Ma l’udienza della Consulta 09 01 2019 per il ricorso dei parlamentari PD non era programmata solo per verificarne l’ammissibilità, salva altra udienza per l’eventuale decisione “nel merito”?

Secondo gli annunci, si, assolutamente.
Vd ad esempio: Il Messaggero .it : La Corte Costituzionale sarà chiamata martedì prossimo a decidere sulla ammissibilità del ricorso presentato dal Partito Democratico, che ha sollevato conflitto sulla legge di bilancio in quanto sarebbe stato compresso l’esame del Parlamento sulla manovra. Il presidente Giorgio Lattanzi ha convocato l’udienza pubblica dei giudici costituzionali per l’8 gennaio al palazzo della Consulta e per il giorno successivo la camera di consiglio.
askanews (più precisamente): – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.
Dire, Agenzia di stampa nazionale: ROMA – È stato depositato questa mattina, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il ricorso del capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e di altri 36 senatori del Pd con il quale viene sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con riferimento all’iter di approvazione del Disegno di legge di bilancio per il 2019. Nel pomeriggio, il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi ha disposto, con decreto, che l’ammissibilità del conflitto sia trattata nella camera di consiglio del 9 gennaio 2019 e ha nominato come relatrice della causa la vicepresidente della Corte, professoressa Marta Cartabia.

E d’altronde, in un comunicato ufficiale dopo la decisione:

La Corte costituzionale si è pronunciata “sull’ammissibilità del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sollevato da 37 senatori e avente ad oggetto le modalità con cui il Senato della Repubblica ha approvato il Disegno di legge di bilancio 2019“. Il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione“. La Corte ha “anzitutto ritenuto che i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro“.
Ed allora perché (prosegue il comunicato):
Il ricorso è stato però dichiarato inammissibile”?

Il caso (per quanto risulti).

