Archivio mensile:Settembre 2019

IN ATTESA DELLA IMMINENTE SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE “SUL FINE VITA”

Così annunciata tematicamente dai media nazionali, e dalle loro fonti (politiche parlamentari governative, opinionali): “sentenza sul fine vita” :

lo è stata palesemente “fuori tema”.

Perché:

1.La sentenza concernerà il reato di aiuto al suicidio, uno dei reati, con la istigazione e la determinazione (al suicidio), in art 580 cp,

Aiuto che, inerendo il suicidio, cioè il fatto di chi si dia la morte (da sé), nulla ha che vedere col fatto di chi, moribondo o (certamente) morituro, da altri riceva la morte:

o per arresto della somministrazione dei mezzi (chimici, meccanici…) del suo differimento;

o per somministrazione di mezzi della sua anticipazione (entrambi i casi sono concepibili come “eutanasia”: non ritardare o dare “dolce morte” al moribondo o morituro).
1.1 Nulla ha che vedere, dicevasi, col suicidio, che può concernere, certo, il moribondo o il morituro, ma anche il vivente nolente vivere; o perfino bellicosamente volente uccidere (il kamikaze, l’omicida-suicida dei “femminicidii”, etc).
E ciò per un fatto essenziale, ripetesi, perchè nessuno a costui dà la morte (per omissione o per azione); egli se la da’.

Attua egli, causalmente, il passaggio dalla vita alla morte.

Egli, sufficientemente dal lato materiale, pur se vi fosse istigato, o determinato, o aiutato.

Pur se fosse scortato, cioè, dalle condotte (tutte dolose: volontarie e finalizzate) punite dall’art 580. Le quali quindi sarebbero certamente concausali, ma insufficienti a dare morte.
1.2 Ed è, dicevasi, la condotta di aiuto al suicidio, non altra o altro, a giudizio della Corte Costituzionale. Un fatto che nemmeno essa può cambiare o modificare, sulla quale quindi soltanto potrà e dovrà decidere. Perché esso è il tema propostogli dalla Corte di Assise di Milano, tema quindi vincolato e vincolante, anche per il principio, sulla decisione giudiziaria, della immancabile correlazione “fra chiesto e pronunciato”).
2.D’altronde quel tema è del tutto coerente al caso che lo ha suscitato.

Il caso di (tale) “DGFabo” il quale, a causa di un sinistro stradale gravemente infermo e irreversibilmente e insopportabilmente sofferente, deciso a porre fine al suo stato, consulta i Radicali Marco Cappato, Lina Welby e altri. .

Questi (del giro politico del “suicidio ed eutanasia liberi!”)” prospettano la pratica della “sedazione profonda”, consistente della sospensione dei supplementi respiratori e alimentatori e della attesa della morte dolce ( gli prospettano eutanasia, dove la propria morte, voluta , è da altri indotta: come cennavasi) .

Egli tuttavia opta per il suicidio (dove la propria morte, voluta, è da sé indotta: come cennavasi), con modalità (anch’essa) dolce, eu, da eseguirsi in un Centro svizzero opportunamente attrezzato.

Intercorsi contatti e intese fra questo ed i familiari del “DJ”, Cappato ve lo conduce in automobile.

Ivi condotto, accuratamente accertata, dagli esperti del Centro, in lui, la persistenza della volontà del suicidio, gli è consegnato un farmaco letale, perché, da sè esclusivamente, eventualmente, lo assuma. Ed egli lo assume,
2.1 Cappato, che aveva pubblicamente vantato di agire per “disobbedienza civile”, (con L. Welby) è accusato di “rafforzamento dell’altrui proposito di suicidio” e di “aiuto al suicidio”.

Prosciolto dalla prima accusa, è rinviato a giudizio sulla seconda, davanti la Corte di Assise di Milano. Per rispondere, appunto, del reato di cui all’art 580 del codice penale.
3. Che cosa avrebbe potuto (e giuridicamente dovuto) fare la Corte?

