerles alguna de sus atribuciones o competencias (fine di disciogliere l’Assemblea,….o di impedire che si riunisca, che i suoi membri deliberino o adottino risoluzioni o annullino risoluzioni o sottraggano attribuzioni o competenze), della devastante manovra attuata da Rajoy al comando de La Guardia Civil, con le irruzioni nelle sedi e nelle funzioni della Generalitat (e con l’arresto, a seguito delle manifestazioni di protesta di centinaia di migliaia di persone nei giorni 20, 21 di  settembre, di quattordici funzionari delle Generalitat, subito seguito da quello di Jordi Cuixart e di Jordi Sanchez  per delito de sedicion: vd dopo).

E manifesta la corrispondenza, di  quest’ultimo comando e dei suoi esecutori, al delito in  artículo 498: Los que emplearen fuerza, violencia, intimidación o amenaza grave para impedir a un miembro ….de una Asamblea Legislativa de Comunidad Autónoma asistir a sus reuniones, o, por los mismos medios, coartaren la libre manifestación de sus opiniones o la emisión de su voto: saranno puniti coloro che useranno forza violenza intimidazione minaccia per impedire a un membro dell’assemblea di partecipare alle sue riunioni , o con gli stessi mezzi, coartare la libera manifestazione delle loro opinioni o la espressione del voto.  E al delito in artículo 499:  La autoridad o funcionario público que quebrantare la inviolabilidad de …….una Asamblea Legislativa de Comunidad Autónoma, será castigado con las penas …..: la autorità o funzionario pubblico che infrangerà la inviolabilità della assemblea sara punito….

E se el juez Lamela, arrestando per delitti di rebelion (y sedicion)  avesse “steccato”,  come qui si ipotizza: “Los querellados jugaron un papel activo, impulsando el proceso soberanista minuciosamente diseñado y franqueando toda clase de barreras que pudieran desviarles de su última finalidad” ( :la dichiarazione di indipendenza). “La acción de los querellados fue meditada y perfectamente preparada y organizada, reiterando durante más de dos años el incumplimiento sistemático de las resoluciones del Tribunal Constitucional en pro de la independencia”. In  altre parole, el juez  accusa gli arrestati di avere elaborato  la strategia di un movimento secessionista, organizzata e con  divisione dei ruoli tra le autorità governative, parlamentari e le associazione indipendentiste (ANC e Ómnium) che permisero la celebrazione del referendum illegale dell’1 di ottobre e la dichiarazione d’indipendenza approvata nel Parlamento lo scorso 27 ottobre. Oltre che di avere inadempiuto alle risoluzioni del Tribunale Costituzionale a prò della indipendenza . Cioè li accusa, per tabulas, di nulla che sia, e nemmeno somigli a ribellino suesposta; allora:

è manifesta la corrispondenza della accusa al delitto in  Artículo 501. La autoridad judicial que inculpare o procesare a un miembro ……..de una Asamblea Legislativa de Comunidad Autónoma sin los requisitos establecidos por la legislación vigente, será castigada….: il giudice che avesse incolpato o processato un membro della Assemblea…. in mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge….sarà punito.

In proposito non pare inutile rilevare che, in questa parte del codigo penal, le istituzioni della  Generalitat ed il loro addetti sono rappresentati  “soggetti passivi” del reato, quelli che lo subiscono, non “soggetti attivi”, quelli che lo commettono. Posizioni non invertibili, giudiziariamente,  nel sottosistema. Benchè lo siano state.

Dunque “reato comune”, di popolo, la rebelion, non di istituzione. Ovviamente, di  istituzione che non se alzaren violenta y públicament., come fece la istituzione, militare,  sollevatasi, nel mese di febbraio del 1981, con il   “colonnello Tejero”, il quale, al comando del La Guardia Civil (guarda caso..), irruppe pistola in pugno nel Parlamento madrileno, sequestrò alcuni  membri, ne disperse altri (non tutti, fra questi Santiago Carrillo, che non ne fu  intimorito), poi fu arrestato, incriminato per rebelion e condannato a trent’anni di carcere.

D’altronde, è stato ritenuto delito de desobediencia al Tribunal Constituzional (Lib. II, Tit.l XIX Cap. III. art 410: Las autoridades o funcionarios públicos que se negaren abiertamente a dar el debido cumplimiento a resoluciones judiciales, decisiones u órdenes de la autoridad superior, dictadas dentro del ámbito de su respectiva competencia y revestidas de las formalidades legales, incurrirán en la pena de multa de tres a doce meses e inhabilitación especial para empleo o cargo público por Tiempo de seis meses a dos años.: le autorità o funzionari pubblici che non adempissero a ..decisioni od ordini legittimi di autorità superiori saranno puniti ….), a marzo scorso, nel processo ad Artur Mas (ex presidente della Generalitat, Joana Orteg, ex vicepresidente, Irene Rigau, ex assessore, condannati a due anni di interdizione dai pubblici uffici: la Fiscalia aveva chiesto dicci anni de prision), il fatto di avere promosso, con manifestazioni e mobilitazioni e deliberazioni non diverse da quelle della Generalitat presente, nel 2014, un referendum consultivo sulla indipendenza della Spagna.     ….segue

Quanto al delito de Sedición (Delito contra el orden publico, Lib. II Tit. XXII, Cap.   I, art 544): Son reos de sedición los que, sin estar comprendidos en el delito de rebelión, se alcen pública y tumultuariamente para   impedir, por la fuerza o fuera de las vías legales, la aplicación de las Leyes o a cualquier autoridad, corporación oficial o funcionario público, el legítimo ejercicio de sus funciones o el cumplimiento de sus acuerdos, o de las resoluciones administrativas o judiciale: sono rei di sedizione coloro che, non avendo commesso delitto di ribellione, si sollevino pubblicamente e tumultuosamente per impedire, con la forza o fuori della vie legali la applicazione delle leggi a qualche autorità..il legittimo esercizio delle loro funzioni, o l’adempimento degli accordi e delle risoluzioni amministrative o giudiziali.

I caratteri della sollevazione, dalla tumultuosità all’impiego della forza, ben disegnano il delitto, e ad  essa paiono adeguati i rilievi svolti in tema di rebelion. Compreso quello che la sollevazione deflagri, ex art 479 cit., dinanzi l’autorità governativa chiamata a sedarla o dissolverla (con effetti sulla punibilità e sulla pena), giacchè, per Artículo 549: .Lo dispuesto en los artículos 479 a 484 es también aplicable al delito de sedición). Mentre i fini , della sollevazione, si   indirizzano alla opposizione a comandi della legge o di altra autorità nel legittimo esercizio delle sue funzioni, o all’adempimento di accordi o di risoluzioni giudiziali.

P.Diaz