1. Il ricorso è stato presentato da 37 senatori, (è stato evidenziato nei commenti) dal decimo dei componenti cui la Costituzione attribuisce il potere di presentare una mozione di sfiducia (art. 94.5) e di chiedere che un disegno di legge sia approvato in Assemblea (art. 72.3). Presentato dal loro insieme come minoranza, minoranza d’opposizione; inoltre (è stato ancora evidenziato) come gruppo parlamentare, al quale la Costituzione fa espresso riferimento quando impone che le commissioni permanenti (art. 72) e di inchiesta (art. 82) siano composte in proporzione ai gruppi presenti in Aula. Presentato infine (è stato evidenziato) dai senatori come singoli parlamentari, a ciascuno dei quali l’art. 67 Cost. attribuisce la rappresentanza nazionale nell’esercizio del loro mandato.
2. Per quanto si sappia, alla Corte non era sinora andato il ricorso di un gruppo o una quota di parlamentari. E quando le fu presentato ricorso dal singolo parlamentare a difesa delle sue attribuzioni costituzionali, ne aveva dichiarato la inammissibilità.
2.1 Dunque l’insieme dei senatori PD ha sfidato il convincimento (e la prassi) che solo l’Assemblea, in persona del suo Presidente, potesse sollevare conflitto a tutela delle sue attribuzioni. Anche perché ciò metteva nelle mani della maggioranza la tutela delle minoranze, pur quando funzioni e prerogative di queste fossero lese da trasgressioni o elusioni, da quella, di regole del procedimento legislativo ( in Costituzione).
2.1.1 Esattamente quanto accaduto in specie, quando ai parlamentari della Commissione Bilancio e dell’Aula – come singoli, come minoranza e come gruppo parlamentare – è stata tolta la possibilità di deliberare sul Bilancio nel modi di cui all’art. 72 Cost. – secondo cui anche le norme interne devono assicurare che ogni disegno di legge sia esaminato da una Commissione e poi dall’Aula così da essere approvato articolo per articolo e con votazione finale. Nel rispetto del principio di “riserva di assemblea” (art.72.4).
Pertanto
2.2 La Corte, sollecitata alla decisione sul conflitto di attribuzioni (è stato ben precisato) coinvolgente due profili:
uno soggettivo, la titolarità del potere di sollevare conflitto di attribuzioni nel singolo parlamentare e nei soggetti collettivi (minoranze o gruppi);
uno oggettivo, il rispetto delle funzioni e delle prerogative (delle attribuzioni) che la Costituzione ad essi conferisce, a garanzia della effettiva dialettica (non tra Governo e Parlamento ma) tra maggioranza governativa e opposizione:
all’udienza indicata, come detto, avrebbe dovuto decidere il primo dei due profili.
2.3 Mentre li ha decisi entrambi, aggiungendo, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, il rilievo:
il ricorso denunciava la “grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l’esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione”. Ma la contrazione dei lavori per l’approvazione del bilancio 2019 è stata “determinata da un insieme di fattori derivanti sia da specifiche esigenze di contesto sia da consolidate prassi parlamentari ultradecennali sia da nuove regole procedimentali. Tutti questi fattori hanno concorso a un’anomala accelerazione dei lavori del Senato, anche per rispettare le scadenze di fine anno imposte dalla Costituzione e dalle relative norme di attuazione, oltre che dai vincoli europei“. In queste circostanze “la Corte non riscontra nelle violazioni denunciate quel livello di manifesta gravità che, solo, potrebbe giustificare il suo intervento”.
Ma aggiunge “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Ebbene (se qualcosa non sfugge:)
3. La Corte ha deciso il primo e il secondo profilo in modo sorprendente, a dir poco (il secondo, in modo fors’anche proditorio, perché non era tema di udienza, ed è andato contro le attese dei ricorrenti).
Di fatti:
-se il ricorso era ammissibile, come la Corte scrive (dicendo legittimati, ad esso, i ricorrenti), come ha potuto dichiararlo inammissibile?
– se il ricorso era inammissibile, come ha potuto giudicarlo nel merito?
– se lo ha giudicato nel merito, che non ha condiviso, perché lo non ha rigettato (“rigetto”, è la formula terminativa del giudizio di merito negativo)?
3.1 Per tutto ciò, dietro gli or detti enigmi c’è stato errore e/o disegno e trucco?
4. Se la Corte ha sempre ritenuto ( è comunemente riferito) che per riconoscere un centro di funzioni e prerogative costituzionali occorra:
che esso sia menzionato dalla Costituzione; che gli competa una sfera di attribuzioni costituzionali; che ponga in essere atti in posizione di autonomia e indipendenza; che questi atti siano imputabili all’organo che esso integra.
Se ha costantemente ritenuto che nient’altro occorra per affermare conflitto (quando esso fosse o sembrasse essere) con altro potere:
perché, constatato, a stregua di ciò, che “i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale”, ha aggiunto, affinchè suonasse quale ulteriore condizione, “in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro”?
In quale parte dell’ordinamento giuridico e della logica processuale del conflitto la ha rinvenuta?
E comunque:
non le era chiara l’appartenenza d’essa al “merito” (inconfondibile col “rito”) del conflitto di attribuzioni? Nella specie, d’altronde, notoriamente catalogato (oltre numerose altre specie: conflitto “positivo, negativo, per interferenza” etc..) “per menomazione” (si ha quando un potere menomi o annienti funzioni e prerogative di un altro)?
Come è che un requisito di merito, del ricorso, ha potuto divenire requisito di ammissibilità?
Congetturando qualche risposta:
4.1 Forse affinchè, riconoscendo (per verosimile esigenza diplomatica) la “legittimazione” dei ricorrenti al ricorso e disconoscendo al contempo l’artificialmente connesso requisito di merito, sembrasse meno implausibile l’inammissibilità dell’ammesso e del rigettando…?
4.2 O forse per accorciare i tempi della promulgazione della legge? O anzi per favorirla? Di fatti, definendosi “non gravi” “non manifeste” le “violazioni” del (la dialettica del) procedimento legislativo, sarebbe stata dissimulata la promulgazione (art 74 Cost), dal presidente della repubblica, della legge manifestamente incostituzionale (invero non la prima, scandalosamente incostituzionale, tuttavia promulgata da Mattarella..)?
4.3 E quindi affinché, erette inammissibilità del ricorso e promulgazione della legge, non fosse “Casamicciola”, pe l’attività e gli attori del Governo, ed il potere governativo e parlamentare gialloverde non si dissolvesse?
4.4. D’altronde, disegno e trucco, dietro gli enigmi, li ha svelati al più presto la Corte stessa, allorché ha aggiunto, alla declaratoria, l’enunciato monitorio: “Resta fermo che per le leggi future simili modalità di decisione e approvazione che comportino forti e gravi compressioni dei tempi di discussione dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.
Difatti, avrebbe, essa, potuto annunciare risoluzioni di conflitti di attribuzione (“per menomazione”, come detto) da “future simili modalità di decisione e approvazione” se non avesse ravvisato, nelle passate, il contrario di quanto ne ha detto, “violazioni gravi e manifeste” della dialettica legislativa?
4. 5 Dunque il merito era tutt’altro che infondato, e la Corte non avrebbe potuto negarlo, se non gli si fosse sottratta fuggendo per la via della inammissibilità.
D’altronde:
5 Una violazione palese del principio di “riserva di assemblea”. Una elusione palese delle regole del procedimento legislativo, così estesa, da pervenire alla falsificazione ideologica (art 479 cod pen) della deliberazione, perché formata senza che materialmente fosse possibile avere nemmeno conoscenza dei suoi termini (il ricorso ha denunciato che non fu permessa “l’acquisizione di un’adeguata conoscenza dei contenuti normativi, di formarsi un’opinione su di essi e di discuterli, anche al fine di proporre emendamenti o comunque di esprimere un voto consapevolmente favorevole o contrario ai sensi dell’articolo 72, primo comma, della Costituzione“). Una sopraffazione antiparlamentare della minoranza. Una esibizione impudente di “dittatura della maggioranza” (il ricorso ha denunciato “lesione della sfera di attribuzioni costituzionali spettanti ai singoli membri del Senato della Repubblica e ai gruppi parlamentari” e “alle minoranze parlamentari con riferimento alla loro partecipazione al procedimento legislativo“):
non avrebbero rappresentato, “violazioni….di manifesta gravita”, dice la Corte per “specifiche esigenze di contesto…consolidate prassi parlamentari ultradecennali” (quelle istituzionalizzanti dispotismo legislativo in senso tecnico?)!!
In altre parole, secondo Corte, “il contesto” del procedimento, non la sua essenza intrinseca, salverebbe l’ illecito legislativo inescusabile…

Lascia un commento