Se avesse voluto (in tesi) tutelare fan delle libertà (fra cui quella) di suicidio ( i suddetti Cappato e Welby), con adeguata perizia distinguendo:

fra aiuto che non arriva, alla fase della esecuzione del suicidio ( Cappato, ha condotto “DJFabo” al Centro svizzero, non vi è entrato, non è andato oltre..);

e aiuto che vi arriva (quello di chi ha consegnato a “DJFabo” il farmaco letale per la assunzione):

la Corte avrebbe potuto escludere che l’”aiuto” di Cappato fosse causa del suicidio. E quindi che fosse punibile.

Di fatti, per una teoria causale bastantemente meditata, se è causa (immediata) della morte l’assunzione del farmaco letale (e ovviamente questo), è causa (mediata) anche la consegna d’esso.

E qui si colloca l’aiuto al suicidio,

Che non risalirebbe quindi all’antecedente della conduzione al Centro del “DJ” (o ad altro prima). Il quale per ciò sarebbe “condizione”, non causa, del suicidio.

E ciò alla stregua di una lettura plausibile degli artt 40,41 del codice penale.
3.1 D’altronde, se così non fosse, ogni condizione, delle innumerevoli precedenti (o accompagnanti) ogni causa, sarebbe causa, con indebita sottrazione di questa al principio di continenza tipologica (cioè già in astratto e a priori) dell’evento (la consegna del farmaco letale è parte della sua assunzione e della morte conseguente).

Laddove l’accompagnamento al Centro non contiene (ancorra tipologicamente) la consegna del farmaco e tanto meno il seguito.

Ebbene con ciò, dicevasi, la Corte di Assise avrebbe chiuso giuridicamente il caso, prosciogliendo Cappato “perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato”.

Invece no.

Invece essa si è inoltrata e persa nei meandri eticogiuridici del “fine vita”, schizzandone il ricavo tematico sugli interessati ad esso, più o meno incapaci di discernere il tema effettivo.

Difatti, sebbene:
4. L’art 580 cit. punisca ”istigazione e aiuto al suicidio” (cosi la rubrica della disposizione, che non espone l’intero suo contenuto), ma non punisca il suicidio (pur potendo farlo: tempo addietro, la punizione del corpo del suicida, mediante sfregio o simile, era sancita).

Per ciò, se il suicidio non è vietato (penalmente e civilmente e negli altri rami del diritto nazionale), esso è libero.

E’ cioè nel potere di fatto, di chi lo volesse.

E ciò è altro che essere nel suo diritto, altro dall’essere un suo diritto, come la elementare teoria del diritto da tempo insegna.

Per di più, se lo fosse, le posizioni degli altri rispetto ad esso non sarebbero libere (simmetricamente a quel potere di fatto) ma vincolate.

Se lo fosse, gli altri sarebbero obbligati a rispettarlo, nessuno potrebbe, né dovrebbe (art 40.2 cp), impedirne l’esercizio.

E ove ciò fosse, (forse anche ) l’istigatore al suicidio, (certo) il rafforzatore del relativo proposito, e comunque l’agevolatore o ausiliatore del suicidio, cooperando all’esercizio di un diritto, sarebbero punibili tanto quanto il suo titolare (come si è visto non punito)!

Per cui, la presupposizione, alla eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Corte (vd dopo) , del “diritto al suicidio”, condurrebbe logicamente alla illegittimità costituzionale dell’intero art 580 cit….!

Certo contro la volontà dell’eccepiente.

Tuttavia la Corte:
4.1 Ritenuta (sostanzialmente) la configurabilità del “diritto al suicidio”, a conclusione di un lungo discorso (qui sintetizzato al massimo) dalle implicazioni logiche non sempre controllate, nel quale:

– la inviolabilità della libertà personale posta in art. 13 Costituzione darebbe anche libertà di suicidio (cioè darebbe libertà di violare l’inviolabile, sia pure dal suo titolare?!);

– il “diritto alla vita” (art.2) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, darebbe anche diritto di ucciderla (cioè darebbe “diritto di morte”, sia pure per il suo titolare?!);

– il “diritto a morire” rifiutando i trattamenti sanitari (recentemente introdotto da L. n. 219/2017) sarebbe “diritto al suicidio” (laddove, regolando la morte da altri indotta, l’eutanasia, nulla ha che vedere con la morte da sé indotta, il suicidio!).

Ritenuto quindi, si diceva, il “diritto al suicidio” quale parte del “diritto vivente” (adduce la Corte, anche in forza della inversione storica della base culturale della disposizione “fascista” che apertamente lo disconosceva) .

Ritenuto inoltre che, vietato a chiunque di “istigare” al suicidio o di “rafforzarne il proposito”, ne è vietato l’”aiuto” che fosse anche istigazione o rafforzamento, ma non quello che non lo fosse!

In altre parole, la Corte ha reso l’aiuto istigazione (o rafforzamento), malgrado, essi, nell’art. 580 cit., siano alternativi.

Siano posti cioè a dilatare l’area del divieto, non a contrarla (laddove la Corte la contrae fino ad espellerne ogni forma di aiuto che non fosse istigazione o rafforzamento….).

Ritenuto infine che, la contrazione della nozione di aiuto, non sia conseguibile in via di interpretazione dell’art 580 cit. (ma sub 3 si è mostrata la possibilità del contrario) ed esiga l’intervento della Corte Costituzionale (che la permei di “diritto al suicidio”, “diritto alla vita”, “diritto a morire” e via dicendo…”(la Corte, peraltro, nemmeno avverte che il “diritto” di cui farcisce il discorso ha incidenza puramente oratoria, non sulla realtà del suicidio, la quale, per quanto sub 4 visto, è interamente composta di stati fattuali di libertà, non giuridici di “diritto”). La Corte, d’altronde, non distingue minimamente tra volenti suicidio necessitato, quello di “DJ Fabo” – che potrebbero ricevere eutanasia per legge 219 cit.- e volenti suicidio “discrezionale” – che egoisticamente potrebbero disperdere un bene sociale, contro il dovere di solidarietà sociale in art 2 Cost.-..

Ebbene, tutto ciò premesso:

4.2 essa ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, indebitamente spogliandosene, perché avrebbe potuto e dovuto risolverla interpretando la legge penale, senza neppure sfiorare quella costituzionale (la Corte ha aggiunto anche un altro profilo di incostituzionalità, la parità delle pene della istigazione e dell’aiuto, senza avvedersi della inconciliabilità dei due profili, giacchè il primo punta ad escludere, il secondo ad includere, l’aiuto “non istigatorio né rafforzativo”!).
5. A questo punto, non resta che attendere la decisione del giudice delle leggi.

 

 

 

Peripezie di Cassazione tributaria

Per la Cassazione tributaria: la motivazione dell’Accertamento può risiedere (esclusivamente) nei documenti allegati al verbale di Constatazione.
E perfino in quelli non allegati ma posseduti dal contribuente.
Il quale quindi dovrebbe autoconstatare automotivare autoaccertare….

Inoltre, sempre per la medesima, se la testimonianza fosse inammissibile per il giudice tributario e da lui  inutilizzabile, raccoltone  da altri il contenuto, sarebbe da lui valutabile…

Dissoluzione del processo, dei suoi soggetti le rispettive posizioni funzionali le relative interazioni.
E di fondamentali divieti probatori (regole di esclusione della prova) del processo 

Di seguito (virgolettata)  la altrui presentazione della decisione con  suo commento. I passi rilevanti della decisione avranno carattere corsivo.
I commenti di questo scrivente ( segnalati come tali) avranno carattere  grassetto.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/motivazione-relationem-e-legittima-economia-scrittura

“ La motivazione per relationem è “legittima” economia di scrittura

11 Settembre 2019

L’obbligo di allegazione da parte dell’Amministrazione finanziaria non vale per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione

L’avviso di accertamento che rinvia alle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza è legittimo ogniqualvolta la motivazione è  idonea a individuare la causa giustificativa della pretesa tributaria e a garantire l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente. In questi termini la motivazione per relationem realizza solo una legittima “economia di scrittura” che non arreca alcun danno perché tratta di elementi già noti al contribuente.

Sono questi i principi contenuti nella sentenza della Corte di cassazione n. 20943 depositata il 6 agosto 2019.

I fatti

La vicenda processuale vede coinvolta una società a cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento ai fini imposte dirette e Iva.

L’atto impositivo recava le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dai militari della Guardia di finanza in cui si dava atto di una precedente verifica effettuate nei confronti di un’altra società.

Nel corso di tale attività i militari avevano acquisito due agende in cui erano annotati dati riferibili alla società accertata e avevano verbalizzato le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante legale e dalla consorte, la quale aveva fornito indicazioni utili a ricondurre i movimenti annotati ad operazioni imponibili della società, riportate come “differenze in nero”, di cui i verificatori non avevano trovano riscontro in contabilità.

Dapprima la Ctp e poi la Ctr hanno respinto il ricorso della società e tale ultima pronuncia è stata impugnata di fronte alla Corte di cassazione.

Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha lamentato violazione dell’articolo 7 della legge 212/2000 e dell’articolo 42 del Dpr 600/1973, perché la Ctr ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante l’ufficio non avesse allegato agli atti del processo la copia della documentazione extra-contabile rinvenuta in verifica presso la società terza e delle dichiarazioni attestanti le operazioni non dichiarate. A parere della ricorrente siffatta omissione non avrebbe consentito all’organo giudicante di avere tutte le informazioni necessarie per valutare il contenuto di tali documenti.

Con ulteriore motivo di gravame la società ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, comma 4 del Dlgs. 546/1992 per essersi pronunciati i giudici di merito in difformità del divieto di prova testimoniale nel processo tributario.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondati i motivi di doglianza proposti dalla società e, rigettando il ricorso, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, condannando la contribuente a rifondere all’Agenzia delle entrate anche le spese processuali.

La motivazione per relationem

Due i temi posti all’attenzione dei giudici di piazza Cavour: il primo attiene alla legittimità dell’atto impositivo che rinvia alle risultanze del verbale redatto dalla Guardia di finanza, senza allegazione della documentazione probatoria, e il secondo alla corretta interpretazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario.

In merito alla prima questione si rammenta che l’articolo 7 della legge 212/2000 – sulla chiarezza e motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria-prevede che “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”, mentre l’articolo 42 del Dpr 600/1973 – in tema di avviso di accertamento – puntualmente sancisce che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

La giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni è ricca di pronunce concordi nel ritenere che la motivazione per relationem di un atto amministrativo tributario, con rinvio alle risultanze contenute in un verbale redatto da militari verificatori, è pienamente legittima e non implica ex se l’assenza di una autonoma valutazione da parte dell’ufficio finanziario degli elementi assunti dai verificatori.

La metodologia implica semplicemente che l’organo accertatore, nel condividere la posizione dei verificatori, “ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (cfr. Cassazione, 32957/2018; 20416/2018; 30560/2017 e 29002/2017).

In aggiunta il Collegio di legittimità ha già chiarito che l’articolo 7, comma 1 della legge n. 212/2000, nel prevedere l’obbligo di allegazione da parte dell’Amministrazione finanziaria di ogni documento richiamato nella motivazione dell’atto impositivo, “non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione.” (cfr. Cassazione, 407/2015).

Alla luce di tale univoco orientamento, quindi, il contribuente non può invocare il difetto di motivazione dell’atto impositivo che lo riguarda per mancata allegazione dei documenti e degli atti probatori richiamati ogniqualvolta la motivazione appaia idonea a individuare la causa giustificativa della pretesa tributaria in relazione al contenuto dell’atto richiamato.

Al contempo la stessa deve consentire al contribuente di spiegare adeguatamente le proprie difese e al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento.

Nel caso di specie l’avviso di accertamento, seppur privo dei documenti extra-contabili rinvenuti nel corso della verifica fiscale, riportava in maniera chiara e analitica tutte le omesse fatturazioni riferibili alle cessioni immobiliari. Allo stesso tempo il processo verbale di constatazione, atto ben noto al contribuente, recava in modo fedele gli appunti trascritti nelle agende, con esaustiva annotazione di tutte le giustificazioni fornite verbalmente dalla persona che aveva provveduto a redigerle. Una motivazione così congegnata è stata dichiarata sufficiente a individuare la causa della pretesa tributaria e a garantire il corretto esercizio del diritto di difesa del contribuente”

Commento di questo scrivente 

I precedenti rilievi falliscono le questioni che espongono,  peraltro differenti e che tuttavia essi  confondono.

1. La questione della mancata allegazione,  ad un atto constatativo,  di contenuti di documenti (inespressi dall’atto ma) da esso richiamati.
E della mancata allegazione, ad esso, di contenuti di  documenti nemmeno richiamati (perché precedentemente indirizzati al processato e quindi  da lui conosciuti).

Che è questione di informazione,  al  destinatario dell’atto, degli  elementi fattuali e normativi della Constatazione.
Che quindi postula la allegazione,  con l’indicazione specifica dei suoi contenuti al proprio fine rilevanti.
Che quindi è inomissibile, giacchè, altrimenti, sarebbe introdotto nel processo, invece dell’atto di constatazione, tipico non solo formalmente ma anche funzionalmente ( e soggettivamente, perchè eteroconstatazione rispetto al destinatario dell’atto), quello di autoconstatazione (introduzione,  peraltro, ulteriormente umiliativa del processato):
cerchi il processato, anche fra sue proprie carte che antecedentemente gli fossero state dal processante indirizzate, quegli elementi.
Ne individui e colga egli la rilevanza.
E  li constati.

Ciò per cui, in luogo del processo inquisitorio,  basato sulla alterità tra inquisitore e inquisito, si avrebbe un processo esquisitorio, dove l’inquisito si inquisisca ed eventualmente si esquisisca.

Un sembiante d’esso potrebbe non essere stato ignoto al  medioevo.

2.La questione della motivazione, dell’atto di Accertamento.
Motivazione che, secondo Cassazione omissibile per “economia di scrittura”, sarebbe assegnabile ai contenuti dell’atto constatativo.
Che a sua volta potrebbe non essere allegativo dei documenti non propri ma da esso richiamati.
E potrebbe non essere allegativo e neppure richiamativo di documenti precedentemente indirizzati al processato a lui noti.
Che  quindi potrebbe non essere informativo degli elementi fattuali e normativi della constatazione.
Che quindi potrebbe farsi sostituire da (un atto di ) autoconstatazione di essi.
Che quindi introdurrebbe   la automotivazione dell’Accertamento.
Che a sua volta introdurrebbe  l’autoaccertamento (anche autosanzionatorio).
In processo  che quindi esclude la (pur costitutiva)  alterità fra accertatore  e “accertato”.

E che avviato che fosse sulla base di una qualunque comunque documentata presupposizione fattuale o normativa, assoggetta talmente  il processato da imporgli d’essere (autoconstatatore e) autoaccertatore. 

 

Il divieto di prova testimoniale nel processo tributario

Un altro tema affrontato nella pronuncia in commento riguarda il corretto inquadramento del divieto di ammissione nel processo tributario del giuramento e delle prove testimoniali, sancito dal quarto comma dell’articolo 7 del Dlgs. 546/1992. La norma era stata invocata dalla società ricorrente perché il giudice di merito si era pronunciato sulla base delle dichiarazioni rese in sede di verifica fiscale dal legale rappresentante.

Anche su tale argomento si è creato un orientamento di legittimità pressoché unanime secondo cui il divieto di prova testimoniale vale soltanto “per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio” (cfr. Cassazione 27314/2014 e 20032/2011).

Il che significa che la disposizione contenuta nel citato articolo 7 limita i poteri del solo giudice tributario e non pure i poteri degli organi verificatori, che sono liberi di raccogliere le dichiarazioni dei terzi e inserirle nel pvc. Tali dichiarazioni rivestono il valore di mere informazioni, utilizzabili quali elementi di prova e di convincimento da parte del giudice tributario, anche se non sono state assunte o verbalizzate in contraddittorio con il contribuente.”

Commento di questo scrivente

1.In altre parole, vietata  al giudice tributario, e quindi a qualunque organo del processo tributario, l’assunzione rituale della dichiarazione testimoniale, al giudice sarebbe permessa la valutazione della assunzione irrituale (anzi illecita)  della dichiarazione effettuata da ogni altro organo!!

 

Conclusione dei due commenti.

La teorie giuridiche della Cassazione appartengono in sé allo stadio del pensiero prelogico (e  preprocessuale) .

Tuttavia ben  logicamente al servizio del potere impositivo (e di qualunque potere assoggettativo del contribuente).